Aprile 25th, 2017 Riccardo Fucile
IL RUOLO DI DUE AVVOCATI CHE ORA LAVORANO ALL’UFFICIO LEGISLATIVO DEL M5S IN REGIONE
Ieri è andato in scena l’ennesimo capitolo della guerra tra le Iene e il MoVimento 5 Stelle sulle firme per la candidatura di Virginia Raggi.
Oggi si comincia ad adombrare l’ennesimo approdo in procura. Carmelo Miceli, l’avvocato e segretario provinciale del Pd palermitano già al lavoro sulle elezioni delle firme false a Palermo, sta lavorando all’esposto. Anche se i tempi per un ricorso amministrativo contro la legittimità dell’elezione sono scaduti.
Ecco perchè, spiega oggi Repubblica Roma, si va verso l’esposto: ci sono due punti poco chiari nella vicenda e balla una possibile accusa di falso.
Prima di tutto lo scarto tra date: nell’atto principale, ossia il modulo con cui si presentano le firme dei cittadini, è segnata la data del 20 aprile 2016 e sono indicate 1.352 sigle raccolte attraverso 90 atti separati, i moduli di raccolta delle firme stesse. Ma il “Firma day” pentastellato, ovvero il giorno della raccolta firme, è stato il 23 aprile. Tre giorni dopo rispetto alla data sul documento.
Ora, poi, spunta un’altra possibile incongruenza negli atti che il comitato elettorale ha vidimato (per poi spiegare davanti a Onorato, a telecamere nascoste, che le firme non avrebbero dovuto essere accettate). I sottoscrittori della lista, gli avvocati M5S Alessandro Canali e Paolo Morricone, sono anche i delegati. «Ma non si può delegare se stessi», spiega, intervistato dalla trasmissione Mediaset, il professore di diritto amministrativo della Sapienza Vincenzo Cerulli Irelli.
Vincenzo Cerulli Irelli, un’autorità nel diritto amministrativo in Italia, ieri è stato deciso: «Si dichiara una cosa che nè i firmatari nè il pubblico ufficiale potevano sapere. Se è un atto pubblico siamo di fronte a un falso, altrimenti l’atto è di carattere inesistente».
E sulle deleghe: «E’ una cosa che non sta nè in cielo nè in terra. Tutti gli studenti, anche del primo anno, sanno che delegatus non potest delegare, quindi che il delegato non può delegare se stesso».
Sulla graticola ci sono Alessandro Canali e Paolo Morricone, due vecchi attivisti grillini ora in forze all’ufficio legislativo del gruppo regionale del M5S Lazio che ieri hanno persino mandato una diffida alla trasmissione (curioso, per chi milita in un partito che si lamenta per le diffide di Report).
E proprio loro due sarebbero visti come i capri espiatori della vicenda. Spiega Ilario Lombardo sulla Stampa:
E’ un particolare non irrilevante perchè nel’infinita faida romana, Canali e Morricone sono legati a Lombardi e De Vito, avversari interni di Raggi. Da fonti del M5S risulta che i due avvocati sarebbero già stati scaricati e il Movimento vorrebbe liquidarli al più presto. Ma già nel servizio delle Iene sembra che la stessa Raggi voglia addossare su di loro l’intera responsabilità di quanto accaduto: «Andate a parlare con i miei delegati, così vi chiarite una volta per tutte».
L’ipotesi di reato sarebbe falso in atto pubblico.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 25th, 2017 Riccardo Fucile
SCRITTORE E REGISTA, NIPOTE DI FRANCOIS: “PER FORTUNA MACRON BATTERA’ LE PEN E POTRA’ CONTARE SU UNA NUOVA GENERAZIONE”
«Domenica ho votato Franà§ois Fillon per fedeltà personale, ero suo ministro della Cultura e con me è sempre stato impeccabile, purtroppo lo scandalo lo ha privato di una vittoria già in tasca. Al ballottaggio invece starò, ovviamente, con Emmanuel Macron. Un tipo che vince senza dire nulla, ma capace di capovolgere molte opinioni diffuse. Come la morte della V Repubblica, la crisi irreversibile dell’Europa, il fatto che la politica ormai sia il terreno di chi grida più forte, dalla Brexit a Trump. Macron rappresenta il contrario di tutto questo e alla fine scopriremo che la maggioranza – chi l’avrebbe mai detto – la pensa come lui».
Quando suo zio Franà§ois entro all’Eliseo, nel 1981, Frèdèric Mitterrand aveva 34 anni e si occupava di cinema. Poi è stato saggista, romanziere, ministro sotto la presidenza Sarkozy e oggi, a 69 anni, anche osservatore disinibito di una vita politica che conosce da vicino e da decenni.
Pensa che Emmanuel Macron batterà Marine Le Pen?
«Senza dubbio, e per fortuna».
E che presidente sarà ?
«Ha lacune importanti, dovute a inesperienza e mancanza di cultura politica. Ogni tanto mostra anche un lato un po’ inquietante da telepredicatore e un notevole narcisismo. Tende a fare gaffe ma la funzione nobilita l’uomo, come si dice, e godrà di un periodo di grazia. I francesi e il mondo impazziranno per lui. Sarà come Justin Trudeau in Canada».
Perchè?
«Perchè la personalità conta più del programma. Ora tutti prendono un’aria sdegnata e se ne lamentano ma è sempre stato così. E Macron ha una personalità seducente, al di là della giovinezza e dell’aspetto piacevole. E poi ha Brigitte».
La moglie Brigitte Trogneux, sua ex insegnante, di 24 anni più grande. È così importante?
«Sì perchè lo aiuta davvero, e dà alla coppia un’aria da Clinton degli inizi. E poi qui i francesi vivono il grande contrappasso dell’affare Russier».
Cioè?
«Nel 1969 l’insegnante 32enne Gabrielle Russier si innamorò perdutamente, corrisposta, del suo allievo Christian Rossi, 16 anni. I genitori di quest’ultimo la denunciarono, lei si uccise. Fu un dramma nazionale, il presidente Pompidou citò una straordinaria poesia di Paul à‰luard. Morire d’amore, ispirato alla vicenda, è stato il film di più grande successo nella carriera di Annie Girardot e ogni anno i francesi lo rivedono in tv. È una storia un po’ dimenticata e un po’ radicata nell’inconscio nazionale. Anche per questo il matrimonio tra Emmanuel e Brigitte fa simpatia».
I detrattori dicono che Macron è Hollande travestito.
«Ma Hollande non è stato poi così disastroso e verrà rivalutato, a differenza di Sarkozy. A Hollande è mancata soprattutto la brutalità di Franà§ois Mitterrand nel controllare il partito. Se uno legge le lettere di mio zio a Anne Pingeot, si accorge di quante manovre Mitterrand faceva per controllare e dominare le correnti».
Macron avrà la stessa forza?
«Non ne avrà bisogno, potrà contare su una nuova generazione di persone che gli permetteranno di ottenere i risultati sfuggiti, per esempio, a Manuel Valls. Il quale compensava il deficit di autorità con l’impazienza e il nervosismo. Che non sono mai buone qualità in politica».
(da “Il Corriere della Sera”)
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Aprile 25th, 2017 Riccardo Fucile
“MARINE LE PEN ATTIRA I PREOCCUPATI: NON CHI HA PROBLEMI, CHI LI TEME”… “MACRON E’ UN OTTIMISTA, MARINE VEDE IL FUTURO IN MODO RISTRETTO”
È la Francia triste a votare per Marine Le Pen, sostiene lo scrittore Règis Jauffret: «Gente pessimista, angosciata per l’avvenire, che non ha necessariamente problemi sociali, ma teme di averli. Non il disoccupato, ma qualcuno che magari conosce qualcun altro che ha perso il lavoro, ed è preoccupato».
Celebre per i romanzi costruiti su fatti di cronaca (e per essere stato portato a giudizio dall’ex direttore del Fondo monetario internazionale, Dominique Strauss-Khan, dopo la sua Ballata di Rikers Island), Jauffret resta un attento osservatore della politica francese («Anche se ora – confessa al tavolino di un bar di Montparnasse – mi sto dedicando alla pura finzione»).
Si presta anche al reportage, di frequente, per L’Obs o Libèration, e in questa veste insolita di «giornalista letterario» ha attraversato diversi raduni del Front National. «A Tolone, per esempio, due anni fa: sono entrato nella sala del comizio ed ero circondato da persone anziane…»
Perchè Le Pen attrae questo tipo di elettori timorosi?
«Il suo è un discorso centrato sulla paura. Poco eccitante, costruito da parole già sentite che non accendono desideri. È un’ideologia da vecchietti, con una visione del futuro ristretta e negativa. In questo senso per nulla fascista».
Che cosa intende?
«Nel fascismo mussoliniano, per esempio, c’era forza, energia, spinta all’espansione e alla conquista. Nel Front National c’è ripiegamento, manca lo slancio, nessuna idea di una Francia che può diventare dominante chessò nel settore della tecnologia».
Eppure lei è passata al secondo turno, con il risultato storico per il Front National di 7,6 milioni di voti
«Non s’è vista, però, un’avanzata irresistibile del Front National: suo padre Jean-Marie era già andato al ballottaggio con Jacques Chirac nel 2002, 15 anni fa. In così tanto tempo avrebbe dovuto fare di più… Alla fine il partito resta un’impresa di famiglia, con tutti limiti che questo comporta».
Come si fa da questa base timorosa ad allargare il bacino elettorale, allora, per passare anche il secondo turno? Se lei fosse Marine Le Pen, che cosa farebbe?
«Mi sembra molto difficile che possa conquistare tante preferenze. Anche perchè come presidente è poco credibile, e non ha possibilità di formare un governo. Molto di quello che dice è irrealizzabile, come il ritorno al franco o la chiusura delle frontiere. Se fossi lei, spererei in un errore dello sfidante, Emmanuel Macron. È l’unica via».
L’elettorato di Macron è più ottimista?
«Senza dubbio. Macron rappresenta un’incognita totale, è questo fa un po’ paura, è venuto dal nulla. Il suo movimento “En Marche!” è nato meno di un anno fa, con quattro gatti, e si ritroverà all’Eliseo. È come se lei domani fondasse una casa automobilistica e nel giro di 12 mesi sparissero le Peugeot, le Fiat, e girassero solo le sue vetture… Macron, però, a differenza di Le Pen, parla di speranza e di sogni».
I due grandi partiti della Quinta Repubblica, gollisti e socialisti, sono finiti
«Io non credo. Sono grandi strutture, con budget importanti, hanno i mezzi per risorgere, entrambi».
Sono gli ultimi giorni di Franà§ois Hollande presidente: che opinione ne ha?
«È come se venisse da un’epoca lontana, da un altro Paese. L’altro giorno l’ho visto in tv e avevo l’impressione che non esistesse. È scomparso nel momento stesso in cui ha ritirato la candidatura alle presidenziali».
(da “Il Corriere della Sera”)
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Aprile 25th, 2017 Riccardo Fucile
LE PEN PRIMA NEI COMUNI SOTTO I 20.000 ABITANTI, MACRON PREVALE IN TUTTE LE CITTA’ PIU’ GRANDI
Il Messaggero e Repubblica hanno pubblicato due infografiche che riepilogano i risultati del primo turno delle elezioni in Francia con l’analisi dei flussi di voto e le preferenze per categoria.
Nelle infografiche da Opinionway si spiega che il 45,5% di chi votò Hollande nel 2012 oggi ha scelto Macron, mentre il 26% ha votato per Mèlenchon; fra quelli che scelsero Sarkozy il 59% ha votato Fillon, il 17,2% Macron e il 12,7% Marine Le Pen. Quest’ultima spopola tra gli operai insieme a Mèlenchon mentre Macron prende molti voti tra professionisti e quadri.
Il voto dei giovani ha visto invece trionfare Mèlenchon così come gli ultra-65enni hanno votato per Fillon; a Parigi la Le Pen è arrivata ultima mentre nel dipartimento dell’Aisne, in forte crisi economica, a vincere è stata proprio la Le Pen mentre Macron ha visto la sua seconda posizione insidiata da Mèlenchon.
La Le Pen arriva ultima nelle famiglie con più di tremila euro di redditi mensili e prima in quelle con meno di 1250 euro di redditi mensili.
L’infografica di Repubblica segnala anche la divisione nel voto tra città e campagna, con Marine Le Pen che vince nelle zone rurali e nelle città con meno di 20mila abitanti, mentre Marcon vince in tutte le altre.
Nella città di Calais, dove è alta l’emergenza migranti, vince Le Pen che in totale è stata la più votata in 47 dipartimenti mentre Macron ha vinto in 41, Fillon in 5 e Mèlenchon in 3.
Nella ripartizione tra categorie Le Pen trionfa nel voto tra gli operai e gli impiegati, Macron vince tra dirigenti e professionisti, Fillon batte tutti tra i pensionati e Mèlenchon in generale vince tra i giovani tra i 18 e i 24 anni.
(da “NextQuotidiano“)
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Aprile 25th, 2017 Riccardo Fucile
LA COMMISSIONE: “FLYNN PERSEGUIBILE”
La Casa Bianca si è rifiutata di fornire ai deputati che indagano sul Russia-gate informazioni e documenti legati all’ex consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn, costretto a dimettersi per aver mentito al vice presidente Mike Pence di aver discusso di sanzioni con l’ambasciatore russo in Usa.
Gli atti negati riguardano il nulla osta di sicurezza e pagamenti ricevuti da organizzazioni legate al governo russo e turco. Sei le richieste della commissione che indaga ma la Casa Bianca ha usato vari motivi per opporsi.
I deputati Jason E. Chaffetz (repubblicani) ed Elijah Cummings (Dem), che guidano la commissione della Camera, sostengono che Flynn potrebbe essere perseguito penalmente e dovrebbe restituire i soldi ricevuti da governi stranieri.
Documenti militari classificati, hanno spiegato, mostrano che Flynn non chiese l’autorizzazione nè informò il governo Usa sui pagamenti per i suoi interventi in Russia nel 2015 e per l’attività di lobbying per Ankara.
Nelle scorse ore intanto è stato reso noto un sondaggio Wall Street Joutnal/Nbc secondo il quale il 73% degli americani non si fida del Congresso e non vuole che siano deputati a senatori ad indagare sullo scandalo delle presunte interferenze di Mosca nelle elezioni presidenziali dello scorso 8 novembre.
La nettissima maggioranza preferisce un’inchiesta indipendente non gestita dai partiti. Questo perchè il 61% non ha fiducia che il Congresso sia in grado di condurre un’indagine corretta ed imparziale sulle ingerenze russe nel voto, mentre il 39% ritiene che l’incarico, oltre alle indagini dell’Fbi e delle agenzie di intelligence, possa essere affidato anche al Campidoglio.
Sia la Camera che il Senato hanno avviato inchieste sul Russigate anche se quella gestita dalla commissione Intelligence della House of Representatives ha visto il suo presidente, il repubblicano Devin Nunes, ex membro delle staff del presidente Donald Trump, ricusarsi perchè aveva fornito alla Casa Bianca informazioni sul fatto che per errore gli 007 britannici avevano intercettato la squadra dell’allora candidato repubblicano.
Notizia smentita da Londra, irata dalle voci.
(da “La Stampa”)
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Aprile 25th, 2017 Riccardo Fucile
PARTE L’ITER PER IL COMMISSARIAMENTO, CONFERMATA PER ORA LA LICENZA DI VOLO
Il Cda di Alitalia “data l’impossibilità di procedere alla ricapitalizzazione” ha “deciso di avviare le procedure previste dalla legge e ha convocato un’assemblea dei soci per il 27 aprile al fine di deliberare sulle stesse”. È quanto si legge in una nota della compagnia.
Il Consiglio di Amministrazione di Alitalia, convocato oggi, “ha preso atto con rammarico della decisione dei propri dipendenti di non approvare il verbale di confronto firmato il 14 aprile tra l’azienda e le rappresentanze sindacali”, si legge in una nota.
“L’approvazione del verbale – continua la nota – avrebbe sbloccato un aumento di capitale da 2 miliardi, compresi oltre 900 milioni di nuova finanza, che sarebbero stati utilizzati per il rilancio della Compagnia. Data l’impossibilità di procedere alla ricapitalizzazione, il Consiglio ha deciso di avviare le procedure previste dalla legge e ha convocato un’assemblea dei soci per il 27 aprile al fine di deliberare sulle stesse”.
Etihad dice sì al commissariamento. “L’accordo preliminare con i sindacati era stato reso possibile e supportato dai leader degli stessi sindacati, dal management di Alitalia, dal Primo Ministro Italiano e da tre Ministri del Governo, che avrebbero aiutato a mettere il futuro di Alitalia al sicuro. Il rifiuto di questo accordo nel referendum è profondamente deludente”. Lo dice in una nota James Hogan, presidente e amministratore di Etihad.
“Una condizione fondamentale” per il pacchetto da due miliardi di euro concesso da Etihad e dai soci italiani di Alitalia per aiutarla a finanziare il suo piano industriale quinquennale era “un lavoro condiviso e congiunto di tutte le parti interessate, inclusi i sindacati”, continua Hogan. “Supportiamo la decisione odierna del consiglio di amministrazione di convocare un’Assemblea dei soci per il 27 di aprile per avviare le procedure previste dalla legge”, aggiunge Hogan.
L’Enac e’ disponibile a lasciare il certificato di operatore aereo (Coa) all’Alitalia in attesa che nell’arco di un paio di giorni venga nominato il commissario, dopodiche’ la licenza verra’ sospesa e al commissario, verificato che abbia a disposizione le risorse sufficienti, verra’ concessa un’autorizzazione temporanea rinnovata mese per mese. E’ quanto spiega il presidente dell’Enac (Ente nazionale per l’aviazione civile), Vito Riggio, interpellato dopo l’annuncio che il consiglio di amministrazione dell’Alitalia avviera’ le procedure previste dalla legge.
“Ci hanno detto – afferma Riggio – che un po’ di soldi ce li hanno e per ora gli lasciamo la licenza in attesa che arrivi il commissario che dovrebbe avere le risorse sufficienti. Se non le avesse, dovremo interdire la possibilita’ di emettere biglietti. Una volta deciso il commissario il Coa viene sospeso e rilasciata un’autorizzazione temporanea rinnovabile mese per mese. L’importante e’ che arrivi subito il commissario in non piu’ di due o tre giorni”.
Da parte aziendale l’Alitalia, che ha convocato un’assemblea degli azionisti per giovedi’ 27, ha fatto presente che la riunione potrebbe slittare in seconda convocazione al 2 maggio. Comunque uno degli elementi fondamentali da chiarire e’ se il governo e’ disponibile a dare un supporto economico, anche se temporaneo, per permettere la continuita’ aziendale. Tema che dovrebbe essere chiarito domani pomeriggio in occasione della riunione tra governo e le parti al ministero dello Sviluppo Economico.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 25th, 2017 Riccardo Fucile
UN PASTICCIACCIO TUTTO ITALIANO, CON TUTTI COLPEVOLI: PERDE 700 MILIONI ALL’ANNO, 2 MILIONI AL GIORNO, DAL 1974 SPERPERATI 7,4 MILIARDI DI DENARO PUBBLICO
A Parigi si vota per salvare l’Europa. A Roma si vota per uccidere l’Alitalia.
La vittoria dei no al referendum sul piano di salvataggio della compagnia aerea più disastrata del continente è il giusto epilogo di un fallimento permanente che dura ormai da trent’anni. L’ultimo capitolo, il più amaro, di un brutto pasticciaccio italiano.
Che tutti, ma proprio tutti, hanno contribuito a scrivere.
Lo Stato e il mercato, la politica e il sindacato. Gli azionisti pubblici e i capitalisti privati, i manager cinici e i dipendenti privilegiati.
Non c’è un solo attore, su questa quinta in rovina sulla quale sta per calare il sipario, che possa dire “io non c’entro”.
Oggi serve a poco gettare la croce addosso ai lavoratori di cielo e di terra che hanno bocciato la proposta ultimativa dell’azienda (1.300 esuberi, 900 in cassa integrazione straordinaria, 8 per cento di stipendio in meno per tutti).
È vero che a quella proposta Etihad, Invitalia e le banche avevano subordinato la concessione di altri 2 miliardi di capitali per tenere in piedi la compagnia.
Ma è altrettanto vero che affidare ai dipendenti l’ultima parola sulla sopravvivenza di un’impresa (scambiandola con l’ennesimo giro di vite occupazionale e salariale), suona sempre come un vago ricatto.
Non possono pagare colpe che non hanno.
Tuttavia, i tanti che hanno scritto il loro “no” sulla scheda hanno compiuto un gesto che racchiude in sè il vizio d’origine, culturale e industriale, che ha da sempre caratterizzato il volo avventuroso di Alitalia. A tutti i livelli.
Cioè l’idea che di fronte ai dissesti epocali di questa compagnia ci sia sempre un piano B pronto in un cassetto.
E che quel piano B, alla fine, sia sempre lo Stato padrone a dettarlo, tappando i buchi di bilancio con i soldi del contribuente.
Questa volta non andrà così. Non c’è più una mammella pubblica, dalla quale succhiare i soldi per pagare gli stipendi, o il gasolio per far volare gli aerei.
Questa volta c’è solo l’amministrazione straordinaria e la nomina di un commissario, che salda i creditori che può saldare e poi porta i libri in tribunale.
E questo esito, doloroso quanto si vuole, non lo detta solo la solita Europa Matrigna, che vieta gli aiuti di Stato. Lo detta il buon senso.
Non c’è più un cielo da solcare, per una compagnia aerea che perde 700 milioni all’anno, 2 milioni al giorno, 80 mila euro l’ora.
Luigi Gubitosi è l’ultimo presidente arrivato al capezzale del moribondo, e se non riesce a rianimarlo lui (che ha avuto a che fare con il carrozzone Rai) non ce la può fare nessuno.
Non ci sono più rotte da percorrere, per un vettore che ha creduto di giocare la partita dell’eccellenza insieme alle ricchissime compagnie degli Emirati, mentre Ryanair e Easyjet gli rubavano le tratte più battute (le turistiche a corto e medio raggio) e Freccerosse e Italo gli scippavano quelle più pregiate (la Roma-Milano su tutte).
Ecco i colpevoli, di questo “delitto”. I politici l’Alitalia l’hanno usata come un taxi, per motivi elettorali e spesso anche personali.
È stato così nella Prima Repubblica, quando le cavallette Dc e Psi l’hanno spolpata tra nomine lottizzate e assunzioni clientelari.
È stato così nella Seconda, quando Berlusconi nel 2008 se l’è giocata al tavolo della campagna elettorale, facendo saltare l’unica fusione che allora aveva ancora un senso, quella con Air France-Klm.
È stato così anche nella Terza, quando hanno finto di difendere a chiacchiere “la compagnia tricolore”, mentre nei fatti cedevano pezzi di mercato alle low cost straniere.
I privati l’Alitalia l’hanno usata solo per ingraziarsi il Palazzo, come accadde con i “patrioti” che su ordine del Cavaliere ci misero un obolo solo per garantire la patetica difesa “dell’italianita’”, e non certo una prospettiva strategica credibile.
I manager l’Alitalia l’hanno sfasciata, in un tourbillon di piani industriali buttati al macero e di bonus astronomici ficcati in portafoglio.
In cinquant’anni sono cambiati tre all’anno, cinque solo negli ultimi cinque anni. Da Nordio a Cempella, da Mengozzi a Cimoli. E poi Sabelli, Ragnetti, Cassano. Pare una squadra di calcio.
Peccato che si sia rivelata di serie C, moltiplicando i passivi anno su anno. Almeno Mengozzi e Cimoli, qualcosa hanno restituito, tra una condanna a 6 e una a otto anni. Ma siamo tutti garantisti, per carità .
Restano i sindacalisti, che hanno lucrato prebende previdenziali e bloccato alleanze industriali, sempre convinti che il bengodi degli anni ’70 non sarebbe mai finito. Siamo all’ultimo volo della Fenice.
O sbuca fuori un grande partner (occidentale o asiatico che sia) e si compra la compagnia tutta intera, o siamo al capolinea. Bisogna dirlo, con dolore. Forse è meglio così.
È bello, per un Paese, poter schierare nei cieli del mondo globalizzato la sua “compagnia di bandiera”. Da orgoglio, fa “identità ”.
Ma questo non può più avvenire a qualsiasi prezzo. Se ci sono le condizioni di mercato, bene. Altrimenti, se ne prenda atto, e si compiano le scelte conseguenti.
Tra il 1974 e il 2014, per salvarla, abbiamo speso 7,4 miliardi di denaro pubblico: l’equivalente di una “Alitalia tax” da 180 milioni l’anno. Forse può bastare.
Dio è morto, Pantalone è morto, e stavolta può morire pure Alitalia.
Massimo Giannini
(da “La Repubblica”)
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Aprile 25th, 2017 Riccardo Fucile
SAVIANO: “DIFENDO LE ONG CHE SALVANO VITE UMANE”… “DI MAIO COME SALVINI, PREFERISCE CHE AFFOGHINO”
Per capire bisogna prendersi del tempo. Per capire bisogna leggere le fonti e verificarle.
La tristissima vicenda che riguarda la polemica del Movimento5Stelle sulle Ong che nel Mediterraneo si occupano di soccorrere i migranti mostra come, a partire da Beppe Grillo per finire con il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, i 5Stelle parlino su questo argomento per sentito dire, riportando affermazioni senza verificarle, dandole per vere e proponendo interrogazioni parlamentari che hanno il sapore di strumento di propaganda fine a se stessa.
Luigi Di Maio dichiara: “Definire taxi le imbarcazioni delle Ong non è un mio copyright. Prima di me, e a ragione, lo ha detto l’agenzia dell’Ue Frontex nel suo rapporto Risk analysis 2017”.
Basterebbe leggerlo davvero il rapporto per verificare che non paragona mai, in nessun punto, le imbarcazioni delle Ong che si occupano di search and rescue nel Mediterraneo a taxi, e non lo fa perchè sarebbe scorretto, e non lo fa perchè “taxi” significa lusso, significa comodità .
E comodità e lusso sono parole che con le storie di chi attraversa il Mediterraneo per raggiungere l’Europa non c’entrano nulla.
E allora, se la parola taxi non si trova nel rapporto Frontex — anche se Di Maio dice di aver letto il rapporto ed è convinto che vi sia la parola “taxi” — chi l’ha pronunciata per primo?
Nemmeno il Procuratore della Repubblica di Catania, Carmelo Zuccaro, che Di Maio indica come altra sua fonte.
Ma vale la pena analizzarle le parole di Zuccaro, perchè sono comunque la fonte primaria della comunicazione che sull’argomento hanno fatto il Movimento5Stelle e Luigi Di Maio.
La procura di Catania viene infatti citata in un articolo pubblicato sul blog di Grillo e trattato come fosse un documento dirimente sull’argomento, quasi pietra miliare.
Carmelo Zuccaro in un’intervista dice testualmente: “Tra il settembre e l’ottobre 2015 nascono numerose Ong. Cinque tedesche, una spagnola e una maltese, che quindi nascono dal nulla e che dimostrano di avere subito disponibilità di denari per il noleggio delle navi, per l’acquisto di droni ad alta tecnologia e per la gestione delle missioni, che sembra molto strano che possano aver acquisito senza avere un ritorno economico”.
Quindi la domanda che la procura di Catania si pone è: chi paga le missioni?
Il Procuratore apre un fascicolo conoscitivo, senza indagati nè capi di accusa, su sette Ong che, con tredici navi, salvano migranti nel Mediterraneo.
Le Ong rivendicano la trasparenza dei loro bilanci che si basano su finanziamenti privati e infatti Zuccaro non ha alcuna certezza che le missioni umanitarie nel Mediterraneo siano in realtà dei “taxi per migranti” e parla di “sospetto” e ribadisce di “un mero sospetto”, se non fosse ancora abbastanza chiaro.
Un mero sospetto che nelle dichiarazioni del Movimento5Stelle e di Di Maio diventa una quasi certezza, lanciata come sempre in pasto ai social, dove si sa, l’approfondimento non è di casa. Dove ci si affida al pensiero di terzi perchè il proprio vi si adegui.
Ma quello che mi ha colpito delle dichiarazioni di Zuccaro è la riflessione sul pericolo che corre l’Italia ad accogliere migranti in maniera incontrollata.
Ed è proprio qui che si collega l’articolo pubblicato sul blog di Beppe Grillo dal titolo: “Più di 8mila sbarchi in 3 giorni: l’oscuro ruolo delle Ong private”.
Dove si fermano le ipotesi della procura di Catania, arrivano le certezze dei Cinque Stelle, dove la procura di Catania non si inoltra per mancanza di prove, lo fanno Grillo e Di Maio: le Ong, prima di qualsiasi indagine o processo, sarebbero “colpevoli” di portare migranti in Italia.
Ma perchè in Italia? Perchè non nei porti fisicamente più vicini?
Semplice: perchè l’Italia è il porto più sicuro, perchè chi fugge dalla Libia o dalla Tunisia non può tornare in Libia o in Tunisia.
Intanto perchè la Libia non ha ratificato la Convenzione di Ginevra sui Rifugiati e poi “nei soccorsi in mare”, come riporta Annalisa Camilli in un fondamentale articolo sul tema, “viene applicata la convenzione di Amburgo del 1979”.
“Porto sicuro” non è infatti semplicemente un luogo che sia terraferma, ma sicuro anche e soprattutto per la garanzia dei diritti delle persone che si trovano in mare. Perchè se è illegale favorire l’immigrazione clandestina è altrettanto illegale non prestare soccorso in mare.
Spesso poi si fa riferimento alla distanza tra le imbarcazioni delle Ong che effettuano salvataggi in mare e la costa, come a insinuare questo dubbio: “Perchè quelle navi si trovavano così vicino alle coste? Perchè a 12 miglia?”.
Si omette però di dire che è lecito avvicinarsi fino a 12 miglia nautiche se serve per salvare vite umane.
Medici Senza Frontiere, per esempio, nel 2016 in cinque occasioni ha prestato soccorso a circa 11.5 miglia dalla costa dopo aver avuto l’ok delle autorità libiche.
Le Ong agiscono dove altri non arrivano e mai senza il via libera delle autorità competenti.
Ma veniamo all’articolo che è stato la base teorica per i post di Di Maio.
Se è vero, come è vero, che le prime righe di un testo contengono il messaggio che si vuole veicolare, ecco il messaggio che il blog di Beppe Grillo vuol farci arrivare: “Negli ultimi giorni l’Italia ha registrato un record di sbarchi senza precedenti. In poco più di 72 ore circa 8mila migranti sono approdati in Sicilia dopo una lunga traversata in mare”.
Ergo: il problema sono gli arrivi. E poi, dato che come è noto, nessuno di noi ha tempo da perdere per leggere ed approfondire, l’articolo ci rende la vita facile e mette alcune frasi chiave in evidenza cosicchè quello che ci troviamo davanti è un articoletto di poche righe, che facilmente ci resteranno impresse.
Eccole: “Con l’aumento degli sbarchi aumenta ovviamente anche la spesa interna dell’Italia.” “È la solita solfa, con un’Europa che ci è totalmente estranea e indifferente”. “Ma c’è un nuovo capitolo che sta emergendo in queste ore e che merita attenzione”.
Qui vale la pena riportare l’intero paragrafo perchè aggiunge liberamente informazioni alle dichiarazioni ipotetiche della Procura di Catania: “Parliamo di circa una dozzina di Ong tedesche, francesi, spagnole, olandesi, e molte di queste battono bandiere panamensi o altre bandiere ombra”.
Zuccaro parlava di sette Ong e tredici imbarcazioni attenzionate dalla Procura di Catania, ma nell’articolo sul blog di Grillo il loro numero lievita.
In un’altra intervista sullo stesso argomento, Zuccaro precisa che non tutte le ong che recuperano migranti sono uguali: «Ci sono quelle buone e quelle cattive».
Nel dubbio, però, Grillo e Di Maio hanno pensato di gettare fango su tutte: prima che ci sia un processo e che si possa accertare cosa accade, meglio disincentivare le donazioni alle Ong che salvano vite e che portano migranti in Italia.
Ora, terminato il fact checking alle dichiarazioni di Grillo e Di Maio, ci tengo a fornire una serie di strumenti utili a capire qual è la situazione.
Se le navi delle Ong Proactiva open arms, Medici senza frontiere, Sos Mèditerranèe, Moas, Save the Children, Jugend Rettet, Sea watch, Sea eye e Life boat si trovano anche vicino alle coste libiche è perchè è lì che serve la loro presenza allo scopo di salvare vite.
Le Ong non si sono messe a fare un “servizio taxi” per i migranti di punto in bianco, ma riempiono un vuoto umanitario lasciato dalle istituzioni europee.
Ma Di Maio afferma ancora: “La verità è che in Italia in questi ultimi 20 anni ci sono stati due generi di sfruttamento dell’immigrazione. Il primo è quello della Lega, che ha lucrato elettoralmente sul problema, senza mai risolverlo. L’altro invece è quello del centrosinistra, che ha anche preso soldi dalle cooperative che sfruttavano il business dei migranti. Non a caso Salvatore Buzzi finanziò una cena elettorale di Matteo Renzi. Destra e sinistra hanno già fallito”.
Bene, se è così, allora il M5S ha capito che vale sicuramente la pena, in questo momento, aderire alla prima strada, ovvero a quelli che la questione migranti la sfruttano per motivi elettorali.
E sono i numeri a parlare: nel 2016 su 178.415 migranti salvati nel Mediterraneo, le Ong ne hanno salvati 46.796, a fronte dei 35.875 salvati dalla Guardia Costiera, dei 36.084 salvati dalla Marina Italiana, dei 13.616 salvati da Frontex (dati della Guardia Costiera Italiana).
Se le Ong fossero spazzate via da diffidenza e sospetti, se si interrompesse il sostegno economico privato, calcolate quanti migranti in meno arriverebbero in Italia, e non perchè ne partirebbero di meno, ma perchè morirebbero in mare, seppelliti dalle acque, e noi saremmo circondati da un cimitero più cimitero di quanto non lo sia già .
E in tutto questo, come ha reagito il Partito democratico alla polemica sulle Ong? Parole vuote e di circostanza.
Dichiarazioni smentite dai fatti, con il Decreto Minniti che sta progressivamente criminalizzando la solidarietà .
Invece di eliminare, come sarebbe ovvio, giusto e conveniente, il reato di immigrazione clandestina si sta subdolamente introducendo il reato di solidarietà .
Roberto Saviano
(da “La Repubblica”)
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Aprile 25th, 2017 Riccardo Fucile
“ANCORA NON SO PER COSA SONO STATO ARRESTATO, IL MIO PENSIERO AI 174 GIORNALISTI ANCORA DETENUTI IN TURCHIA”
I giornalisti in carcere in Turchia sono 174, “io sono il numero 175 e il caso più fortunato” quindi a quel Paese “faccio appello perchè liberi tutti i giornalisti”.
Così Gabriele Del Grande fermato dalla polizia turca il 9 aprile ha iniziato la conferenza stampa presso la sede della stampa estera a Roma.
A sole 24 ore dal ritorno in Italia il giornalista e videomaker ha raccontato la propria vicenda ai colleghi.
Con accanto la compagna Alexandra D’Onofrio e il senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione diritti umani, il regista di ‘Io sto con la sposa’ ha descritto i giorni della sua detenzione e ha sottolineato i tanti i dubbi che ancora circondano il suo arresto e i successivi 15 giorni passati in due diversi centri di identificazione: “E’ stata una situazione di sospensione del diritto” anche perchè “nè io nè i miei avvocati abbiamo avuto ad oggi accesso al fascicolo e quindi non so dirvi il perchè del mio fermo”. Di certo “non ero intenzionato ad andare in Siria e non sono stato fermato al confine o nei pressi del confine”.
Nel corso della detenzione, avvenuta in un centro “migliore dei tanti che mi è capitato di visitare in Italia”, Del Grande ha raccontato di essersi “sempre rifiutato di rispondere alle domande sul mio lavoro che arrivavano da Ankara”.
Nonostante questo “ho avuto un trattamento dignitoso, fermo restando che sono stato privato della libertà e mi è stata negata ogni comunicazione con l’esterno, sempre per ordini di Ankara”.
Anche sulla conclusione della vicenda restano alcune domande, visto che “sono stato rimpatriato senza neanche un foglio di carta. Non so neanche se è stato emesso un divieto di ingresso nei miei confronti”.
In Turchia “sono entrato con un passaporto regolare e un timbro regolare, non ero intenzionato ad andare in Siria e non sono stato fermato al confine ma in una città lungo il confine – ha spiegato il blogger – stavo mangiando in uno dei migliori ristoranti della città con una mia fonte” ma poi “sono arrivati otto agenti in borghese, ci hanno mostrato i distintivi, siamo stati caricati su due auto diverse, senza nessun contrassegno delle forze dell’ordine, e siamo stati portati in quella che apparentemente era una stazione polizia, poi sono cominciati gli interrogatori”.
In tutto ciò “il clima era strano, all’inizio sembrava una sciocchezza, loro sdrammatizzavamo la situazione e all’inizio anche il mio atteggiamento era collaborativo, hanno guardato il computer e le foto, ma non c’era nulla di strano, poi il trasferimento”, ha continuato Del Grande.
Gli agenti “volevano sapere con chi avessi parlato, se avevo contatti in Siria – ha detto ancora – e cercavano sul telefono l’evidenza di contatti con la Siria”.
A questo punto “se oggetto della vicenda e delle domande era il mio lavoro, ho detto che non avrei parlato senza il mio avvocato e senza contatti con il consolato”, ha aggiunto, ma “non immaginate interrogatori sotto tortura” perchè “non ho mai subito nessuna violenza”.
“Non c’era un traduttore e io non parlo turco, perchè lì io incontro siriani e parlo arabo. Sono stato interrogato in una lingua con un arabo e sono stato costretto a firmare un verbale in turco di cui non ho nessuna copia, e su cui mi hanno fatto domande mentre ero in isolamento”, ha aggiunto, sottolineando che si è trattato di “una violazione molto grave delle libertà fondamentali, sia come individuo che come giornalista”.
“Non è accettabile che si possa essere incriminati per il lavoro che si svolge”, ha aggiunto Del Grande.
“Faccio un lavoro piu simile a quello di un ricercatore, cose meno avventurose di quel che potete immaginare, vado a casa delle persone e chiedo informazioni”, ha spiegato Del Grande, “non avevo nemmeno la macchina fotografica”. In Turchia “il mio progetto era quello di intrecciare biografie e storie di persone che vivono in una zona dove si sta scrivendo la storia”, ha raccontato ancora.
Del Grande, che nel corso dell’incontro ha ringraziato quanti si sono mobilitati per la sua causa ha sottolineato che non gli piace “l’idea di tornare ed essere accolto come un eroe, non mi piace che un arresto cambi l’idea del mio lavoro”, ha spiegato, “anzi, chiedo di essere giudicato in base al lavoro che ho fatto che faccio e che farò”.
Un arresto, ha continuato, “a volte può essere causato dalla sfortuna, da un errore, da una un contesto difficile in cui si va a lavorare” quindi “giudicatemi quando usciranno le storie a cui sto lavorando, le storie per cui sono andato dove sono andato”.
Rispetto a quanto accaduto “come ho detto anche ai poliziotti che mi hanno portato in aeroporto quando ci siamo salutati, vado via dalla Turchia ma non vedo l’ora di tornare e ho detto loro che andavo via nonostante tutto con un sentimento di rinnovata amicizia verso il popolo turco”, ha spiegato Del Grande, perchè “al di là dell’aspetto politico non è stato un incidente fra popoli, è stata una violenza istituzionale con una sospensione del diritto” e in tutto ciò “nè io nè i miei avvocati abbiamo ancora accesso al fascicolo”.
“Quando tornerò in Turchia? se dura sei mesi un giorno dopo” la fine del divieto di ingresso, “se dura dieci anni un giorno dopo”, ha spiegato rispondendo ad una domanda. “Sta dicendo che non rientrerà in Turchia illegalmente”, ha poi chiarito il senatore Manconi.
Intanto, però, ha ribadito Del Grande, “non voglio essere preso come l’unico” ad aver subito un trattamento del genere, “è pieno di giornalisti bravissimi e preparatissimi che questo atto di resistere lo compiono quotidianamente, ma magari non fanno notizia perchè non hanno la sfortuna o l’azzardo di finire 15 giorni in galera” e “quell’atto di resistere si fa quotidianamente per quanto riguarda la categoria nel raccontare, soprattutto le storie che non vogliano si raccontino”.
(da “La Repubblica”)
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