Aprile 12th, 2017 Riccardo Fucile
LA FUGA DELLE IMPRESE ITALIANE IN ROMANIA SAREBBE COLPA DELLA UE? PECCATO CHE AVVENNE PRIMA CHE LA ROMANIA ENTRASSE IN EUROPA
Qualche giorno fa a Ivrea, durante il convegno SumO1 organizzato dalla Fondazione Gianroberto Casaleggio e dal MoVimento 5 Stelle per ricordare la figura del guru scomparso un anno fa, il procuratore aggiunto di Messina Sebastiano Ardita ha spiegato che in virtù delle frontiere aperte e della “debolezza” del nostro sistema penale il nostro Paese importa criminali dagli altri paesi dell’Unione.
In particolare Ardita ha riportato alcuni dati relativi al fatto che in Italia è presente il 40% dei criminali romeni.
Luigi Di Maio ha colto la palla al balzo per spiegare che questo è il segnale che la politica della UE è sbagliata perchè noi importiamo i criminali romeni mentre loro importano le nostre imprese.
Nel suo intervento, assai impreciso a dire la verità , Ardita spiega che in un sistema “a porte aperte” ovvero dove è garantita la libera circolazione delle persone, il nostro paese è svantaggiato perchè i criminali prima di spostarsi valutano le condizioni giuridiche del paese ospitante.
Secondo Di Maio inoltre il nostro sistema giudiziario inefficiente sfavorisce l’arrivo di imprese straniere (che è vero) mentre le nostre imprese scappano dove i sistemi giudiziari sono più efficienti, come ad esempio in Romania.
Ecco cosa ha detto Ardita ad Ivrea
I fenomeni criminali organizzati, quelli che hanno un obiettivo economico valutano sempre il rischio penale come uno degli argomenti fondamentali per decidere dove andare a delinquere. Per esempio c’è il problema della cosiddetta importazione di criminalità : l’Italia in un sistema a frontiere aperte avendo un sistema penale che non è poi così forte con chi commette crimini rischia di importare criminalità . Qualche anno fa — ma la situazione non è cambiata — il ministro rumeno degli interni, se non sbaglio, ci comunicò che di tutti i mandati di cattura europei che riguardavano cittadini rumeni il 40% proveniva dall’Italia. Questo significa che quattro rumeni su dieci che avevano deciso di andare a delinquere avevano scelto il nostro Paese come luogo dove andare a delinquere.
A cosa si riferisce Ardita? A quali dati?
Per scoprirlo bisogna fare un salto indietro nel tempo, precisamente al febbraio 2009 quando i rapporti tra Romania e Italia erano tesi perchè, soprattutto sui giornali, si parlava dei romeni come di un popolo di pericolosi criminali e di ladri.
È utile far notare che appena due anni prima, nel 2007, la Romania era entrata a far parte dell’Unione Europea e che quindi da quel momento i cittadini (e le imprese, e i capitali) romeni ed italiani potevano muoversi liberamente tra i due paesi.
Nel febbraio del 2009 il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini e il suo omologo romeno Christian Diaconescu avevano cercato di trovare una soluzione al problema favorendo una maggiore collaborazione tra i due stati per fermare i criminali senza però limitare la libera circolazione dei cittadini (che è garantita dai trattati europei).
In quel contesto l’allora ministro della Giustizia (e non degli interni) Cătălin Predoiu aveva snocciolato alcune cifre a proposito dei criminali romeni in Italia.
Su circa un milione di cittadini romeni presenti all’epoca nel nostro Paese nel 2009 nelle carceri italiane si trovavano circa 2.700 cittadini romeni in attesa di giudizio o condannati in via definitiva (ovvero lo 0,27% dei cittadini romeni presenti in Italia in quel periodo) e sempre sul territorio italiano si trovava anche il 40% dei romeni ricercati con mandato internazionale ovvero quei cittadini romeni già ricercati in patria che erano fuggiti all’estero per scappare al carcere.
Perchè Predoiu aveva messo a disposizione quei dati?
Il motivo è abbastanza semplice: se gli italiani accusavano i romeni di essere delinquenti il Governo di Bucarest rispondeva (come riportano i giornali locali dell’epoca) spiegando che il problema era nel fatto che il nostro sistema giudiziario era lento.
Bucarest infatti disse che nel 2007 e 2008, solo per quanto riguarda l’italia, i tribunali rumeni avevano emesso 468 mandati d’arresto europei ma che magistrati italiani ne avevano eseguiti solo 296, rifiutando di arrestare 46 persone, mentre per altri 126 casi il governo romeno non aveva (nel 2009) ancora ricevuto una risposta.
Ora torniamo al presente, innanzitutto non è vero che “quattro romeni su dieci hanno scelto il nostro Paese come luogo nel quale delinquere” come ribadisce Di Maio oggi. Perchè questo significa che tutti i romeni sono delinquenti e che il 40% dei romeni vive in Italia.
Dal momento che in Italia vive attualmente oltre un milione di cittadini romeni e che la Romania ha 20 milioni di abitanti è evidente che qualcosa nei conti dell’onorevole Di Maio non torna.
In Italia però avevano trovato rifugio il 40% dei ricercati rumeni con mandato internazionale, che non sono nemmeno il 40% di tutti i criminali romeni a volerla dire tutta.
E le cifre all’epoca parlavano di 468 mandati d’arresto europeo inoltrati dai tribunali romeni a quelli italiani: meno di 500 persone ma Di Maio e Ardita parlano di un’invasione di criminali.
E del resto ci sarebbe anche da discutere che cifre che erano valide nel 2009 e che si riferivano presumibilmente anche ad un periodo antecedente all’ingresso della Romania nella UE possano essere le stesse ancora oggi, nel 2017 a quasi dieci anni di distanza.
Di Maio suggerisce inoltre di fare come i romeni: “scoraggiano i delinquenti e attirano le imprese” e qui il ragionamento dell’Onorevole a 5 Stelle inizia letteralmente a collassare sotto il suo stesso peso.
Per “fare come i romeni” dovremmo quindi esportare i criminali costringendoli a fuggire all’estero (ammesso e non concesso che sia questo quello che hanno fatto i romeni)?
In secondo luogo è vero che le imprese non investono nel nostro Paese (anche se la CGIA nel 2015 certificava un aumento degli investimenti rispetto al 2014) perchè la giustizia non funziona ma non è il problema dei reati contro la proprietà o la criminalità organizzata a preoccuparle ma la farraginosità della nostra burocrazia, per il rischio fiscale, per gli esiti imprevedibili degli accertamenti fiscali, per i costi d’impresa e la difficoltà di fare affari nel nostro paese.
C’è però anche un’altra cosa che Di Maio — così preoccupato a dare la colpa alla UE — non dice ovvero che quando le imprese italiane (soprattutto dalla locomotiva del Nord Est) delocalizzavano in Romania il paese non era nemmeno nella UE (si era alla fine degli anni Novanta primi anni Duemila) ed era perchè lì i costi erano più bassi (fino a sette volte inferiori).
In parole povere si pagavano meno i lavoratori (romeni) rispetto a quelli italiani, e ora la Romania non tira poi così tanto.
Non c’entrava nulla la bontà del sistema giudiziario romeno, e le proteste dei cittadini romeni contro la corruzione dilagante che hanno incendiato Bucarest negli ultimi mesi dovrebbero far capire che nemmeno la dilagante corruzione rappresenta un vero ostacolo.
Ma al solito Di Maio non sa di cosa parla, nemmeno quando ci presenta “dati inopinabili”.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: Grillo | Commenta »
Aprile 12th, 2017 Riccardo Fucile
PER UNA LITE CONDOMINIALE VI SONO TRE GRADI DI GIUDIZIO, LA VITA DI UN PROFUGO PER IL PD VALE MENO…LE COMMISSIONI TERRITORIALI NON SONO SUFFICIENTI A DECIDERE, SPESSO INFATTI IL GIUDICE IN SECONDO GRADO HA DATO PARERI DIVERSI
Una giustizia minore e un diritto diseguale. L’approvazione del decreto Orlando-Minniti sancisce l’introduzione nel nostro ordinamento di una sorta di diritto «etnico» per cui ai cittadini stranieri extracomunitari è riservata una corsia giudiziaria «propria» con deroghe significative alle garanzie processuali comuni.
Deroghe non giustificabili in alcun modo con le esigenze di semplificazione delle procedure di riconoscimento della protezione internazionale.
Le misure di «Accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, e per il contrasto dell’immigrazione illegale».introducono una profonda lesione nel nostro sistema di garanzie.
Una normativa che non prevede appello per il richiedente asilo che ha ricevuto un diniego alla domanda di protezione.
La possibilità di impugnare i provvedimenti adottati dalle Commissioni territoriali è limitata al primo grado e fortemente affievolita poichè, salvo casi eccezionali, non è previsto il contraddittorio: ovvero che il richiedente asilo compaia davanti al giudice e possa esercitare pienamente il suo diritto alla difesa.
Così una procedura che regola tutte le iniziative giudiziarie, comprese le liti condominiali, il furto di un chinotto in un supermercato e l’opposizione a una sanzione amministrativa, non viene applicata nel caso di un diritto fondamentale della persona, come la protezione internazionale, riconosciuta dalla nostra Costituzione.
L’alterazione di questa procedura e la sua riduzione a due gradi di giudizio ha conseguenze ha conseguenze pesanti sulla vita dei richiedenti asilo e sui diritti di cui sono titolari.
Ne discende che un principio determinante per il nostro sistema di garanzie, vigente nell’intero ordinamento, viene negato proprio ai soggetti più vulnerabili.
E volendo entrare ancor più nel merito della questione, quanto emerge nel corso del colloquio del richiedente asilo davanti alla Commissione territoriale, in alcuni casi e per una serie di ragioni, potrebbe non bastare per disegnare il quadro completo della vita di quella persona e far emergere gli aspetti più delicati da un punto di vista umanitario.
A questo serve l’udienza col giudice, e la presenza di un certo numero di esiti favorevoli al richiedente asilo in quella sede con il conseguente riconoscimento di una forma di protezione, nonostante la decisione della commissione territoriale, non può che confermare quanto sia indispensabile garantire quell’impianto complesso — con il contraddittorio e con i suoi tre gradi di giudizio — previsto dal nostro ordinamento.
Le esigenze di riduzione dei tempi di queste procedure, dato il contesto difficile e faticoso in cui il nostro Paese si sta muovendo e si muoverà nei prossimi anni, non vanno certo trascurate.
Superare tutti i limiti evidenti emersi nella gestione del fenomeno migratorio deve essere un obiettivo per tutti perchè migliorerebbe le condizioni di vita non solo dei migranti, ma anche dei territori coinvolti nell’accoglienza.
Ma il risparmio del tempo nelle procedure non può corrispondere a un risparmio di garanzie e diritti.
(da agenzie)
argomento: denuncia | Commenta »
Aprile 12th, 2017 Riccardo Fucile
IL MOVIMENTO DELLA PRIMA REPUBBLICA NON E’ SCOMPARSO E SI PREPARA AL PROSSIMO CONGRESSO… INTANTO CERCA DI FINANZIARSI CON I GADGET ON LINE
Con l’aria di proporzionale che tira, anche i tri-quadri-penta partiti che furono si sentono meglio.
Se il Psi ha appena celebrato il proprio congresso, il Pri coltiva l’ardente desiderio – anzi l’esigenza – di indirlo entro l’anno, ma vuol prima garantire «assoluta trasparenza» nonchè «massima partecipazione» di tutte le componenti repubblicane.
Il Pli invece è giusto adesso in piena stagione congressuale: il clou sarà celebrato all’Hotel Pamphili a metà maggio (prima non s’è potuto – pare incredibile – per assenza di spazi adeguati, ovvero «a causa della indisponibilità di sale a Roma»), ma già in coincidenza del trentennale sono in vendita una serie di gadget da far impallidire gli Ottanta.
Ad esempio ci sono penne a sfera per venti euro, un metro a nastro estraibile per trenta euro; per cinquanta euro si possono avere una coppia di tazze tipo mug, una pennetta usb, una maglietta “Roma liberale” o “Pli Pantheon”, una borsa in tela.
Con cento euro si arriva a una felpa blu col logo ricamato. Ha anche la zip e il cappuccio.
Avvisate Salvini. Sul sito della Lega – e nonostante lo stile del segretario – oltre la felpetta bianca con la scritta “Stop invasione” non si va.
(da “L’Espresso”)
argomento: Politica | Commenta »
Aprile 12th, 2017 Riccardo Fucile
AL PALAZZETTO DELO SPORT PROIEZIONI PER RITORNARE A SORRIDERE INSIEME E A SOGNARE IL FUTURO
La signora Fernanda finalmente sorride. Non può più fare la strada che percorreva ogni mattina per raggiungere il suo negozio di parrucchiera. Non può più prendere il caffè nel suo bar e pregare nella chiesa dove è stata battezzata. E non sa spiegarsi perchè, alla fine della giornata, «senza aver fatto niente, ci sentiamo tutti molto più stanchi di prima». Però, da sabato prossimo, la signora Fernanda potrà andare al cinema.
Sedersi con le amiche davanti allo schermo del Palazzetto dello Sport, guardare Toni Servillo che recita in «Lasciati andare» e sapere che dopo arriveranno tutti gli altri, Stefano Accorsi che allena la sorella per il campionato Gt in «Veloce come il vento», Micaela Ramazzotti e Valeria Bruni Tedeschi che fuggono alla ricerca della felicità ne «La pazza gioia», Emma Stone e Ryan Gosling che volteggiano nel cielo di Los Angeles in «La La Land».
Con il cinema torna la vita. Con due ore di sogni, di passioni e di avventure.
Una piccola felicità passeggera, che scaccia l’angoscia e riempie il vuoto della perdita: «Verranno anche gli attori?» chiede la signora Fernanda. Speriamo di sì. S
periamo che nel paese dove, nel ’68, Pietro Germi aveva girato «Serafino» con Adriano Celentano, i registi e gli interpreti italiani arrivino numerosi, sentendosi per la prima volta veramente necessari.
Non a se stessi, ma a un’intera comunità che, per ritrovarsi, ha bisogno di tornare a ridere e a sognare in coro. Di ammirare la grazia di una diva abbandonando la tristezza nello spazio di un fotogramma, di identificarsi nelle peripezie di un comico, allontanando la paura.
Dietro le quinte della sala temporanea, inaugurata ieri dal ministro Dario Franceschini, dal presidente Anica Francesco Rutelli e dall’ad di Rai Cinema Paolo Del Brocco, ci sarà Francesco D’Alessandro, 34 anni, grande fan di Quentin Tarantino, specializzato in impianti home video e ora promosso proiezionista: «Abbiamo bisogno di aggregarci e questa è l’occasione per rivederci perchè, dal terremoto in poi, siamo stati tutti divisi, chi qua, chi là ».
Il sindaco Sergio Pirozzi ricorda che Amatrice aveva sempre avuto il suo «cinema teatro», e, sullo schermo bianco, fa scorrere le immagini dei film americani girati in Italia, di Tom Hanks che corre nelle stradine di Firenze, di Julia Roberts che affronta un piatto di spaghetti.
E poi di Sofia Loren, di Monica Bellucci, di Roberto Benigni e di Paolo Sorrentino che ricevono i loro Oscar a Los Angeles. I borghi antichi non ci sono più, cancellati dalle scosse, ma «l’essere umano ha voglia di ricominciare». E la bellezza, con la fantasia e l’immaginazione, è il migliore dei nastri di partenza.
La cultura non si mangia, diceva qualcuno. Non è una medicina e non restituisce i morti. Eppure respirarla fa miracolosamente tornare in vita.
Muove pensieri, scioglie blocchi di solitudine.
Il ministro ricorda lo stanziamento, nel 2017, di 4 milioni di euro «per le attività culturali di realtà collocate nelle zone colpite dal sisma» e i film di Amatrice, fa sapere Rutelli, saranno «a richiesta», scelti in base ai desideri del pubblico.
Adesso, in un futuro che non dovrebbe essere troppo lontano, si spera che a qualcuno dei nostri autori venga voglia di raccontare la storia di un popolo sfortunato e coraggioso che ha ricominciato a esistere anche guardando film.
(da “La Stampa”)
argomento: terremoto | Commenta »
Aprile 12th, 2017 Riccardo Fucile
LA PROVOCAZIONE: SOSTITUIRLO CON IL MURO DEI PENI SPOSTANDO FINALMENTE L’ATTENZIONE SUI CARNEFICI
Da “wall of dolls” a “wall of penis”. Ovvero quando un hashtag diventa realtà e si trasforma in una protesta reale.
E per vederlo basta fare una passeggiata nel “salotto buono” di Genova, nella via che porta da piazza Matteotti a piazza De Ferrari, dove da qualche mese è stato relegata l’installazione voluta dalla Regione Liguria per sensibilizzare sul tema del femminicidio chiamata, appunto, “muro delle bambole”.
Della genesi dell’iniziativa ne abbiamo scritto diverse volte, l’ultima contestandone non tanto la bontà di fare qualcosa per catturare l’attenzione della cittadinanza su un tema importantissimo ma quanto sulla scelta di rappresentare la violenza sulle donne attraverso un’inferriata alla quale sono “impiccate” delle bambole.
Scegliere una bambola, simbolo per antonomasia dell’infanzia di una futura donna, come oggetto da sacrificare per partecipare a una campagna che vuole sensibilizzare sul tema della violenza di genere è un modo per concentrare ancora una volta l’attenzione su chi ha subito e non su chi ha “colpito”
Ora dalle parole c’è chi è passato ai fatti: la scritta #wallofpenis (“il muro dei peni”) è stata messa a coprire alcuni volti di quelle donne che non ci sono più e due fogli A4, uno in italiano e uno in inglese, spiegano le ragioni per cui è stato fatto.
L’autrice è Francesca Ciri Capra, videomaker genovese che così spiega la sua iniziativa:
“Questo Wall of Dolls, in realtà , propone solo un concetto: la donna è una bambola da legare o impiccare ad una rete. Mi sembra di essere spettatrice di un film dell’horror realizzato da ragazzini di sedici anni che girano con quello che trovano nella soffitta della nonna e ne esce un z-movie che raggiungerà al massimo 50 visualizzazioni: tra amici, amici degli amici, parenti vicini e lontani, professori, figli dei professori. Siamo talmente bigotte con noi stesse, che non ci accorgiamo di dove ci abbiano incasellate e come ci autocensuriamo. L’altro giorno per caso ho letto un post che iniziava così: “Sono una moglie da schifo, tuttavia…”; allora introduciamo nuovamente l’Educazione Domestica nelle scuole, per piacere, dato che qualcuna crede ancora di non sapere fare la moglie. Forse le prime maschiliste sono proprio le donne? D’altronde loro hanno scelto e portato coscienziosamente le bambole al patibolo: pensando di rivendicare con orgoglio qualcosa”.
Il testo lo si trova anche online, basta scrivere su Facebook “#wallofpenis”.
Ma ora che l’hashtag ha superato il muro che divide il virtuale dal reale, il messaggio non è più un affare che riguarda un “giro” di persone che si conoscono e che condividono più o meno le stesse idee (la famosa “bolla da social network”).
E’ un dato di fatto, qualcosa di immanente (Treccani: “di ogni realtà che non trascende la sfera di un’altra realtà , che non esiste cioè separata e indipendente da quella, bensì è con essa in rapporto di coessenzialità reciproca”).
E già tutto questo basterebbe. Ma chi ha lasciato il messaggio ha anche deciso di «aggiungere alla protesta una provocazione molto forte», spiega Francesca Ciri Capra. Nero su bianco, infatti, c’è anche una “proposta” su come sarebbe dovuto essere il muro contro la violenza sulle donne.
Una gogna di altrettanta violenza rivolta, però, agli aggressori:
“Il mio personale invito è di appendere in piazza peni, mani, coltelli dei carnefici, affinchè possano andare in putrefazione nel tempo, coprendosi di mosche e di vermi!! Solo in questo modo, forse, i violenti potranno essere spaventati”.
Il nostro personale invito, invece, è di concentrarsi solo quel foglio bianco “macchiato” da un cancelletto e dieci lettere una attaccata all’altra. Di guardarlo come se fosse una benda sugli occhi delle donne uccise, brutalizzate, devastate da chi non aveva il loro stesso cromosoma. Una maschera per coprire il loro sguardo dalla nostra indifferenza, dal “passare di chi passa” e basta.
Un invito, dunque, a non soffermarsi sulle parole che spiegano il messaggio, ma a valutarlo come un’installazione su un’installazione.
Perchè che sia un hashtag o un muro, alla fine quel che bisogna ricordare a chi non si sofferma a leggere nè i nomi e cognomi che quando accade l’ennesimo femminicidio, è sempre e solo una cosa: la colpa non è di chi è morto, ma di chi ha ucciso.
(da “il Secolo XIX”)
argomento: violenza sulle donne | Commenta »
Aprile 12th, 2017 Riccardo Fucile
WOLFANG MUNCHAU: “ENTRAMBI I PARTITI IMPREPARATI AD ANDARE AL GOVERNO”
Wolfgang Mà¼nchau sul Financial Times ha pubblicato ieri un pezzo in cui spiega con dovizia di particolari perchè l’etichetta di “estremista” non si addice nè al Front National di Marine Le Pen nè al MoVimento 5 Stelle di Beppe Grillo e Luigi Di Maio. Perchè tecnicamente si tratta di ciarlatani.
L’argomento che il Financial Times utilizza per spiegare la definizione è l’ideona dei due sull’uscita dall’euro o dall’ Europa tramite referendum.
Sia Marine Le Pen che il MoVimento di Beppe sono a favore dell’addio alla moneta unica ma non hanno nè il coraggio nè l’intenzione di dirlo esplicitamente.
E allora sostengono la possibilità di una consultazione popolare per decidere, cogliendo così i classici due piccioni con una fava: così potrebbero raccogliere anche i voti di chi vorrebbe rimanere (ed è convinto che avrebbe poi la possibilità di scegliere tramite il voto).
Ma è esattamente così che i populisti in Francia e in Italia hanno definito la loro linea programmatica sull’euro: sembrano essere a favore di un’uscita, ma vogliono temporeggiare un po’ e rimettere tutto a una consultazione referendaria.
E questo ci fa capire quanto Marine Le Pen e Beppe Grillo, i leader del Front National in Francia e del Movimento Cinque Stelle in Italia, siano del tutto impreparati ad andare al governo. Più che degli estremisti, sono dei ciarlatani.
In Francia e in Italia avrebbero potuto aprire un dibattito intellettuale sull’argomento, per quanto non sia facile, ma nè Grillo nè Le Pen lo hanno fatto.
Se hanno veramente intenzione di uscire dall’euro, devono capire che non sarà una passeggiata, che sarà la prova che qualificherà il loro mandato e che per diversi anni non faranno altro. Un’uscita dall’euro è molto più delicata di una Brexit che sta assorbendo completamente il governo del Regno Unito.
Luigi Di Maio, spiega Mà¼nchau, sostiene che il referendum sull’euro è la seconda priorità del suo partito dopo la lotta alla povertà , e questo equivale a dire che Di Maio vuole smettere di mangiare la cioccolata prima di divorziare da sua moglie.
Perchè, come è evidente a tutti tranne che ai 5 Stelle e alla Le Pen (pensate: ci è arrivato persino Salvini!), indire una consultazione popolare sull’euro (a prescindere da quale sia: anche il referendum sul referendum proposto qualche tempo fa da Di Maio) porterebbe da subito gli effetti economici dell’uscita visto che chiunque si preparerebbe all’occorrenza a prescindere dal fatto che questa arrivi o no. Anzi, di più:
Gli investitori non aspetterebbero fino al referendum. Una volta appurata l’elezione di Di Maio a primo ministro, qualsiasi investitore raziocinante prevederebbe un voto a favore di un’uscita dall’euro, farebbe una stima della svalutazione e calcolerebbe quanto dovrebbe salire il rendimento in quel momento per neutralizzare una futura ridenominazione. La sera delle elezioni, Di Maio si troverebbe a fronteggiare un fuggi fuggi dal sistema finanziario italiano e il mattino dopo le banche si troverebbero insolventi.
Mario Draghi, il presidente della Banca centrale europea, non garantirebbe un «whatever it takes», ovvero non farebbe di tutto per sostenere l’euro con un politico che minaccia di indire un referendum del genere.
Di Maio avrebbe al massimo ventiquattro ore di tempo per rinunciare all’incarico o per annullare il voto.
Ma c’è di più rispetto a quanto scritto da Mà¼nchau.
Il quale, per sua fortuna, non è al corrente del fatto che il MoVimento sostiene di puntare tutto su una legge di riforma costituzionale (guardacaso quella stessa Costituzione che qualche mese fa era intoccabile) per introdurre in Costituzione l’istituto del referendum consultivo.
Il passaggio è un po’ più complicato e non ha — anche se Di Maio la fa molto facile — moltissime garanzie di successo.
La nostra Costituzione prevede infatti che per evitare un referendum popolare confermativo l’eventuale riforma costituzionale dei 5 Stelle debba essere approvata da almeno i due terzi dei componenti di entrambe le Camere.
In caso contrario la legge di modifica costituzionale che introduce il referendum consultivo deve a sua volta essere sottoposta essere a referendum (senza contare che si andrà a referendum qualora entro tre mesi dall’approvazione definitiva ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali).
Se e solo se il popolo sovrano si esprimerà a favore della legge di riforma costituzionale allora si potrà indire un referendum consultivo per chiedere ai cittadini di esprimersi sulla permanenza nella moneta unica.
Anche in quel caso però l’uscita dall’euro non sarà automatica perchè il Parlamento dovrà votare l’abrogazione della legge che ratifica il trattato di adesione all’euro.
In tutto questo i 5 Stelle però non hanno ancora fatto sapere quale indicazione di voto daranno agli elettori in occasione del referendum consultivo.
Di Maio ha evitato di affrontare la questione quando ha parlato di “altri paesi” che potrebbero uscire dall’euro per le loro ragioni lasciandoci “senza un piano b”, senza contare che ci sono altre forze politiche anti-euro (ad esempio Forza Italia) che sulla moneta unica e il ritorno alla lira hanno proposte differenti.
Tutti ci chiedono ma voi siete contro l’euro? Qui il punto non è più il MoVimento 5 Stelle contro o a favore dell’euro. Qui il punto è l’Italia potrebbe ritrovarsi in una crisi dell’unione monetaria tra poco non perchè l’ha scelto ma perchè l’hanno scelto altri popoli e altri paesi.
Il procedimento di revisione costituzionale però è piuttosto lungo e complesso e ai tempi necessari per l’approvazione della legge di modifica della Costituzione si aggiungono quelli per il referendum e l’eventuale successiva discussione per l’uscita dell’Italia dall’euro (ma a quanto pare non dall’Unione Europea).
Durante tutta questa fase il nostro Paese potrebbe esperire una preoccupante fuga di capitali all’estero (con che prospettive i grandi gruppi industriali potrebbero rimanere in Italia durante un periodo di incertezza tale?) senza contare che una volta fuori la nostra moneta finalmente sovrana si troverebbe sottoposta alle fluttuazioni dei mercati finanziari (e della tanto temuta speculazione) dalle quali fino ad ora l’euro, con tutti i suoi difetti, ci ha protetti.
Se l’Italia uscisse dall’euro la nostra nuova moneta si svaluterebbe consistentemente nei confronti della valuta europea. Non va inoltre esclusa la possibilità di una corsa agli sportelli per prelevare i contanti e chiudere i conti.
Qualche tempo fa Di Maio parlava di un non meglio precisato “euro 2” spiegando che «abbiamo sempre detto che l’euro così non funziona e che dobbiamo preferirgli l’euro 2 o monete alternative» ieri invece ha parlato apertamente di un ritorno alla lira. I 5 Stelle sotto sotto sperano che anche altri paesi contestualmente al nostro decidano di uscire dall’euro, qui Di Maio non sta guardando tanto al Regno Unito che nell’euro non ci è mai stato e che mai accetterà di far parte di altre unioni monetarie ma alla proposta avanzata da Marine Le Pen che vorrebbe la Francia fuori dall’euro e un contemporaneo ritorno del franco nelle tasche dei francesi e di una moneta virtuale sulla falsa riga dell’Ecu per gli scambi monetari internazionali e per proteggere le monete nazionali “sovrane” dai mercati.
Insomma, è molto più razionale Salvini nella sua proposta di uscire dall’euro di notte rispetto a chi vuole far decidere “il popolo” senza rendersi conto delle conseguenze. E per questo, conclude Mà¼nchau:
La mia previsione è la seguente: se l’Italia, la Francia o qualsiasi altro Paese dovessero uscire dall’euro, non sarebbe per un referendum, ma per una disgrazia. E la cattiva notizia è che le disgrazie, lo sappiamo purtroppo, capitano.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: Politica | Commenta »
Aprile 12th, 2017 Riccardo Fucile
“IL FRONT NATIONAL E’ UN BLOCCO CENTRALISTA E CONSERVATORE, COSA C’ENTRA CON NOI? NON SIAMO DI ESTREMA DESTRA, LORO HANNO TUTTI IL DOPPIO COGNOME, NOI NON SIAMO NATI ARISTOCRATICI, SIAMO IL PARTITO DEGLI STRACCIONI”
«L’idea federalista e indipendentista è più attuale oggi di vent’anni fa. Molti militanti hanno paura che la Lega smetta di essere la Lega, che perda le sue radici. Per questo ho deciso di candidarmi come segretario». Gianni Fava, 49 anni, assessore all’Agricoltura della Regione Lombardia, è nel Carroccio dai primi anni Novanta, come Salvini. E ora ha deciso di sfidarlo.
Una sfida in salita, contro un leader molto popolare.
«Sono realista, e vedo la disparità delle forze in campo. Ma noi siamo nati come un movimento post-ideologico, nè di destra nè di sinistra, che difende gli interessi del Nord. Un progetto nazionalista e lepenista non mi appassiona, e così tanti militanti a cui voglio dare voce. Dopo la crisi economica, l’insofferenza verso Roma e il centralismo è ancora più forte. Non solo tra i nostri militanti ma nel popolo che rappresentiamo, gli artigiani, le partite Iva».
Salvini ha preso un partito in agonia e l’ha portato sopra il 10%. Difficile scalzarlo.
«Per ora si tratta di sondaggi. Non nego i risultati che ha raggiunto, ma ora è giusto misurarsi in un congresso, discutere su dove vogliamo portare la Lega. Voglio un congresso vero, con un solo candidato sarebbe stato di plastica e senza contenuti. La svolta lepenista è un dato di fatto, noi vogliamo fermarla. Il Front National è uno dei blocchi più centralisti e conservatori d’Europa, cosa c’entra con noi? Non siamo mai stati di estrema destra. I dirigenti del Fn hanno quasi tutti il doppio cognome, noi siamo il partito degli straccioni. Ricordo un vecchio artigiano che mi disse: ‘Sbrighiamoci a fare la Padania, che io voglio tornare a votare a sinistra’. Questa era la Lega e lo deve essere ancora».
Lei è stato tra i colonnelli di Maroni che lo aiutò a detronizzare Bossi. Ora potrebbe ritrovarsi sulla barricata proprio con il Senatur?
«Con Bossi non ho parlato, ma la sua mi sembra una battaglia personale contro Salvini, la mia no. Io non cerco strappi. Anzi, Matteo dovrebbe ringraziarmi perchè con la mia battaglia cerco di tenere dentro molti militanti che sono pronti ad andarsene».
Non vogliono il listone unico con la Meloni?
«Il punto non è solo il listone, ma la perdita del nostro dna indipendentista. Io non rimprovero a Salvini di andare a cercare voti al sud, anche se non mi pare che ne stia trovando molti. Anch’io in passato sono andato a sud, ci siamo persino alleati con l’Mpa, ma sempre come Lega per l’indipendenza della Padania».
Maroni la sosterrà ?
«Non ho parlato con lui e non mi aspetto niente. La mia non è la battaglia dei colonnelli, ma dei soldati semplici. I dirigenti spesso sono impegnati a garantire se stessi».
La sua può passare come una battaglia difensiva. Si dice che Salvini voglia far fuori la vecchia guardia maroniana. E anche i militanti con le ampolle non gli servono più.
«In oltre trent’anni l’unica vera forza della Lega sono stati i militanti, lo zoccolo duro. Non credo gli convenga disfarsi del nostro popolo».
Magari vuole rottamare voi dirigenti…
«Se la base non sente più nessuno in giro che parla dei temi del Nord se ne va. Per questo la mia scelta sta riscuotendo un riscontro sopra le aspettative. Anche a chi alla fine voterà Matteo fa piacere che ci sia un pazzo visionario che fa da contrappeso. E io sono corpulento…».
La Lega di Salvini strizza l’occhio sia a Trump che a Putin.
«Non vado matto per nessuno dei due. Ma di certo scelgo gli Usa, che restano un avamposto liberale. Matteo ha deciso di dare una politica estera alla Lega, ma i risultati non mi paiono entusiasmanti. In Siria stiamo con Trump o Putin? Io sono frastornato. Sarebbe meglio tornare a occuparci delle nostre aziende in crisi».
E’ un candidato nostalgico dei vecchi riti?
«Ma per carità . Quello è folklore del passato che non seve più. Abbiamo molti argomenti per essere credibili agli occhi del ceto medio, senza bisogno di ampolle o pochette verdi sulla giacca».
Maroni sostiene che Zaia sarebbe meglio di Salvini come candidato premier. Concorda?
“Se provochi, la gente spesso ti dà ragione. Ma poi non è detto che ti voti…».
Andrea Carugati
(da “La Stampa”)
argomento: LegaNord | Commenta »
Aprile 12th, 2017 Riccardo Fucile
NON SOLO CONSIP MA ANCHE METANOPOLI… LA PROCURA DISPONE CONTROLLI SU TUTTI GLI ATTI
Gianpaolo Scafarto, il capitano del Noe indagato per falso ideologico dalla Procura di Roma per aver manomesso almeno due prove nell’ambito dell’inchiesta Consip, non è nuovo a intercettazioni “anomale”, “errori” e “conclusioni affrettate”.
Lo sospetta la Procura di Roma, che infatti sta indagando su altri depistaggi sempre sul caso Consip, e lo dimostra la piega assunta da un’altra inchiesta, quella sulla metanizzazione dell’isola di Ischia ad opera della cooperativa rossa Cpl Concordia, che — come ricorda La Stampa — era partita dal sindaco del capoluogo Giuseppe “Giosy” Ferrandino.
Anche in quel caso l’informativa firmata da Scafarto conteneva numerose anomalie.
Una su tutte: l’informativa riporta un’intercettazione a carico di Massimo Ferrandino, fratello del sindaco, in cui viene citato il nome di “Giosy”.
Peccato che, in realtà , quel nome sia “incomprensibile” secondo i trascrittori che hanno riascoltato tutte le intercettazioni su incarico del tribunale.
Altra stranezza: l’informativa parla di una telefonata partita da Ferrandino a Francesco Deldeo, sindaco di un altro comune ischitano. Anche in questo caso, però, “Capitan riscrivo” avrebbe aggiunto del suo, visto che è stato Deldeo a chiamare Ferrandino.
Anche in questo caso – come per l’inchiesta Consip – Scafarto ha parlato di “errori” e “imprecisioni”. “Sono stato impreciso io. La telefonata è in entrata… Sì, c’è un errore, l’ho commesso io nello scrivere”.
Il modus operandi capitano del Noe preoccupa la Procura di Roma, che teme altri depistaggi sull’inchiesta Consip.
I carabinieri del comando provinciale di Roma dovranno riascoltare tutte le intercettazioni dei colloqui captati nell’ufficio dell’imprenditore Alfredo Romeo. Dovranno “rileggere” tutti gli atti dell’inchiesta e sbobinare numerosi nastri mai ascoltati.
Soprattutto, dovranno assicurarsi che tutte le acquisizioni siano state compiute rispettando la procedura. È quanto scrive il Corriere della Sera oggi in edicola, che parla di sospetti su altri depistaggi da parte di Scafarto, accusato di falso ideologico per aver “alterato” l’intercettazione contro Tiziano Renzi e aver accreditato la possibilità che i servizi segreti stessero “spiando” l’inchiesta.
Scrive Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera:
Il sospetto è che ci sia stata, da parte di Scafarto, la volontà di forzare la mano nel timore che i magistrati romani potessero non ritenere fondato il coinvolgimento del padre dell’ex premier. E quindi che si sia deciso di attribuire a Romeo la frase “l’ultima volta che ho incontrato Renzi” (in realtà pronunciata dal suo collaboratore Italo Bocchino, come risulta dal brogliaccio) proprio per avvalorare l’esistenza del rapporto tra i due e sostenere l’accusa di traffico di influenze illecite contestato a Renzi e al faccendiere Carlo Russo, da tempo in contatto proprio con Romeo.
Gli inquirenti sospettano che Scafarto possa non aver agito da solo.
Per questo — spiega il Corriere – saranno esplorati i suoi contatti degli ultimi mesi, i rapporti con colleghi e superiori, non escludendo possibili “interferenze” esterne all’inchiesta.
Tra i punti da chiarire c’è il ritrovamento dei “pizzini” nella spazzatura della Romeo Gestioni, quando il capitano del Noe ora indagato aveva dichiarato di essere stato “spiato” e pedinato da almeno un agente dei servizi segreti, pur avendo già accertato che si trattava in realtà di una persona residente nel palazzo accanto.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Giustizia | Commenta »
Aprile 12th, 2017 Riccardo Fucile
LA LETTERA DEL DIPLOMATICO CHE AMA L’ITALIA DOVREBBE FAR RIFLETTERE CERTI IGNORANTI
Dallo spazio pubblico ci è pervenuto un messaggio, che al di là delle opinioni personali, offende tanti miei concittadini di buona volontà .
Sono preoccupato quando le parole feriscono molte famiglie miste come sono state anche ad Amatrice o Rigopiano, oppure quando i bambini possono essere messi in uno stato di umiliazione, loro che sono i più deboli e indifesi, che vanno tutelati nella loro dignità e identità nazionale, nonchè europea.
Le parole possono indurre fiducia, trasmettere emozioni e speranza o far crollare sogni. “Pronunciare una frase significa svolgere un’azione che può distruggere o edificare”, come sosteneva John Austin.
Le parole, anche se in un certo contesto, possono offendere senza che questo sia il fine voluto da parte di chi le pronuncia.
La comunità romena è ben integrata, apprezzata per la sua presenza nel tessuto sociale italiano, per il contributo in vari campi.
Molti dei miei onesti cittadini sono sui cantieri e i datori di lavoro li apprezzano e vogliono continuare a collaborare con loro, altri portano sollievo e assistenza a tante persone sole e immobilizzate, altri, medici e infermieri fanno arrivare la speranza e il sorriso ai malati, altri che sono ingegneri, insegnanti, ricercatori, studenti, artisti, portano il loro contributo allo sviluppo del paese che hanno scelto per affinità culturale e spirituale.
Conosco giovani musicisti con doppia cittadinanza che hanno vinto premi per l’Italia. La memoria storica purtroppo è corta e si vede in tutta l’Europa.
Mi fa piacere ricordare che se oggi c’è una numerosa comunità romena in Italia, questo fenomeno può essere letto anche come “il rovescio della medaglia” perchè da fine Ottocento e soprattutto durante il periodo tra le due guerre la Romania di oggi era uno dei luoghi che portava fortuna a tanti italiani pagati addirittura in monetine d’oro. Le numerose imprese italiane presenti in Romania, come la comunità romena in Italia, sono un perno per le nostre relazioni ben radicate nella storia comune.
Personalmente ho scelto l’Italia per studiare, spinto dall’amore per la storia, l’arte, l’affinità e il legame particolare che abbiamo con Roma, da cui l’unico popolo e paese al mondo che la porta nel suo nome è la Romania.
Qui ho scoperto la profondità del pensiero e del vivere di Don Sturzo, Alcide De Gasperi, Spinelli, Pier Giorgio Frassati, figure a cui mi sono affezionato e chi mi conosce può confermare che non sono affermazioni formali.
Al di là della dialettica politica interna che non mi riguarda, credo che i messaggi positivi possono dare di più, che la collaborazione e la volontà comune possono portare dei risultati.
Dobbiamo fidarci l’uno dell’altro e cercare di risolvere insieme i problemi che ci perturbano e di saper distinguere tra chi sta da parte del bene e da parte del male.
Il dialogo e la conoscenza aiutano tanto. Ciascuno di noi dipende in qualche modo dall’altro e questa interdipendenza può essere trasformata in un valore, il valore della solidarietà .
Possiamo raggiungere obiettivi se ci fidiamo gli uni degli altri. Ciò che ci unisce è molto più profondo da quanto ci può dividere.
Cultura, tradizioni, spiritualità , emozioni e speranze sono molto comuni alla sensibilità dei nostri popoli. La Romania insieme all’Italia desidera un’Europa più forte e dinamica, il cui progetto può essere letto in termini di beneficio per gli europei.
Sono onorato di essere l’ambasciatore della mia gente, sensibile e con fede in Dio, della cui Pasqua festeggeremo insieme a breve.
Sono onorato di essere rappresentante del mio paese in Italia, terra dell’arte, della bellezza, di Leonardo, Petrarca, Dante, Leopardi (insieme al poeta nazionale romeno Eminescu riconosciuti come gli ultimi romantici), Cavour (di cui uno degli amici era il poeta e ministro degli affari esteri dei Principati Danubiani, Vasile Alecsandri), Giovani XXIII° (fine conoscitore della spiritualità dell’Europa Orientale)
. E sono anche io uno di quei tantissimi romeni che tifano con emozione per gli “azzurri” nelle gare calcistiche internazionali.
La mia speranza va verso un’Italia e una Romania che possano rappresentare un modello di integrazione e di amicizia fra cittadini europei, in un’Europa che tutti noi vogliamo chiamare la nostra casa, “la nostra Patria comune” come la voleva De Gasperi.
Con questi sentimenti mi rivolgo a tutti gli amici italiani, invitandoli a scoprire la profondità dell’anima del popolo romeno.
Un sentito augurio a tutti di passare con serenità la Santa Pasqua!
George Gabriel Bologan
Ambasciatore di Romania in Italia
argomento: Grillo | Commenta »