DEL GRANDE: “COSTRETTO A FIRMARE UN VERBALE IN TURCO DI CUI NON HO COPIA”
“ANCORA NON SO PER COSA SONO STATO ARRESTATO, IL MIO PENSIERO AI 174 GIORNALISTI ANCORA DETENUTI IN TURCHIA”
I giornalisti in carcere in Turchia sono 174, “io sono il numero 175 e il caso più fortunato” quindi a quel Paese “faccio appello perchè liberi tutti i giornalisti”.
Così Gabriele Del Grande fermato dalla polizia turca il 9 aprile ha iniziato la conferenza stampa presso la sede della stampa estera a Roma.
A sole 24 ore dal ritorno in Italia il giornalista e videomaker ha raccontato la propria vicenda ai colleghi.
Con accanto la compagna Alexandra D’Onofrio e il senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione diritti umani, il regista di ‘Io sto con la sposa’ ha descritto i giorni della sua detenzione e ha sottolineato i tanti i dubbi che ancora circondano il suo arresto e i successivi 15 giorni passati in due diversi centri di identificazione: “E’ stata una situazione di sospensione del diritto” anche perchè “nè io nè i miei avvocati abbiamo avuto ad oggi accesso al fascicolo e quindi non so dirvi il perchè del mio fermo”. Di certo “non ero intenzionato ad andare in Siria e non sono stato fermato al confine o nei pressi del confine”.
Nel corso della detenzione, avvenuta in un centro “migliore dei tanti che mi è capitato di visitare in Italia”, Del Grande ha raccontato di essersi “sempre rifiutato di rispondere alle domande sul mio lavoro che arrivavano da Ankara”.
Nonostante questo “ho avuto un trattamento dignitoso, fermo restando che sono stato privato della libertà e mi è stata negata ogni comunicazione con l’esterno, sempre per ordini di Ankara”.
Anche sulla conclusione della vicenda restano alcune domande, visto che “sono stato rimpatriato senza neanche un foglio di carta. Non so neanche se è stato emesso un divieto di ingresso nei miei confronti”.
In Turchia “sono entrato con un passaporto regolare e un timbro regolare, non ero intenzionato ad andare in Siria e non sono stato fermato al confine ma in una città lungo il confine – ha spiegato il blogger – stavo mangiando in uno dei migliori ristoranti della città con una mia fonte” ma poi “sono arrivati otto agenti in borghese, ci hanno mostrato i distintivi, siamo stati caricati su due auto diverse, senza nessun contrassegno delle forze dell’ordine, e siamo stati portati in quella che apparentemente era una stazione polizia, poi sono cominciati gli interrogatori”.
In tutto ciò “il clima era strano, all’inizio sembrava una sciocchezza, loro sdrammatizzavamo la situazione e all’inizio anche il mio atteggiamento era collaborativo, hanno guardato il computer e le foto, ma non c’era nulla di strano, poi il trasferimento”, ha continuato Del Grande.
Gli agenti “volevano sapere con chi avessi parlato, se avevo contatti in Siria – ha detto ancora – e cercavano sul telefono l’evidenza di contatti con la Siria”.
A questo punto “se oggetto della vicenda e delle domande era il mio lavoro, ho detto che non avrei parlato senza il mio avvocato e senza contatti con il consolato”, ha aggiunto, ma “non immaginate interrogatori sotto tortura” perchè “non ho mai subito nessuna violenza”.
“Non c’era un traduttore e io non parlo turco, perchè lì io incontro siriani e parlo arabo. Sono stato interrogato in una lingua con un arabo e sono stato costretto a firmare un verbale in turco di cui non ho nessuna copia, e su cui mi hanno fatto domande mentre ero in isolamento”, ha aggiunto, sottolineando che si è trattato di “una violazione molto grave delle libertà fondamentali, sia come individuo che come giornalista”.
“Non è accettabile che si possa essere incriminati per il lavoro che si svolge”, ha aggiunto Del Grande.
“Faccio un lavoro piu simile a quello di un ricercatore, cose meno avventurose di quel che potete immaginare, vado a casa delle persone e chiedo informazioni”, ha spiegato Del Grande, “non avevo nemmeno la macchina fotografica”. In Turchia “il mio progetto era quello di intrecciare biografie e storie di persone che vivono in una zona dove si sta scrivendo la storia”, ha raccontato ancora.
Del Grande, che nel corso dell’incontro ha ringraziato quanti si sono mobilitati per la sua causa ha sottolineato che non gli piace “l’idea di tornare ed essere accolto come un eroe, non mi piace che un arresto cambi l’idea del mio lavoro”, ha spiegato, “anzi, chiedo di essere giudicato in base al lavoro che ho fatto che faccio e che farò”.
Un arresto, ha continuato, “a volte può essere causato dalla sfortuna, da un errore, da una un contesto difficile in cui si va a lavorare” quindi “giudicatemi quando usciranno le storie a cui sto lavorando, le storie per cui sono andato dove sono andato”.
Rispetto a quanto accaduto “come ho detto anche ai poliziotti che mi hanno portato in aeroporto quando ci siamo salutati, vado via dalla Turchia ma non vedo l’ora di tornare e ho detto loro che andavo via nonostante tutto con un sentimento di rinnovata amicizia verso il popolo turco”, ha spiegato Del Grande, perchè “al di là dell’aspetto politico non è stato un incidente fra popoli, è stata una violenza istituzionale con una sospensione del diritto” e in tutto ciò “nè io nè i miei avvocati abbiamo ancora accesso al fascicolo”.
“Quando tornerò in Turchia? se dura sei mesi un giorno dopo” la fine del divieto di ingresso, “se dura dieci anni un giorno dopo”, ha spiegato rispondendo ad una domanda. “Sta dicendo che non rientrerà in Turchia illegalmente”, ha poi chiarito il senatore Manconi.
Intanto, però, ha ribadito Del Grande, “non voglio essere preso come l’unico” ad aver subito un trattamento del genere, “è pieno di giornalisti bravissimi e preparatissimi che questo atto di resistere lo compiono quotidianamente, ma magari non fanno notizia perchè non hanno la sfortuna o l’azzardo di finire 15 giorni in galera” e “quell’atto di resistere si fa quotidianamente per quanto riguarda la categoria nel raccontare, soprattutto le storie che non vogliano si raccontino”.
(da “La Repubblica”)
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