Aprile 29th, 2017 Riccardo Fucile
CHIEDE A BERLUSCONI DI FIRMARE L’ACCORDO ANTI-INCIUCIO, POI LEI LO FA CON IL M5S
Repubblica rivela che Fratelli d’Italia e MoVimento 5 Stelle stanno mettendo a punto l’inciucio nel voto per i municipi VIII e X della Capitale.
Ovvero la Garbatella dove è caduto il primo governo a 5 Stelle di Roma e Ostia:
Nei due municipi della capitale potrebbe presto prender forma un patto inedito. Il 20 aprile Fratelli d’Italia, coll’appoggio dei 5 stelle, ha fatto approvare in Aula Giulio Cesare un odg che chiede elezioni immediate a Garbatella, dopo aver fatto lo stesso per Ostia. Tanto il partito della Meloni, quanto il M5S, puntino a votare a novembre, fuori da altre competizioni elettorali, così da sperimentare a livello locale un’alleanza da replicare eventualmente su scala nazionale.
Seguendo il seguente schema: i 5S, dopo il fallimento di Pace, non presenterebbero la loro lista nel municipio VIII per convergere su un listone civico con Salvini e FdI.
Al contrario a Ostia FdI e Salvini non correrebbero per sostenere i 5S.
Uno scambio dettato soprattutto dal fatto che le due compagini hanno elettorati affini e, se la cosa funziona, il modello potrebbe tornare sia alle politiche sia alle regionali. Uno scenario molto credibile.
Fa sorridere che proprio la Meloni che ha chiesto a Berlusconi di firmare un patto anti-inciucio nei confronti della sinistra poi tratti sottobanco con il M5S.
Non siamo certo stupiti, è solo la conferma di quanto sosteniamo da tempo, un’alleanza Grillo-Meloni-Salvini dopo il voto alle elezioni politiche.
(da “NextQuotidiano“)
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Aprile 29th, 2017 Riccardo Fucile
“SONO DIVENTATO VICEPRESIDENTE DELLA CAMERA A 26 ANNI”… MA NON DICE CHE AVREBBE DOVUTO LAUREARSI DUE ANNI PRIMA E QUANTI ESAMI HA DATO
Con la modestia che si confà a un imperatore del mondo, ieri Luigi Di Maio ha spiegato che non si è ancora laureato in giurisprudenza per non approfittare del suo ruolo di vicepresidente della Camera.
Lo ha detto durante la presentazione della biografia scritta dal giornalista Paolo Picone: “Quando il presidente della Regione Campania offende per il mestiere che ho fatto, e mi chiama Gigino webmaster, offende migliaia di persone che stanno sudando nel fare questo lavoro”, ha detto nella conferenza stampa di “Di Maio chi?”.
L’esponente del Movimento 5 stelle ha sottolineato di non aver conseguito ancora la laurea “perchè sono diventato vicepresidente alla Camera a 26 anni, e mai avrei approfittato del mio ruolo per andare a fare gli esami”.
A parte che non si comprende per quale ragione le Università dovrebbero “favorire” un politico, fa sganasciare dalle risate il fatto che Di Maio ci prenda per fondelli, dato che il corso universitario quinquennale avrebbe dovuto essere concluso a 24 anni, quindi Di Maio era gia fuoricorso di due anni.
E perchè Di Maio in nome della trasparenza grillina non rivela quanti esami aveva dato a 26 anni su quelli totali?
(da agenzie)
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Aprile 29th, 2017 Riccardo Fucile
ALLEANZA DI INTERESSE CON IL SOVRANISTA DUPONT-AIGNAN CON CUI SI ERANO DETTI PESTE E CORNA…E L’USCITA DALL’EURO E’ RINVIATA ALLE CALENDE GRECHE
A nove giorni dal ballottaggio, Marine Le Pen riceve i primi rinforzi. A sostenere la sua candidatura sarà Nicolas Dupont-Aignan, leader del partito Debout la France (Alzati Francia in francese), che ieri ha annunciato ufficialmente il suo appoggio alla leader frontista “per fare campagna insieme su un progetto di governo allargato”.
Una mossa che era nell’aria, mentre Emmanuel Macron sta consolidando il “Fronte Repubblicano” per fare sbarramento alla sua avversaria.
In una conferenza stampa congiunta, Marine Le Pen ha dichiarato che, in caso di vittoria, Dupont-Aignan verrà nominato Primo Ministro, sciogliendo così la riserva sul nome del futuro premier.
Dupont-Aignan ha ceduto al richiamo delle sirene frontiste, costretto dallo scarso risultato ottenuto al primo turno (solo il 4,7%, l’equivalente di di 1,7 milioni di voti) e dai gravi problemi economici che affliggono le casse del suo partito.
Scegliendo di appoggiare il Front National, il rappresentante di Debout la France ha compiuto un vero e proprio voltafaccia, contraddicendo quanto affermato durante la sua campagna elettorale, quando si dichiarava “incompatibile” con il progetto dell’estrema destra, accusandola di “non essere capace a governare il paese”.
Come era prevedibile, questa scelta ha provocato un terremoto all’interno del partito, con l’abbandono di molti dei suoi collaboratori, primo fra tutti il suo braccio destro Dominique Jamet.
I due leader hanno poi presentato il testo di questo “accordo di governo”, in cui spicca una nuova posizione in merito all’uscita dall’Europa.
Quella che è sempre stata una delle proposte chiave del Front National, da oggi sembra passare in secondo piano. “Il nostro impegno è per un patriottismo pragmatico che privilegi le decisioni di buon senso” si legge nell’accordo.
(da “Huffingtonpost“)
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Aprile 29th, 2017 Riccardo Fucile
IL GRUPPO CLANDESTINO ORGANIZZAVA RONDE PUNITIVE
I Carabinieri del Comando Provinciale di La Spezia hanno eseguito perquisizioni e un’ordinanza cautelare nei confronti di sei persone, tutte di nazionalità italiana, ritenute responsabili dei reati di “associazione finalizzata all’incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici e nazionali” ed a vario titolo anche per reati di danneggiamento e danneggiamento seguito da incendio aggravati.
L’indagine, denominata ‘Aurora’ e coordinata dal Procuratore capo Antonio Patrono, ha preso avvio nel maggio dello scorso anno, a seguito delle denunce presentate ai carabinieri per l’imbrattamento, avvenuto con l’apposizione di svastiche e simboli nazisti, all’esterno della locale sede del Partito democratico.
Una prima perquisizione a distanza di pochi giorni a carico di noti militanti dell’ultradestra locale aveva portato al ritrovamento di armi bianche, materiale documentale e informatico di chiara ispirazione nazista.
Le indagini hanno consentito di individuare l’esistenza e l’attività di un gruppo clandestino, denominato ‘Autonomi NS La Spezia’ composto da militanti della frangia più oltranzista dell’estrema destra riconducibili all’area naziskin.
Per farsi propaganda affiggevano nelle vie cittadine simboli nazisti e imbrattavano targhe e iscrizioni
I carabinieri del comando provinciale della Spezia hanno compiuto sei perquisizioni e per tre indagati è stato disposto l’obbligo di dimora nel comune di residenza con il divieto di allontanamento dall’abitazione nelle ore notturne.
Il gruppo, secondo i carabinieri, organizzava ronde illegali ‘punitive’, nei confronti di cittadini extracomunitari, e in alcune circostanze ha appiccato il fuoco a raccoglitori di indumenti usati della Caritas diocesana della Spezia e a un macchinario di una cava.
Il gruppo aveva anche una base logistica: una roulotte parcheggiata in una zona boschiva di Follo (La Spezia), dove i carabinieri hanno trovato istruzioni per fabbricare ordigni rudimentali, realizzabili con componenti di uso comune normalmente in vendita.
(da agenzie)
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Aprile 29th, 2017 Riccardo Fucile
GRASSO E BRUTI LIBERATI CONTRO IL COMPORTAMENTO DI ZUCCARO: “LE REGOLE DEL PROCESSO PENALE NON PREVEDONO ATTI DI FEDE”
“Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi’. Lo può dire Pasolini, che subito aggiunge ‘io so perchè sono un intellettuale, uno scrittore’. Non lo può dire un procuratore”.
Così l’ex procuratore di Milano ed ex presidente dell’Anm, Edmondo Bruti Liberati, in un’intervista a Repubblica in merito alle dichiarazioni del procuratore di Catania Zuccaro su Ong e migranti.
“La procura, acquisita una notizia di reato, deve indagare per accertare fatti specifici e responsabilità individuali, con il livello di prova elevato che si esige per una condanna, nel pieno rispetto delle garanzie di difesa. Non è accettabile – sottolinea Bruti Liberati – che si faccia intendere di avere raggiunto ‘certezze’ su un fenomeno criminale sulla base di fonti non utilizzabili”.
Non ha dubbi, Bruti Liberati che “Zuccaro non doveva parlare così”.
E continua: “Giustamente si critica chi utilizza una informazione di garanzia già come condanna anticipata. In questo caso, sembra di capire, non vi è neppure, al momento, un fascicolo a carico di noti o di ignoti, ed è proprio il Procuratore ad anticipare giudizi”.
Nell’intervista l’ex magistrato sottolinea che “è doveroso trasmettere alle autorità competenti preoccupazioni e sospetti, che potranno essere sviluppati anche con gli strumenti dell’intelligence a disposizione dell’ esecutivo. Ma il pubblico ministero non può chiedere un atto di fede. Le regole del processo penale non possono essere mai cortocircuitate”.
Dello stesso avviso Pietro Grasso, presidente del Senato che evidenzia come un “magistrato si possa pronunciare prima che si facciano le indagini mi pare un po’ fuori dall’ordinamento. Va fuori da quelle che sono le competenze di un magistrato”.
“Bisogna parlare delle indagini solo quando sono concluse”, aggiunge.
“La polemica sull’inchiesta sulle ong della Procura di Catania “è stata strumentalizzata da una parte politica che è contro l’accoglienza e l’integrazione”.
“Tutto questo fa male – dice ancora il Presidente del Senato – perchè bisogna comprendere, soprattutto, quale può essere la strumentalizzazione di dichiarazioni (del Procuratore di Catania ndr) che sono state fatte magari in buona fede, in un momento particolare e in cui si vuole mettere sull’avviso di un pericolo”.
Grasso, quindi, ammonisce: “Una persona che ha un incarico istituzionale deve anche prevedere le strumentalizzazioni delle proprie dichiarazioni”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 29th, 2017 Riccardo Fucile
HA 28 ANNI E OPERA PER MEDICI SENZA FRONTIERE: “SE QUELLI CHE CI ATTACCANO AVESSERO VISTO QUELLO CHE HO VISTO IO, NON AVREBBERO PIU’ PAROLE”
“Aiutiamoli a casa loro” è il mantra che viene ripetuto in questi anni, diventato una specie di scudo per chi vorrebbe impedire l’arrivo dei migranti.
Come dire: “Io non voglio che arrivino nel mio Paese, ma non sono razzista eh, non dico di non aiutarli, ma di aiutarli a casa loro”.
È una frase che di per sè non sarebbe negativa, in fondo stiamo parlando di dare aiuto. Il problema è che nella stragrande maggioranza dei casi rimane una frase vuota, dietro a cui non c’è nulla.
E si riduce solo a un “tenetemi lontano il problema”. Aiutare significa collaborare, non allontanare; significa occuparsi della questione, non semplicemente non volerla sotto casa. Eppure le stesse persone che intonano il solito “aiutiamoli a casa loro” aggrediscono le Ong che, come Medici Senza Frontiere, nei territori di guerra sono unici luoghi di soccorso. Ho incontrato una persona che ha deciso concretamente di aiutare a casa loro. Si chiama Ileana Boneschi.
Perchè una ragazza italiana, di 28 anni, con una formazione da ballerina decide di diventare ostetrica in zone di guerra? Slancio mistico? Voglia di farla finita con una vita ordinaria? Nulla di tutto questo, ma per saperlo ho dovuto incontrarla Ileana che ha un corpo da danzatrice e un viso rinascimentale, con spigolosità nobili del mento e degli zigomi. Ileana è un’ostetrica di Medici Senza Frontiere e fa nascere bambini in zone di guerra, dove esistono emergenze sanitarie che non riusciamo nemmeno a immaginare, dove ogni parto è un miracolo. “Non si parla mai delle donne incinte quando si pensa a una guerra”, dice. Ed è proprio così. Ileana ha partecipato a due missioni in Sud Sudan dove è in atto una guerra etnica e ha assistito nel parto donne che quando non riescono a raggiungere gli ambulatori di Medici Senza Frontiere, partoriscono dove capita, in baracche, ma anche nelle paludi, se stanno scappando. “Ho visto clampare e tagliare i cordoni ombelicali con cose stranissime: fili di fieno, fili d’erba, piccoli pezzi di cotone per legarli; pezzi di vetro o di lamiera per tagliarlo, con il rischio consistente di infezione da tetano”.
Come hai deciso di diventare un’ostetrica? Hai detto che studiavi danza… poi cos’è successo?
“Ho studiato danza da quando ero piccina, dai tempi dell’asilo. Ero uno scricciolo… Mi piaceva da morire, era bellissimo. Poi sono cresciuta e ho fatto il liceo artistico. Tra le cose più importanti che l’artistico mi ha dato c’è l’aver allenato la mia sensibilità a meravigliarsi del mondo. Ricordo che in quegli anni, che erano già gli anni Duemila, la mia attenzione cadeva su storie che arrivavano da mondi lontani. Storie di sofferenza e ingiustizia. Ed è lì che ho cominciato a percepire questo stato di debito che avevo nei confronti della vita: da una parte io, più che fortunata, dall’altra gente che non aveva niente, nemmeno mezza delle fortune che avevo io, ogni giorno. E quel debito lo soffrivo, come lo soffro ora e quindi l’unico modo che ho trovato per riuscire a gestirlo è stato chiedermi: cosa faccio per combatterlo?”.
E cosa hai fatto?
“Sapevo che saldare quel debito era impossibile, però potevo fare qualcosa per bilanciare un po’ la fortuna che mi accompagna da sempre”.
La politica, l’impegno sociale…
“Grandi pensieri, massimi sistemi… fuffa ai miei occhi. Tutti possono avere idee ma poi ciò che cambia è l’azione. Io ero per l’azione, per fare una cosa pratica, che avesse un impatto immediato, tangibile”.
E quindi…
“Pensai che diventare medico fosse il modo migliore per riuscire a fare questa cosa, e non un medico a caso, ma un chirurgo di guerra, proprio perchè la chirurgia non è solo di testa ma è anche di mani, di pratica, e io sentivo il bisogno di fare qualcosa. Quando ho compiuto i 18 anni i miei genitori mi regalarono Pappagalli verdi di Gino Strada e nella dedica mi scrissero: ‘Temiamo che ci stiamo facendo un autogol regalandoti questo libro’. Sapevano che mi avrebbe portato lontano da loro”.
Autogol realizzato.
“Avevano capito esattamente verso cosa mi stavo muovendo ma non hanno contrastato la mia inclinazione, anzi hanno incoraggiato la mia formazione”.
È l’unico modo per essere genitori liberi: non bloccare il talento dei figli ma impegnarsi per renderlo il più possibile consapevole. Ma non sei diventata chirurgo però.
“No! Feci il test per Medicina, ma non lo passai per un quarto di punto, un maledetto – o benedetto, chi lo sa? – quarto di punto. Però avevo provato anche l’ingresso al corso di laurea in Ostetricia, ed entrai. Avrei potuto ritentare il test per Medicina l’anno successivo, ma avevo troppa fretta di fare. Iniziai Ostetricia e presto mi appassionai perchè è un lavoro meraviglioso. Durante il corso di studio avevo bisogno di dirmi: ‘ho fatto questa scelta per poi lavorare là ‘”.
Là dove?
“Là in Africa, dove c’è bisogno”.
E sei andata in Africa.
“Alla fine del primo anno, d’estate, andai in Africa come volontaria. Facevo assistenza ad ex ragazzi di strada di Nairobi, una realtà molto pesante tuttora. Tornai dall’Africa ancora più carica. Quindi mi laureai in Ostetricia. Subito dopo la laurea partii per il Kenya come volontaria con altre due compagne di corso. Passammo 3-4 mesi in ospedali missionari”.
Tutto lavoro volontario?
“Certo. Ai tempi nessuno ancora ci avrebbe pagato: eravamo alle prime armi”.
Come andò?
“Non fu un’esperienza semplice, sia dal punto di vista professionale, perchè eravamo appena laureate, sia dal punto di vista personale. Poi tornai in Italia, e per quanto volessi ripartire presto, sapevo che se avessi voluto fare l’ostetrica professionista in un mondo a basse risorse, avrei dovuto prima diventare un professionista e migliorare lavorando in Italia”.
E quindi, lavorando in Italia, come ti sei formata sul campo? Quando trovavi il tempo?
“Durante le ferie”.
Le ferie?
“Sì, proprio così. Quando avevo delle ferie cercavo di ripartire anche solo per qualche settimana, per dare una mano in piccoli ospedali perchè il mio obiettivo era raggiungere i requisiti per fare l’application”.
Per Medici senza frontiere?
“Sì! Era il Ferragosto del 2013. Scelsi Msf perchè la sentivo assolutamente vicina alla mia idea di assistenza medica in certi contesti. Essendo un’associazione gigante non davo affatto per scontato che mi prendessero. Ma a ottobre 2013, mentre ero in reparto, mi arrivò una chiamata da Roma: ricordo la frase ‘Benvenuta in Msf!’, mi sciolsi”.
Sai che alla tua età molte tue coetanee userebbero questa espressione “mi sciolsi” per descrivere altre situazioni? Magari un mutuo accettato, un lavoro a tempo indeterminato, tu ti sei sciolta appena hai saputo che saresti andata a lavorare in territori di guerra?
“Per me essere dentro Msf era la felicità massima. Ho frequentato un corso di preparazione pre-partenza che ti fa fare proprio Msf in cui ti danno delle nozioni su come gestire lo stress in missione, perchè non siamo chiamati a fare solo lavoro di clinica, ma anche di selezione dello staff e di formazione. E nel frattempo da Roma cercano di matchare il tuo profilo con l’effettivo bisogno della missione”.
Dove ti mandarono?
“Sarei dovuta partire per il Myanmar, principalmente per dare assistenza ai Rohingya ma poi per problemi di sicurezza la missione viene ridotta e non partii più”.
Prima missione subito fallita. Ci sei rimasta male?
“No, capisco subito che in Msf il primo requisito è la flessibilità perchè come è naturale per territori dove c’è instabilità , i piani possono cambiare all’ultimo minuto. Poi però sono partita davvero”.
Per dove?
“Per il Sud Sudan dove l’unico modo per spostarsi sono questi piccoli aerei caravan di Msf. Arrivo a Nasir, nell’Upper Nile State e inizio a capire come vanno le cose. Dopo quarantott’ore mi dicono che la linea del fronte si sta spostando verso l’ospedale – noi eravamo in zona ribelle – e quindi era il caso di ridurre il numero di espatriati (gli espatriati, nelle missioni, sono le persone dello staff internazionale ndr) del progetto. Ero l’ultima arrivata e mi chiedono se posso tornare a Juba. Rientro successivamente a Nasir e abbiamo informazioni che i soldati stanno avanzando molto velocemente verso la zona dove si trova l’ospedale, quindi tutto il nostro team deve mettere in pratica il piano di evacuazione attraverso il fiume Sobat, direzione Etiopia. È buio, prendiamo la barca e percorriamo per un pezzo il fiume. Sbarchiamo e dormiamo nel nulla; nella direzione opposta vediamo uomini e ragazzi ubriachissimi che sfrecciavano verso il fronte sparando a salve per gasarsi”.
Che ne fu dell’ospedale a Nasir?
“Completamente distrutto. Le sacche di sangue strappate e il sangue versato ovunque. Un gesto barbaro per dire voglio ucciderti e voglio eliminare quei pochi strumenti che hai per curarti”.
Hai avuto paura?
“Può sembrare strano, ma mai. Msf ha una gestione della sicurezza che secondo me è fenomenale ed è lo strumento essenziale per fare missioni in posti remoti mettendoti nelle condizioni di sentirti sicuro. Se non sei protetto, non hai la condizione fisica e mentale per poterti dedicare alle persone per cui sei lì. C’è gente che si occupa della tua sicurezza in modo che tu possa occuparti dei tuoi pazienti”.
E qual è il tuo lavoro lì?
“Quando si fugge, quando la popolazione resta per settimane lontana dai villaggi la prima emergenza è la malnutrizione. Adulti e bambini sono tutti scheletri che camminano. In queste condizioni, per prima cosa bisogna farsi arrivare plumpynut, ovvero il cibo terapeutico che pesa moltissimo e per il quale servono molti voli, ma durante la stagione delle piogge le piste diventano un mare di fango e far arrivare ciò che serve è complicatissimo. Poi allestire una sala operatoria cosa fondamentale per salvare le donne, quando i tagli cesarei sono indispensabili. I trasferimenti all’ospedale di Bentiu a 130 km di distanza erano difficilissimi, questo vuol dire che le donne che non sono riuscita a trasferire le ho perse davanti ai miei occhi. E poi le trasfusioni: se c’è bisogno di una trasfusione trovare un donatore compatibile tra Hiv e malattie sessualmente trasmissibili è come vincere alla lotteria”.
Come non farsi dominare dallo sconforto?
“Imparo da loro. I sudsudanesi sono forti sin dalla nascita. Spesso arrivano bambini di uno o due giorni di vita con gravi infezioni in atto che con due dosi di antibiotico generico e un po’ di ossigeno riescono a riprendersi. La notte la situazione sembrava persa, ma al mattino li trovavo attaccati al seno e dopo pochi giorni li dimettevamo. La loro forza è incredibile ai miei occhi”.
Poi sei rientrata in Italia…
“Sì, ma poi di nuovo in Sud Sudan e questa volta a Bentiu dove c’è un campo rifugiati che ospita circa 110mila persone ed è sotto la protezione delle Nazioni Unite. Lì Msf ha un grande ospedale con una piccola sala operatoria”.
Come gestite gli aiuti in situazioni di tale affollamento?
“Una cosa che ci tengo a dire è che lo staff di Msf si basa sugli espatriati internazionali, quindi su chi va e viene, ma lo staff è soprattutto locale, quindi persone che danno un contributo fondamentale, stanno vivendo sulla propria pelle le tragedie dei loro paesi, persone vulnerabili perchè stanno soffrendo moltissimo. Eppure ogni mattina hanno la forza di presentarsi nel nostro ospedale e fare i loro turni. Questa cosa io la trovo eroica”.
Come vedi la situazione in Sud Sudan
“Drammatica. Se si pensa, ad esempio che la violenza sessuale è una realtà estremamente diffusa ed è usata come arma di guerra. Io avevo a che fare con vittime abusate da gruppi rivali ma il giorno dopo poteva accadere il contrario. Il Sud Sudan è un paese che vive di aiuti umanitari e la situazione non è in via di miglioramento quindi resterà dipendente dalle ong per molto tempo”.
Qui non si fanno più figli, invece là se ne fanno moltissimi
“La differenza credo risieda nella possibilità di poter fare delle scelte. Se non vedi alternative riproduci i modelli che hai. L’hai visto fare a tua nonna, a tua madre, a tua sorella… Non avere mezzi di comunicazione, l’essere nata e cresciuta nel bel mezzo del niente ti conduce a fare ciò che hai visto fare. Qui per quanto le donne spesso non siano libere di scegliere quello che vorrebbero fare in un determinato momento, almeno sono a conoscenza di come la questione di fare bambini si possa affrontare in modi diversi. Secondo me questa è la chiave. Se poi penso al Sud Sudan, in quel contesto le cose semplicemente succedono alle persone, soprattutto alle donne. A loro succede anche di partorire nelle paludi, un parto in acqua un po’ diverso da come lo intendiamo noi”.
Nelle paludi?
“Sì. Quando sono tornata in Sud Sudan, a Bentiu, ebbi modo di lavorare con lo stesso staff con cui avevo lavorato due anni prima, perchè nel frattempo loro avevano dovuto lasciare Leer. Mi raccontarono quella che era stata la fuga della popolazione dai soldati. Per mesi uomini, donne, bambini e anziani si erano dovuti nascondere di notte nelle paludi. Le ostetriche mi raccontavano di parti che avevano assistito con grande ansia perchè lì non avevano veramente nulla. Nulla con cui aiutare con le donne, non un paio di guanti, non un posto dove metterle al pulito, niente per scaldare il bambino dopo la nascita”.
Ma la contraccezione?
“Anche chi conosce i metodi contraccettivi fa molti figli perchè considerano i bambini sempre un dono e perchè sanno che un’alta percentuale di loro non sopravvivrà . È difficile far passare il messaggio che se potessero distanziare un po’ di più le gravidanze e investire più risorse sui piccoli che hanno potrebbero invece far sì che tutti i bimbi riescano ad arrivare all’età adulta”.
Essere madre in Sudan, in Iraq, ed essere madre in Italia. Sembra che faccia più paura alle donne europee partorire che a quelle africane.
“Noi in Italia, in linea di massima a 30 anni cominciamo a pensare di voler avere un bambino, e come esperienza, quando accade, ci si presenta come totalmente nuova, complicata, lontana persino estranea. Mentre se sei sudsudanese, un bambino che nasce e che cresce è così frequente nella tua vita che, nonostante le difficoltà , è molto più ‘semplice’ da affrontare. Per una madre italiana – lo vedo dalle donne che assisto – nonostante ci siano molti più mezzi per sostenere il figlio e proteggere il parto, tutto è molto più complicato. Le donne tutte le notti si nascondono nella palude, un parto in acqua un po’ diverso. In Iraq i mariti noleggiano taxi per accompagnare le mogli in ospedale e la nostra difficoltà maggiore avviene quando, dopo il parto, non riusciamo a trattenere in ospedale sotto osservazione madre e figlio nemmeno per due ore, considerando che le linee guida impongono un’osservazione di almeno 24 ore. Vanno via, per ridurre i costi del noleggio delle auto e non c’è nulla che noi possiamo fare per impedirlo”.
Qual è la differenza di mezzi disponibili tra una sala parto di un Paese a basse risorse e una sala parto di un Paese sviluppato?
“Msf è molto forte nel voler garantire degli standard alti, sopra la sufficienza: quando apre una maternità si assicura che tutti gli strumenti essenziali siano presenti. Ad esempio la sterilizzazione dei ferri, senza questo la maternità non apre. Ovviamente deve essere tutto manuale, nulla è elettrico, perchè la nostra capacità elettrica nei vari progetti può essere molto varia, quindi dobbiamo essere sicuri del funzionamento dei macchinari anche in assenza di corrente”.
Hai detto che, nonostante le difficoltà che queste mamme sono costrette a vivere in guerra, dopo il parto una volta superata la fatica fisica, la prima sensazione che senti in loro è la gioia.
“La prima espressione è sempre di stanchezza totale, il corpo ha sperimentato un dolore gigante. Però quando la mamma prende in braccio il bambino c’è tantissima gioia. Le donne sanno che il percorso di nascita presenta molti rischi quindi quando partoriscono e vedono che il bambino piange, è vivo e sta bene e che anche loro sono vive e stanno bene, sono meravigliate e felici”.
Ileana in queste storie misura la resistenza delle donne.
“Ricordo il caso di una ragazza molto giovane in Sud Sudan, rimasta incinta dopo una violenza sessuale da parte di un soldato durante un attacco alla popolazione civile. Era al suo primo bambino, e venne al nostro presidio maternità accompagnata dal fratello (cosa strana perchè di solito sono le donne a fare assistenza, gli uomini normalmente in sala parto non entrano): iniziò il suo travaglio, ma il bambino non aveva più battito, era morto in utero per una malformazione fetale. Tra l’altro il bambino era podalico, quindi un parto difficile… Lei è stata in travaglio tutta la notte senza emettere il minimo suono di lamento, con una forza incredibile, fino al momento del parto, senza nemmeno aver vicina una mamma o una sorella che le potesse dire una parola di conforto. È quella secondo me la forza, una forza che sembra dire: ‘Nonostante ne abbia passate di tutti i colori adesso sono qui e lotto per liberarmi da questa situazione'”.
Che ne pensi delle polemiche di questi giorni sulle ong? Ti sei fatta un’idea del perchè siano partite e quale sia il loro scopo?
“Se tutti quelli che commentano e alimentano questa polemica avessero visto una mamma o un bambino in difficoltà , nessuno avrebbe più parole, ma tutti si metterebbero a fare”.
Ileana è una delle moltissime anime di Msf che come altre Ong organizza la solidarietà non rendendola una parola vuota o sospetta.
Ho voluto che si raccontasse perchè il racconto è la migliore risposta, forse l’unica, alle insinuazioni di questi giorni.
Persone come Ileana hanno trasformato l’aiutiamoli a casa loro nella più umana delle declinazioni: aiutiamoci.
(da “La Repubblica”)
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Aprile 29th, 2017 Riccardo Fucile
NEL 2004 INTERVENNE IN SOCCORSO DI UN GOMMONE CHE STAVA AFFONDANDO: VENNERO ARRESTATI E CI VOLLERO 5 ANNI PER L’ASSOLUZIONE
“Se potessi parlare con i magistrati italiani, gli ricorderei quello che ho vissuto e subìto quando nel giugno del 2004 mentre navigavamo nel Canale di Sicilia abbiamo avvistato un gommone con 37 persone che stavano affondando. Li soccorremmo avvisando le autorità italiane e li salvammo. Poi per 21 giorni ci bloccarono in mare aperto perchè non ci volevano fare sbarcare sulle coste siciliane e quando finalmente ci fecero attraccare a Porto Empedocle (Agrigento ndr) ci arrestarono per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, fummo portati in carcere e dopo 5 anni, dopo il processo, ci assolsero. Non avevamo compiuto nessun reato, avevamo salvato soltanto delle vite umane che stavano per affondare”.
Stefan Schimdt, tedesco, ormai settantenne e che adesso lavora per una organizzazione umanitaria in Germania, nel 2004 era il capitano della nave Cap Anamur di proprietà di una Ong che portava lo stesso nome del mercantile trasformato in nave ospedale.
Precedentemente questa nave era stata impiegata come soccorso umanitaria nelle missioni di salvataggio di profughi vietnamiti. Ne salvarono oltre 10 mila mentre altri 35 mila ricevettero assistenza sanitaria a bordo.
Adesso Stefan legge le polemiche italiane di questi giorni sulle accuse, vere o presunte sulle Ong che negli ultimi anni solcano le acque del Canale di Sicilia ed è amareggiato. “Ho letto quello che sta succedendo in Italia e sulle accuse che vengono lanciate verso le Ong. Ma dalla mia esperienza vi devo dire che queste organizzazioni e tra queste anche alcune tedesche, non fanno altro che salvare vite umane. Ne hanno salvate a migliaia e continuano a farlo. Dal mio punto di vista, dal punto di vista di uno che ha subito sulla sua pelle queste infamanti accuse, sono convinto che le Ong fanno un’opera umanitaria poi se qualcuno fa qualcosa di sporco che la si denunci e lo si provi”.
Lei che aveva soccorso in mare quei 37 migranti in mare che stavano per affondare, fu poi arrestato, processato ed assolto. Lo rifarebbe?
“Certo che si. Noi eravamo tutti volontari, una decina di uomini di equipaggio tutti trattati alla stessa maniera, non c’erano gradi e non c’erano “stipendi” diversi. Dal cuoco al comandante venivano pagati con pochi soldi e tutti in egual misura. Quando incrociammo quel gommone con 37 persone a bordo che stava per affondare li salvammo. Ma le autorità italiane ci proibirono di proseguire la navigazione verso le loro coste. Ci lasciarono per 21 giorni in mezzo al mare. Ci suggerivano di portare quei migranti in Germania visto che la nave batteva bandiera tedesca, ma era una follia. Poi siete venuti a bordo voi di “Repubblica” ed avete denunciato la situazione provocando un caso internazionale. E solo dopo ci fecero attraccare a Porto Empedocle”.
E quando arrivaste foste arrestati, lei il dirigente della Ong Cap Anamur ed il direttore di macchina. Cosa provaste?
“Amarezza, incredulità . Ci trattarono come dei criminali, ci portarono in carcere e dopo settimane fummo scarcerati ma processati. Dopo 5 anni, dopo tanti soldi spesi, da noi ma anche dal vostro governo, fummo tutti assolti, non eravamo trafficanti di essere umani, eravamo soltanto dei volontari che volevano salvare vite umane”.
E adesso quella nave, la Cap Anamur è ancora “viva”?
“Quella nave, come noi, fu distrutta. Era una nave con una attrezzatura sanitaria che era diretta in Iraq per assistere quelle popolazioni. E, come noi, fu “arrestata”, sequestrata, confiscata e poi svenduta per quattro soldi. Adesso è stata acquistata da una società straniera come porta containers e naviga nelle acque del mar Baltico. Ma avrebbe potuto salvare ancora vite umane”.
Che fine fecero quei 37 migranti?
“Furono arrestati anche loro, e furono tutti rimpatriati. Tranne uno, Benjam Robat che aveva ammesso di essere un nigeriano”.
(da “La Repubblica”)
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Aprile 29th, 2017 Riccardo Fucile
E NESSUNO SI SCANDALIZZA DEL FATTO CHE VENDIAMO ARMI A MOLTI PAESI ARABI CHE GENERANO POI L’ESODO DEI PROFUGHI
Premessa: l’unica soluzione che abbia un senso sono i corridoi umanitari. Il progetto-pilota, realizzato dalla Comunità di Sant’Egidio con la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e la Tavola Valdese, completamente autofinanziato, ha portato in Italia negli ultimi mesi quasi 800 persone. Senza scafisti che ci lucrano sopra, senza carrette di mare che rischiano di affondare, senza disperazione.
Seconda premessa: se qualcuno, sia essa una persona o una Ong, smezza i guadagni con gli scafisti, ebbene la magistratura intervenga, reprima e condanni in modo esemplare chi ha lucrato sulla pelle dei disperati.
Poste queste necessarie premesse, partiamo da un assunto: se per qualcuno la vita umana è addirittura sacra, certamente e indiscutibilmente è cosa di straordinario valore e di immensa importanza.
Talmente importante che per salvare una vita umana è giusto fare qualsiasi cosa.
Lo sarebbe anche se si trattasse di una vita “colpevole” di qualche reato, figuriamoci se si tratta di una vita innocente: una vita di donna, di uomo, di bambino che si porta appresso il carico di disperazione e di tragedia che ha costretto alla scelta difficile e devastante di scappare.
Lasciare i propri amori, le famiglie, la propria terra, la propria casa portandosi appresso appena un cambio d’abito e tanta angoscia per un futuro che certamente non sarà roseo ma solo meno pericoloso di quello cui si sono voltate a malincuore le spalle.
Quindi ben vengano le telefonate tra le navi che incrociano il Mediterraneo e le carrette del mare, i gommoni bucati.
Ben vengano anche se queste telefonate partono dagli scafisti. Perchè queste sì che sono le telefonate che salvano la vita: se non ci fossero forse si metterebbero in mare tre o quattro gommoni di meno, ma certamente i morti in più sarebbero centinaia.
Mi piacerebbe che questa scelta — se fosse reale — fosse anche rivendicata a fronte dell’ottusità con cui l’Europa continua a far finta di non affacciarsi non più su un mare ma su un immenso cimitero.
E rivendicata soprattutto a fronte dell’ottusità con cui questa Europa invece di aprire utili canali umanitari erge inutili e mortali muri e barriere.
Forse non dalle Ong che nel Mediterraneo lavorano, perchè sappiamo quanto sarebbe per loro rischioso. Ma certamente dalle grandi organizzazioni che in Italia e in Europa si occupano di migrazioni e di migranti.
È impressionante il carico di ipocrisia che sta accompagnando le polemiche di questi giorni, aperte dalle improvvide e insensate dichiarazioni dell’ennesimo magistrato che parla a sproposito: al solito, c’è una scala di valori sulla sacralità della vita, e sembra proprio che quella di un feto bianco valga assai più di quella di un bambino, di un uomo o di una donna siriana, centrafricana o somala.
Impressionane perchè in questi stessi giorni scopriamo che crescono vertiginosamente le autorizzazioni all’export militate italiano: 14,6 miliardi di euro (+85% rispetto al 2015, +452% rispetto al 2014).
Armi che vengono vendute a Kuwait, Arabia Saudita, Turchia, Qatar, Usa. Tutti Stati che notoriamente contribuiscono alla pace nel mondo.
Il minimo che l’Italia, e l’Europa che quanto a produzione di armi non è da meno, dovrebbero fare a fronte di questi spropositati numeri di morte è affittare traghetti per fare la spola tra sud e nord del Mediterraneo, per salvare i civili che le nostre guerre colpiscono.
E invece ci ritroviamo un Minniti che (con Orlando) punisce chi rende meno decorose le nostre strade mettendo in mostra le nostre colpe.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 29th, 2017 Riccardo Fucile
GLI ITALIANI IMPEGNATI NELLE ONG DEL VOLONTARIATO SONO 5 MILIONI, MOLTI VOTAVANO M5S, ORA SONO DISGUSTATI
Scrivo con indignazione a fronte dei violentissimi attacchi a Ong di cui conosco bene valore, trasparenza ed efficacia. E scrivo da presidente della Social change school, che ha formato molti dei manager e dei professionisti che oggi lavorano proprio in quelle organizzazioni, per prendere posizione a supporto della reputazione loro e dei loro dirigenti.
Sono testimone da molti anni dell’onestà e della durezza di un impegno portato avanti tra il danno delle emergenze e la beffa dei buffoni in politica.
Le Ong italiane stanno in questa settimana reagendo unite e con valutazione politica e penale delle calunnie sottintese alle domande ed alle affermazioni piene di fango del blog Cinque Stelle e Luigi Di Maio, “valutando in quali sedi intervenire in difesa della propria azione, immagine e credibilità (Medici Senza Frontiere-Ufficio Stampa)”.
Vorrei fare un po’ d’ordine, raggruppare le principali risposte pervenute al momento in cui scrivo e chiarire gli aspetti penali delle dichiarazioni che le Ong stanno valutando.
Secondo l’articolo pubblicato sul blog di Beppe Grillo, non si capirebbe quali siano i finanziatori delle Ong: “Da dove arrivano questi soldi?”.
Risposta semplicissima: “Le attività di salvataggio sono realizzate con fondi privati, con il sostegno di fondazioni e attraverso libere donazioni di cittadini, senza richiedere finanziamenti pubblici” precisa Aoi, Associazione Ong italiane. A
Basta leggere i bilanci di Ong come InterSOS, Save the Children, Medici Senza Frontiere e Amnesty International, che da anni sono trasparenti nel condividerli con il web con chiunque voglia conoscerli prima di sparlare.
Marco Bertotto per Medici Senza Frontiere: “Forse chi ci critica dovrebbe chiedersi come mai ci sono tanti cittadini italiani disposti a darci qualcosa per salvare tante vite in mare”.
Prosegue il blog 5 Stelle: “In base a quale accordo queste Ong se ne stanno a ridosso delle coste libiche per fare il pieno di migranti e portarli in Italia? Con chi si relazionano in Libia? Fare il pieno di migranti”.
Ma che linguaggio squallido! Per Marco Bertotto (MSF), parlano i numeri: “I numeri non forniscono nessuna prova del fatto che esistano delle connessioni tra la presenza dei mezzi di soccorso e il numero delle partenze dalla Libia”.
Valerio Neri, direttore di Save the Children, chiarisce che la magistratura “ha definito Save the Children e MSF al di sopra di ogni sospetto” e che “i nostri interventi nascono, si sviluppano e si concludono esclusivamente sotto le direttive della Centrale Operativa della Guardia Costiera che coordina i soccorsi in mare” (La Repubblica). Tutto il resto è calunnia.
Durissima e senza appello è anche la reazione di Amnesty International, rappresentata da Giovanni Ruffini, che mette la mano sul fuoco su tutte le Ong italiane impegnate nei salvataggi.
Ancora Associazione Ong italiane: “I vertici della Guardia di Finanza, ascoltati dalla Commissione Difesa del Senato, hanno negato l’esistenza di prove di collegamenti fra ong e organizzazioni che gestiscono il traffico di migranti, come invece si continua subdolamente ad affermare”.
Inoltre “l’Agenzia europea Frontex non ha mai definito ‘taxi del mare’ le imbarcazioni di Moas, MSF, Save the Children, Sos Mèditerranèe e delle altre Ong, come invece l’onorevole Di Maio ha scritto e detto in questi giorni”.
Filippo Ungaro, responsabile comunicazione per Save the Children, mi scrive semplicemente: “E’ una cosa allucinante, noi salviamo vite, siamo trasparentissimi!”.
Un boomerang politico per il Movimento 5 Stelle. Lodovico Mariani, direttore finanziario di Amref e nostro ormai storico collaboratore nella formazione di ambito umanitario, commenta con amarezza: “E’ un pericolo molto insidioso per una società perdere il valore delle vite umane ed usarle per posizionamenti elettorali”.
Un vice-presidente della Camera, l’onorevole (per definizione) Luigi Di Maio, che, per posizionamento elettorale, arriva al cinismo di descrivere come “taxi del mediterraneo” dei gommoni sbilenchi traboccanti di umanità devastata e programmati per affondare dopo pochi chilometri in modo da obbligare Guardia costiera e Ong al salvataggio, denota per le Ong italiane “il grado di pochezza politica, ignoranza e becera strumentalizzazione che sta diffondendosi anche ai più alti livelli istituzionali”.
La Cei rincara e definisce “vergognose” le parole di Di Maio in merito alle Ong che si occuperebbero dei migranti, rimangiandosi l’apertura da poco concessa.
Per me, le disonorevoli parole di Di Maio denotano una sensibilità degna di un giovane gerarca nazista. E’ questa la nuova classe politica italiana?
Aggiungo: questa ricerca di posizionamento politico ‘trumpista’ col mero calcolo elettorale di togliere qualche voto alla Lega ed all’estrema destra è politicamente controproducente in Italia.
Nelle Ong e nel ‘Terzo settore’ italiano lavorano o fanno volontariato 5 milioni di persone, di cui in parecchi, prima di queste uscite, simpatizzavano per i 5 Stelle. Attivisti, passionali, persone che non solo votano ma fanno la società dal basso e fanno opinione.
Questa è una grave frattura che causerà tanti voti persi per il M5S, spintosi su un posizionamento estremo proprio mentre l’europeismo vince in Francia con Macron. Noi la disumanità non riusciamo a votarla, neanche turandoci il naso.
Nel video che segue, il racconto vero e questo sì, onorevole, sul dramma dei salvataggi e sulla collaborazione tra Save the Children e Guardia Costiera, con le parole di Daniela Fatarella, vicedirettrice di Save The Children.
Concludendo una nota personale: per un po’ avevo creduto che il Movimento 5 Stelle avrebbe potuto costituire uno scossone anche valoriale per l’Italia.
Ora temo che un Movimento nato da un buffone (in pregevole senso artistico) possa finire in una tragica buffonata (in senso politico).
Perchè non accada, Grillo e Di Maio, salite sulle nostre navi, informatevi bene, sciacquatevi la bocca prima di parlare delle Ong e recuperate quell’umanità che state calpestando dentro e fuori di voi.
Forse resisteremo alla tentazione di buttarvi a mare.
Marco Crescenzi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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