Aprile 3rd, 2017 Riccardo Fucile
BOSSI OTTIENE CHE NON VENGA TOCCATO LO STATUTO, SALVINI ACCETTA E SI SPUTTANA PER PAURA DI UN CONGRESSO SPACCATO… RESTA LA DIVISIONE TRA SALVINI CHE VUOLE IL CONGRESSO IL 21 MAGGIO. PRIMA DELLE AMMINISTRATIVE. E CHI LO VUOLE DOPO LA CONSULTAZIONE (NEL CASO ANDASSERO MALE PER CAMBIARE SEGRETARIO E LINEA POLITICA)
Un congresso soft senza sfidanti per Matteo Salvini alla vigilia delle amministrative. È questo l’obiettivo della Lega che si è data appuntamento per il 21 maggio prossimo, in una località ancora da definire e da scegliere tra il Veneto e la Lombardia.
“La Lega va a congresso per prepararsi alle elezioni politiche che speriamo ci siano il prima possibile. È un congresso di rilancio e rafforzamento, sarà un grande momento di ascolto di tutti i militanti. Sono pronto a girare provincia per provincia prima del congresso”, ha annunciato Salvini, nel corso della riunione odierna del consiglio federale, massimo organo decisionale del Carroccio.
Il segretario della Lega ha precisato che la decisione sulla data è stata presa dal consiglio federale su proposta dello stesso Salvini.
Una settimana prima del congresso, e quindi il 14 maggio, ci saranno invece le primarie nelle segreterie provinciali.
L’obiettivo è puntare ad un congresso senza sfidanti per il segretario uscente.
Arrivando poco prima delle amministrative dell’11 giugno, infatti, il congresso non può permettersi di mostrare una Lega con fazioni contrapposte e divisioni, con salviniani da una parte e bossiani dall’altra.
Al contrario è opinione diffusa che l’occasione del congresso vada ben utilizzata, anche mediaticamente, evitando boomerang pericolosi.
Non è un caso, che oggi Salvini si è preoccupato di spiegare come “lo Statuto del partito non verrà toccato“, restando nero su bianco nel testo-guida del Carroccio, l’obiettivo del raggiungimento dell’indipendenza della Padania.
Rassicurazioni del segretario che sono state immediatamente salutate con favore da Umberto Bossi e suggellate da una plateale stretta di mano tra il Senatur e Salvini, come non avveniva da tempo.
Una evidente contraddizione tra il “partito nazionale sovranista” che indica Salvini e un partito autonomista come recita lo Statuto che Salvini non ha il coraggio e la forza di cambiare
Per altri dirigenti leghisti, invece, il congresso dovrebbe tenersi subito dopo il voto amministrativo. Perchè — è questo il ragionamento — potrebbe essere quella l’occasione migliore per analizzare il risultato elettorale, e soprattutto, per verificare se la leadership di Salvini e la linea politica sovranista siano vincenti.
Mettendo in campo eventuali correttivi e cambi di linea.
Pro e contro, che verranno sciolti lunedì prossimo, quando i vertici leghisti si riuniranno per la decisione definitiva su quando e dove si farà il primo congresso da quando Salvini è segretario.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 3rd, 2017 Riccardo Fucile
PROCESSO DI GENOVA: NON SOLO OLTRE 4 ANNI DI CARCERE RICHIESTI PER BOSSI E BELSITO E TRE ANNI PER I REVISORI DEI CONTI…IL PARTITO “PERCETTORE DI INDEBITE APPROPRIAZIONI DI SOLDI PUBBLICI”
Quattro anni di carcere per il fondatore della Lega Nord Umberto Bossi e quattro e mezzo per l’ex tesoriere Francesco Belsito, l’artefice del misterioso investimento che portò milioni di euro del Carroccio (rimborsi pubblici pagati dai contribuenti) in Tanzania. L’accusa nei loro confronti è di truffa ai danni dello Stato.
Il pm ha anche chiesto la condanna a cinque anni ciascuno (oltre a una multa da 17 mila euro) per gli imprenditori Paolo Scala e Stefano Bonet (accusati di riciclaggio), due anni e nove mesi per gli ex revisori contabili Diego Sanavio e Antonio Turci, e due anni e quattro mesi per il terzo revisore Stefano Aldovisi (imputati per truffa ai danni dello Stato).
Il pm ha anche chiesto la confisca di oltre 56 milioni di euro alla Lega Nord in quanto «percettore delle indebite appropriazioni dei soldi pubblici».
Il senatur e l’ex cassiere, insieme ai revisori, sono nei guai perchè chiesero e ottennero dal Parlamento chiesero e ottennero dal Parlamento oltre 56 milioni di euro che avrebbero usato per scopi personali., sostenendo che sarebbero serviti a finanziare attività politiche e usandoli infine per ben altro, mentre un altro filone riguarda il trasferimento dei fondi in Tanzania.
E siccome le varie operazioni furono compiute a Genova, qui si celebra il dibattimento.
(da “il Secolo XIX”)
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Aprile 3rd, 2017 Riccardo Fucile
SOVRANISTI SPIAZZATI: INVECE CHE UN “NEGHER” L’ASSASSINO DEL BARISTA E’ UN SOLDATO DI PUTIN… E ORA COME LA METTIAMO: E’ LEGITTIMO DIFENDERSI ANCHE CONTRO UN DELINQUENTE RUSSO O SI RISCHIA LA SCOMUNICA DAL CREMLINO?
C’è un sospettato per l’omicidio del barista di Budrio Davide Fabbri, ucciso sabato sera a Riccardina di Budrio, nel Bolognese, con un colpo di pistola durante un tentativo di rapina.
Lo cercano ovunque, soprattutto nelle campagne della provincia di Bologna e Ferrara. In Emilia Romagna non c’è auto dei carabinieri che non abbia la suo foto sul cruscotto.
Lo cercano sapendo due cose. La prima è pericolosissimo. La seconda potrebbe essere lui il rapinatore che ha ucciso Davide Fabbri, dopo una colluttazione nel suo bar di Riccardina di Budrio, nel bolognese.
Al momento non c’è collegamento certo tra “Igor il russo”, all’anagrafe Igor Vaclavic, 41 anni, ex militare dell’Armata Rossa, e l’assalto di sabato sera durante il quale è rimasto ucciso il titolare del locale in provincia di Bologna.
L’uomo è tuttavia ricercato, nei suoi confronti pende un mandato d’arresto per rapine commesse in provincia di Ferrara nel 2015, anno in cui uscì dal carcere, ed è quello il provvedimento che gli verrà notificato se verrà rintracciato, non essendoci ancora – da quanto si apprende – elementi sufficienti per fermarlo per l’omicidio del Bolognese. Sempre per le rapine c’è un’udienza preliminare fissata, a luglio.
Pare facesse parte, in altri colpi, della banda che rapì e uccise nel settembre 2015 il pensionato Pier Luigi Tartari, ad Aguscello, fatto di sangue a cui il 41enne russo non partecipò.
Nel 2007 fu arrestato per rapine ad agricoltori, minacciati con arco e frecce, nelle campagne tra Rovigo e Ferrara.
Trovarlo potrebbe consentire di verificare se ha eventuali ferite che l’assassino di Fabbri si sarebbe procurato durante la colluttazione con barista. Dunque, si cerca Igor, a riscontro della sua posizione.
E’ un’ipotesi che ha preso corpo nella prima mattina quando si è diffusa la notizia che il ricercato era un ex militare dell’Est Europa.
Gli investigatori hanno inoltre chiesto a tutti i comandi provinciali dei Carabinieri dell’Emilia-Romagna di fare una lista di sospettabili che, per caratteristiche fisiche e per precedenti criminali, possano essere associati al delitto.
Il segnale è che la pista dell’ex militare dell’Est che ha precedenti per rapine violente nel ferrarese non è l’unica, perchè gli elementi in mano agli inquirenti sono troppo pochi, per ora, per imboccare con certezza una sola pista.
Di certo, tra quelle seguite c’è l’analogia con il colpo di Consandolo (Ferrara), dove la sera del 29 marzo un uomo armato di doppietta da caccia aveva costretto, sparando alcuni colpi contro la sua auto, una guardia giurata a sdraiarsi per poi sfilargli la pistola, una Smith&Wesson argentata.
Il vigilante ai carabinieri ha detto di aver visto male, al buio, di avere potuto solo intravvedere una forma di uomo corpulento e non alto, e dunque non sarebbe in grado di riconoscerlo in foto.
Ha confermato peraltro la somiglianza e il calibro della propria pistola rubata con quella usata per uccidere Davide Fabbri
Ci sono poi testimonianze di cittadini che nei giorni scorsi hanno notato una persona con un fucile a tracolla e un giubbotto militare, che girava in bicicletta nelle zone di pianura al confine tra le province di Bologna e Ferrara. Qualcuno aveva pensato ad un cacciatore, ma ora non si esclude che possa essere il killer.
La rapina a Budrio. Venerdì sera, intorno alle 21, il bandito è entrato nel locale che funziona anche da bar sparando un colpo di fucile da caccia e ferendo uno dei due clienti presenti. Aveva chiesto di farsi consegnare i soldi della cassa, ma il barista aveva reagito e gli aveva sfilato l’arma, con cui lo ha anche colpito utilizzandola come un bastone, prima di essere freddato con un colpo di pistola al cuore, nel retrobottega. Gli investigatori pensano dunque che l’omicida abbia ferite o tumefazioni, conseguenze della reazione della vittima. Nel bar c’era anche la moglie del barista e due avventori, uno rimasto ferito di striscio da una pallottola.
Le indagini dei Carabinieri coordinati dal Pm di Bologna Marco Forte proseguono senza sosta, nella consapevolezza della pericolosità del ricercato. Oltre al fucile, che è ritornato a prendere nel locale subito dopo l’omicidio, ha la pistola rubata alla guardia giurata, che si pensa abbia ancora diversi colpi in canna.
La fiaccolata.
Ieri sera, tutto il paese di Budrio si è raccolto per esprimere la propria vicinanza alla moglie di Fabbri e alla famiglia e ha organizzato una veglia a cui hanno preso parte anche le istituzioni. “Il sacrificio di Fabbri non resterà vano – ha detto il sindaco Giulio Pierini – e dove ci sono state delle mancanze sarà fatto il possibile perchè queste cose non accadano mai più. Il nostro è un territorio vasto e le forze dell’ordine hanno fatto un grande lavoro in questi anni”.
(da agenzie)
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Aprile 3rd, 2017 Riccardo Fucile
“IL MERCATO HA BISOGNO DI NOI”…LA FINCANTIERI CERCAVA PERSONALE MA GLI ITALIANI NON VOLEVANO FARE IL LAVORO DI CARPENTIERE
In Costa d’Avorio Yacouba, 24 anni, faceva l’imbianchino. Il 21enne Alin, senegalese, parla tre lingue: francese, arabo e ora italiano.
Il suo connazionale Souleymane non è mai riuscito a finire gli studi universitari. Dall’Africa sono scappati in Italia, sbarcando tra il 2013 e il 2014. Nell’attesa di vedersi riconosciuta la protezione umanitaria, i tre hanno frequentato corsi professionali.
Oggi, lavorano tutti: sono aiuto-carpentieri nei cantieri navali di Marghera. E non sono gli unici.
«Una quarantina di migranti hanno un contratto grazie a questo progetto». Nicola Montanaro, 67 anni, è persona pratica: ex direttore personale di Finmeccanica, quando è andato in pensione ha deciso di mettere a disposizione le sue competenze.
«Tutto parte da un protocollo d’intesa firmato un anno fa», racconta.
Intorno al tavolo si trovano in cinque (Comune di Settimo Torinese, associazione Cnos-Fap Regione Piemonte, Croce rossa italiana, Fondazione Comunità Solidale Onlus e Quanta Spa).
L’idea, condivisa da tutti, era una: «Creare opportunità per l’inserimento di personale qualificato nella cantieristica meccanica, nella lavorazione del legno e in quello agroalimentare».
I corsi-pilota partono al centro di accoglienza di Settimo, altri alla comunità salesiana di San Benigno Canavese, sempre nel Torinese. «I ragazzi, dopo aver frequentato tutte le lezioni e superato le prove, hanno ricevuto i patentini con la qualifica di saldatori».
Il passaggio dalla sfera dell’accoglienza a quella del lavoro è gestito da Quanta Spa, una multinazionale attiva nella selezione del personale che cerca di rispondere alle necessità delle imprese: «La Fincantieri – spiega Montanaro – cercava personale, ma gli italiani non volevano fare quei lavori. Così abbiamo offerto loro i nostri ragazzi già formati».
Il progetto fa leva sulle peculiarità già individuate dai dati Inps pubblicati ieri su La Stampa : gli immigrati accettano professioni umili, sono flessibili e non rubano il posto a nessuno.
Occupano, va detto, il gradino più basso nella scala della distribuzione dei salari, «e da lì è difficile che si muovano per tutta la vita», spiega Alessandra Venturini, esperta di migrazioni.
Lei, che è anche vicedirettrice del Migration Policy Centre, sta lavorando con diverse associazioni del privato sociale e con le confederazioni aziendali nazionali, per riorganizzare la macchina dell’accoglienza e farla ragionare secondo le regole e la cultura dell’impresa.
«Il modello italiano dell’integrazione dei rifugiati non funziona – spiega -, perchè non si basa sulla reale domanda di lavoro da parte dalle aziende. Le associazioni del volontariato si prendono cura di un numero enorme di persone, ma non riescono a traghettarle nel mondo del lavoro».
Perchè? «Nonostante gli sforzi – spiega la docente – c’è una gestione troppo casuale e non organizzata dei contatti con il mercato. L’offerta di lavoro per i rifugiati deve partire dalla domanda delle aziende, non viceversa». Modello Germania.
Ma resta un problema burocratico che coinvolge, in particolare, i richiedenti asilo.
«Per legge – spiega la professoressa – prima di avere lo status di rifugiato non possono ottenere un contratto: vengono tenuti in un limbo troppo a lungo».
Eppure, il lavoro è l’unica porta per inserirsi nel nuovo Paese. Come è successo a Yacouba e agli altri: storie di un’integrazione possibile.
Davide Lessi, Letizia Tortello
(da “La Stampa”)
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Aprile 3rd, 2017 Riccardo Fucile
TRA UN RENZI CHE ESULTA E GLI AVVERSARI INTERNI SCETTICI SULL’AFFLUENZA
Renzi domina ed esulta. Concede che eventuali irregolarità debbano essere verificate, ma già riprende in mano il vocabolario appena messo da una parte dopo le dimissioni: “Chiediamo a tutti di riconoscere la verità dei numeri che non possono essere oscurati da nessuna polemica. Quando si vince, si vince. Quando si perde, si ammette”.
Il segretario uscente e ricandidato parla forte del risultato ottenuto ai congressi dei circoli, dai quali è uscito con il 68,2 per cento dei voti, che sono 141.245 effettivi.
Dati non ancora definitivi e che comunque sono contestati dai suoi avversari, Andrea Orlando e Michele Emiliano (il comitato del ministro li definisce “non convincenti“).
La base, secondo la nota del dipartimento Organizzazione del largo del Nazareno ancora diretto da Lorenzo Guerini, è un’affluenza di iscritti del 59,29 per cento rispetto ai 449.852 totali, quindi si sono presentati a votare nei congressi locali in 266.726.
Il Pd sottolinea che l’affluenza è superiore al congresso precedente del 2013, quando arrivò al 55,34 per cento.
Tuttavia, sotto il profilo dei numeri assoluti, quattro anni fa gli iscritti erano 539.354 e dunque parteciparono ai congressi in 298mila circa.
Quindi il calo di partecipazione è di oltre 30mila iscritti. Tutto questo in preparazione delle primarie del 30 aprile, alle quali una soglia per capire quanto è in salute la partecipazione dentro e intorno al Pd è fissata a circa due milioni di partecipanti.
“Viva la democrazia” gioisce intanto su instagram Renzi.
Restano scettici sia Orlando che Emiliano: il ministro, secondo le proiezioni del Nazareno, ha totalizzato 52.630 voti, pari al 25,42 per cento, mentre il presidente della Puglia ha raccolto 13.168 preferenze per una percentuale del 6,36.
Le due mozioni alternative al segretario uscente continuano a toccare il tasto della legalità e della regolarità delle operazioni di voto (l’ultimo caso ieri a Catania sollevato dai sostenitori del Guardasigilli) rilanciando con risultati che modificano leggermente i numeri (62 Renzi, 29 Orlando, 8 Emiliano), pur mantenendo inalterati classifica e entità dei distacchi.
“Qualcuno dice che in qualche caso ci sono stati dei problemi e delle incongruenze — rilancia lo stesso Renzi — Sono il primo a dire che dove ci sono problemi riconosciuti (ammesso che ci siano) è giusto che si intervenga invalidando il voto. Noi siamo i primi ad avere interesse che tutto sia trasparente: perchè una vittoria così larga e così bella non sia sporcata dalle polemiche del giorno dopo. Allo stesso tempo chiediamo a tutti di riconoscere la verità dei numeri che non possono essere oscurati da nessuna polemica”. “Noi — sostiene l’ex segretario Pd — siamo i primi ad avere interesse che tutto sia trasparente: perchè una vittoria così larga e così bella non sia sporcata dalle polemiche del giorno dopo. Allo stesso tempo chiediamo a tutti di riconoscere la verità dei numeri che non possono essere oscurati da nessuna polemica. Quando si vince, si vince. Quando si perde, si ammette. Punto”.
Secondo i primi dati — non ancora ufficiali — a pesare, come sempre in questi casi, è la geografia: Michele Emiliano è primo in Puglia (anche se “solo” con il 42 per cento), Andrea Orlando è primo nella sua La Spezia anche se esulta per il suo miglior risultato (36 per cento) registrato a Roma, infine Renzi che a Firenze fa praticamente cappotto (82%) e in generale convince le regioni cosiddette “rosse”.
Matteo Richetti, portavoce nazionale della mozione Renzi, la spiega così: “La nostra gente ci dice: basta con l’autolesionismo a sinistra. Si sono stretti tutti attorno a quello che sentono come il proprio segretario. E’ normale vedere qualche iscritto che vota contro al referendum, ma non è digeribile vedere chi brinda con i nostri avversari alla sconfitta”. “Io sono amico personale di Orlando e stimo Emiliano — aggiunge — Però per i nostri iscritti c’è un leader naturale”, dice Richetti in un’intervista a Repubblica.
“Certo, non gli fanno sconti. Certo, sottolineano i suoi errori e chiedono di non fare più tutto da solo. Ma il carisma di Matteo non lo discutono, lo riconoscono. Parliamoci chiaramente, è l’unico leader nell’attuale classe dirigente”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 3rd, 2017 Riccardo Fucile
IL RADICALE: “I CINQUESTELLE SONO COME TUTTI GLI ALTRI PARTITI, NELLA RACCOLTA FIRME SE NE VEDONO DI TUTTI I COLORI”
“Il Movimento 5 Stelle giustifica l’ingiustificabile e invece dovrebbe darci una mano per cambiare le regole visto che loro si trovano nelle istituzioni”.
Marco Cappato dei Radicali, tante battaglie per cambiare la legge sulla presentazione delle liste elettorali e denunce di brogli come nel caso delle elezioni regionali del 2010 in Lombardia, in un’intervista con l’Huffpost entra nel merito del nuovo caso venuto alla luce durante la trasmissione ‘Le Iene’ in cui si è parlato di irregolarità che i 5Stelle avrebbero commesso nel presentare la lista a sostegno di Virginia Raggi a Roma.
Cappato, lei che si è sempre occupato dell’argomento, può spiegare se il cosiddetto ‘atto principale’ può portare una data antecedente la raccolta delle firme? I pentastellati dicono di sì perchè è un “atto a formazione progressiva”. In pratica può essere compilato anche dopo.
“I grillini, al posto di aggrapparsi a leggi che non esistono, dovrebbero porsi il problema di come si possono riformare le procedure per la compilazione delle liste. Noi abbiamo proposto come Radicali la compilazione per via telematica”.
Perchè dice “leggi che non esistono”?
“La sentenza del Tar del Friuli Venezia Giulia, citata dai 5Stelle in loro difesa, non c’entra nulla perchè riguarda la legge regionale del Friuli e non c’è nessuna norma nè alcuna sentenza di valenza nazionale che può suffragare la validità di quanto è stato fatto. L’errore dei 5 Stelle sta nell’avere dichiarato l’impossibile, cioè aver dichiarato in data 20 aprile firme che ancora non erano state raccolte e lo sappiamo sulla base di fatti noti perchè la mobilitazione per raccogliere le firme è stata il 23 aprile”.
In questo momento dunque c’è un problema relativo alla validità delle elezioni se dovesse venir fuori che quei moduli sono davvero irregolari?
“Il punto è politico, non è sul problema dell’annullamento. Mi stupisce che M5S non tragga una conclusione sul piano politico visto che non c’è un problema di difesa della validità delle elezioni perchè, essendo passati 30 gironi dal termine in cui si poteva fare ricorso, non si possono annullare. Non sono in discussione nè le elezioni a Palermo nè quelle a Roma. In Lombardia il ricorso lo avevamo fatto prima delle elezioni e dopo lo abbiamo vinto per questo era valido”.
Quindi chiede una mano ai 5 Stelle per cambiare le regole sulla presentazione delle liste?
“Credo che tutti questi episodi debbano servire per lavorare tutti insieme alla riforma dei meccanismi di presentazione delle liste. Alle regionali del 2000 presentammo denunce in tutte le procure d’Italia per la falsificazione della presentazione delle liste perchè questa è una legge criminogena che da vantaggi ai partiti che sono già nelle istituzioni e crea meccanismi di controllo burocratico. Se ne sono viste di tutti i colori e anche nel Movimento 5 Stelle l’ostacolo della raccolta firme viene superato a volte con modalità non regolari”.
Dunque il Movimento 5 Stelle è come tutti gli altri partiti?
“Nemmeno il Movimento sta facendo nulla per cambiare queste regole, che incitano a commettere irregolarità ”.
(da “Huffingtonpost“)
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Aprile 3rd, 2017 Riccardo Fucile
NON SOLO SI DIMENTICA DI INTERVENIRE SULLE CAUSE DELLA MIGRAZIONE, MA SI ELARGISCONO MILIONI SENZA SAPERE A CHI ANDRANNO REALMENTE… E SARANNO SOLDI BUTTATI, COME SEMPRE
Nel 2016 sono arrivate via mare in Italia più di 180.000 persone. Circa il 90% è partito dalle coste libiche. Dopo varie sortite a Tripoli di Minniti, il 2 febbraio, il premier italiano Paolo Gentiloni e Fayez Serraj, interlocutore del Governo di accordo nazionale libico (Gna), hanno siglato quello che comunemente viene chiamato “l’accordo sui migranti”.
Poco più di un mese dopo, sempre a Roma, Gentiloni ha stipulato un’intesa con il presidente del Niger, Mahamadou Issoufou, a cui ha garantito 50 milioni di euro per il controllo delle frontiere e la creazione di centri di accoglienza nel Paese.
Infine, lo scorso venerdì, praticamente a sorpresa, alcune delle principali (e litigiosissime) tribù libiche del Fezzan hanno siglato una tregua, sempre sotto l’occhio vigile del ministro italiano.
Si delinea sempre più chiaramente la strategia dell’Italia per il contenimento dei migranti: fermarli quanto più possibile vicino alla partenza, o lungo il percorso, per evitare che arrivino sulle coste libiche da cui, oramai si è capito, è praticamente impossibile bloccarli.
Una strategia che presenta non poche criticità e, se la cosa non fosse estremamente seria, verrebbe da dire, con amaro sarcasmo, che rischia di affondare prima ancora dei barconi.
Vediamo perchè.
Il piano italiano si snoda su tre livelli.
In ordine di “contiguità territoriale” alle coste italiane: controllo dei punti di imbarco per l’Italia e dunque delle coste libiche, attraverso supporto finanziario e tecnico agli organismi libici – e in particolare alla guardia costiera e ad alcuni dipartimenti del governo – per limitare il traffico dei migranti e migliorare i centri di detenzione; controllo delle zone di transito e dunque del deserto libico, attraverso un accordo con gli attori più rappresentativi a livello locale (tribù e milizie); chiusura dei confini nei paesi di partenza, come ad esempio il Niger, attraverso finanziamenti per la creazione e il rafforzamento dei sistemi di controllo e respingimento.
Per ognuno di questi step possiamo individuare alcuni problemi di applicabilità . Partiamo dalle coste libiche.
Posto che parlare di “organismi libici e dipartimenti del governo” fa un po’ sorridere, vista l’anarchia che c’è nel Paese, dovremmo chiederci in primo luogo: chi è la guardia costiera che ci siamo impegnati a finanziare e addestrare? La risposta non è edificante. I guarda coste non sono certo “corpi scelti” ma miliziani (o ex miliziani) spesso collusi con i trafficanti.
A volte sono proprio loro a regolare il traffico in molte zone del Paese.
Spesso, poi, non si avvicinano nemmeno alle aree dove si trovano i centri controllati dalle milizie, perchè è troppo pericoloso.
Verrebbe da chiedersi: a chi stiamo dando soldi e attrezzature (motovedette, navi, auto etc.)? Nelle mani di chi potrebbero finire? E a che scopi? Potremmo continuare ma la necessaria brevità della trattazione ci impone di passare al “secondo livello”.
Arriviamo così ai luoghi il transito dei migranti che vogliamo controllare e sigillare: il deserto del sud libico e il confine meridionale con la Libia.
Posto che il Fezzan è un’area in prevalenza desertica e grande più o meno come la Francia e il confine meridionale libico misura 5.000 km, dobbiamo chiederci: da chi sono controllate queste immense zone?
Anche qui la risposta non può certo farci tirare un sospiro di sollievo. Dopo la morte di Gheddafi l’entroterra libico è stato teatro di scontri tra varie tribù, anche quelle che hanno siglato “l’accordo romano”.
I Tebu hanno litigato con i Tuareg per lo meno fino al 2015 quando, con la mediazione del Qatar, hanno stipulato una tregua. I Sulaiman, ostili a Gheddafi fin dalla sua presa di potere e legati alla storica confraternita della Senussia, sono in lotta con i Qadhadhfa — la tribù del rais – per il controllo di porzioni nevralgiche del territorio.
Come se non bastasse nel Fezzan pare essersi stabilito il nuovo comando logistico e organizzativo di al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi).
Anche in questo caso verrebbe da chiedersi: a chi stiamo dando i soldi?
Passiamo, ora, al terzo “livello di contenimento”: i Paesi di partenza.
Il Niger è senza dubbio il luogo da cui parte un numero consistente di migranti, ma è anche un paese poverissimo, al penultimo posto nella classifica dello sviluppo umano. Sarà anche per questo che molti disperati partono da qui?
Ora, ammesso che i 50 milioni — che, va detto, verranno erogati su più tranche in base ai risultati delle procedure di monitoraggio — saranno davvero utilizzati per la creazione di centri di accoglienza, siamo sicuri che siano sufficienti delle “politiche tampone” per sistemare il problema?
Nella migliore delle ipotesi avremmo bloccato per un po’ i flussi ma, senza adeguate politiche di cooperazione e sviluppo, rischiamo che questa bomba a orologeria ci scoppi di nuovo in mano nel giro di pochi anni.
Detta in termini brutali, il “metodo Merkel” di “soldi in cambio di contenimento”, richiede, quantomeno, un interlocutore stabile e un piano per il dopo.
Al momento in Libia manchiamo di entrambi.
Non si può non rimarcare che, al momento, la politica italiana sui migranti nasce su basi piuttosto labili che rischiano di minarne l’applicazione.
Nessun accordo sarà davvero realizzabile senza una preliminare stabilizzazione del paese, una stabilizzazione che, al momento, appare tanto difficile quanto necessaria.
(da “Huffingtonpost“)
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Aprile 3rd, 2017 Riccardo Fucile
HA UCCISO UN RAGAZZO COLOMBIANO DOPO AVERGLI IMPORTUNATO LA FIDANZATA
Yaisy Bonilla, il giovane colombiano accoltellato la scorsa notte vicino ad una discoteca, a Brescia, è morto.
Il ragazzo, 21 anni, era stato ferito all’addome. Portato in ospedale e poi sottoposto ad intervento chirurgico per lui non c’è stato nulla da fare.
La squadra mobile della questura di Brescia ha intanto effettuato un fermo per l’omicidio del ventunenne colombiano, accoltellato ieri mattina all’alba all’esterno della discoteca Disco Volante.
Si tratta di un italiano di 23 anni con piccoli precedenti che ha ammesso di aver sferrato la coltellata mortale. Vittima e aggressore non si conoscevano.
L’uomo, che si chiama Anthony Aiello, avrebbe confessato.
Aiello vive in provincia di Brescia con i genitori e avrebbe trascorso la notte al Disco Volante e all’uscita ha colpito con una coltellata Yaisy Bonilla, morto 12 ore dopo in ospedale.
La vittima non ha trascorso la nottata a ballare in pista, ma stava passando in zona con la fidanzata. Lo confermano anche i proprietari del locale, inquadrato come club multi culturale dove per entrare è necessario essere registrati.
Il lungo elenco di soci comprende più di tremila nomi. Anche quelli dei due fidanzati che però sabato sera non hanno messo piede nella discoteca ma si sono fermati all’esterno con un amico.
Ed è in quel frangente che l’aggressore avrebbe speso qualche apprezzamento nei confronti della fidanzata del colombiano, il quale lo avrebbe invitato ad allontanarsi. L’aggressore dopo aver fatto come gli è stato chiesto, è tornato per dare la coltellata all’addome a Yaisy Bonilla che non ha perso i sensi tanto da arrivare a chiedere alla fidanzata di chiamare i soccorsi.
Lo sconosciuto, con in mano il coltello, ha fatto poi perdere le sue tracce mentre la giovane vittima è stata trasportata in ospedale.
(da agenzie)
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Aprile 3rd, 2017 Riccardo Fucile
L’ATTACCO CHE RICOMPATTA IL PAESE INTORNO A PUTIN
Terrore in Russia. Sarebbero almeno 10 le vittime e 50 i feriti colpiti da una bomba esplosa nella metropolitana di San Pietroburgo, tra le stazioni di Sennaya Ploschad e di Teknologhiceskij Institut.
Secondo l’agenzia Fontanka, una delle due esplosioni è avvenuta su un vagone centrale del treno che arrivava a Teknologhiceskij Institut da Sennaya Ploshad. L’amministrazione della metro ha fatto chiudere tutte le stazioni.
A causare le esplosioni sono stati degli ordigni artigianali con una potenza equivalente a circa 200-300 grammi di tritolo: lo sostiene l’agenzia Interfax citando proprie fonti. All’interno le bombe contenevano frammenti di proiettili, cioè il cosiddetto shrapnel, in grado di ferire un maggior numero di persone.
La procura generale russa parla di «attentato». «I procuratori – ha detto il portavoce della procura generale Aleksandr Kurennoi, citato dall’agenzia Interfax – faranno tutto il possibile per precisare tutti i particolari che riguardano questo attentato affinchè niente del genere succeda in futuro».
«I motivi al momento non sono chiari, non escludiamo nessuna pista: nè quella criminale, nè quella terroristica». Sono le prime parole del presidente russo Vladimir Putin già presente in città dove ha partecipato questa mattina a un forum.
Nel pomeriggio aveva in programma un incontro con il presidente bielorusso Aleksandr LukaÅ¡enko. Un ordigno inesploso è stato rinvenuto in un’altra stazione della metro, quella di Ploshchad Vosstaniya. Lo riferisce Interfax.
L’attentato capita proprio nel momento di difficoltà della oligarchia russa, con il regime al centro di aperte contestazioni di piazza. Non sono pochi a trovare una strana coincidenza tra la crisi di credibilità di Putin e una vicenda che finità per ricompattare gran parte del popolo russo attorno alla figura del leader di fronte all’immancabile “pericolo esterno”
(da agenzie)
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