Destra di Popolo.net

CONTRATTO GRILLINI, ECCO PERCHE’ IL TRIBUNALE PUO’ DICHIARARE IL LIBERI TUTTI

Gennaio 17th, 2017 Riccardo Fucile

TRA POCHE ORE IL PRONUNCIAMENTO DELLA SEZIONE CIVILE DI ROMA… IL VINCOLO DEGLI AMMINISTRATORI E LA SANZIONE DA “ALMENO 150.000 EURO”   ALLA PROVA DELLA LEGGE

Tre paginette, dieci punti e alcune raccomandazioni finali sotto il titolo “Codice di comportamento per i candidati eletti del M5S alle elezioni amministrative di Roma”.   Eccolo il famoso “contratto” sottoscritto da Virginia Raggi ed i consiglieri comunali romani grillini con la Casaleggio Associati su cui in queste ore è chiamato a decidere il Tribunale Civile di Roma: è breve, ma giuridicamente e politicamente pesante.
Ma verdiamo cosa prevede e perchè il pronunciamento dei giudici è così importante. Soprattutto per chi quella carta l’ha firmata e dai togati potrebbe essere adesso “liberato”.
Fari puntati sui punti 2 e10 del contratto. In pratica il candidato sindaco, i consiglieri e anche i futuri assessori, si impegnano a sottoporre allo staff, “gli atti di alta amministrazione e le questioni giuridicamente complesse”.
Ovvero le scelte rilevanti dell’amministrazione capitolina dovevano passare da Grillo e Casaleggio. E in caso di violazione del codice, i candidati si dichiarano “consapevoli” che la violazione dei principi previsti dal codice di comportamento prevedeva “l’impegno etico alle dimissioni dell’eletto dalla carica ricoperta e/o il ritiro dell’uso del simbolo e l’espulsione dal M5S”.
E visto, il   possibile “grave danno” arrecato all’immagine del Movimento, gli eletti caduti in fallo si impegnano a risarcire una somma che “si quantifica in almeno euro 150.000 mila”.
Sanzioni che, all’epoca, potevano essere decise sempre da Grillo e Gianroberto Casaleggio (ora il primo e il figlio Davide) o dopo voto online.
Con i soldi pagati dai colpevoli destinati ad associazioni benefiche.
La questione è diventata subito argomento di scontro politico e appena reso noto il contenuto del contratto l’avvocato Venerando Monello, un iscritto al Pd, ha presentato ricorso, convinto che il “contratto” vìolasse il principio costituzionale sull’assenza di mandato per gli eletti previsto dall’articolo 67 della Costituzione per i parlamentari e l’analoga norma prevista all’articolo 3 dal Regolamento del Consiglio comunale di Roma. Monello considera lesi anche l’articolo 3 e 97 della Costituzione.
La battaglia dell’avvocato però va ben oltre la questione della incandidabilita della Raggi e oggi, della sua decadenza.
Punta invece all’essenza stessa del Movimento Cinque Stelle e al suo rapporto con la Casaleggio Associati, considerata un’associazione segreta.
La questione poi è tornata alla ribalta anche dopo le vicende sulla collocazione europea del Movimento. Due eurodeputati grillini hanno infatti lasciato il gruppo e Grillo ha minacciato di chiedere una “penale” di 250 mila euro.
Adesso il tribunale di Roma dirime la questione.
Grillini liberi tutti o prigionieri per sempre.

(da “La Repubblica”)

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IL RECORD DI ALFANO JR ALLE POSTE: 200.000 EURO L’ANNO SENZA FIRMARE NEANCHE UN ATTO

Gennaio 17th, 2017 Riccardo Fucile

IL RAPPORTO DELLA GDF… L’EX AD SARMI, CHE AVEVA AFFERMATO DI NON AVER RICONOSCIUTO IL FRATELLO DEL MINISTRO AL MOMENTO DELL’ASSUNZIONE, SMENTITO DAL SUO BRACCIO DESTRO PICUCCI

Quattro anni in Poste. E nessun documento firmato.
È quanto emerge dal rapporto che la guardia di finanza ha consegnato nei giorni scorsi alla procura presso la Corte dei Conti.
L’indagine riguarda l’assunzione e la carriera record di Alessandro Alfano, il fratello del potentissimo Angelino, ex ministro della Giustizia nel governo Berlusconi, ex ministro dell’Interno nei governi Letta e Renzi, ora ministro degli Esteri nel governo Gentiloni, nonchè ex segretario politico del Pdl e ora leader di Ncd.
La carriera record del fratello del Ministro. Alessandro, una laurea triennale in economia conseguita a 34 anni, ha bruciato le tappe nella carriera da dirigente in Postecom.
Il suo stipendio è passato dal 2014 al 2016 da 160 a 200 mila euro.
Ora però un’inchiesta della Corte dei Conti – affidata al nucleo valutario della guardia di finanza – cerca di capire se le promozioni di Alfano jr (a cominciare dall’assunzione), siano avvenute per meriti professionali. O per meriti di parentela causando, se dimostrata questa ultima ipotesi, un danno erariale.
“Siamo di fronte a un ri-uso politico di scarti di inchiesta giudiziaria”, si era difeso il ministro Alfano.
I dubbi sull’assunzione.
Ma le carte giudiziarie sembrano raccontare un’altra storia. Il consigliere d’amministrazione di Poste Italiane, “dottor Antonio Mondardo aveva manifestato la propria perplessità  all’allora ad Massimo Sarmi circa le motivazioni che avevano portato all’assunzione di Alessandro Alfano, senza che il cda fosse portato a conoscenza dell’esigenza di dover ricoprire tale ruolo, e che per tale carica fosse prevista l’assunzione del citato dirigente”.
Nel luglio del 2016, dopo essere stato sfiduciato dal direttivo regionale, Antonio Mondardo, 51 anni, aveva tentato il suicidio.
L’ex ad Sarmi sbugiardato dal collaboratore.
Ma c’è dell’altro, perchè lo stesso Sarmi, sentito nel febbraio scorso a sommarie informazioni dai finanzieri, avrebbe mentito: “Sapeva che Alessandro Alfano era il fratello del ministro?”, gli chiede la finanza. “No, non mi sembra che all’epoca si era preso in considerazione questo legame”, risponde Sarmi.
A sbugiardarlo ci pensa il suo stesso braccio destro in Poste, Claudio Picucci. “Lei aveva informato Sarmi che Alessandro era il fratello del ministro?”, domandano gli investigatori. “Sicuramente sì, anche perchè il nome era altisonante”, afferma Picucci. “E chi aveva presentato il cv di Alessandro Alfano?”, incalzano gli inquirenti. “Ritengo (l’allora, ndr) l’ad di Poste, Sarmi”.
“Di sua iniziativa – precisa Picucci- (Sarmi, ndr) mi inviò il curriculum non per soddisfare un’esigenza immediata, ma per tenerlo in considerazione nel caso in cui fossero emerse necessità ”.
Le intercettazioni del faccendiere.
Ci sono poi le intercettazioni della procura capitolina su un uomo vicino ad Angelino Alfano, il faccendiere Raffaele Pizza, arrestato il 6 luglio.
In una delle conversazioni intercettate nel gennaio del 2015, Pizza si vantava con Davide Tedesco, storico collaboratore del ministro Alfano, di aver facilitato, grazie ai suoi rapporti con l’ex amministratore di Poste, Sarmi, l’assunzione del fratello del ministro in una società  del Gruppo, Postecom.
Pizza diceva: “Lui come massimo (di stipendio, ndr) poteva avere 170 mila euro e io gli ho fatto avere 160 mila. Tant’è che Sarmi stesso gliel’ha detto ad Angelino, ‘Io ho tolto 10 mila euro d’accordo con Lino’ (Pizza, ndr), per poi evitare. Adesso va dicendo che l’ho fottuto perchè non gli ho fatto dare i 170 mila”.
Primo stipendio, 160mila euro. E così Alfano jr entra in Postecom nel 2013 con uno stipendio lordo da 160 mila euro l’anno. Diventano 180 quando Alessandro Alfano, nel gennaio del 2015, passa a un’altra società  del gruppo, Poste Tributi.
E infine l’ultima promozione per il fratello del ministro porta la data del maggio 2016, passaggio in Poste italiane e salario (lordo) da 200 mila euro.

(da “La Repubblica”)

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ALMAVIVA, NEL CALL CENTER DEI 1600 LICENZIATI RABBIA CONTRO PD E GRILLINI

Gennaio 17th, 2017 Riccardo Fucile

“LA SINISTRA QUI CI HA PRESO A CALCI”…”I CINQUESTELLE NON SANNO PROPRIO NIENTE DI NOI”

Ramona era piena di vita, giovane e appassionata. Padre operaio, madre casalinga, radici salde, popolari. Voglia di crescere, di migliorare, tante piazze dove urlare, assieme agli altri: “Ci siamo anche noi con i nostri diritti, lavoro, welfare, famiglia!”. Quella Ramona di vent’anni fa non c’è più: “Ho 38 anni, una grande rabbia dentro, niente e nessuno cui credere, ho maturato una completa sfiducia nella politica”.
In Almaviva ce l’hanno con la sindaca Raggi che, fino all’Epifania, “non si era mai filata nessuno di noi”, con Zingaretti e la Regione (il governatore però ieri ha aperto un tavolo e giura: “Non lasceremo soli questi lavoratori, cercheremo di dare loro opportunità  di reinserimento “), con Di Battista, detto Diba, “giovane e brillante ma è venuto davanti alla nostra sede e non sapeva una mazza della nostra trattativa”
Un rifiuto emotivo ma solido, un disincanto totale.
Monia pensa a suo figlio che ha 7 anni: “Non so se questo Paese può dargli un futuro, ho dei parenti in Canada, devo riflettere. Qui non c’è welfare, non c’è nulla”.
All’establishment istituzionale manca anche e soprattutto il “cuore”, dice Marzia Dimitri, da 16 anni in Almaviva, responsabile del call center in quota Inps, stessa scuola di Ascanio Celestini, “lui terza liceo, io quarta ginnasio”, una laurea in sociologia, un marito falegname.
Il cuore dunque: “Non mi aspetto che ce l’abbia un imprenditore ma il governo e i sindacati sì”.
Bertinottiana in origine, delusa dalla “scarsa lungimiranza sindacale”, Marzia ha votato per la Raggi (“Le concedo ancora il beneficio del dubbio”) e ha detto sì al tardivo referendum sull’accordo.
Il suo è un identikit multiplo che certifica lo scollamento dal mondo iniziale: “I 1700 dipendenti di Almaviva sono stati immolati, io sono stata immolata. Non credo più, non mi fido più”.
Barbara Sbardella (Rsu Cgil), altra licenziata di fine anno, ha pianto lacrime di rabbia nella notte del fallimento: “Ho visto crollare in Almaviva anni di battaglie sui diritti. Ho due figli di 8 e 5 anni. Il futuro lo vedo nero ma non mollo. Da un partito di sinistra mi aspetto che capisca che non si può vivere con meno di 600 euro al mese”

(da “La Repubblica”)

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“CI VOGLIONO SOLO VELATE”: LE GIOVANI MUSULMANE BOICOTTANO LA TV ITALIANA

Gennaio 17th, 2017 Riccardo Fucile

LE INVITANO SOLO PER COSTRUIRE TEATRINI CONTRO GLI IMMIGRATI… UNO DEI BURATTINAI E’ DEL DEBBIO

Nella trappola del grande schermo i giovani musulmani non ci vogliono più cadere.
E’ una consapevolezza che si è fatta sempre più forte in questi ultimi anni e che con le seconde generazioni sta velocemente passando dalla protesta all’azione.
Proprio in questi giorni girano sui social network – con una punta di orgoglio – gli screenshot della messaggistica tra giornalisti di programmi – diventati famosi più per andare giù pesante sulle questioni «islamiche» che per gli ascolti – e il rifiuto, soprattutto da parte delle giovani musulmane, a parteciparvi.
Il motivo? Li considerano «teatrini» preparati ad hoc, per mettere in cattiva luce gli immigrati, l’islam e i musulmani.
Al via dunque il boicottaggio, come a dire: «Non nel mio nome».
La frustrazione di questi giovani, musulmani e figli dell’immigrazione, che ancora non si sentono raccontati o rappresentati dal grande schermo italiano, è forte e non più disponibile al compromesso.
Sara Ahmad, giovane musulmana, racconta sul suo profilo Facebook, con tanto di prova dello scambio di messaggi: «Ieri sono stata contattata dalla redazione di un noto programma televisivo. Prima di me sono state contattate tante altre ragazze e, fortunatamente, hanno rifiutato tutte la proposta della redazione. Di quale proposta così importante e ben retribuita si tratta?
«Una donna musulmana deve indossare il burqa (retaggio culturale afghano e non prescrizione islamica) e recitare la parte della musulmana che discute con il preside della scuola frequentata dai figli. Le solite cose insomma, le solite messe in scena per fare polemica, per creare più disinformazione e più astio tra le persone”.
Fatima El Allali risponde a una discussione sull’ennesimo format che ha mandato in pasto la comunità  islamica ai peggiori istinti dell’odio: «Io mi meraviglio di alcuni musulmani che accettano di essere umiliati gratuitamente. Per favore state a casa vostra e non parlate di Islam e di musulmani, lasciate che siano le vostre azioni a parlare di voi».
Shereen Mohammed, classe 1993, pubblica la messaggistica tra lei e una redattrice del programma «Quinta colonna», che la invita a partecipare come donna, musulmana e velata per parlare della sua scelta e delle difficoltà .
Lei risponde, come se fosse stata in attesa da anni di quell’invito, sfogando tutto il dissenso e la frustrazione provati durante la visione delle puntate di quell’arena: «Purtroppo conosco la vostra trasmissione, credo che come tutte le ragazze che avete invitato questi giorni, rifiuterò anche io. Non sono disposta a farmi trattare da burattino in una trasmissione dove gli ospiti vengono buttati in pasto ai leoni (..) Inoltre non vedo questa necessità  di ricorrere a stereotipi. Sì, sono musulmana, porto il velo per scelta, ma sono molto altro».
E’ infatti quel «molto altro» che manca nella tv italiana e che viene denunciato in discussioni pubbliche come una vera discriminazione.
Un’altra ragazza musulmana racconta di essere stata chiamata da un noto programma di La7, che però aveva l’esigenza di avere un’ospite velata. Il fatto che la donna musulmana in questione fosse affermata nel lavoro ma non portasse il velo si è rivelato un problema.
A Shaimaa Fatihi, che invita i suoi numerosi fun su Fb a boicottare queste trasmissioni, è arrivata tra le altre la risposta di Fouad Roueiha: «È fondamentale non prestarsi a partecipare in qualità  di punching ball o belle statuine alle trasmissioni televisive, perchè far partecipare dei musulmani o degli “immigrati” (nel caso mio, un siriano) aumenta la credibilità  e l’autorevolezza di una trasmissione che si occupi di tematiche connesse, anche se poi l’ospite non viene messo in grado di esprimersi o ha meno spazio della “controparte”. Dobbiamo allora vincere il narcisismo e la voglia di apparire e dire “no” a trasmissioni note per l’atteggiamento scorretto, lasciamo che parlino in maniera autoreferenziale piuttosto che accreditarli. Bisognerebbe lasciare che quella gente sia da sola a parlarsi addosso.».
Insomma, il nostro grande schermo con i suoi programmi e il suo palinsesto – ancora orfano di un racconto e di uno sguardo approfondito sul pluralismo etnico e religioso, che ha anche la cittadinanza italiana – inizia ad essere analizzato dai più giovani, che ne individuano la dinamica scorretta al punto da proporne il boicottaggio.
Sarà  dunque il caso di cambiare schema, inventarsi qualcosa di nuovo, o semplicemente, aprirsi a un vero dibattito con i musulmani, non contro di essi

(da “La Stampa“)

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DA GRILLO AL DELFINO DI BERLUSCONI: VERHOFSTADT APPOGGERA’ TAJANI

Gennaio 17th, 2017 Riccardo Fucile

DOPO LA TRATTATIVA NAUFRAGATA CON GRILLO SI ERA RITIRATO DALLA CORSA ALLA PRESIDENZA… L’ALDE APPOGGERA’ TAJANI CHE STA TRATTANDO ANCHE CON I CONSERVATORI DI ECR

I gruppi Ppe e Alde al Parlamento europeo hanno siglato un accordo di cooperazione che di fatto spinge Antonio Tajani verso la presidenza dell’eurocamera.
Il candidato liberale dell’Alde Guy Verhofstadt ha ritirato la sua candidatura.
Il ritiro di Verhofstadt è stato annunciato dall’ex presidente del parlamento Martin Schulz in apertura di seduta.
“L’Europa è in crisi – si legge nel testo dell’accordo – una coalizione pro europea è necessaria. Per questo Ppe e Alde, al di là  delle loro differenze ideologiche, hanno deciso di lavorare insieme strettamente e offrire una piattaforma comune come punto di partenza per questa cooperazione pro europea”.
L’accordo sarebbe anche con il gruppo dei conservatori. Come sottolinea un tweet di Siegfried Muresan, portavoce del gruppo Ecr-conservatori.
Restano in lizza Eleonora Forenza (Gue/Ngl, sinistra radicale), Jean Lambert (Verdi/Ale), Laurentiu Rebega (Enf, il gruppo della Lega Nord e del Front National), Helga Stevens (Ecr, Conservatori), Gianni Pittella (S&D, socialisti) e Antonio Tajani (Ppe, popolari).
Qualora venisse chiuso l’accordo anche con Ecr (conservatori) e i gruppi votassero in maniera compatta, senza nessuna defezione, il candidato dei popolari Tajani otterrebbe 359 voti.
Senza contare quelli che potrebbero arrivargli dall’Ukip e dai lepenisti.
Per essere eletti nelle prime tre votazioni occorre la maggioranza assoluta fissata a quota 376. Dal quarto voto in poi si procederebbe al ballottaggio tra i due candidati più votati.

(da “Huffingtonpost)

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“POLITICO DI FORZA ITALIA FERMO’ SERVIZIO DELLE IENE SULL’HOTEL DI FAMIGLIA”

Gennaio 17th, 2017 Riccardo Fucile

EMERGONO NUOVI DETTAGLI DOPO L’ARRESTO DEL SINDACO DI SPERLONGA

Non importava il partito. Forza Italia o Pd, alla fine, era la stessa cosa.
Per il cartello di imprenditori del sud del Lazio arrestati lunedì mattina tra Latina, Sperlonga, Anzio e Nettuno per turbativa d’asta e corruzione, l’unica cosa che contava veramente era di scommettere sul cavallo giusto.
Poteva essere l’ex presidente della provincia pontina Armando Cusani, tornato alla politica attiva come sindaco di Sperlonga dopo una sospensione per la legge Severino. Uomo di ferro di Forza Italia, in grado — per gli investigatori — di benedire gli accordi per la spartizione degli appalti, è finito in carcere con l’accusa di corruzione e turbativa d’asta.
O poteva essere l’imprenditrice di Anzio Alessandra Bianchi, candidata nella lista civica “Più Roma” che appoggiava Roberto Giachetti alle elezioni comunali di Roma, arrestata anche lei e mandata ai domiciliari, accusata di aver fatto parte di quel cartello criminale per la spartizione degli appalti nel sud del Lazio al centro dell’inchiesta della procura di Latina.
Un sistema, dove la politica garantisce, sponsorizza, copre. Un’alleanza dove “se arrivo io, arrivate tutti”, come spiegava Bianchi in una intercettazione telefonica con l’imprenditore Nicola Volpe, in grado di garantire — secondo l’accusa — l’appoggio politico giusto per le elezioni al consiglio comunale capitolino.
“Fermate le iene
Il cartello di Latina era potente, molto potente. Poteva contare su un nome di un cavallo di razza della politica del sud pontino, quell’Armando Cusani che insieme a Claudio Fazzone si oppose strenuamente contro la richiesta di scioglimento del comune di Fondi per infiltrazione mafiosa.
Politico sempre attivo, pronto a cucire rapporti, nonostante la sospensione dalla carica di presidente della provincia per la legge Severino nel 2014 lo allontanò, temporaneamente, dall’amministrazione provinciale e dal consiglio comunale di Sperlonga, come conseguenza di un paio d’inchieste per abuso d’ufficio.
Lo scorso giugno torna in sella, dopo la revoca della sospensione, come neo sindaco. Ma il suo nome, in realtà , non aveva mai smesso di contare.
Lo spiega bene il Gip di Latina Giuseppe Cario, che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, riportando i risultati di alcune intercettazioni telefoniche realizzate dai carabinieri della città  laziale durante le indagini.
E’ lo scorso aprile e le Iene si stanno occupando di Cusani e dell’albergo “Grotte di Tiberio”, l’hotel di Sperlonga in parte abusivo, di proprietà  della sua famiglia. Filippo Roma, inviato del programma di Italia 1, stava girando da quelle parti, creando qualche preoccupazione all’ex presidente della provincia e attuale sindaco della città . Ed ecco che “si attiva Cusani — si legge nell’ordinanza — chiedendo che quel servizio vada in onda dopo le amministrative (siamo ad aprile, a due mesi dal voto che vedrà  vincitore lo stesso Cusani, ndr). Il servizio in questione non andrà  più in onda. Riesce a contattare i vertici Mediaset e scongiurare la messa in onda del programma”.
Vecchi contatti che ancora contano, probabilmente.
L’autore e creatore delle Iene Davide Parenti conferma a ilfattoquotidiano.it che effettivamente lo scorso aprile stavano realizzando un servizio a Sperlonga: “Ma questo servizio non lo abbiamo ultimato — spiega — non perchè sia entrato qualcuno dei vertici Mediaset, cosa che succede ogni tanto, ma perchè c’era venuto un dubbio sulla denuncia che stavamo facendo”.
Versione ripetuta al Fatto anche dallo stesso Filippo Roma: “Abbiamo deciso noi di non montare il servizio, e in realtà  volevamo riprenderlo per la prossima stagione”.
L’ex generale dei carabinieri e l’inchiesta da bloccare
Armando Cusani non si limita a bloccare — secondo il Gip — il programma delle Iene. Fa qualcosa di più, punta al maresciallo dei carabinieri che stava conducendo le indagini.
Il 14 aprile scorso gli investigatori intercettano una lunga comversazione dell’ex presidente della provincia con l’ex generale dei carabinieri Mario Palombo: “Il Cusani si scaglia contro l’operato della polizia giudiziaria — si legge nell’ordinanza — ‘che va rompendo il cazzo’”. E quando il sindaco di Sperlonga si lamenta con Palombo del maresciallo in servizio nella sua città , la risposta che arriva è molto poco istituzionale:
Palombo: Mo’, mo’ ci penso io, quel figlio di puttana del co…
Cusani: Il sindaco scriverà  ufficialmente al comandante del Gruppo e al comandante della forestale per trasmettergli questa cosa
Palombo: robe dell’altro mondo, questo è un bastardo veramente
Per il Giudice di Latina l’attività  frenetica di Armando Cusani — che da una parte teneva in un clima di soggezione i dipendenti del comune di Sperlonga, e dall’altra si attivava con Mediaset per bloccare un servizio ostile e con l’ex generale Palombo per rimuovere un maresciallo scomodo — ha creato le condizioni per richiedere la custodia cautelare in carcere, “per interrompere le possibili ingerenze”.
La caccia ai voti
La politica, d’altra parte, era il motore indispensabile per gli affari. Quando lo scorso anno si sono tenute le elezioni amministrative le intercettazioni telefoniche hanno captato l’agitazione degli imprenditori, impegnati nel puntare sul cavallo giusto. Nicola Volpe, uno dei costruttori arrestati “si riteneva tranquillo per tutti i candidati supportati”, scrive il Gip.
Era quella la chiave giusta per gli affari: “L’esito favorevole alle consultazioni amministrative era linfa vitale per l’associazione criminale”, commentano i magistrati. E in questo senso le intercettazioni telefoniche tra due imprenditori coinvolti nell’inchiesta e finiti agli arresti erano chiare:
Mauro Ferrazzano: Incrociamo le dita… incrociamo le dita per domenica (…)
Nicola Volpe: Ho rastrellato nord e sud, est ed ovest Mauro, bassifondi e altifondi Mauro…
Mauro Ferrazzano: Perfett
Nicola Volpe: Mo’ se escono mille voti non è mica colpa mia
Mauro Ferrazzano: (…) se ci sta uno che ha dato una mano forte quello sei tu
Dopo il voto commentano che a Sperlonga, dove era in corso uno degli appalti monitorati dagli investigatori per 700mila euro, le cose erano andate decisamente bene:
Nicola Volpe: Armando, sì, Armando… sì Armando ha vinto, il sessanta e passa per cento (si riferisce all’elezione a Sindaco di Cusani al primo turno
Mauro Ferrazzano: Ah! Bene a te… a Sperlonga quindi sta apposto?
Strategica era ovviamente anche Roma, dove Nicola Volpe avrebbe scommesso sull’imprenditrice di Anzio Alessandra Bianchi, candidata al consiglio comunale in appoggio a Roberto Giachetti, poi non eletta. “Nonostante una militanza per Forza Italia, però, (Volpe) si attiva concretamente per la campagna elettorale della Bianchi — scrivono i magistrati — nelle fila del Pd per Roberto Giachetti Sindaco; anche qui è la promessa di future commesse che lo alletta”. Se a Roma le cose per questo cartello di imprenditori sono andate male, i risultati nel sud pontino erano serviti per far vincere i cavalli giusti. Politici di razza, come l’ex presidente della Provincia Cusani.

Andrea Palladino
(da “il Fatto Quotidiano”)

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“STEFANO CUCCHI MORI’ ASSASSINATO”: LA PROCURA CONTESTA OMICIDIO PRETERINTENZIONALE A TRE CARABINIERI

Gennaio 17th, 2017 Riccardo Fucile

CHIUSA L’INCHIESTA BIS A OTTO ANNI DALLA MORTE DEL GIOVANE

Stefano Cucchi è stato assassinato.
Otto anni dopo la sua morte in un letto del reparto di medicina protetta dell’ospedale Pertini di Roma (22 ottobre 2009), il procuratore capo Giuseppe Pignatone e il pm Giovanni Musarò chiudono la cosiddetta inchiesta bis (aperta nel novembre del 2014) sui responsabili del suo pestaggio e con l’atto di conclusione indagini contesta a tre dei carabinieri che lo arrestarono nel parco degli acquedotti di Roma – Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco – il reato di omicidio preterintenzionale.
Con loro, accusati di calunnia, il maresciallo Roberto Mandolini, allora comandante della stazione dei carabinieri Appia (quella che, nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009 aveva proceduto all’arresto) e i carabinieri Vincenzo Nicolardi e Francesco Tedesco. Per Mandolini e Tedesco, infine, anche il reato di falso verbale di arresto.
Con un cambio di imputazione (i carabinieri cui viene ora contestato l’omicidio erano stati a lungo indagati per lesioni personali aggravate, così come Mandolini e Nicolardi di una falsa testimonianza che ora diventa, appunto, calunnia) che aggrava la posizione degli indagati e soprattutto fuga il rischio incombente della prescrizione, comincia dunque una nuova storia.
Una morte sino ad oggi senza responsabili – tre giudizi di merito, uno di primo grado e due di appello, oltre ad una pronuncia della Cassazione, hanno portato solo ad assoluzioni (definitive quelle degli agenti penitenziari in servizio nelle celle di sicurezza del Tribunale di Roma, confermate nei due giudizi di appello quelle dei sanitari del Pertini) – trova nelle solide acquisizioni di questa seconda inchiesta della Procura di Roma i presupposti per la celebrazione di un nuovo processo e per riscrivere da capo la storia del pestaggio e della morte di Stefano.
A partire da quanto accadde quella notte del 15 ottobre del 2009 – Stefano fu pestato nei locali della caserma Casilina, dove era stato portato per essere fotosegnalato – per proseguire con lo snodo chiave della vicenda sotto il profilo giuridico.
L’esistenza cioè di un nesso di causa ed effetto tra le violenze subite dopo l’arresto (la lesione di due vertebre) e la morte, sei giorni dopo, nell’Ospedale Pertini.
Decisiva, in questo senso, la confusa e contraddittoria ultima perizia di ufficio (quella condotta dal direttore dell’Istituto di Medicina legale di Bari, Francesco Introna), depositata a inizio di ottobre dello scorso anno, che aveva infatti dovuto riconoscere per la prima volta in otto anni, pure in una contorsione logica e argomentativa, che “le fratture traumatiche delle vertebre” di Stefano “ben possono aver determinato una condizione di vescica neurologica” al punto tale che “la stimolazione del nervo vagale ad esso connessa può aver accentuato la bradicardia di Cucchi fino all’esito finale”.

(da “La Repubblica”)

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IL RITORNO DI DIEGO A NAPOLI, DICENDO QUALCOSA DI IMPORTANTE: “RAGAZZI, NON PRENDETE DROGA, NON SPARATE”

Gennaio 17th, 2017 Riccardo Fucile

“I GIOVANI DELL’ORCHESTRA DELLA SANITA’ SONO L’ESEMPIO PIU’ GRANDE: LORO HANNO VINTO COME HO VINTO IO, NAPOLI CE LA FARA'”

L’ideale sarebbe che non accadesse mai. Ma gli uomini, nella vita, cadono.
In certi casi lo fanno anche rovinosamente. L’importante è sapersi rialzare, però. Chiedere scusa. Rifarsi…
La sua vita privata “sono fatti suoi”.
In campo è sempre stato un grande campione che ha regalato gioie, sogni e risultati capaci di veicolare anche la crescita complessiva della città  per un certo periodo di tempo: la cittadinanza onoraria sarà  data esclusivamente per quello.
Mi aspettavo che dicesse qualcosa di importante; che desse il senso di una progressione personale…
Forse, mi sa, che aveva ragione PinoDaniele: “Masaniello è crisciuto. Masaniello è tornato”…
«Ai ragazzi dico: non prendete la droga, non sparate. I ragazzi dell’Orchestra della Sanità  sono l’esempio più grande: loro hanno vinto come ho vinto io. So che Napoli ce la farà  lottando»

Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale

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