Aprile 5th, 2017 Riccardo Fucile
DOMANI CHIAMA I SUOI PARLAMENTARI AL NAZARENO
Davanti alla buvette Lorenzo Guerini è nervoso. Michele Anzaldi è furioso.
Matteo Richetti mantiene il sorriso in Transatlantico, ma non c’è niente da fare: oggi è giornata ‘no’ in casa Renzi. A cominciare dal capo: umore nero.
Si imbatte in un inciampo dietro l’altro: lo scivolone su Panorama e poi l’incidente che lo mette in minoranza in Senato.
Nel giro di poche ore ecco che prende corpo il nuovo possibile incubo: la sindrome del 4 dicembre. Domani pomeriggio Renzi convoca i suoi parlamentari e il suo promesso vice-segretario Maurizio Martina al Nazareno.
Incontro fissato da tempo, ma che cade in una cornice di debolezza proprio nei gruppi parlamentari del Pd.
Non sono passati nemmeno tre giorni dal trionfo renziano al voto dei circoli Pd, la campagna elettorale per le primarie è appena iniziata ed ecco che cade la prima tegola, dritta dritta a incrinare i propositi battaglieri del leader.
Con il grancapo della comunicazione Anzaldi, Renzi decide di dare un’intervista al settimanale Panorama. Colloquio rilassato all’ora di pranzo, si parla di tutto un po’. “Questa volta sarei tornato alla politica solo con i voti”, dice Renzi. Senza voti niente impegno politico? “Mi pare evidente”, la risposta dell’ex premier.
Il che poi sulle anticipazioni di agenzia diventa ‘se perdo mollo’. Vale a dire lo stesso teorema al quale Renzi è rimasto impiccato (politicamente, s’intende) al referendum costituzionale, la stessa maledetta frase che — parole sue — ha contribuito a “politicizzare” la consultazione del 4 dicembre, producendo la santa alleanza di tanti, diversi e vincenti contro Renzi.
Potrebbe risuccedere con le primarie del 30 aprile? Esagerato, sembrerebbe.
Eppure al quartier generale dell’ex premier scatta l’allarme non appena l’intervista a Panorama viene diffusa dalle agenzie di stampa. Parte la smentita di Anzaldi: “E’ un pesce d’aprile a scoppio ritardato? Non ha mai pronunciato le parole attribuite”.
Parte anche la smentita di Renzi: “Non l’ho detto e stavolta non l’ho nemmeno pensato. Ho spiegato a pranzo per un’ora perchè non ho mollato e a questo punto non mollerò mai”.
Smentisce pure Richetti e lo stesso giornalista autore dell’intervista, Andrea Marcenaro, interviene per spiegare di non vedere “nè notizia, nè scandalo” nell’assunto secondo cui senza i voti non c’è impegno politico.
Tanto che Renzi ha risposto “mi pare evidente”, nell’intervista.
Tempesta in un bicchier d’acqua? Può essere, ma intanto semina il panico nell’inner circle dell’ex premier. Ora fioccano le interpretazioni.
Alla Camera, tra i suoi parlamentari, c’è chi pensa al complotto: “Montato ad arte per danneggiarci”. E chi tenta di gettare acqua sul ‘focolaio Panorama’ allungando lo sguardo verso il Senato, dove “è successo qualcosa di molto più serio”. Già perchè in confronto l’affare Panorama è acqua fresca.
A Palazzo Madama Renzi finisce in minoranza. Il voto segreto sull’elezione del presidente della Commissione Affari Costituzionali, quella che si occuperà della cruciale questione della legge elettorale, elegge a sorpresa il Popolare Salvatore Torrisi ed elimina il candidato del Pd e di maggioranza Giorgio Pagliari.
Un tradimento, che però ferisce al cuore soprattutto i renziani del Pd e non tanto il resto del partito. “Non è questo il modo di stare in maggioranza”, tuona Guerini.
“I partiti di maggioranza sono poco leali”, attacca il capogruppo del Pd alla Camera Ettore Rosato. Ma il suo omologo al Senato, Luigi Zanda, finisce nel mirino dei renziani: lo accusano di non aver ostacolato la manovra anti-Renzi.
Ora, tutto questo che vuol dire?
Primo: “Evidentemente hanno vinto coloro che non vogliono toccare la legge elettorale e che vogliono restare sul proporzionale facendo definitamente cadere la nostra proposta di Mattarellum”, ci dice alla Camera Richetti.
Ragion per cui il Pd chiede un incontro al premier Paolo Gentiloni e al presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Ma l’incidente del Senato fa scattare anche un altro campanello d’allarme al quartier generale di Renzi.
Vale a dire: il leader torna a vincere, come dimostrano i congressi locali del Pd, ma non governa. Non ha la golden share dei gruppi, continua a essere debole in un Parlamento eletto in effetti con le liste di un Pd diverso, quello del 2013 a trazione Bersani e l’alleato di allora, Dario Franceschini.
E allora? Domani, l’ex premier farà il punto con i suoi parlamentari al Nazareno.
I luogotenenti renziani ne contano una 60ina al Senato e 190 alla Camera.
Nei capannelli dei parlamentari in Transatlantico sono già partite le scommesse su quanti effettivamente andranno all’incontro con Renzi.
Perchè anche nella stessa mozione, non c’è la stessa modalità di approccio ai temi caldi che presto il Parlamento dovrà discutere.
Per esempio, la manovrina e il Def. Ieri all’assemblea del gruppo Dem alla Camera con Pier Carlo Padoan, solo i renzianissimi hanno portato alta la bandiera del no alle privatizzazioni, no a nuove tasse, no alla riforma del catasto, chiedendo un approccio ‘battagliero’ con Bruxelles.
Il resto del gruppo si è di fatto schierato col ministro, che, pur non entrando nei dettagli, non ha ceduto alle pressioni.
Ecco, timori e debolezze allungano un’ombra scura sulla campagna elettorale di Renzi per le primarie, tra sindrome del 4 dicembre e l’incubo del dopo: basta vincere per governare?
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 5th, 2017 Riccardo Fucile
CI VOLEVA UN “EX CLANDESTINO” PER TROVARE UN MINIMO DI UMANITA’… LA STORIA DI LETIZIA E DI BEN, CHE HA CREATO UN’AZIENDA ARTIGIANALE IN PELLE CON SEI NEGOZI IN ITALIA : “HO SOLO FATTO QUELLO CHE DOVREBBE ESSERE UNA REGOLA, NON UN’ECCEZIONE”
Per lei è stato quasi un miracolo. Per lui, invece, una cosa del tutto normale.
Lei si chiama Letizia Chiari, ha scoperto di essere incinta proprio alla fine del contratto a tempo determinato di sei mesi. «Quando ho scoperto di essere incinta, ho pensato che avrei perso il lavoro. Sarei stata una mamma felice, ma disoccupata».
Lui è l’imprenditore marocchino che, nonostante il termine del contratto e nonostante la gravidanza della propria dipendente, ha deciso di assumerla a tempo indeterminato. Da subito, senza attendere la nascita del figlio.
Una storia poco comune, nell’Italia che siamo abituati a conoscere.
Ancor più se l’imprenditore in questione, Hicham Ben ‘Mbarek, è un marocchino, arrivato oltre vent’anni fa con un barcone, insieme alla madre.
Da allora tanta fatica, sudore e lacrime. E tantissima forza di volontà .
Oggi Ben è un immigrato di successo, comproprietario insieme a Matteo Masini di Benheart, marchio di accessori e calzature in pelle made in Italy, con realizzazione artigianale. Cinture, scarpe borse, giacche, giubbotti.
Due negozi a Firenze, un negozio a Milano, un altro a Verona, uno a Roma, uno a Tokyo. Tredici assunti soltanto a Firenze, di cui 12 italiani.
Lui non ruba il lavoro agli italiani, al contrario, lo crea.
Per Benheart lavorano esclusivamente artigiani selezionati della zona, è importante per non far morire l’artigianato fiorentino. Il brand è stato indossato da artisti internazionali come Enrico Ruggeri, Ligabue, Eto’o.
Ben è piuttosto restio a raccontare la storia dell’assunzione di Letizia: «Per me non è un fatto di scalpore, dovrebbe essere la normalità e non voglio farmi pubblicità per una cosa che ritengo un fatto di civiltà . Non deve costituire un’eccezione, ma la regola».
È stata Letizia a convincere Ben a rilasciare questa intervista, dopo che la storia era stata raccontata per la prima volta sulle pagine fiorentine de La Nazione.
Dice Letizia: «Sono consapevole delle difficoltà che si trovano a vivere le donne incinta sul posto di lavoro e credo sia opportuno raccontare storie a lieto fine come questa, affinchè diventino la normalità ».
Ben non si ferma mai, lavora senza sosta. È padre di tre figli e ha subìto un trapianto di cuore nel 2011.
Stava giocando a calcio, quando improvvisamente il suo cuore si è fermato. Attacco cardiaco. Miocardiopatia dilatativa.
C’era solo un modo per salvare Ben: un cuore nuovo, che arrivò soltanto dopo sette mesi di lunga attesa. Era il cuore di un donatore italiano, cristiano.
«Sono musulmano, ma dentro di me batte un cuore cristiano».
Un messaggio che Ben ha voluto diffondere, come segnale di pace e fratellanza in un momento storico fatto di muri e tensioni.
«Soltanto con la condivisione si possono sconfiggere ingiustizie e terrorismi».
Forse anche per questo Ben è un imprenditore dal volto umano. Sono state proprio la sofferenza e la fatica a renderlo più generoso.
Ecco perchè, dice agli immigrati in arrivo sulle nostre coste: «Ricordatevi che l’Europa non è una giostra, dovete conquistarvela con sudore e umiltà ».
(da “Il Corriere della Sera”)
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Aprile 5th, 2017 Riccardo Fucile
IL COMUNE FA GESTIRE I RIFIUTI DA UNA SOCIETA’ PRIVATA RAGGIUNTA DA UNA INTERDITTIVA ANTIMAFIA…NUOVO RISCHIO PARALISI
«Non accettiamo ricatti da questo soggetto». Così la sindaca di Roma Virginia Raggi ha risposto, interpellata dai cronisti nell’ambito di una conferenza stampa sul piano rifiuti, rispetto alla possibilità che si verifichi uno stop del conferimento rifiuti negli impianti di Manlio Cerroni. Di che parla la sindaca e perchè torna d’attualità il nome del “re dei monnezzari” proprietario di Malagrotta?
Il problema è che sta ritornando d’attualità il Monnezzagate che vide l’esordio traballante della prima cittadina, all’epoca ancora in coppia con l’ormai giubilata assessora Paola Muraro.
Gli impianti per il trattamento dei rifiuti sono prossimi alla paralisi e la raccolta tra i cassonetti va a rilento perchè i depositi sono già pieni.
Due settimane fa Colari, il consorzio che ha preso in mano gli impianti di Cerroni, ha respinto metà dei rifiuti che AMA inviava ai suoi impianti accettandone solamente 600 tonnellate. Cerroni è in grado di ricattare AMA perchè il Colari chiede l’adeguamento delle tariffe bloccate da anni e arretrati milionari; dall’altra parte però, come all’epoca di Fortini, l’AMA e la Regione Lazio non possono trattare alcunchè con il Colari perchè il consorzio è colpito da un’interdittiva antimafia, confermata definitivamente dal Consiglio di Stato.
E così il Colari tenta di sbloccare questa situazione aprendo e chiudendo i cancelli dei suoi impianti, permettendo così o lo scarico o favorendo l’accumulo di rifiuti in strada.
Con una data-limite: quella del 15 aprile, data entro cui Cerroni si aspetta il pagamento delle fatture altrimenti impedirà l’utilizzo dei suoi impianti oppure dirà di non essere in grado di pagare fornitori e dipendenti bloccando di fatto il ciclo dei rifiuti a Roma e mandando la città in emergenza vera.
Intanto i due impianti di Ama (Salaria e RoccaCencia) stanno lavorando a pieno regime e rischiano di finire in tilt per farsi carico della parte di rifiuti che il TMB di Malagrotta respinge. La municipalizzata tenta di metterci una pezza, come ha raccontato il Corriere Roma, chiedendo ai lavoratori un’ora di straordinario in più durante il primo turno del mattino e due in più in quello serale.
«Abbiamo appena concluso gli accordi sui nuovi turni, anche noi ci siamo chiesti il senso di un simile provvedimento — diceva al quotidiano Maurizio Biferali, responsabile Ama della Fp-Cgil -. Ormai più o meno tutte le zone del centro sono in difficoltà , ma con la linea del Salario fuori uso e gli impianti che lavorano già al massimo gli operai possono fare ben poco: visto che i problemi sono strutturali, preferiremmo qualche assunzione in più agli straordinari a pioggia». C’è poi un altro problema.
Proprio a causa dell’interdittiva AMA non può pagare Cerroni, mentre la gestione attuale dei rifiuti non si basa su un contratto firmato tra la municipalizzata e il Colari (per lo stesso motivo). Una soluzione ci sarebbe.
La prefettura di Roma potrebbe procedere al commissariamento del Colari, applicando la legge e così superando l’interdittiva.
Ai più attenti non sfuggirà che questa era proprio la soluzione caldeggiata all’epoca dalla buonanima di Fortini, nel frattempo ingiustamente cacciato dall’AMA proprio all’epoca del primo Monnezzagate e con la regia della Muraro.
Oggi, come ha raccontato Mauro Evangelista sul Messaggero domenica scorsa, è il Comune che insieme all’AMA e alla Regione sta chiedendo alla prefettura di procedere con il commissariamento. Così implicitamente dando ragione a Fortini.
Ma c’è un altro problema in ballo.
Giovedì scorso il prefetto Paola Basilone ha risposto con una lettera in cui spiega che sono ancora in corso approfondimenti, perchè il commissariamento, secondo la legge, dovrebbe colpire il contratto che lega AMA a Colari. Ma quel contratto non c’è.
La tesi di Ama e Roma Capitale (condivisa anche in Regione) è differente: comunque si applicano tariffe determinate per legge dalla Regione, dunque c’è un contratto de facto su cui intervenire.
Ma nella lettera la Basilone prende tempo, ricordando che in forma temporanea ci sono altri strumenti che può utilizzare Roma Capitale. Ecco allora che viene fatta balenare l’idea di una ordinanza firmata dalla sindaca Virginia Raggi.
Negli uffici di Roma Capitale questo strumento era già stato preso in considerazione,ma alla fine gli uffici hanno consigliato alla Raggi di non firmare.
Roma Capitale e l’assessorato all’Ambiente in queste ore hanno chiesto un nuovo incontro urgente alla Prefettura; i legali di Ama sono al lavoro per capire come continuare a usare i Tmb di Colari a Malagrotta senza violare la legge. E senza fare passare il messaggio (oggettivamente forzato) che la giunta M5S sta portando i rifiuti negli stabilimenti di una società colpita da interdittiva antimafia. «Ma dobbiamo uscire da questa dipendenza da Colari», ripetono nei corridoi di Palazzo Senatorio, con parole molto simili a quelle che si sentivano ai tempi di Ignazio Marino
E come sappiamo la soluzione definitiva non venne mai trovata nemmeno da Marino e Fortini, se non prevedendo il trasporto e il trattamento dei rifiuti fuori dall’Italia (a carissimo prezzo).
Ma di certo se all’epoca si fosse risolto oggi non ci troveremmo a rischio emergenza.
(da “NextQuotidiano“)
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Aprile 5th, 2017 Riccardo Fucile
MANCA LA VARIANTE URBANISTICA DA PARTE DEL COMUNE E C’E’ UNA RICHIESTA DI VINCOLO DA PARTE DEL MIBACT… DEVONO ESSERE MANTENUTE LE OPERE PUBBLICHE PREVISTE
La Conferenza dei servizi sullo Stadio della Roma si è chiusa con esito negativo.
A determinare l’esito dei lavori, tra l’altro, la mancata variante urbanistica da parte del Campidoglio e l’avvio del procedimento di vincolo da parte del Mibact.
Ora i proponenti avranno tempo fino al 16 giugno per presentare controdeduzioni.
Per avviare una nuova Conferenza dei servizi è necessario che nelle controdeduzioni siano mantenute le opere pubbliche e di interesse generale, e che esse siano eseguite contestualmente a quelle private.
La Direzione territorio, urbanistica e mobilità della Regione Lazio, spiega l’assessore alle politiche del territorio della Regione, Michele Civita, ha concluso con esito negativo la Conferenza dei Servizi «prendendo atto dei pareri trasmessi dalle varie amministrazioni interessate e ribaditi, alla fine di marzo, con i pareri negativi dei Rappresentanti unici di Roma Capitale e della Città Metropolitana. Gli Uffici della Regione hanno contestualmente comunicato ai proponenti l’avvio della chiusura del procedimento, come prevede la legge, sottolineando il mancato completamento della variante urbanistica da parte di Roma Capitale e l’avvio del procedimento di apposizione di vincolo relativo alla porzione dell’immobile denominato `Ippodromo Tor di Valle’ e area circostante da parte del Mibact.
Il proponente, anche considerando che Roma Capitale, con propria deliberazione di giunta comunale del 30 marzo, ha avviato il procedimento di revisione del progetto come condizione necessaria per la dichiarazione di interesse pubblico, avrà tempo fino al 15/06/2017, data ultima per l’eventuale apposizione del vincolo da parte del Mibact, per presentare le controdeduzioni, anche mediante una diversa formulazione che, mantenendo le opere pubbliche e di interesse generale e garantendone la contestuale esecuzione con quelle private, potrà determinare l’avvio di una nuova conferenza dei servizi».
(da agenzie)
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Aprile 5th, 2017 Riccardo Fucile
USATI PER RICICLARE IL DENARO DELLE ATTIVITA’ ILLECITE DELLE COSCHE… GIRO D’AFFARI DI 22 MILIARDI
Si comprano meno case, ma si va sempre più spesso al ristorante.
E così, con la crisi del mattone, l’enogastronomia diventa il primo settore d’investimento di ‘ndrangheta, camorra e «Cosa nostra» per riciclare denaro sporco. Dal Caffè de Paris di Roma, al Donna Sophia dal 1931 di Milano e Villa delle Ninfe di Pozzuoli, in provincia di Napoli, sono 5 mila i ristoranti del nostro Paese finiti nelle grinfie della criminalità organizzata.
Oltre alla ristorazione, i clan hanno interessi anche sui prodotti da tavola al top del made in Italy.
A partire dalle arance della ‘ndrina calabrese Piromalli e l’olio extra vergine di oliva del re de latitanti Matteo Messina Denaro, fino alle mozzarelle di bufala del figlio di Sandokan del clan dei Casalesi e al controllo del commercio della carne da parte della ‘ndrangheta e di quello ortofrutticolo della famiglia di Totò Riina.
Polizia, carabinieri, guardia di finanza, spesso sotto la regia della Dia, la Direzione investigativa antimafia, intensificano la loro attività – 200 mila controlli solo nel 2016 – contro questa escalation di affari loschi.
E la Coldiretti, in occasione della recente presentazione del quinto rapporto sui crimini agroalimentari (#Agromafie2017), elaborato assieme ad Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, punta il dito contro il business enogastronomico delle cosche.
I numeri sono allarmanti.
«Il volume d’affari complessivo dell’agromafia è salito – evidenzia la Coldiretti – a 21,8 miliardi di euro (+30% in un anno) perchè la filiera del cibo, della sua produzione, trasporto, distribuzione e vendita, ha tutte le caratteristiche necessarie per attirare l’interesse di organizzazioni criminali. L’agroalimentare è divenuto una delle aree prioritarie di investimento della malavita che ne comprende la strategicità in tempo di crisi perchè consente di infiltrarsi in modo capillare nella società civile e condizionare la via quotidiana della persone. Trentamila i terreni agricoli in mano alla criminalità ».
Tra i risultati nefasti c’è anche la moltiplicazione dei prezzi che per l’ortofrutta arrivano a triplicare dal campo alla tavola, ma anche pesanti danni di immagine per il made in Italy nella Penisola e all’estero, se non addirittura rischi per la salute dei consumatori.
L’attenzione dei clan mafiosi sul mondo della ristorazione è a 360 gradi, dal franchising ai locali esclusivi, da bar e trattorie ai ristoranti di lusso e aperibar alla moda.
E intanto ristoranti, bar, bistrot costruiscono la migliore copertura per mascherare guadagni frutto delle attività illecite: traffico di droga, estorsioni, strozzinaggio.
I pubblici esercizi – grazie alla complicità di imprenditori collusi che vendono una parte delle proprie quote – sono assai utili alle associazioni criminali in quanto hanno una facciata di legalità dietro la quale è difficile risalire ai veri proprietari e all’origine dei capitali.
Milano
Se ne era accorta Ilda Boccassini l’anno scorso: «Ci ha stupito constatare come diversi giovani appartenenti a famiglie mafiose scelgano di laurearsi in Farmacia».
La farmacia di piazza Caiazzo acquistata con tanti soldi dal clan Strangio è stata la prima ma non sarà l’ultima. Perchè non c’è esercizio commerciale che a Milano non ingolosisca le cosche.
Negli Anni Ottanta e Novanta andava forte la moda. La catena di negozi si chiamava Uba Uba. Ce ne erano 23 in tutto il Nord. Quando arrestarono il titolare Ubaldo Nigro nel 1993, a casa gli trovarono 219 milioni di lire in contanti ma il giro d’affari era sui 200 miliardi, che al cambio fanno 100 milioni di oggi. L’imprenditore era legato al boss Franco Coco Trovato di cui riciclava i soldi del narcotraffico.
Per stare sul classico non mancano i night club. Lo ‘ndranghetista calabrese Salvatore Morabito il suo lo aveva aperto dentro l’Ortomercato di cui era il boss. In una botta di narcisismo lo aveva chiamato «For a King». Apre il 19 aprile 2007 lo chiudono il 3 maggio. dentro ci sono 250 chili di cocaina.
Il figlio di Tanino Fidanzati, il siciliano re della droga, amava invece il quartiere di Brera e soprattutto i suoi locali che comprava e rivendeva alla velocità della luce. Il clan dei Crisafulli di Quarto Oggiaro invece preferisce inghiottirseli. Mette le mani su un locale che va un po’ così. Ci investe tanti soldi fino ad appropriarsene lasciando il titolare senza soldi solo con la firma sui documenti.
Talvolta i titolari sono invece direttamente il livello più o meno pulito delle cosche. Non si sporcano le mani con la droga. Il loro compito è solo quello del riciclaggio. Pochi anni fa a Vincenzo Falzetta detto «il banana» che ripuliva per la ‘ndrangheta i proventi della cocaina sequestrarono il Cafè Solaire, la pizzeria biologica bio Solaire e la discoteca Maison.
Suona come un’esagerazione quello che disse un pentito di mafia: «Dietro ogni pizzeria ci sono le cosche». Ma quando l’altro giorno la Dia di Napoli ha bussato alla pizzeria «Donna Sophia» è andata a colpo sicuro scoprendo investimenti milionari in odor di camorra.
ROMA
Anche stavolta i sigilli della Guardia di Finanza hanno bloccato le porte di ristoranti di grido della Capitale. Il Varsi Bistrot in via della Conciliazione; il Frankie’s Grill in via Veneto; Augustea in viale Trastevere; La Scuderia e La Piazzetta del Quirinale (già Al Presidente: noto alle cronache perchè un paio di anni fa a sette turisti thailandesi fu presentato un conto da 1.235 euro. I malcapitati denunciarono che gli erano stati addebitati 15 kg di pesce fresco, per totali 900 euro, mai richiesti e soprattutto mai consumati) in via in Arcione, dietro la Fontana di Trevi.
E poi ci sono terreni, una villa, una società operante nell’enologia con annesso locale aperto al pubblico, e le quote di altre otto società che controllano diversi bar e pizzerie.
Con un colpo solo, la magistratura romana ha sequestrato un patrimonio di 10 milioni di euro utilizzando le misure di prevenzione patrimoniale.
Colpito dal sequestro è l’imprenditore della ristorazione Francesco Varsi, originario della Campania, classe 1947, il «dominus» di un articolato sistema societario, attraverso il quale era stato schermato un ingentissimo patrimonio, assolutamente sproporzionato rispetto alla sua capacità reddituale. «Modestissima, stando alle dichiarazioni dei redditi», spiegano gli investigatori.
Una lunga e brutta storia di precedenti lo accompagna: nel periodo che va dal 1966 al 2011, l’uomo ha accumulato oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, vendita di prodotti industriali con segni mendaci, minaccia, emissione di assegni a vuoto, lesioni personali, furto e rapina. Ma questo è il passato.
Il presente di Varsi, come raccontano le carte dell’operazione Boccone amaro, sono abili evasioni fiscali, portate avanti grazie a un labirintico reticolo di società , e scientifico reinvestimento nel settore della ristorazione.
Lo hanno definito un «imprenditore specializzato nel delinquere nel settore tributario».
(da “La Stampa”)
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Aprile 5th, 2017 Riccardo Fucile
RISCHIA IL TRASFERIMENTO IL GIUDICE CHE HA SCARCERATO CASTAGNACCI
Non solo i due fratellastri Mario Castagnacci e Paolo Palmisani, in carcere dal 27 marzo. Secondo alcune indiscrezioni, la procura di Frosinone, diretta da Giuseppe De Falco, avrebbe esteso l’accusa di omicidio volontario ad altri sei indagati.
Sarebbero Michel Fortuna, 24 anni, di Frosinone, e i cinque a cui finora era stata contestata solo la rissa: Franco Castagnacci, padre di Mario, e i quattro buttafuori del Mirò davanti a cui l’operaio 20enne è stato ucciso (Manuel Capoccetta, Michael Ciotoli, Damiano Bruno e l’albanese Xhemal Pjetri).
Si allarga così il numero dei picchiatori ritenuti responsabili dell’assassinio: una conferma che il ragazzo è rimasto vittima del branco.
Rischia intanto il trasferimento il giudice che ha disposto la scarcerazione di Mario Castagnacci.
Il comitato di presidenza del Consiglio superiore della magistratura ha autorizzato l’apertura di una pratica in prima commissione, accogliendo la richiesta del laico di Forza Italia Pierantonio Zanettin.
Il cuoco 27enne infatti era stato arrestato giovedì 23 aprile, con tre amici, dopo che i carabinieri avevano trovato alcune dosi di droga in un appartamento al Pigneto.
La mattina dopo, al termine della direttissima, il giudice l’aveva scarcerato. Poche ore dopo, nella notte tra venerdì 24 e sabato 25, Castagnacci – secondo l’accusa – aveva ucciso Emanuele.
Ma il presidente dell’Anm, Eugenio Albamonte, intervistato da Giovanni Floris a Dimartedì, ha spiegato che in udienza i tre amici hanno scagionato il presunto assassino: «Hanno detto: ‘La droga è nostra, noi abitiamo in questa casa, era appena venuto a trovarci, non c’entra niente”.
Quindi – ha spiegato il pm – a fronte di una relazione di questo tipo e senza nessuna prova, il giudice non avrebbe potuto prendere nessun provvedimento ».
In realtà non è che un giudice deve starsene delle dichiarazioni (da verificare) di tre imputati che possono avere interesse a scagionare il quarto, può anche ordinare ulteriori accertamenti e indagini. Se non altro alla luce di tre precedenti specifici di Castagnacci. Un conto è avere di fronte un incensurato, altra cosa un pregiudicato.
(da agenzie)
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Aprile 5th, 2017 Riccardo Fucile
NECESSARIO L’ARRIVO DI 400.000 LAVORATORI QUALIFICATI OGNI ANNO PER MANTENERE IL POTENZIALE DI FORZA LAVORO… UN PORTALE DEDICATO CUI FARE RIFERIMENTO
Secondo un sondaggio dell’Ifo Institut di Dresda, la mancanza di personale qualificato preoccupa gli imprenditori tedeschi ancora di più della crisi dell’euro, del protezionismo globale in aumento e della crescita dei populisti.
E in effetti l’ente tedesco per il mercato del lavoro e la ricerca professionale (Iab) calcola che sarebbe necessario l’arrivo di 400 mila impiegati ogni anno per mantenere costante il potenziale di forza lavoro a lungo termine.
Dal 2012 il governo ha iniziato un piano per incentivare l’immigrazione di personale qualificato.
L’Agenzia federale per il lavoro (Bundesagentur fà¼r Arbeit) è attiva attraverso il suo servizio per il collocamento da e verso l’estero di personale specializzato e attraverso Make it in Germany, sito nato dalla collaborazione con il ministero del Lavoro e Affari sociali e quello dell’Economia.
La Germania è attraente per i lavoratori e le domande per trasferirsi nel Paese sono tante: il tasso di disoccupazione, secondo i dati di Eurostat di febbraio 2017, è il secondo più basso dell’Unione europea (dopo quello della Repubblica Ceca), anche se ci sono numeri più alti nelle regioni dell’est del Paese.
Dal qualche mese, una start up di Amburgo ha creato Employland, una piattaforma per entrare sul mercato del lavoro tedesco, che è gratis per chi è in cerca di occupazione.
Si può creare il proprio profilo e poi non c’è bisogno di proporsi per nessuna vacancy perchè sono le imprese che cercano e decidono chi assumere.
Queste ultime pagano un fee solo quando il processo va a buon fine.
La start up mette a disposizione avvocati che supportano i candidati in tutto l’iter burocratico richiesto dalla legge.
Soprattutto per chi cerca impiego dal suo Paese queste procedure possono risultare difficili da capire.
I cittadini dell’Ue che vogliono lavorare in Germania non hanno bisogno di alcun permesso. Per alcune professioni è richiesto però un riconoscimento della qualifica, per il quale a volte si deve frequentare un corso o superare un esame.
Employland si occupa di questa certificazione delle competenze, su cui si possono trovare le informazioni in un portale apposito.
Dopo il primo contatto con l’azienda, si passa alla negoziazione delle condizioni di lavoro, che avviene via email con massimo due imprese allo stesso tempo, e infine, se le due parti raggiungono un accordo, si firma il contratto.
Employland ricerca personale qualificato, con o senza laurea, ma che sia specializzato in un settore. L’Agenzia federale per il lavoro pubblica le posizioni per cui c’è carenza, :
Chi sa il tedesco ha più possibilità di essere scelto, a meno che non venga chiamato nelle multinazionali dove si parla inglese.
Per le posizioni a contatto con il pubblico è necessario il tedesco. Due programmi della Commissione europea, che supportano la mobilità in Europa e sono gestiti dal Ministero del lavoro italiano, rimborsano in parte le spese per la formazione linguistica prima della partenza.
È possibile così ottenere ad esempio le certificazioni Telc o Goethe per il tedesco, senza spendere troppo. I due programmi sono Your first Eures Job per i lavoratori dai 18 ai 36 anni o per chi ha più di 36 anni Your first Eures Job Reactivate.
Forniscono anche un contributo per il trasferimento all’estero e il rimborso delle spese sostenute per partecipare ai colloqui.
(da agenzie)
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Aprile 5th, 2017 Riccardo Fucile
IL PARTITO REPUBBLICANO HA IMPOSTO IL RIDIMENSIONAMENTO DEL GURU XENOFOBO
Donald Trump ha rimosso Stephen Bannon dal National Security Council. Bannon rimane nello staff con l’incarico di suo stratega.
A gennaio Trump aveva deciso, con una scelta inusuale, di inserire nel National Security Council Bannon, guru dell’alt-right ed ex responsabile del sito news di destra Breitbart, considerato uno degli artefici della vittoria del miliardario alle presidenziali. La scelta era stata molto criticata dai repubblicani e dai democratici: temevano che Bannon, ex capo della campagna elettorale di Trump, potesse politicizzare le decisioni sulla sicurezza nazionale.
A sollevare il problema a gennaio era stato un gruppo di cinque parlamentari democratici della Camera, sostenendo che si trattava di una scelta “pericolosa” per gli Stati Uniti.
Bannon aveva anche fatto un curioso endorsement a Virginia Raggi, la Trump italiana.
L’allontanamento di Bannon segna una vittoria per il generale H. R. McMaster, succeduto nel ruolo di Consigliere per la Sicurezza Nazionale al generale Michael Flynn, travolto dal Russiagate, per i suoi contatti illegali con l’ambasciatore russo a Mosca Serghely Klyaski.
Fonti della Casa Bianca forniscono una loro versione della rimozione di Bannon: l’uomo di fiducia di Trump — che resta suo consigliere e capo stratega — era stato inserito per tenere d’occhio Flynn — da cui si evince che Trump gia’ non si fidava di lui ancor prima che scoppiasse il Russiagate — ma ora che c’è McMaster, la sua presenza è inutile. Non solo.
Secondo la fonte della Casa Bianca citata da Bloomberg, Bannon non avrebbe mai partecipato alle riunioni del Consiglio.
Trump ha licenziato Flynn il 13 febbraio per aver mentito al vicepresidente Mike Pence sui suoi incontri con l’ambasciatore russo Kislyak, ancora prima che Trump si insediasse alla Casa Bianca.
Un reato previsto dal Logan Act che vieta ai privati cittadini di aver rapporti con rappresentanti di altri governi.
Il ridimensionamento di Bannon in realtà è una vittoria del partito repubblicano che non poteva tollerare un personaggio legato all’estrema destra xenofoba e Trump ha dovuto cedere per non vedere compromesso, più di quanto già non sia, il rapporto con il partito che non intende farsi travolgere dalle sue scelte personali.
(da agenzie)
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Aprile 5th, 2017 Riccardo Fucile
IL SARIN NON VIENE STOCCATO NELLA FORMA, MA IMMAGAZZINATO SEPARATO, VIENE LANCIATO DALL’ALTO ED ESPLODE NELL’ARIA… IMPOSSIBILE LA TESI DELLA CONSEGUENZA DI UN BOMBARDAMENTO DI UN “DEPOSITO DEI RIBELLI”… FONTI ISRAELIANE: “ORDINATO DA ASSAD IN PERSONA”
Martedì mattina alle 6 un bombardamento chimico ha lasciato 74 vittime, per la maggior parte civili. L’ONU e l’UE hanno accusato il presidente siriano Bashar Al Assad di essere il responsabile dell’attacco; la Russia di Putin ha difeso Assad e ha fornito una versione completamente diversa dei fatti.
Nell’agosto 2013 Assad utilizzò il gas sarin per bombardare alcuni quartieri di Damasco, uccidendo 1400 persone.
Nell’occasione Barack Obama desistette dalla promessa di bombardare la Siria in cambio della promessa dello smantellamento dell’arsenale chimico.
E proprio qui si capisce tutta l’importanza della questione. Secondo attivisti, medici e ONG internazionali come Save the children, alcuni dei bambini di Khan Sheikhun vittime del raid hanno riportato i sintomi di chi è stato esposto ad un gas nervino come il sarin: contrazione delle pupille, convulsioni, bava alla bocca, difficoltà respiratorie. Se fosse confermato l’utilizzo di questo agente chimico si tratterebbe di una palese violazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza della Nazioni Unite e delle convenzioni internazionali.
Il sarin, infatti, al pari del gas mostarda e il VX (altro agente nervino), era tra gli elementi che l’Onu, con una risoluzione datata 27 dicembre 2013 a seguito di un accordo a sorpresa tra Washington e Mosca, aveva intimato di distruggere al regime di Damasco.
In caso di mancato rispetto della risoluzione, il Consiglio di Sicurezza minacciò di dare il via libera ad operazioni militari.
Secondo Mosca, all’origine dell’attacco sarebbe stato il bombardamento da parte dell’aviazione siriana di un “deposito terroristico”, ovvero in mano ai ribelli, in cui erano contenute “sostanze tossiche” usate per produrre proiettili contenenti agenti chimici.
Una versione che fa acqua da tutte le parti.
Il gas di questo tipo non viene stoccato nella forma, ma viene immagazzinato separato e poi miscelato per l’uso.
Il sarin viene di solito lanciato dall’alto ed esplode nell’aria.
Un’èquipe medica di Medici Senza Frontiere (MSF) che ha supportato il dipartimento d’urgenza dell’ospedale di Bab Al Hawa, nella provincia siriana di Idlib, ha confermato che i sintomi dei pazienti sono coerenti con l’esposizione ad agenti neurotossici come il gas sarin.
Numerose vittime dell`attacco di Khan Sheikhoun sono state portate all’ospedale di Bab Al Hawa, situato 100 km a nord, vicino al confine con la Turchia.
Otto pazienti hanno mostrato sintomi coerenti con l`esposizione ad agenti neurotossici come il gas sarin o composti simili: pupille contratte, spasmi muscolari, defecazione involontaria.
MSF ha fornito farmaci e antidoti per trattare i pazienti e ha fornito indumenti protettivi allo staff medico del pronto soccorso dell`ospedale.
Le èquipe mediche di MSF sono riuscite anche a visitare altre strutture che stavano trattando pazienti colpiti dall`attacco e hanno riscontrato che le vittime avevano un odore di candeggina, che suggerisce una loro esposizione al cloro.
Questi elementi suggeriscono fortemente che le vittime dell`attacco di Khan Sheikhoun siano state esposte ad almeno due agenti chimici diversi.
Uno degli argomenti utilizzati per negare l’uso del gas sarin è che nelle foto diffuse subito dopo l’attacco i caschi bianchi toccano le persone a terra senza equipaggiamento di sicurezza e senza maschere e guanti. «I video pubblicati dai media occidentali sugli effetti di armi chimiche nella zona di siriana di Idlib sembrano una messinscena e hanno natura provocatoria», ha sostenuto la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova nel suo briefing con la stampa.
«Non abbiamo equipaggiamenti speciali. Durante i soccorsi cinque dei nostri sono rimasti anche loro intossicati e sono in condizioni critiche», è la risposta che arriva dal quartier generale dei White Helmets citata oggi dal Corriere.
Il gas Sarin inoltre evapora nell’aria in pochi minuti ma passa attraverso la pelle e resta sui vestiti. Sarebbe stato inutile indossare maschere.
Secondo fonti di Haaretz, rimaste anonime, il raid avrebbe ricevuto addirittura il via libera dei vertici del regime siriano, da Assad in persona o da altri gerarchi, mentre non è chiaro se anche Russia e Iran, i due più stretti alleati di Damasco, siano stati coinvolti nella decisione.
L’attacco, hanno aggiunto, avrebbe avuto lo scopo di minacciare quei gruppi ribelli che hanno infranto il cessate il fuoco nelle ultime due settimane.
Le fonti della sicurezza israeliane sostengono che dopo l’accordo del 2013 sullo smantellamento dell’arsenale chimico siriano, il regime abbia mantenuto residue scorte di armi chimiche, incluso il gas sarin.
La maggior parte delle infrastrutture per la produzione di queste armi è stato distrutto nel quadro di quell’accordo ed è possibile, si legge ancora su Haaretz, che la Siria stia cercando di ricostruire il suo arsenale. Tuttavia, ha concluso il giornale, è probabile che il gas usato ieri siano resti di vecchie scorte del regime.
A dispetto di tutte le ragioni che consigliavano prudenza, Assad potrebbe aver attaccato i ribelli con il gas proprio perchè non c’è nessuno abbastanza forte da impedirglielo.
(da agenzie)
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