Aprile 26th, 2017 Riccardo Fucile
“OSPITIAMO TUTTI, BASTA CHE NON SIANO FASCISTI”… SE SONO RAZZISTI INVECE SI’?… COSI’ DOMENICA VA IN SCENA LA SOLITA MARCHETTA DELLA LEGA PER ACCREDITARSI COME “PARTITO OPERAIO”… E COME AL SOLITO CI SARA’ LA CONTESTAZIONE SCENEGGIATA POST MORTEM DELLA SINISTRA
Premessa: non è vero che Salvini parlerà domenica al “circolo dei portuali” come riporta “Repubblica”: si tratta non della sala chiamata della Compagnia Unica, ma di una sala del Consorzio Autonomo del Porto, l’Authority istituzionale spartita tra i vari partiti.
Detto questo è evidente che, essendo il Pd il referente tradizionale del Cap, la stupidità della sinistra genovese non ha limiti.
Lo capirebbe anche un idiota che l’operazione dei fighetti padani locali (che annoverano in Consiglio regionale un assessore e un presidente del Consiglio regionale entrambi sotto processo per peculato ) è quello di accreditarsi come “forza politica che parla di lavoro” (il che fa sorridere, stante la storia di fancazzisti che vivono da 10-15 anni di politica) e quindi cosa di meglio di una sala da spacciare come quella “dei portuali”, visto che ci sono dei pirla che gliela concedono?
Così si veicola il messaggio dei leghisti “vicini ai problemi dellaggggente”.
La decisione di dire sì alla richiesta del Carroccio è stata presa dal direttivo, rappresentativo dei 4mila soci del Consorzio autonomo del porto.
«Dove essere socio, vuol dire anche impegnarsi ad affermare dentro e fuori dal circolo il valore e la dignità delle persone, al di là di ogni differenza di sesso, di razza o religione, la cultura e la pratica della tolleranza, della pace, della cooperazione e della solidarietà », si legge sul sito dello stesso Cap.
Cosa da scompisciarsi dalle risate la dichiarazione del responsabile Danilo Oliva che pare vivere sulla Luna: «Nei nostri spazi ospitiamo gratuitamente partiti, sindacati, associazioni, migranti. L’unico paletto che ci siamo dati è il no a chi si richiama al fascismo».
Insomma i fascisti no, i razzisti sì, secondo il nuovo statuto del Cap elaborato nottetempo.
Poi Oliva dà il massimo di sè: “Su alcuni temi in effetti Salvini sembra un fascista, ma stiamo parlando di un partito che governa la nostra Regione, forse presto chissà anche il Comune”…. Insomma conviene tenerseli buoni, magari un domani abbiamo bisogno di qualche favore, pare la filosofia di Oliva.
Ovviamente i portuali non la pensano così.
«Chi semina odio, divide i lavoratori in base al colore della pelle, parla di bruciare i campi nomadi e di affondare i barconi dei profughi in quel posto non dovrebbe neppure entrare. Perchè le sue idee e quelle dei suoi sodali sono l’antitesi di tutta la storia del movimento operaio e democratico genovese», è la posizione del Collettivo autonomo lavoratori portuali.
E inizia la rivolta di chi non ci sta: «Hai scelto la città sbagliata per provocare», recita la scritta nera con la bomboletta spray davanti al Cap di via Albertazzi.
Il destinatario è ovviamente Matteo Salvini e la sua corte dei miracoli.
Anche Genova in Comune e L’Altra Liguria chiedono un ripensamento: “Auspichiamo che i responsabili del Cap ci ripensino, attingendo la forza di dire no dalla propria storia e dalle proprie radici, nonchè dal sostegno di tutti noi».
«Non possiamo sopportare una simile vergogna e chiediamo ai gestori del Cap di ripensarci. Per quel che ci riguarda la casa in cui Salvini può vomitare il suo odio razzista non potrà più essere la nostra», è la chiosa del Collettivo.
E così ci saranno due eventi: uno dentro la sala (con Salvini, anche Giovanni Toti ed Edoardo Rixi) e un altro fuori, con partiti e movimenti della sinistra-sinistra a protestare per l’invasione di campo.
Resta però, a questo punto, un problema di ordine pubblico. Le scritte sui muri apparse ieri in via Albertazzi rappresentano una specie di avvertimento: l’arrivo del segretario federale lumbard non filerà liscio e infatti probabilmente si trasformerà in un problema di ordine pubblico.
Tutto secondo copione.
argomento: Genova | Commenta »
Aprile 26th, 2017 Riccardo Fucile
MARINE LE PEN ARRIVA DOPO E FA SELFIE … E NEI SONDAGGI MACRON SALE AL 62-64% … MACRON: “TORNERO’ PER RENDERVI CONTO DI QUANTO HO FATTO”
E’ stata una giornata molto complicata, quella trascorsa ad Amiens da Emmanuel Macron. Ha allentato il nodo alla cravatta, si è tirato su le maniche della camicia e ha impugnato la sciabola.
Che non è più tempo di fioretto glielo ha fatto capire chiaramente proprio Marine Le Pen, con una mossa che ha costretto Emmanuel a nuotare per ore controcorrente.
Una mossa politicamente ruvida, che lascia intendere come la candidata del Front National, nella sua strategia disperata, è pronta a sferrare colpi bassi.
Cosa è dunque accaduto ad Amiens? Oltre a rientrare in quel nord della Francia “feudo” elettorale della leader del Front National, la città è anche sede di uno stabilimento Whirlpool divenuto simbolo della perdita di posti di lavoro francesi. Perchè il gigante americano degli elettrodomestici trasferirà la produzione in Polonia nel 2018.
Pur consapevole dei rischi naturalmente associati a una partita giocata in trasferta, Emmanuel Macron questa mattina si è recato ad Amiens.
Il candidato centrista era riunito con le rappresentanze sindacali quando, a sorpresa, Marine Le Pen si è materializzata nel piazzale antistante lo stabilimento. Per rubargli la scena.
“Sono qui, nel parcheggio, al fianco dei lavoratori” le parole dettate ai reporter dalla leader del Fn, così ben disposta al bagno di folla da prestarsi al selfie con chiunque glielo chiedesse.
Le Pen ha respinto l’accusa di essere lì per lucrare sul colpo mediatico, che in realtà è perfettamente riuscito, con le televisioni che in diretta mostravano lei tra le tute gialle e Macron altrove, in giacca e cravatta dietro le vetrate.
E la folla dei lavoratori, galvanizzata, non ha esitato a salutare Le Pen al grido di “Marine Presidente!”.
Avvertito della presenza di Le Pen davanti alla fabbrica, Macron ha reagito facendo sapere che nel pomeriggio avrebbe incontrato anche gli operai, dopo il secondo turno: “Con i delegati sindacali vedrò i dipendenti, bisogna fare le cose in quest’ordine. Se non si va con i rappresentanti dei lavoratori, non si risolve alcun problema”.
Quindi ha parlato di Marine Le Pen. “La signora è venuta ad Amiens perchè ci sono venuto io. Benvenuta a lei. Ma madame Le Pen non ha capito come funzionano i Paesi e noi due non condividiamo nè la stessa ambizione nè lo stesso progetto”.
“La signora Le Pen strumentalizza il conflitto sociale alla Whilrpool – l’accusa di Macron -. E il suo progetto (antieuropeista e antieuro) rischia di distruggere il potere d’acquisto dei francesi”.
Dalle parole ai fatti. Quando Macron si è presentato in fabbrica, al candidato all’Eliseo paladino dell’apertura e del filoeuropeismo le tute gialle di Whirpool hanno riservato soprattutto fischi, mentre un esercito sempre più numeroso di giornalisti e telecamere gli rendeva complicato anche solo raggiungere il piazzale per avere un contatto diretto con chi lo contestava.
All’inizio gli è stato difficile anche riuscire a farsi sentire, ma lui ci ha provato: “Non voglio alimentare la collera o fare demagogia o strumentalizzare la disperazione degli operai. La risposta a quello che vi succede non è metter fine alla globalizzazione o chiudere le frontiere. Chi ve lo dice, mente. La chiusura delle frontiere è una promessa menzognera, dietro vi è la distruzione di migliaia di posti di lavoro, che hanno invece bisogno della loro apertura”.
“Io – ha quindi affermato Macron – non vi prometto cose impossibili. Mi sono impegnato ad applicare duramente la legge. Non mi impegno a nazionalizzare la fabbrica, a salvarla con denaro pubblico, ma mi impegnerò affinchè l’impianto sia rilevato da altri imprenditori”.
Quindi, la promessa: “Tornerò per rendervi conto di quanto fatto”.
Un discorso scandito al megafono, non tra i volti di amici sorridenti radunati in una brasserie parigina ma tra il fumo di copertoni in fiamme e le urla rabbiose di chi ha perso la pazienza.
Ma anche un discorso accorato ed evidentemente percepito come sincero, se alla fine Macron ha potuto trattenersi per un po’ a parlare con gli operai.
Stando ai sondaggi, se manterrà la sua promessa, Macron tornerà ad Amiens da presidente.
Il candidato di En Marche! viene accreditato al ballottaggio di un vantaggio netto su Le Pen, consenso stimato tra il 62 il 64%.
Ma la sua giornata difficile tra le tute gialle di Amiens ha dimostrato ai francesi che + uno con gli attributi.
(da agenzie)
argomento: elezioni | Commenta »
Aprile 26th, 2017 Riccardo Fucile
PSA E RENAULT, I DUE GRUPPI FRANCESI DELL’AUTO, SONO PARTECIPATI DALLO STATO
Per Psa e Renault non è indifferente chi vincerà le prossime elezioni presidenziali.
I due gruppi francesi dell’auto sono entrambi partecipati dallo Stato: il primo dal 2014 con un 14% (dopo una lunga e orgogliosa storia di capitalismo privato familiare), il secondo con un quasi 20% (19,7) dopo essere stato in mano pubblica, bandiera nazionale e chiamato un tempo “vetrina sociale” del Paese.
Per Psa e Renault le cose potrebbero cambiare se a vincere le presidenziali fosse Emmanuel Macron.
Macron ha già duellato pubblicamente nel recente passato con Carlos Ghosn, numero uno di Renault-Nissan.
Sia contestando la governance del gruppo negli equilibri con la controllata giapponese, sia la sua remunerazione giudicata eccessiva.
In Francia i manager delle aziende pubbliche non possono guadagnare più di 450.000 euro all’anno. Renault è privata, ma partecipata quanto basta per spingere a suo tempo Macron a puntare il dito su un argomento popolare in tempi di crisi economica.
E per far sospettare che dietro una mossa di questo tipo ci possa essere stato dell’altro.
Per Psa, non è stato Macron ma il predecessore gauchiste Arnaud Montebourg, in qualità di ministro dell’Economia, a imporre alla famiglia Peugeot di mollare il volante e diluire la quota di controllo per affidare la presidenza del consiglio di amministrazione a un manager espressione del governo.
Strada obbligata per salvare Psa dal baratro e ricominciare a correre grazie poi all’ottimo lavoro del nuovo amministratore delegato Carlos Tavares, nominato anche con la moral suasion (e forse più) dello Stato francese.
Toccherebbe a Macron, se vincesse le Presidenziali, affrontare la svolta di Psa, che trattando con la Gm, ha appena comprato la Opel.
Non sarà una digestione facile per Tavares, nè è chiaro se il 14% del gruppo in mano allo Stato francese possa essere ceduto.
E nè se, per esempio, in caso di una ristrutturazione che comportasse perdite di posti di lavoro in Francia, quel 14% pubblico possa fare da caffè o da ammazza caffè, oppure diventare un peso sullo stomaco.
Toccherebbe poi sempre a Macron un vis à vis con Ghosn, ma da altra angolazione. Allons enfants de la patrie automobile…
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: elezioni | Commenta »
Aprile 26th, 2017 Riccardo Fucile
AL VIA LA CONSULTAZIONE ON LINE CHE SI CHIUDERA’ MARTEDI, TRE LE OPZIONI: ASTENUTI, BIANCA O MACRON
Jean-Luc Mèlenchon non dirà in alcun momento di qui al 7 maggio quale sarà la sua scelta di voto personale per il secondo turno.
Mentre France Insoumise, il movimento che ha promosso la candidatura di Mèlenchon si consulterà sul web per decidere chi appoggiare.
Martedì 2 maggio alle 12 si concluderà la consultazione di France Insoumise, che non prevede l’opzione a favore della candidata del Front National: le tre scelte possibile sono scheda bianca o annullata, astensione o voto per Emmanuel Macron.
Non è possibile votare Le Pen, si legge nel testo pubblicato on-line- perchè “il movimento de La France Insoumise è per definizione legato ai principi del nostro motto repubblicano, Libertà , uguaglianza, Fraternità . E il voto per il candidato di estrema destra non può rappresentare un’opzione”.
La direzione del Partito Comunista Francese, che ha appoggiato la corsa di Mèlenchon all’Eliseo, ha invece invitato a votare Macron.
“Non un voto deve andare al Front National, non uno”, si è invece limitato a dire Alexis Corbiere, portavoce di Melenchon, in una conferenza stampa ripresa dai media francesi.
Mèlenchon non sente di sottrarsi alle sue responsabilità politiche non annunciando un voto contro la Le Pen.
Al contrario, dare un voto per l’altra parte secondo lui significa tornare a quella logica dell’alternanza finta che denuncia da quando ha lasciato il Partito Socialista.
Lui, spiega Threard, vuole affermare la sua differenza rispetto al sistema che rifiuta: il suo silenzio è un atto di insubordinazione che mira a costruire l’immagine dell’unico ribelle del sistema politico francese.
C’è anche una componente di vendetta. E un occhio alle prossime elezioni politiche, dove il Partito Socialista si presenta sempre più sfaldato e lui spera di guadagnare dall’immagine di contrario al sistema da sinistra.
Dopo l’illustrazione del suo piano per l’Europa e la valuta unica indicare un voto per Macron significherebbe tradire quello che ha detto nel suo discorso dopo il primo turno:
Storicamente la sua scelta può essere spiegata dal suo percorso politico, che l’ha visto essere mitterrandiano ma anche trotzkista, e che adesso lo vede, nell’anzianità , tornare alle idee della gioventù.
Claude Askolovitch sull’edizione francese di Slate racconta che pochi giorni dopo lo sbarco alleato in Normandia il giornale trotskista clandestino “La Verità ” aprì con un titolo che recitava “Sono uguali”, indicando Roosevelt e Hitler.
E se non si vede differenza tra quei due si capisce che non si riesca a vederla nemmeno tra tra Le Pen e Macron.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: elezioni | Commenta »
Aprile 26th, 2017 Riccardo Fucile
DOPO ESSERSI BASATO SU QUELLA CLASSIFICA PER ATTACCARE GLI ALTRI, ORA CHE TOCCA A LUI FA LA VITTIMA
Beppe Grillo oggi ha scoperto di essere la causa del problema di libertà di stampa in Italia. Per la verità non è vero che è “il problema” ma uno dei problemi.
E ad essere precisi non è da quest’anno che Reporter sans frontieres ha attribuito al partito di Beppe Grillo la corresponsabilità dello stato della libertà di stampa nel nostro Paese.
Ma dopo aver passato anni ad accusare i giornalisti di essere servi del regime e aver creato liste di proscrizione Grillo ha deciso che è più conveniente fare la parte della vittima.
Beppe Grillo ovviamente non ha capito — o finge di non capire — perchè Reporter sans frontieres parla di lui.
Il motivo è semplice: “il livello di violenza contro i giornalisti (intimidazioni verbali e fisiche, provocazioni e minacce) è allarmante, soprattutto nel momento in cui politici come Beppe Grillo, del Movimento Cinque Stelle non esitano a fare pubblicamente i nomi dei giornalisti che a loro non piacciono”.
Questo però Grillo stranamente non lo scrive nel suo post. In fondo è molto meglio recriminare la “lunga” lista di torti subiti che raccontare del modo con cui il MoVimento 5 Stelle gestisce i rapporti con la stampa e i media che sono il vero problema. Non è quello che scrive grillo sul Blog (a proposito, ci scrive?) ma le modalità con cui il M5S si rapporta ai media a creare difficoltà .
Ma c’è dell’altro: Grillo crede che la classifica sia stata cambiata dopo pressioni di “direttori dei giornali italiani”:
Grillo dimostra di non capire come funziona il meccanismo d’indagine di Reporter sans frontieres che prevede che la classifica venga stilata in base al punteggio conseguito dal singolo paese.
Il punteggio viene calcolato sulle risposte fornite ad un questionario che Rfs fornisce ad alcuni giornalisti locali di cui — per ovvie ragioni — non è nota l’identità .
Ma per Grillo la classifica “è stata cambiata” perchè Rfs ha ceduto alle pressione di fantomatici direttori di giornale.
È il metodo a 5 Stelle: se qualcosa non ti piace gettaci del fango sopra. Lo si è visto con le ONG che aiutano i migranti e lo si vede ora con Reporter sans frontieres.
Ma Grillo non l’ha sempre pensata così, ad esempio l’anno scorso in occasione del rapporto che ci ha messi al 77° posto della libertà di stampa il Capo Politico del MoVimento ne dava l’annuncio con preoccupazione.
In un post sul blog Grillo spiegava che «in Italia c’è una delle informazioni peggiori del mondo occidentale e non solo.
Quest’anno per Reporter senza frontiere la stampa italiana è scesa al 77esimo posto, 4 posizioni in meno rispetto all’anno scorso, superata dal Burkina Faso».
Grillo accusava la “propaganda del regime renzinverdiniano” di nascondere le notizie ed invitava i suoi ad informarsi in Rete dove non ci sono censure.
Il problema è che anche lo scorso anno Rfs non si riferiva alla qualità dell’informazione ma alla possibilità dei giornalisti di fare liberamente il proprio lavoro.
Inoltre va fatto notare che a contribuire a farci ottenere un piazzamento così poco onorevole lo scorso anno c’è stato il fatto che per Reporter sans frontieres il caso Vatileaks e il processo in Vaticano a due giornalisti italiani è stato visto come una faccenda italiana.
In realtà quel processo riguardava le istituzioni dello Stato Vaticano (e quest’anno il processo si è concluso con l’assoluzione di Nuzzi e Fittipaldi).
È anche per quel motivo che nel 2016 l’Italia ha “scalato la classifica”. Per Grillo però è più importante sventolare l’attestato rilasciato da Julian Assange che ha detto che i 5 Stelle hanno squarciato il velo “della vecchia stampa mainstream corrotta“.
Assange però non ha detto in che modo i 5 Stelle, che sono sempre in televisione, lo avrebbero fatto.
Ad aumentare il livello di confusione c’è un tweet della deputata Carla Ruocco che nell’ansia di fare bella figura ha scoperto chi si cela dietro Rsf in italia: Eugenio Scalfari e Roberto Saviano che sono due membri italiani del consiglio emerito (e non i giornalisti che compilano i questionari).
La situazione per la Ruocco è chiara perchè i due non sono certo amici del 5 Stelle e quindi faceva tutto parte di un piano per affossare il M5S.
La cosa però rende ancora più evidente la confusione mentale dei 5 Stelle e il loro problema con il giornalismo: per un anno sono andati avanti a spiegarci che aveva ragione Rfs a dire che in Italia non c’era libertà di stampa e ora scoprono che a dircelo erano quei due “amici” del MoVimento.
Ma questa è la fine che fanno (e faranno) tutti quelli che il 5 Stelle usa per fare propaganda: non appena dicono qualcosa non va allora devono essere distrutti.
(da “NextQuotidiano“)
argomento: Grillo | Commenta »
Aprile 26th, 2017 Riccardo Fucile
MA QUANDO REPORT SANS FRONTIERES AVEVA CRITICATO IL PD, GRILLO CI FECE UN POST PER SFRUTTARE LA NOTIZIA… ORA CHE TOCCA A LUI SONO OVVIAMENTE DEI VENDUTI
Se speravate che dopo aver appreso che l’Italia non è più al 77° posto della libertà di stampa finalmente ci saremmo liberati del ritornello di chi critica articoli di giornale citando la nota classifica vi siete sbagliati.
Perchè l’elettore pentastellato è come un bambino a cui è appena stato rotto il giocattolo preferito e non accetta che ora il nostro Paese sia ora al 52° posto.
Per un anno infatti sotto quasi ogni articolo di giornale abbiamo letto critiche alla qualità dell’informazione italiana che utilizzavano come argomento la posizione di una classifica che non valuta la qualità .
Per molti elettori a 5 Stelle che nel corso del 2016 hanno ricordato lo stato pietoso del giornalismo italiano facendo ricorso alla classifica di Reporter sans frontieres il fatto che nell’analisi sullo stato della libertà di stampa in Italia sia stato fatto un esplicito riferimento al contribuito delle minacce e di alcune dichiarazioni di Grillo nei confronti dei giornalisti è il chiaro segnale che anche Rfs è ormai parte del sistema dei media.
Quello stesso sistema corrotto che Grillo cerca da anni di scardinare.
Ecco quindi che c’è l’attento commentatore di articoli di giornale che coglie il “retroscena”: dietro l’attacco a Grillo c’è la vendetta delle lobbies ONG. Se qualche giorno fa Di Maio ha detto che le ONG che oprano nel Mediterrano sono conniventi con gli scafisti ecco che altre ONG accorrono in difesa dei “colleghi”.
Certo, l’anno scorso nessuno si era preoccupato del fatto che Reporter sans frontieres facesse parte di qualche lobby. In effetti a quanto pare nessuno aveva capito cosa misurasse la classifica di Rfs.
C’è però da dire che non è la prima volta che Rfs si occupa del “problema” rappresentato da Grillo. Nel 2015 Reporter sans frontieres citava la “pressione populista” sui media e parlava apertamente del ruolo del Capo Politico del M5S.
Ecco cosa scriveva:
In Italia il MoVimento 5 Stelle di Beppe Grillo non ha eguali quando si tratta di controllo dell’informazione. Il partito esercita un ferreo controllo sulla possibilità dei parlamentari di dare interviste e sembra voler controllare anche i giornalisti, denigrandoli quando cercano di mantenere la loro indipendenza. Grillo ha accusato i giornalisti di prostituirsi e impedito ai nazionali di partecipare ai suoi meeting.
Il metodo è chiaro: se Reporter sans frontieres dice una cosa che “piace” agli elettori grillini e che può essere usata come arma contro i media allora nessuno va a criticarne l’operato.
Appena però accade che Rfs smentisca certe teorie allora ecco che entrano in gioco le lobby di potere.
Per un anno i simpatizzanti del 5 Stelle hanno fatto finta di non capire cosa misurasse quella classifica sulla libertà di stampa. Una classifica che non misura la qualità dell’informazione ma la possibilità per i giornalisti di fare il proprio mestiere senza rischi.
Come abbiamo spiegato si tratta di una classifica che ha anche delle criticità , come tutte le classifiche che vengono compilate sulla base della percezione individuale di alcuni professionisti del settore.
Ma la lettura che ne danno alcuni utenti è curiosa: se l’Italia è risalita nella classifica è merito di Grillo che denuncia i giornalisti. E i giornalisti non fanno bene il loro lavoro non perchè sono minacciati ma perchè sono venduti al potere.
C’è addirittura chi, con evidenti difficoltà di comprensione del testo, dà a Repubblica che ha dato la notizia la colpa di aver occultato la verità definendoli: luridi lecchini e servi del potere.
Come sempre accade in questi casi il benaltrismo la fa da padrone. Sarebbe bastato leggere le domande del questionario di Reporter sans frontieres per capire che a concorrere al punteggio finale c’è una molteplicità di fattori e che la “colpa” non è solo di Grillo.
I continui attacchi di Grillo alla stampa però costituiscono un problema, è inutile negarlo.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: Grillo | Commenta »
Aprile 26th, 2017 Riccardo Fucile
IL TENTATIVO DI SCIMMIOTTARE L’ENFANT PRODIGE FRANCESE URTA CONTRO LA REALTA’ DI DUE STORIE DIVERSE
A parte l’anagrafe, c’è poco in comune tra Emmanuel Macron e Matteo Renzi.
E i tentativi di queste ore, di questi giorni, del mondo renziano di annettersi alla vittoria di Macron nel primo turno delle presidenziali francesi, e quella annunciata del ballottaggio del 7 maggio contro Marine Le Pen, suonano disperati e vagamente patetici.
Macron è un “enfant prodige” delle èlite tecnocratiche – diplomato all’Ena, brillante e fulminea carriera nel gruppo Rothschild -, Renzi ha fatto sempre e solo il politico scalando, anche lui va detto con indubbia brillantezza, i gradini della nomenclatura interna di partito: segretario provinciale del Partito popolare e della Margherita fiorentini, presidente della provincia e poi sindaco sempre a Firenze, segretario del Pd e per questa via, senza battesimo elettorale, presidente del consiglio.
Macron è un leader senza partito, ha vinto il primo tempo delle presidenziali e probabilmente vincerà la partita contro qualunque previsione e contro tutti i partiti, vecchi e meno vecchi, della quinta repubblica francese.
Renzi è un leader di partito sconfitto, sconfitto rovinosamente dal referendum del 4 dicembre, e la sua via per provare a ritrovare il potere perduto passa dalla riconquista della segreteria del Partito democratico.
È quasi certo che riuscirà in quest’impresa, grazie al voto nelle primarie del 30 aprile di alcune centinaia di migliaia di iscritti del Pd e grazie soprattutto all’appoggio del 90% dei gruppi dirigenti (segretari provinciali e regionali, parlamentari, consiglieri regionali) democratici.
Questa differenza pesa, e pesa molto, sui rispettivi profili: consente a Macron di presentarsi per ora credibilmente – e nonostante i suoi due anni da ministro “tecnico” dell’economia di Hollande – come leader al tempo stesso competente ed estraneo a quel mondo della politica e dei partiti che attualmente riscuote la disistima pressochè unanime dei cittadini.
Impedisce a Renzi di riproporre di sè con un minimo di credibilità l’immagine che a suo tempo lo rese attraente: quella del “rottamatore”, di “homo novus” deciso a farla finita con la “vecchia politica”, i suoi privilegi, i suoi riti e linguaggi novecenteschi; di un leader non “oltre la sinistra e la destra” come dice di sè Macron, ma che sembrava volere “ringiovanire” la sinistra immergendola nei problemi e nei bisogni del tempo presente.
In più, il passo odierno di Renzi è appesantito da un’altra vistosa palla al piede che lo divide da Macron: il fatto di essere parte di una famiglia politica, i socialisti europei, che dappertutto sembrano al tramonto, divenuti persino al di là dei loro (abbondanti) demeriti i simboli di una sinistra “tutta chiacchiere e distintivo” tanto arretrata culturalmente quanto identificata dal “popolo” con l’odiato “establishment”.
Anche sul piano programmatico le analogie tra Macron e Renzi sono sbiadite.
Il primo ha avvolto finora nella nebbia, nella genericità di parole e impegni del tutto vaghi, il suo programma, con un’unica eccezione: un sì convinto, ostentato, ripetuto in ogni occasione, all’Europa, la scelta di contrapporre con uno slogan bello ed efficace la sua “Francia dei patrioti” alla “Francia dei nazionalisti” impersonata da Marine Le Pen.
Renzi invece sull’Europa accarezza spesso le suggestioni euroscettiche di buona parte dell’opinione pubblica, quasi ad inseguire l’antieuropeismo militante di Salvini e quello più sfumato ma comunque inequivoco dei Cinquestelle.
Quanto al programma renziano, anch’esso all’inizio era abbastanza nebbioso, retorica della “rottamazione” a parte, ma mille giorni di governo hanno sostituito alla foschia delle origini indicazioni più che chiare: politiche sociali conservatrici e regressive, politiche ambientali giurassiche dalle trivellazioni petrolifere ai ripetuti decreti salva-Ilva, politiche economiche senza visione affidate quasi soltanto alla pioggia propagandistica dei bonus, alleanza stretta con gli interessi economici meno innovativi legati all’industria fossile (Eni) e automobilistica (Marchionne).
Tutto questo non vuol dire che Macron, se diventerà presidente dei francesi, farà meglio di Renzi.
Significa che se Matteo Renzi spera di ritornare sulla breccia, anzichè costruire la sua rivincita su un improbabile scimmiottamento di Macron, che per lui resta comunque “inimitabile”, dovrebbe partire dal fallimento evidente e radicale della sua prima stagione, da quei mille giorni che hanno dilapidato il patrimonio di fiducia in un vero e radicale rinnovamento politico incarnato per qualche mese dal “rottamatore”.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Renzi | Commenta »
Aprile 26th, 2017 Riccardo Fucile
ALBANO E SCAMARCIO STANNO CON EMILIANO, COSTANZO E VERGASSOLA CON ORLANDO, RENZI SI PRENDE IL PRESIDENTE DELL’ISTITUTO GRAMSCI
Le primarie del Partito Democratico che andranno in scena il 30 aprile sono anche l’occasione per gli endorsement dei vip.
Dimmi chi voti alle primarie e ti dirò chi sei: racconta oggi Tommaso Ciriaco su Repubblica che tanti nomi prestigiosi si stanno schierando.
Come ad esempio Al Bano Carrisi, che ha detto che voterà per Michele Emiliano, così come Mauro Corona ed Erri De Luca (che però non voterà ) e l’attore Riccardo Scamarcio.
Orlando, invece, ha mobilitato quanti più vip possibile: Dario Vergassola e Gherardo Colombo, don Tonino Palmese e l’olimpionico di scherma Salvatore Sanzo. E ancora, Alberto Melloni, Luciano Violante, Fabrizio Barca e Gad Lerner, il tastierista dei Nomadi Beppe Carletti.
Il Guardasigilli ha fatto presa anche tra i padri nobili. Non su Walter Veltroni, che ha scelto il silenzio, ma sui prodiani: stanno tutti con Orlando. Il Professore non parla, ma invita a pranzo proprio il Guardasigilli.
E che dire di Enrico Letta? Defenestrato dall’ex segretario, preferisce l’ex diessino: «Per la sua capacità di unire». È lunga, la lista dei delusi “celebri” del renzismo. Tra gli intellettuali, Emanuele Macaluso, che considera esaurita la spinta propulsiva del leader di Rignano. Come pure Giorgio Napolitano, amico e big sponsor del capo dei Giovani Turchi.
Ma ci sono anche defezioni illustri (si fa per dire):
Uno su tutti, Jovanotti. Nel 2009 aveva sposato la causa di Dario Franceschini, nel 2012 quella di Renzi. Perdendo sempre, tanto da commentare: «Oh, io in politica non ne azzecco una». Stavolta, fanno sapere, è in piena fase creativa ed eviterà di schierarsi. E ancora, che fine hanno fatto gli endorsement di Sabrina Ferilli e Claudio Amendola, o di tante altre celebrità “in sonno”? La verità è che si è sfoltita soprattutto la nutrita pattuglia di renziani.
Del grande freddo con Alessandro Baricco si è scritto molto. Voterà Renzi il professor Arturo Parisi, regista dell’Ulivo.
Basso profilo e silenzio da parte di Roberto Benigni, assai schierato per il Sì al referendum.
Resiste al fianco del vecchio amico Oscar Farinetti: «Voterò per Matteo. La sua storia non finisce qui. Anche Churchill fu richiamato».
(da “Huffingtonpost”)
argomento: PD | Commenta »
Aprile 26th, 2017 Riccardo Fucile
ISTAT, LE PREVISIONI DEMOGRAFICHE: LE MIGRAZIONI SALVERANNO SOLO IN PARTE IL PAESE
Un Sud Italia sempre meno popolato, sempre più anziano. E di conseguenza sempre più povero, anche se questo le previsioni demografiche appena pubblicate dall’Istat non lo dicono.
Dallo studio “Il futuro demografico del Paese” emerge un forte calo della popolazione italiana, che passerebbe dagli attuali oltre 60 milioni a 58,6 milioni nel 2025 e 53,7 milioni nel 2065.
Con un picco negativo fino al 2045, quando solo il 54,3% della popolazione sarà in età lavorativa. Ma le previsioni mostrano anche un Paese sempre più squilibrato, con un Nord che cresce in popolazione e attira anche le migrazioni dall’estero, e un Sud che si spopola, dove rimangono solo gli anziani a invecchiare.
A soffrire della riduzione della popolazione, secondo i demografi, sarà infatti soprattutto il Mezzogiorno, che passerà ad accogliere dall’attuale 34% della popolazione al 29%, mentre il Centro-Nord passerà dall’attuale 66% al 71%.
Non si tratta solo dell’effetto del calo delle nascite, ma di una forte ripresa dell’emigrazione interna, del resto già ricominciata negli ultimi anni: nel 2065 il Sud avrà perso 1,1 milioni di abitanti, soprattutto giovani.
Sempre in meno al lavoro.
La fecondità è prevista in rialzo, da 1,34 a 1,59 figli per donna, ma visto che anche la sopravvivenza è in aumento, con la vita media in crescita fino a 86,1 anni per gli uomini e 90,2 per le donne, la popolazione invecchierà : l’età media passerà da 44,7 a oltre 50 anni nel 2065, con un picco fino al 2045-50. Dopo si assesterà , ma nel frattempo la popolazione in età attiva, in grado di lavorare e versare contributi che supportino il sistema previdenziale, scenderà al 63% del totale già nel 2025 (adesso siamo al 64,3%).
Gli emigrati scelgono il Nord.
Così come il flusso migratorio interno, anche quello dall’estero si concentrerà soprattutto nel Centro-Nord. Le previsioni in questo caso sono un po’ meno affidabili, precisa l’Istat, visto che i saldi migratori dipendono in parte anche dalla legislazione e soprattutto da circostanze esterne al nostro Paese (a cominciare dalle guerre, per esempio).
Però in ogni caso i demografi prevedono un salgo migratorio con l’estero ampiamente positivo, con almeno due milioni e mezzo di residenti in più provenienti dall’estero entro il 2065 (circa 144.000 immigrati in arrivo ogni anno).
E mantengono il Paese “giovane”.
E’ proprio grazie all’arrivo degli immigrati che si alzerà costantemente il numero di figli per donna. E quindi se si considerano non solo gli arrivi, ma anche le nascite, il peso positivo delle migrazioni sulla popolazione italiana è notevole, si potrebbe arrivare a oltre 10 milioni di persone in più da qui al 2065.
L’Italia invecchia fino al 2045, poi andrà meglio.
L’allarme invecchiamento raggiungerà un picco nel 2045: solo il 54,3% della popolazione sarà in età attiva, e quindi sarà difficile tenere in equilibrio il sistema pensionistico. Un terzo della popolazione sarà anziana. Un dato del quale del resto si è già tenuto conto in gran parte nelle riforme. Dopo invece andrà meglio, e l’età media si andrà gradualmente riequilibrando, anche se questo dipende molto dalla natalità .
Nel Mezzogiorno età media oltre i 50 anni.
Questo processo d’invecchiamento della popolazione non si distribuirà in modo omogeneo, ma penalizzerà soprattutto il Mezzogiorno, che avrà una riduzione della popolazione in età da lavoro del 13%. L’età media del Mezzogiorno si attesterà a 51,6 anni entro il 2065.
(da “La Repubblica“)
argomento: Politica | Commenta »