Gennaio 27th, 2017 Riccardo Fucile
MANIPOLAZIONE DEGLI APPALTI, CONDANNE ANCHE PER DUE ASSESSORI E L’ATTUALE SINDACO… E’ LA PADAGNA DEL MAGNA MAGNA
Ve lo ricordate? 
L’ex sindaco di Adro Oscar Lancini, leghista conosciuto alle cronache per aver tappezzato con il sole delle alpi simbolo del carroccio la scuola del paese bresciano, è stato condannato dal tribunale di Brescia a tre anni nell’ambito dell’inchiesta che nel 2013 lo aveva portato agli arresti domiciliari per la realizzazione dell’area feste a Adro con la contestazione di aver manipolato gli appalti.
Era accusato a vario titolo di truffa e turbata libertà degli incanti.
L’intera giunta era finita sotto inchiesta: 21 gli imputati e dodici le assoluzioni.
Oltre ad Oscar Lancini, oggi vicesindaco di Adro, è stato condannato dal tribunale di Brescia anche l’attuale sindaco del paese bresciano Paolo Rosa, un anno, e gli assessori Lorenzo Antonelli (1 anno e sei mesi), Giovanna Frusca (2 anni).
L’accusa ha sostenuto la tesi secondo cui vennero pilotati gli appalti per la realizzazione dell’area feste.
(da agenzie)
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Gennaio 27th, 2017 Riccardo Fucile
CON IL PATTEGGIAMENTO LA RAGGI EVITEREBBE IL DEPOSITO DELLE CHAT IMBARAZZANTI
Il dilemma della prigioniera Virginia si evolve.
La sindaca sta valutando la possibilità del patteggiamento anche se la decisione verrà presa, come è comprensibile, soltanto dopo l’interrogatorio fissato in procura tra qualche giorno.
La Raggi andrebbe così incontro a una pena che dovrebbe essere minimo di un anno e due mesi ma soprattutto la sindaca eviterebbe il deposito delle chat comprese tra le carte processuali, dalle quali emergono intanto gli incontri tra Raffaele Marra e Luigi Di Maio per la scelta degli incarichi nella giunta.
Incontri che però vengono smentiti da Luigi Di Maio di buon mattino su Facebook: «L’unica volta che ho incontrato Marra l’ho fatto nel mio ufficio alla Camera in totale trasparenza (l’incontro è stato regolarmente registrato) e non avendo nulla da nascondere sono stato io stesso a darne notizia oltre un mese fa, raccontandone anche i contenuti». Vedremo gli sviluppi.
Il problema della strategia processuale è ancora sul tavolo: la Raggi ha dichiarato nelle carte consegnate all’Anticorruzione di aver effettuato la nomina in piena autonomia. La mossa serviva a negare il conflitto di interessi di Renato Marra, che avrebbe dovuto astenersi dal nominare il fratello.
Ma i messaggi trovati nel cellulare di Marra smentiscono clamorosamente questa versione dei fatti: se la sindaca la ribadirà davanti ai magistrati rischia una condanna a due anni e la sospensione immediata.
Se invece cambierà versione, ammetterà di aver dichiarato il falso ma questo reato non è nell’elenco dei reati previsti nella Legge Severino.
Ma, scrive Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera, qui entrano in ballo più variabili: la prima è che gli avvocati della sindaca non sarebbero disposti ad accettare una pena superiore all’anno di reclusione.
La seconda è che Raffaele Marra, indagato e in carcere per altri reati ma raggiunto da un avviso di garanzia per la vicenda, potrebbe avere interesse a far entrare nel processo proprio quelle chat:
Anche lui dovrà essere interrogato nei prossimi giorni e le sue dichiarazioni potrebbero pesare in maniera determinante proprio sul destino di Raggi. Perchè, nonostante le smentite ufficiali, appare evidente dalla lettura delle chat il potere che il funzionario aveva sulla sindaca e sull’intero staff. L’inchiesta sui soldi ottenuti da Scarpellini potrebbe presto chiudersi con la richiesta di giudizio immediato. Marra rischia una condanna alta, che potrebbe essere ulteriormente aggravata da questa nuova contestazione di abuso e quindi è possibile che decida di difendersi scaricando le responsabilità su Raggi o addirittura svelando nuovi retroscena sulla procedura seguita non solo sulla nomina del fratello, ma anche sulle altre che sono state contestate e per questo revocate. O addirittura rendendo pubbliche le chat per le quali aveva già fatto istanza chiedendo che fossero messe a sua disposizione tutte le trascrizioni.
Tra le conversazioni contenute in «quattro amici al bar» via Telegram ci sono i messaggi della scorsa estate, quando la giunta Raggi stentava a decollare per mancanza di assessori fino allo scontro con il responsabile al Bilancio Marcello Minenna e con il capo di gabinetto Carla Raineri.
Proprio in quel periodo si decise di trasmettere all’Anac tutte le delibere e la scelta fu condivisa con Luigi Di Maio.
A parlarne con il deputato all’epoca componente del «direttorio» sarebbe stata non solo la Raggi, ma anche lo stesso Marra. Finora era emerso soltanto un incontro avvenuto a luglio, e dopo l’arresto di Marra Di Maio ha dichiarato che lo vide «su richiesta della sindaca».
Nelle chat ci sarebbe invece traccia di almeno altri due incontri (uno ad agosto) e soprattutto delle consultazioni con Di Maio per la scelta di tutti gli incarichi, compreso quello di Marra a vicecapo di gabinetto.
E sul quale il parlamentare avrebbe dato il via libera.
Valeria Pacelli sul Fatto Quotidiano invece riporta i dettagli della difesa che la Raggi e i suoi avvocati imbastiranno davanti ai pm Paolo Ielo e Francesco Dall’Olio: tutto si fonderà sul comma 2 dell’articolo 38 del Regolamento degli Uffici e Servizi del Comune di Roma dove si afferma che gli incarichi di “direzione delle direzioni”— Renato Marra fu nominato (e poi revocato) direttore della direzione Turismo — “sono conferiti e revocati dal sindaco”.
Le uniche prescrizioni previste dal comma 2 riguardano il ventaglio delle proposte, che spettano all ‘assessore alle Politiche delle risorse umane e la consultazione dell’assessore competente per materia.
Che in questo caso è Adriano Meloni, lo stesso che, sentito dai magistrati come persona informata sui fatti, ha dichiarato che a suggerirgli la nomina di Renato Marra era stato suo fratello Raffaele.
La stessa norma si aggancia anche alla seconda accusa, quella di falso in atto pubblico. Per i pm la Raggi ha mentito quando ha sostenuto in un atto, poi inviato anche all’Anti-corruzione (Anac), di aver gestito da sola la nomina di Renato Marra.
Il problema, però, e lo ricorda la stessa Pacelli, è che le chat dei Quattro amici al bar in cui Virginia Raggi chiede dell’aumento di stipendio del fratello di Marra allo stesso Raffaele metterebbero in dubbio (eufemismo) questa versione dei fatti: come può essere credibile che una sindaca abbia gestito una nomina in piena autonomia ma, per sua stessa ammissione, non sapesse nulla dello stipendio legato a quella nomina? Infine c’è da segnalare che in prima pagina l’articolo viene presentato con un titolo molto netto: “Raggi subito a giudizio o patteggia: tutto falso”.
Il testo invece è molto meno netto del titolo, visto che lì si afferma che le scelte del giudizio immediato e del patteggiamento non sono affatto scontate (e in effetti anche chi aveva parlato della questione l’aveva riportata come ipotesi):
Da come si difenderà la Raggi nell’interrogatorio della prossima settimana dipenderanno anche le future mosse della Procura.
E che ci sia il giudizio immediato non è affatto scontato. Per ora quindi nulla è deciso. E lo stesso vale per il patteggiamento, visto da alcuni quotidiani come una delle possibilità per il sindaco di uscire dall’inchiesta.
Sarebbe una mossa politicamente suicida: se la Raggi decide di ricorrere a un rito alternativo come questo —che ha come vantaggio la riduzione fino a un terzo della pena —incappa nelle dimissioni obbligatorie.
Come prevede il codice etico del M5s che equipara il patteggiamento a una sentenza di condanna.
Per la Raggi significherebbe la fine della propria esperienza politica.
Sarà sicuramente un problema di sintesi.
(da “NextQuotidiano“)
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Gennaio 27th, 2017 Riccardo Fucile
NELLE CONVERSAZIONI AGLI ATTI LA SINDACA ATTACCA GRILLO E CASALEGGIO… MARRA AL FRATELLO: “DEVI FARTI AMICO DE VITO, E’ DELLA CASALEGGIO”
«Le nomine di Minenna e Raineri sono imposte. Ma il sindaco sono io». A parlare è Virginia Raggi,
all’interno dell’ormai stranota chat di Telegram “Quattro amici al bar”.
Gli interlocutori sono Salvatore Romeo, Daniele Frongia e Raffaele Marra, l’ex braccio destro che, subito l’arresto, la sindaca ha rinnegato in un baleno liquidandolo come «uno dei 23 mila dipendenti del Comune».
La prova che Raggi ha qualche problema nell’ammettere la realtà dei fatti è contenuta in questa intercettazione del Nucleo investigativo dei Carabinieri, ora agli atti della Procura di Roma che ha messo sotto indagine Raggi per abuso d’ufficio e falso in atto pubblico nell’inchiesta sulle nomine in Campidoglio.
Quante volte Raggi ha smentito che il suo mandato fosse commissariato da Beppe Grillo, dai parlamentari romani più in vista e dalla Casaleggio Associati?
Anche di fronte all’evidenza, anche di fronte all’imprenditore Massimo Colomban, amico di Gianroberto e spedito dall’erede Davide a Roma in qualità di assessore alle Partecipate dopo i pasticci della ricerca di un assessore al Bilancio, Raggi ha sempre dato la stessa risposta: «Le decisioni le prendo io con i miei assessori e i miei consiglieri».
Per dire, un mese dopo l’arresto di Raffaele Marra, dopo i giorni del caos in Campidoglio, dopo che la costrinsero a far fuori il suo cerchio magico (il vicesindaco Frongia e il capo segreteria Romeo), lei è andata nel salotto tv di Giovanni Floris su La7 a dare un’altra versione: «Si sono dimessi loro per tutelare il Movimento». Falso. Come false appaiono, alla luce di questa intercettazione su Minenna e Raineri, le sue manifestazioni di autonomia all’indomani della vittoria.
Massimo Minenna, ex Consob, e Carla Raineri arrivano a Roma in qualità di super-assessore al Bilancio e alle Partecipate, lui, e di capo di gabinetto, lei, per volontà del minidirettorio romano, di Grillo e di Casaleggio.
Si sa com’è andata a finire, poi. La guerra in Campidoglio, guidata nell’ombra da Marra, ha portato alle dimissioni di entrambi nel giro di una notte, alla ricerca affannosa di un nuovo assessore al Bilancio (trovato dopo un mese e dopo tanti rifiuti a ottobre) e alla vacatio che dura tuttora per il capo di gabinetto.
Che Raggi sia stata di fatto commissariata dal M5S è ormai indubitabile. Ma forse lo era anche dall’interno, domata dall’influenza che Marra esercitava su di lei ben prima che fosse eletta.
«Ho appena finito di studiare i nominativi per gli incarichi delle strutture di diretta collaborazione del sindaco e del vicesindaco», scrive Marra a Romeo su WhatsApp a maggio 2016. Marra, Romeo, Frongia e Raggi si muovevano come una squadra compatta già mesi prima del voto.
I messaggi in chat depositati nel fascicolo del procuratore aggiunto Paolo Ielo e del pm Francesco Dall’Olio complicano le cose a Raggi ma gettano un’ombra sull’intera giunta, soprattutto leggendo lo scambio su WhatsApp tra Marra e suo fratello Renato, ex vicecapo dei vigili promosso a dirigente con una nomina poi revocata su cui indagano i magistrati.
Nel luglio 2016, incassata da pochi giorni la vittoria alle urne, rivolgendosi al fratello Renato che ambiva a diventare capo dei vigili, Marra dice: «Devi farti amico De Vito, lui è potente. Se diventa tuo amico metà strada è fatta».
Inoltre, parla di alcuni incontri con Di Maio anche se il vicepresidente della Camera ha sempre negato.
Perchè De Vito? Perchè l’ex candidato sindaco sconfitto da Ignazio Marino e poi battuto alle primarie da Raggi, oggi presidente dell’Assemblea capitolina, è considerato l’uomo forte del M5S nella giunta.
Il suo sponsor è Roberta Lombardi, all’epoca ancora nel cuore di Grillo e Casaleggio perchè non in violento contrasto con la sindaca.
Renato a quel punto si mette in contatto con Adriano Meloni, assessore allo Sviluppo economico e al Turismo, ex amministratore delegato di Expedia, anche lui arrivato a Roma in quota Casaleggio Associati.
Renato Marra cerca Meloni su WhatsApp e lui gli risponde: «Sei il fratello di Raffaele? Mi ha spiegato di te».
Frase che è stata confermata martedì dallo stesso Meloni ai pm che lo interrogavano proprio su questi passaggi: «E’ stato Raffaele a suggerirmi di prendere suo fratello». Poco dopo, Renato riscrive a Raffaele (sempre luglio 2016): «Sai che mi ha chiamato Meloni? De Vito sta nella stessa squadra di Meloni?». Raffaele risponde sicuro: «De Vito sta proprio con Casaleggio».
In quello scambio in chat Raffaele incalza ancora il fratello: «De Vito è un amico, mi voleva fare direttore del terzo dipartimento per parare il culo alla moglie».
A luglio Giovanna Tadonio, la moglie di De Vito, diventa assessora alla sicurezza del Personale e alla Polizia locale del municipio III.
Una nomina anticipata dalla Stampa il 5 luglio in un articolo sulla parentopoli grillina. Successivamente, nel novembre 2016, Diego Porta viene nominato capo dei vigili e l’attenzione si sposta sul dipartimento del Turismo.
Dopo aver incassato la nomina di dirigente Renato scrive a Raffaele ringraziandolo ma mostrando timore per le prime voci sulle nomine che si rincorrono sui giornali. Raffaele è però sicuro: «Tranquillo gli atti li ha firmati la sindaca. Io che c’entro? Sono parato».
L’ennesima frase che, assieme alle precedenti ricostruzioni sull’attivismo di Marra a favore del fratello, smentirebbe ancora una volta Raggi. La sindaca, infatti, sulla nomina di Renato ha detto di aver agito da sola.
(da “La Stampa”)
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Gennaio 27th, 2017 Riccardo Fucile
DIETRO C’E’ LA GUERRA DI MOLTI CONSIGLIERI AL PRESIDENTE DELL’ASSEMBLEA CAPITOLINA DE VITO, COLPEVOLE DI ESSERSI CANDIDATO IN ALTERNATIVA ALLA RAGGI
Alla fine Claudio Ortale è stato rinviato a giudizio con l’accusa di truffa ai danni del Comune.
Secondo la procura Ortale avrebbe falsificato missioni esterne al Campidoglio per 362 volte, tra il luglio del 2013 3 l’agosto 2015.
Procurando un danno da ventiseimila euro, per cui l’ammninistrazione capitolina si è costituita parte civile.
Ma la sua storia è interessante perchè la “vittima” della truffa è l’attuale presidente dell’Assemblea Capitolina Marcello De Vito e la vicenda si va ad intrecciare alla faida interna al MoVimento 5 Stelle romano che ha portato alla fine Virginia Raggi a vincere le comunarie.
Ortale infatti collaborava all’interno della segreteria politica dei 5 Stelle capitolini dopo essere stato portato da Daniele Frongia.
La sua vicenda venne alla luce alla vigilia delle primarie per la scelta del candidato sindaco e il suo nome finì nel dossier contro De Vito, perchè l’oggi assessore allo sport e vicesindaco detronizzato da Grillo Daniele Frongia avrebbe accusato De Vito di aver autorizzato ad Ortale i falsi permessi per missioni esterne che poi venivano rimborsate dal Comune.
All’epoca la denuncia venne presentata da De Vito, Raggi e Frongia, ma questi ultimi due l’hanno ritirata senza — ovviamente, in nome della trasparenzaquannocepare, senza fornire nessuna spiegazione in merito.
Racconta Il Messaggero:
Sono altrettanti infatti i modelli — ossia 362 — in cui, secondo il pm Alberto Pioletti, Ortale, «con artifici e raggiri» avrebbe formato dei falsi permessi con la finta motivazione di «Lavori per il Presidente». Su 126 di questi avrebbe apposto in calce il proprio timbro «Visto il responsabile del Servizio», con la propria sigla fotocopiata.
Per altre 233 richieste, invece, avrebbe utilizzato, il timbro prefirmato, «Il dirigente del gruppo capitolino Marcello De Vito» o la dicitura «De Vito Marcello».
In questo modo, si legge sul capo di imputazione «il collaboratore del Movimento Cinque Stelle in Campidoglio induceva in errore il personale del Dipartimento Organizzazione Risorse Umane dell’assemblea capitolina, che, a seguito della presentazione delle richieste, ritenendo effettivamente espletate le attività lavorative in realtà non eseguite indebitamente liquidava la complessiva somma di euro 26.078 più trentanove centesimi di cui euro 19.220 per servizio esterno in orario ordinario; euro 655 per servizio esterno a recupero; euro 6.192 per servizio esterno in straordinario, così traendo un ingiusto profitto con corrispondente danno per il Comune di Roma».
I fatti, secondo il pm Pioletti, sono aggravati poichè l’indagato avrebbe abusato dei poteri del proprio ufficio servendosi di timbri prefirmati di cui aveva la disponibilità in ragione dell’incarico di responsabile amministrativo ricoperto
Ortale, che era stato candidato con Sandro Medici e Rifondazione Comunista a presidente del XIV Municipio, era poi diventato collaboratore del gruppo capitolino del M5S e così presentato da Daniele Frongia sul blog di Beppe:
— Claudio Ortale, docente dell’Istituto Comprensivo Pio La Torre, da diversi anni nella macchina capitolina, in passato in forze in un altro schieramento politico. Claudio, segnalatoci da altri portavoce, ci ha consentito di avviare l’iter per costituire il Gruppo, è attualmente responsabile amministrativo della squadra oltre che un importante punto di riferimento (amministrativo) per tutti noi portavoce, comunali e municipali;
La storia del seminterrato
La storia va a incrociarsi con la “famigerata” vicenda del seminterrato. tutto parte da un accesso agli atti effettuato dal consigliere De Vito il 19 marzo del 2015: si avvale del potere concesso per legge ai consiglieri comunali per ottenere dagli uffici del comune notizie e informazioni riguardo una pratica di sanatoria edilizia su un seminterrato di un cittadino di nome F. B. al quartiere Aurelio.
Il 28 dicembre del 2015 i tre consiglieri organizzano una riunione con i consiglieri municipali in assenza di De Vito e lì lo accusano di aver compiuto “una serie di atti contrari alla buona amministrazione e un reato”.
Chi ha vissuto indirettamente quel momento ha accettato di parlare con Marco Lillo del Fatto e mostrare mail e sms.
“I tre ex consiglieri —secondo quanto De Vito dirà ai suoi amici — affermavano che avrebbe compiuto il reato di abuso di ufficio in relazione ad una richiesta di accesso agli atti”.
“Indubbiamente la cosa — secondo quanto de Vito confidava allora ai suoi amici — produceva l’esito sperato, molti consiglieri municipali si convincevano delle accuse e l’accusato non aveva modo di palesarne la totale falsità ”.
Alla riunione e alle discussioni successive sulla rete partecipano quasi tutti i consiglieri municipali, alcuni dei quali ora sono saliti in Campidoglio.
Uno di loro racconta a De Vito che Frongia avrebbe chiesto di puntare alle successive primarie esclusivamente sulla Raggi. De Vito non sa nulla. Fino al 7 gennaio 2016.
Quel giorno con i tre consiglieri viene convocato a una riunione. Alla presenza di Carla Ruocco e Alessandro Di Battista (membri del direttorio), Roberta Lombardi, Paola Taverna e Massimo Enrico Baroni, e poi dei capi della comunicazione Rocco Casalino e Ilaria Loquenzi, i tre consiglieri comunali accusavano De Vito di abuso di ufficio per l’accesso agli atti del 19 marzo 2015 ed esibivano un parere legale.
Daniele Frongia lo sventolava e non diceva a De Vito quale avvocato lo avesse scritto.
De Vito usciva frastornato e alle 20 e 30 inviava una mail nella quale spiegava che l’accesso agli atti era frutto di una richiesta proveniente dal M5S della Regione Lazio e allegava la mail dell’avvocato Paolo Morricone, difensore anche di Virginia Raggi.
“Ciao a tutti, la vicenda – scrive De Vito — è stata compiutamente ricostruita. L’accesso agli atti è stato correttamente richiesto per le motivazioni di cui alla mail di Paolo Morricone, nostro avvocato regionale che riporto di seguito (e che allego):
‘in riferimento alla richiesta di accesso agli atti relativo alla (… Ndr) specifico che questa è scaturita da una segnalazione di un privato (che aveva chiesto l’anonimato avendo paura di minacce) egli sosteneva che il proprietario dell’appartamento, poteva aver spinto qualcuno dell’amministrazione per farsi concedere l’agibilità dell’appartamento. La richiesta era necessaria in quanto dalla documentazione si sarebbe si sarebbe potuto vedere se esistevano i presupposti o meno per la concessione dell’abitabilità (…) per una eventuale successiva denuncia’.
E’ tutto molto avvilente, io quanto meno lo vivo cosi — proseguiva De Vito — la vicenda però è anche molto grave. Motivo per cui vi chiedo con gentilezza non solo di valutare ciò che si è verifìcato oggi nei miei confronti alla luce delle pesanti accuse che mi sono state mosse ma anche di considerare insieme le opportune azioni e modalità di gestione della vicenda che, lo ribadisco, è gravissima”.
L’House of Cards all’amatriciana prosegue a gennaio, quando Frongia invita De Vito a spiegare di nuovo la situazione; la riunione viene convocata il 18, davanti a una trentina di consiglieri municipali e regionali.
Lì la polemica ufficialmente si chiude, anche se — racconta sempre Lillo — Paolo Taverna in una mail partita per sbaglio definisce quanto accaduto “uno squallido tribunale speciale” (invece quelli a cui sono sottoposti i parlamentari no? E le gogne senza possibilità di difendersi prima del voto sulle espulsioni sul blog cosa sono invece?).
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 27th, 2017 Riccardo Fucile
SULLE NOMINE DI MARRA INDAGA ANCHE LA CORTE DEI CONTI… IN CASI PRECEDENTI RICHIESTI DANNI PER CENTINAIA DI MIGLIAIA DI EURO
Atti, documenti e intercettazioni sono già stati inviati dai magistrati di piazzale Clodio ai colleghi di viale
Mazzini. Così, adesso, nell’agenda della sindaca Virginia Raggi rischia di non esserci soltanto l’appuntamento di lunedì in procura, giorno in cui la prima cittadina indagata per falso e abuso d’ufficio dovrà chiarire la sua posizione davanti al procuratore aggiunto Paolo Ielo e al sostituto Francesco Dall’Olio, Adesso anche la procura della Corte dei conti indaga sugli affari della famiglia Marra.
Su quella nomina che, come dovranno ora stabilire i pm contabili, potrebbe aver causato anche un danno alle casse dell’erario capitolino.
Nel mirino c’è lo scatto di carriera e la gratifica che Renato Marra, il più anziano dei due fratelli, ha guadagnato grazie all’ultima rotazione dei dirigenti comunali allestita dall’ex capo del Personale Raffaele Marra.
E questo nonostante il Campidoglio si stia già muovendo per eliminare l’aumento di stipendio da 20mila euro che l’attuale comandante del XV gruppo Cassia avrebbe ottenuto grazie all’influenza del fratello minore.
L’ulteriore prova dell’intervento di Raffaele nelle ultime evoluzioni della carriera di Renato arriva da una nuova intercettazione.
In chat, i due fratelli si scambiano saluti e interessati pareri. Subito dopo aver inviato il suo curriculum per partecipare alla procedura d’interpello, nella speranza di ottenere la tanto agognata guida della direzione Turismo, i due Marra si scrivono su WhatsApp. Renato contatta direttamente Raffaele. Gli invia il curriculum.
Poi la domanda: “Va bene, cosa ne pensi? “. Nella risposta, la “consulenza” tra fratelli. Ulteriore conferma che l’ex finanziere ora in carcere ha avuto un ruolo determinante nella promozione del fratello.
Non bastassero gli scambi in chat agli atti dell’inchiesta per corruzione che ha portato all’arresto dell’ex braccio destro della sindaca Virginia Raggi e del costruttore Sergio Scarpellini, in cui Raffaele dà indicazioni al fratello sulle persone da contattare – tra i quali c’è anche il presidente del consiglio comunale Marcello De Vito – e su come muoversi per avere il posto desiderato (“Porta anche l’encomio che ti ha dato il commissario Tronca”).
Intercettazioni e trascrizioni di sms e messaggini finiranno anche nei fascicoli della procura contabile, già al lavoro su almeno altre due nomine approvate dalla giunta Raggi. I pm Massimiliano Minerva e Rosa Francaviglia sono già da settimane al lavoro su due casi.
Il primo è quello di Salvatore Romeo, il funzionario del dipartimento Partecipate promosso a capo della segreteria politica della prima cittadina a inizio consiliatura. Il fedelissimo della sindaca, immortalato con Virginia Raggi sul tetto del Campidoglio, aveva visto il suo stipendio gonfiarsi da 40mila a 110 mila euro, per poi subire un taglio sulla scorta dei mal di pancia della maggioranza grillina.
Al vaglio dei procuratori di viale Mazzini, poi, c’è anche l’incarico da capo di gabinetto affidato a Carla Raineri. I precedenti in materia di nomine non lasciano dormire sonni tranquilli. La Corte dei conti della Campania, ad esempio, nel gennaio 2015 ha condannato l’allora sindaco di Salerno Vincenzo De Luca e i componenti della sua giunta per la nomina del vicesegretario comunale.
In quel caso, secondo l’accusa, il prescelto non aveva i titoli per ricoprire quel ruolo.
Il danno? Un colpo da 605.864,27 euro da ripartire tra il primo cittadino (uno dei bersagli preferiti del M5S) e otto assessori.
Chi ha approvato le tre nomine sotto inchiesta – Renato Marra, Salvatore Romeo e Carla Raineri – potrebbe essere chiamato ad aprire il portafogli.
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 27th, 2017 Riccardo Fucile
SARA’ UN INCENTIVO A REALIZZARE SUPERLISTE
Però il numero magico di Matteo Renzi è rimasto: 40 per cento – come lo stabiliante successo alle Europee del 2014, come il livello della diga dei Sì nella pur devastante sconfitta del Referendum del 4 dicembre 2016, e ora, come la soglia minima per ottenere il premio di maggioranza nella versione della legge elettorale licenziata dalla Consulta. Un filo di percentuali di consensi per il premier, che rende certamente non casuale la scelta del 40 per cento nella scrittura della prima versione dell’Italicum.
Questa cifra è, come appare in queste ore, una percentuale di consensi altissima per un sistema che sembra andare verso uno spappolamento dei partiti e del maggioritario?
O non è, invece, proprio uno dei segreti motori dell’indicazione fornitaci dalla scelta della Consulta?
In effetti, la decisione della Corte vista nel suo complesso, e al netto delle future letture e modifiche, sembra consegnarci uno strumento di forte ambiguità – un proporzionale che, come ha notato Tomaso Montanari nel suo più recente post per HuffPost, mantiene “il cuore plebiscitario della legge: l’abnorme premio di maggioranza che mette il Parlamento nelle mani di 4 italiani su 10”.
Sembra una contraddizione, ma è in effetti forse, nella sua ambiguità , un meccanismo che tiene insieme l’incredibile spappolarsi dei partiti e l’aspirazione politica a un sistema a leadership forte.
Una doppiezza, in senso letterale, che può fortemente determinare la ricostruzione della politica nelle prossime settimane
La parte proporzionale introduce un elemento rassicurante per le sfilacciate organizzazioni che combattono per la loro sopravvivenza oggi (basterà solo un 3 per cento) e guardano alle alleanze post elettorali per un loro ruolo.
Al proporzionale guardano con simpatia infatti anche le sfere pensose dello Stato, che vedono nelle alleanze un modo “soffice” per incanale il consenso, una sorta di sostituzione della partecipazione.
E vi pensano infatti come toccasana (al momento almeno) contro ogni sorta di populismo, in particolare quello M5S, e anche ogni tentazione da “uomo forte”, come quella di Renzi. Ma se il diavolo fa le pentole e non i coperchi, anche la Consulta sa fare il proporzionale, ma senza proprio escludere il maggioritario.
Troviamo qui infatti, dentro la decisione della Consulta, un secondo motore del meccanismo: quel 40 per cento, che visto dalle numerose organizzazioni in crisi sembra un traguardo impossibile, è invece, visto dal punto di vista di un ambizioso leader, la vera occasione.
Quanto facile può apparire questa sfida a quel Renzi che il 40 per cento lo ha toccato, altrettanto facile può apparire ai pentastellati, galvanizzati essi stessi dai loro risultati. Aggiungiamo che, conoscendo i due, Grillo e Renzi, questo assalto al cielo è esattamente quello che intendono fare. E perchè no? È il loro progetto da quando sono apparsi sulla scena politica.
Così mentre già ci addentriamo nelle alchimie delle liste (a destra, a sinistra-sinistra, nel Pd, etc) si profila un secondo aspetto che potrebbe essere alla fine dominante nel definire la politica dei prossimi mesi.
L’incentivo ad arrivare alla soglia minima per il premio di maggioranza può essere uno stimolo fortissimo per la creazione di superliste, confluenze spurie di uomini e di idee – ma tenute insieme dal miraggio della vittoria assoluta.
Con un’impronta a forte leadership, consolidata dalla permanenza dei capilista bloccati, strumento che lascia nelle mani del capo del partito le leve di definizione principale degli eletti.
È davvero impossibile ipotizzare che nell’area Pd potrebbe scattare una vasta trattativa per recuperare tutte le correnti in cambio di posti eletti, e di aggiungere nel frattempo alla raccolta le aree “limitrofe” come Ncd, quel che resta di Scelta Civica, i verdiniani, e tutto quel che può essere ulteriormente aggregato a destra e sinistra?
Parallelamente i pentastellati potrebbero fare la stessa operazione aggregando a destra senza disdegnare un’ampia fetta di sinistra che neanche morta andrebbe con il Pd, soprattutto se a guida renziana.
Difficile invece pensare a una mossa del genere in area berlusconiana, la cui capacità di attrazione nei confronti dei moderati e della destra appare molto esile. Ma la minaccia di queste megaliste come quelle che stiamo descrivendo potrebbe provocare qualche reazione.
I segni di questa tendenza ci sono comunque tutti – la battaglia già iniziata nel Pd sui tempi del Congresso (farlo subito o no?) ha a che fare proprio con la cruciale forza che resta nelle mani di Renzi, in quanto segretario, nella sua funzione della formazione delle liste.
I segnali che Grillo invia sono ancora più espliciti.
La soglia del 40 per cento per il premio di maggioranza lasciata in campo apre insomma alla possibilità delle “megaliste”, che sono una forma di fatto di “coalizione” fatta “prima” del voto al fine di ottenere la maggioranza assoluta, piuttosto che tentare di formare faticose coalizioni fra partiti “dopo” il voto.
In fondo, si può sostenere che dentro le forme del proporzionale come ci viene indicato pulsa un meccanismo che favorisce il rientro dalla finestra di un maggioritario di fatto, che tiene aperta la strada per un governo del leader.
Come dire: quanto di più italiano ci possa essere. Per ipocrisia e sottigliezza.
Lucia Annunziata
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 27th, 2017 Riccardo Fucile
E LE FOTO DELLE VORAGINI PURTROPPO GLI DANNO RAGIONE
Polemiche su Roma, anche da chi non t’aspetteresti. A salire sul pulpito stavolta è il centravanti della
Roma Dzeko, che in un’intervista rilasciata in esclusiva al quotidiano ‘Il Messaggero’ si è sbilanciato anche su questioni extra calcistiche.
“Pensavo che in Bosnia dopo la guerra le strade fossero ridotte male, ma quando sono venuto a Roma …”.
Lapidarie le parole del bomber giallorosso, quest’anno 14 gol in campionato, che attacca con un paragone forte.
Ma come in ogni critica mossa contro la città capitolina da parte di chi la vive, anche stavolta si cela l’amarezza per lo stato in cui versa. “Questa è una bellissima città – ha aggiunto Dzeko – e bisogna investire di più”.
In ogni caso le parole di Dzeko non sono così lontane dalla realtà se si considera l’enorme voragine che si è palesata all’incrocio tra via Carlo Denina e via Fortifiocca, davanti al parco della Caffarella nel quartiere Appio.
I residenti hanno raccontato che l’accadimento era prevedibile: “Le prime avvisaglie ci sono state giovedì scorso, quando abbiamo visto le perdite d’acqua da una caditoia e da un tombino. Abbiamo chiamato Acea, ma la perdita è stata sottostimata. Poi la voragine”.
Gli abitanti delle palazzine intorno sono stati senz’acqua per tre giorni, da mercoledì anche senza telefono e senza internet.
L’enorme buco ha generato una situazione di traffico impazzito in zona. I tecnici Acea sono al lavoro giorno e notte, hanno già riempito la voragine con cemento e terra, mentre i vigili del fuoco hanno effettuato le verifiche statiche.
(da “Huffingtonpost”)
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