Aprile 11th, 2017 Riccardo Fucile
RIUNIONE FIUME DI GRILLO E CASALEGGIO CON I LEGALI PER TROVARE UNA VIA D’USCITA… BORRE’: “CASSIMATIS SI PRESENTERA’ CON IL SIMBOLO”
Beppe Grillo, avvocati, staff: tutti in conclave. Davide Casaleggio in contatto telefonico.
Una riunione fiume per trovare la via d’uscita al pasticcio Genova dopo che il tribunale ha dato ragione a Marika Cassimatis stabilendo che Beppe Grillo non avrebbe potuto cancellare il risultato delle comunarie genovesi M5S.
Nel tardo pomeriggio, ecco che il leader M5S pubblica un post redatto insieme ai suoi legali: “Marika Cassimatis è stata sospesa e la votazione del 14 marzo è stata annullata, pertanto non è nè sarà candidata con il MoVimento 5 Stelle a Genova alle elezioni dell’11 giugno. Rispettiamo la sentenza, ci riserviamo però di tutelare in ogni sede le nostre ragioni”.
Tuttavia il tribunale ha sospeso le delibere secondo cui Cassimatis non sarebbe più stata la candidata M5S e quella in cui veniva deciso che invece a correre per la poltrona di primo cittadino con il simbolo 5Stelle sarebbe stato Luca Pirondini.
Per questo, al di là del post di Grillo, per dirla con le parole di un esponente grillino di peso in contatto in queste ore con il leader M5S: “La situazione è grave”.
Lorenzo Borrè, avvocato di Cassimatis, contattato dall’Huffpost non indietreggia: “Il regolamento 5Stelle prevede che gli iscritti possono candidarsi ma non specifica in alcun modo che solo loro possono farli. Tra i requisiti richiesti non c’è l’iscrizione al Movimento, anche per questo la mia assistita è a tutti gli effetti la candidata”.
L’ipotesi di poter correre a Genova, città di Grillo, con il simbolo M5S e con il candidato Luca Pirondini, in realtà , nel mondo pentastellato appare un miraggio.
Nei prossimi giorni si andrà avanti a colpi di carte bollate. La paura più grande per i parlamentari grillini è che la vincitrice delle primarie poi annullate la spunti sul simbolo.
“Cassimatis – dice ancora Borrè – si presenterà con il simbolo, in caso sarà Grillo a fare ricorso”.
Tanti i ragionamenti che vengono fatti in queste ore tra Genova, dove vive Grillo, e Milano dove ha sede la Casaleggio associati.
Il tribunale di Genova ha emesso un’ordinanza di sospensione e il merito verrà deciso più avanti, quando cioè sarà cessata la materia del contendere.
In pratica, dopo le elezioni. “Questo significa che Cassimatis con questa sentenza può stampare i moduli con il simbolo M5S e raccogliere le firme per la sua lista”, sintetizza preoccupato un deputato.
I legali M5S si sono aggrappati al fatto che il magistrato non si è espresso sulla decisione del 6 aprile con cui Grillo ha escluso Cassimatis dalla piattaforma Rousseau sospendendola quindi dal Movimento.
Per tale ragione — dicono – se la vincitrice delle primarie non fa più parte del Movimento non potrà utilizzare il simbolo. Titolare del logo della “ditta” grillina è infatti un’associazione registrata da Grillo nel 2012 insieme al nipote Enrico Grillo e al commercialista Andrea Nadasi.
L’associazione si chiama “Movimento cinque stelle”, con la “v” minuscola, ed è altra cosa dal “MoVimento cinque stelle” vero e proprio. La Cassimatis potrebbe trovarsi di fronte a una diffida a usare il simbolo, ma anche in questo caso ci sarebbero carte bollate e udienze in tribunale.
La partita sul caso Cassimatis è quindi solo all’inizio. L’appello è possibile, ma Grillo deve fare presto: se si scavalla la data del 12 maggio, giorno in cui scade il termine per la presentazione delle liste per le amministrative, il rischio di trovarsi senza il candidato sindaco nella sua Genova diventerà realtà .
Il Movimento Cinque Stelle ha 15 giorni per presentare un ricorso contro la decisione del tribunale civile del capoluogo ligure. Poi i giudici avranno altri 20 giorni per pronunciarsi.
Se i legali dei pentastellati faranno in fretta, la decisione arriverà in tempo utile per la presentazione della lista. Il presidente del Tribunale Viazzi ha spiegato che se dovesse arrivare un ricorso, sarà preso in esame con “la massima tempestività “.
A esaminarlo sarà la stessa sezione di cui fa parte il giudice che ha dato ragione alla Cassimatis, ma ovviamente il magistrato non farà parte del collegio giudicante.
Il rischio però che venga confermata la sentenza di oggi è troppo alto, dunque l’unica strada da percorre rimane il divieto del simbolo. Ma Cassimatis, con i suoi legali, è già pronta a rispondere.
(da “La Stampa”)
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Aprile 11th, 2017 Riccardo Fucile
LE INFORMATIVE AI PM MANIPOLATE PER COINVOLGERE PALAZZO CHIGI
E ora, zitti e pedalare. Su Consip, per stare alle parole di uno dei magistrati di Roma, «si riparte da
zero».
L’umore alla procura retta da Giuseppe Pignatone non potrebbe essere peggiore.
Non fa mai piacere prendere in mano un’indagine impostata da altri, ovvero la procura di Napoli, e come primo atto defenestrare i carabinieri che l’avevano portata avanti fino a quel momento (accadeva il 4 marzo, quando i pm romani ritiravano la delega ai carabinieri del Nucleo Ecologico per eccessi nelle fughe di notizie e l’affidavano al Nucleo Investigativo dei carabinieri di Roma).
Ancora meno è scoprire che quell’indagine è stata viziata da errori e da un macroscopico falso (scoperta del 6 aprile).
Inchiesta azzoppata, non c’è che dire. Di sicuro agli atti non c’è più la cosiddetta «prova regina», perchè manca quella intercettazione che faceva da architrave all’intera costruzione.
Già , ovviamente cambia tutto se non è l’imprenditore Alfredo Romeo, ma banalmente il suo lobbista Italo Bocchino, a dire «Renzi, l’ultima volta che l’ho incontrato…».
La frase dell’imprenditore doveva servire da sigillo.
Doveva essere la prova inoppugnabile che Tiziano Renzi avesse parlato vis-a-vis con Alfredo Romeo. I due, indagati, potevano pure mentire, negare, omettere. Tanto, c’era l’intercettazione a incastrarli. Il tutto condito da particolari gustosi come quella testimonianza, sia pure indiretta, di chi citava un incontro clandestino «in una bettola a Roma».
Invece no. L’intercettazione non c’è. L’incontro tra i due non è provato. Resta soltanto il gran daffare del faccendiere Carlo Russo, l’amicone di Scandicci, uno che prometteva mari e monti, ma è tutto da dimostrare che operasse per conto del «babbo».
E infatti, puntualmente si fa sotto l’ avvocato di Tiziano Renzi, Federico Bagattini, che gongola: «È una notizia positiva. Mi dispiace per il capitano del Noe, ma se c’è un falso è normale che ognuno risponda di quello che poi risulterà aver fatto».
Agli occhi dell’avvocato è evidente che la posizione del suo assistito cambia. «Un altro apparente indizio se ne va. Oltretutto era un indizio che si mostrava anche illogico, perchè si parlava di “ultima volta” quando invece, come dire, nell’indagine “ballava” un solo incontro, non più incontri. Ora si aspetta solo l’archiviazione».
Come sia andata con questo ufficiale del Noe, si capirà soltanto in seguito.
Se ha commesso un errore marchiano. Se ha giocato la voglia di chiudere un’inchiesta eclatante. Oppure, peggio, se fosse mosso da un intento politico. Certo, riletta con il senno di poi, appare troppo enfatica la sua prosa.
Scriveva: «Questa frase assume straordinario valore e consente di inchiodare alle sue responsabilità il Renzi Tiziano». E la frase non era vera. Peggio: che la frase incriminata l’avesse proferita Bocchino e non Romeo, i sottoposti del capitano del Noe l’avevano scritto correttamente. Lo scambio di nomi – scoperto con disappunto da altri carabinieri, dipendenti dal Nucleo provinciale di Roma – avviene nell’informativa finale, che è la sintesi che si predispone per il magistrato.
Ancor più grave, è la seconda omissione. Nei giorni del 20 ottobre 2016, del 22 ottobre e ancora del 21 novembre, due sottufficiali del Noe avevano interrogato la banca dati del Pubblico registro automobilistico e avevano scoperto che un certo signore visto sotto gli uffici romani di Romeo era un cittadino qualsiasi e non uno 007 che proditoriamente li spiava, come Scafarto sostiene nella sua informativa del 9 gennaio 2017.
Ma l’omissione permetteva di legare un presunto interessamento dei servizi segreti alle fughe di notizie, e chiudeva così un cerchio che portava fin dentro palazzo Chigi. «Emerge in modo chiaro ed univoco – scriveva il capitano – che personaggi del Governo Renzi, tra cui in particolare Luca Lotti (fidatissimo uomo di Matteo Renzi) e lo stesso ex Premier, sapessero di attività investigative sul conto di Consip… allarmante è la facilità con cui queste informazioni, che dovrebbero essere caratterizzate da assoluta segretezza, erano, di fatto, diventate oggetto di conversazioni nei ministeri e finanche nelle stanze della Presidenza del Consiglio dei ministri frequentate dal Lotti, quasi alla stregua di chiacchiere da bar».
(da “La Stampa”)
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Aprile 11th, 2017 Riccardo Fucile
“DISSI A ROMEO DI PAGARE RUSSO E VEDERE COSA PORTAVA MA PER ME ERA LECITO”
Italo Bocchino, ex parlamentare di Fli e collaboratore di Alfredo Romeo, afferma di non aver mai
incontrato Tiziano Renzi, padre dell’ex presidente del Consiglio Matteo. All’indomani della notizia che secondo la procura di Roma l’intercettazione del caso Consip che coinvolgeva Tiziano Renzi è stata manipolata scambiando Bocchino proprio per Romeo, l’ex parlamentare finiano dice la sua in un’intervista al Fatto Quotidiano.
Non ho mai incontrato Tiziano Renzi. La frase “l’ultima volta che ho visto Renzi”, che sarebbe stata pronunciata da me e attribuita a Romeo, si riferiva presumibilmente all’ex premier che ho incontrato solo durante il mio mandato parlamentare, in dibattiti televisivi e una volta il 23 dicembre 2011, al concerto di Abbado per l’inaugurazione del nuovo maggio musicale fiorentino.
All’intervistatore che gli chiede conto dell’intercettazione in cui Romeo gli domanda se doveva pagare Carlo Russo, amico di Tiziano Renzi e coindagato, risponde:
Romeo si consultava con me per ragioni lecite perchè la mia società ha un contratto di consulenza da 80mila euro l’anno lordi. l’oggetto era la consulenza strategica e il rapporto con le istituzioni. Non lo abbiamo rinnovato alla scadenza.
Sull’accordo di cui parla Bocchino con Romeo prima dell’incontro con Russo e del consiglio di pagare quest’ultimo 100mila euro “per vedere cosa porta casa”, Bpocchino commenta:
Parliamo di una consulenza lecita a Russo. Io suggerisco a romeo di pagarlo una volta al mese perchè diffido di Russo e gli dico di dargli una questione, con un memo, per vedere se potesse risolverla. In due mesi si sarebbe visto se il suo apporto fosse utile o inutile.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 11th, 2017 Riccardo Fucile
QUALCUNO VOLEVA ROVINARE RENZI CON FALSE ACCUSE
Dunque, c’è stato un “complotto”?
Il cuore del caso Consip, il contatto fra l’imprenditore Romeo e il padre di Matteo Renzi, è un falso, una manipolazione vera e propria: la frase più incriminante della relazione dei carabinieri “Renzi l’ultima volta che l’ho incontrato…” attribuita all’imprenditore napoletano era stata detta in realtà da Italo Bocchino
Lo sostengono i magistrati della Procura di Roma che hanno in mano l’inchiesta, e che, vagliate le carte, hanno indagato il capitano dei carabinieri del Noe Giampaolo Scafarto per falso materiale e falso ideologico perchè “redigeva nell’esercizio delle sue funzioni” l’informativa finita agli atti dell’inchiesta Consip nella quale riferiva fatti secondo i magistrati diversi da quelli accaduti.
Nessun dubbio da parte dei giudici sulla falsificazione.
Che tale affermazione, scrivono i pm di Roma, “fosse stata proferita da Italo Bocchino era riportato correttamente sia nel sunto a firma del vicebrigadiere Remo Reale, sia nella trascrizione a firma del maresciallo capo Americo Pascucci” presenti nel brogliaccio informatico. Per altro l’ex parlamentare Bocchino ha poi messo agli atti di riferirsi all’ex Premier, non a Tiziano Renzi, il padre.
La fase falsamente attribuita, su cui il capitano si è riservato di non rispondere, era molto rilevante nella relazione sulle indagini fatte, come scrive lo stesso carabiniere: “Questa frase assume straordinario valore e consente di inchiodare alle sue responsabilità il Renzi Tiziano in quanto dimostra che effettivamente il Romeo e il Renzi si siano incontrati”. Insomma, con la falsa attribuzione cade la principale prova di contatto fra Romeo e Renzi.
L’inchiesta Consip è molto complessa e questo passaggio non la avvia necessariamente a conclusione.
Ricordiamo che riguarda la gara indetta nel 2014 per l’affidamento dei servizi gestionali degli uffici, delle università e dei centri di ricerca della Pubblica amministrazione, per una convenzione del valore totale di 2 miliardi e 700 milioni di euro e in cui Alfredo Romeo era in pole per un bando da quasi 700 milioni di euro.
Tiziano Renzi è nell’inchiesta in quanto indagato per traffico di influenze, come l’imprenditore farmaceutico toscano Carlo Russo e Italo Bocchino, consulente di Alfredo Romeo.
La tesi è che Romeo per aggiudicarsi l’appalto ha cercato di mettersi in contatto con influenti esponenti politici, tra cui l’entourage dell’ex segretario del Partito democratico per creare le condizioni più favorevoli per l’aggiudicazione della gara.
Forse la più rilevante testimonianza sulla esistenza di queste pressioni è quella data dall’Ad di Consip Luigi Marroni, che per altro ha detto ai giudici di essere stato avvertito dell’esistenza di una indagine e della presenza di microspie negli uffici Consip da Luca Lotti, oggi ministro dello sport, e dal generale Saltalamacchia.
Ma l’azione di controllo esercitata dai giudici è una pagina che rassicura tutti sulla serietà della magistratura, sulla onestà del percorso decisionale della giustizia. E, giustamente, la famiglia Renzi può oggi essere contenta.
Tuttavia, l’intera vicenda a questo punto si tramuta in una storia che suscita domande inquietanti: siamo di fronte infatti a un clamoroso caso di fabbricazione di prove che come conseguenza non poteva che mirare alla rovina politica di un politico di primo piano del paese.
Per quali ragioni ha fatto un tale passo un servitore dello stato, un capitano dei carabinieri, ed ha agito da solo, o con chi, e in ogni caso per conto di chi? Appare molto improbabile, infatti, che un tale disegno sia stato concepito come gesto solitario. Sicuramente chi ha agito non poteva non immaginare che quella falsificazione avesse un impatto profondo sul corso della politica in questo paese.
Sono domande che aprono a scenari di complotti, pezzi di stato infedeli, riportano alla mente gli anni bui del nostro paese. Senza risposte definitive a tutti questi dubbi si insinuerà nel nostro paese una ulteriore dose di sospetto e sfiducia nel modo come noi cittadini guardiamo allo Stato.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 11th, 2017 Riccardo Fucile
LE MANETTE SCATTATE IN FLAGRANZA MENTRE RICEVEVA UNA TANGENTE
Blitz della Guardia di Finanza all’alba negli uffici dell’Agenzia delle Entrate di Genova: arrestato il
direttore provinciale Walter Pardini per corruzione, fermo avvenuto in flagranza proprio mentre riceveva una “bustarella”.
Non sarebbe stata la prima volta.
L’inchiesta della Procura della Repubblica, scaturita da alcune intercettazioni, è coordinata dal procuratore aggiunto Vittorio Ranieri Miniati. Le indagini hanno messo nel mirino un sospetto giro di tangenti.
«La Direzione regionale della Liguria dell’Agenzia delle Entrate ringrazia e offre la massima collaborazione all’Autorità giudiziaria per far piena luce sulla vicenda che ha portato all’arresto del direttore della Direzione Provinciale di Genova, nell’ambito di un’inchiesta per reato di corruzione.
Di conseguenza l’Agenzia ha immediatamente adottato la sospensione cautelare dal servizio in attesa del provvedimento dell’Autorità giudiziaria a seguito del quale verranno assunte tutte le misure disciplinari, contrattuali e risarcitorie per tutelare l’istituzione e la dignità dei propri dipendenti che operano onestamente e scrupolosamente.
L’Agenzia delle Entrate condanna con risolutezza i comportamenti disonesti, dinanzi al quale adotta con fermezza e celerità sanzioni disciplinari espulsive, e da anni orienta i propri sistemi di controllo interno nell’individuazione e prevenzione di ogni possibile abuso con particolare riferimento ai potenziali comportamenti fraudolenti».
L’inchiesta della Procura della Repubblica, scaturita da alcune intercettazioni, è coordinata dal procuratore aggiunto Vittorio Ranieri Miniati.
Le indagini hanno messo nel mirino un sospetto giro di tangenti.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 11th, 2017 Riccardo Fucile
IL M5S STUDIA NUOVE REGOLE DOPO IL CASO GENOVA: CASALEGGIO GARANTE?
Più pelo per tutti, ma soprattutto più poteri per Beppe.
Nello Stato Libero del MoVimento 5 Stelle il dittatore Grillo si è messo in testa un’idea meravigliosa (cit.) per uscire dall’angolo dopo che il tribunale civile gli ha spiegato che non è carino violare il proprio regolamento.
E così, al netto del baldanzoso post uscito ieri sera in cui, a veder bene, si potevano notare tranquillamente i segni dei denti sull’html, un articolo di Annalisa Cuzzocrea su Repubblica ci svela le prossime mosse nella quotidiana guerra tra Beppe Grillo e la legalità :
Per questo, l’idea è quella di scegliere un gruppo più ampio di persone che segua da vicino i gruppi e le candidature. In modo che in casi come Genova si arrivi ad agire prima e non dopo il voto.
Ma il regolamento dovrebbe cambiare soprattutto nelle prerogative affidate al capo politico, che dovrà avere l’ultima parola in modo più netto. Assumendo quel ruolo di garante super partes previsto dal codice etico sottoscritto dagli eletti al momento dell’accettazione della candidatura.
Beppe Grillo è consapevole che degli errori sono stati fatti.
Nel mirino dei vertici — ieri — sono entrati anche gli avvocati che si sono occupati della vicenda. Perchè il quesito sottoposto al voto sul blog era tutto sbagliato, in palese conflitto con quanto previsto da quel regolamento che i 5 stelle hanno scritto sull’onda dei ricorsi di Roma e Napoli. E che ora sono pronti a cambiare.
Come lo vogliono cambiare? Con un atto di democrazia diretta che lèvati: fare garante Davide Casaleggio.
Con la possibilità — ancora solo allo studio — di estendere il ruolo di garante anche a Davide Casaleggio. L’imprenditore la settimana scorsa, al Senato, ha visto a lungo uno degli avvocati che si è occupato del caso Genova, Andrea Ciannavei.
Che alla domanda, «come mai ha parlato con lui e non con Grillo?», rispondeva: «Perchè è uno dei garanti». Estendendo automaticamente al figlio di Gianroberto Casaleggio quello che fu il ruolo del padre.
La successione dinastica, del resto, è prevista dal comma 89029230890509 del codice di Beppe Grillo.
Che problema c’è?
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 11th, 2017 Riccardo Fucile
L’AVV. BORRE’ A RADIO ANCH’IO: “LO STATUTO, ALL’ART 3, OBBLIGA GRILLO A PRESENTARE IL CANDIDATO SCELTO CON LA VOTAZIONE ON LINE, SE NON LO FA AZIONE CIVILE PER CONFLITTO DI INTERESSI E RISARCIMENTO DANNI”… “GRILLO STA NEGANDO QUELLA DEMOCRAZIA DIRETTA CHE A PAROLE DICE DI RAPPRESENTARE”
L’avvocato Lorenzo Borrè, intervenendo a Radio Anch’io su Radio 1, ha oggi spiegato cosa potrebbe
succedere se Beppe Grillo non concedesse il simbolo del MoVimento 5 Stelle a Marika Cassimatis dopo l’ordinanza del tribunale civile di Genova.
“Si dirà : ma Grillo ha detto che non concederà il simbolo e che in virtù della sospensione di giovedì non si potrebbe candidare. A parte che se non fosse la Cassimatis non potrebbe esserlo comunque Pirondini visto che l’ordinanza ha stabilito che non può, il regolamento attualmente in vigore prevede che il Capo Politico sia svincolato dalle scelte della comunità locale. Nel caso di Pirondini la votazione è stata fatta a livello nazionale. Ma se Grillo non dà il simbolo rischia, visto che dal 2015 non è più di proprietà di Beppe Grillo come deciso sul blog. È stata fatta una votazione online. Se si legge lo statuto dell’Associazione Movimento 5 Stelle, che è distinta da quella a cui è iscritta la Cassimatis, si vede, all’articolo 3, che le finalità statutarie prevedono che questa miniassociazione ha come fine la presentazione dei candidati scelti con la votazione: negando il sindaco negherebbe le proprie finalità statutarie”, spiega Borrè.
“A mio avviso avrebbe diritto a candidarsi con il 5 Stelle”, continua l’avvocato che ha già vinto altri ricorsi in tribunale in quel di Roma e Napoli. E che si riferisce alla mini-associazione registrata nel 2012 a Genova dallo stesso comico, dal parente avvocato Enrico Grillo e dal commercialista Andrea Nadasi. Se Grillo si rifiutasse di concedere il simbolo alla lista Cassimatis, la Cassimatis potrebbe promuovere un’altra causa civile per conflitto di interessi con l’apertura di scenari incerti sul futuro della gestione del simbolo, senza considerare che cosa potrebbe succedere sotto il profilo risarcitorio, laddove venisse accertato che il provvedimento fosse illegittimo, concretizzando un danno non da poco di cui sarebbe responsabile l’associazione con la v minuscola.
Borrè poi spiega che il regolamento attualmente in vigore prevede che le decisioni dei votanti abilitati siano vincolanti nei confronti del capo politico: “Questo è il principio della democrazia diretta. Non riconoscere la decisione degli iscritti di Genova significa negare i principi che si sono voluti dare”.
(da “NextQuotidiano”)
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