Aprile 17th, 2017 Riccardo Fucile
IL CONDONO EDILIZIO APPROVATO DA TUTTI I PARTITI E’ UNA PIETRA TOMBALE SULLE DEMOLIZIONI… OGNI ANNO 20.000 EDIFICI ABUSIVI E SE NE ABBATTONO SOLO 150
Mentre in Parlamento è ferma da 3 anni una legge contro il consumo di suolo, lo stesso Parlamento si appresta ad approvare un nuovo condono edilizio mascherato da provvedimento di buon senso.
Una pietra tombale sulle demolizioni. Non contenti di rappresentare la nazione europea che divora più territorio di qualsiasi altra, al folle ritmo di 8 metri quadrati ogni secondo (in Svizzera sono meno di due), di registrare uno sprawl urbano che nemmeno a Mexico City e un numero di seconde case che in certi casi è uguale a quello dei residenti (per esempio all’isola d’Elba), i nostri parlamentari apprezzano le sfumature e distinguono fra i vari tipi di abusivismo edilizio, escludendo per sempre gli edifici comunque abitati e il cosiddetto abusivismo di necessità .
Una necessità tutta da dimostrare in un paese a crescita demografica zero e con 20 milioni di vani sfitti.
Una vera iattura per una nazione in cui, negli ultimi 20 anni, si sono perduti quasi 4 milioni di ettari di superfici agricole o di pregio e in cui solo il 29% delle coste risulta intatto.
Questa crescita senza limiti considera il territorio una risorsa inesauribile, in un meccanismo deleterio che permette la svendita di un patrimonio collettivo ed esauribile come il suolo, per finanziare, quando va bene, i servizi pubblici ai cittadini.
Tutto ciò ha già portato da una parte allo svuotamento di molti centri storici e dall’altra all’aumento di nuovi residenti in nuovi spazi e nuove attività , che significano a loro volta nuove domande di servizi e così via all’infinito, con effetti alla lunga devastanti.
Dando vita a quella che si può definire la città continua, come in pianura padana fra Torino e Venezia.
O alla vergogna della grande duna artificiale che si è dovuta innalzare a Selinunte per separare le magnifiche rovine greche dall’orribile abitato di Triscina (ancora in parte da sanare), perchè i visitatori non fossero offesi da un confronto tanto impietoso.
Dove esistevano paesi, comuni, identità municipali, oggi troviamo immense periferie urbane, quartieri dormitorio e senza anima: una conurbazione ormai completa per molte aree del Paese.
Ma la cosa forse più grave è che, in molti casi, le costruzioni abusive, comprese quelle di necessità , hanno impegnato aree che dovevano essere lasciate libere perchè a rischio naturale elevato, come le abitazioni costruite alle pendici del Vesuvio, nella zona rossa di Sarno, lungo le coste tirreniche a rischio tsunami e ovunque ci siano vecchie frane o corsi fluviali che possono esondare. In quei casi il rischio viene creato ex-novo, per poi essere costretti a intervenire quando caleranno le scuri dei terremoti e delle alluvioni.
Con soldi pubblici che sarebbe stato meglio spendere per le demolizioni, mitigando il rischio naturale.
Ma almeno si procedesse con gli abbattimenti delle seconde e terze case abusive, perlomeno quelle su territorio demaniale. No.
In Italia ci vogliono minimo 8 anni per arrivare all’abbattimento, che finora veniva fatto eseguire dal sindaco e doveva essere a carico del delinquente abusivo; ora interverranno i prefetti che, se tutto fila liscio, garantiranno meno di 150 demolizioni all’anno su 20.000 abusi annuali, visti i miseri 10 milioni di euro all’anno stanziati.
Considerando che ci sono ancora oltre 5 milioni di richieste di condono da evadere, fra qualche secolo forse potremo vedere rispettata la nuova legge.
Per non parlare del valore simbolico di resa che ha il lasciare intatte, per dirne una, le case costruite sopra i sepolcri romani dell’Appia Antica, in attesa di valutazione da quarant’anni.
Non sarà forse un caso che si fatichi non poco a tradurre in inglese o in tedesco la parola “condono” o “sanatoria”.
Se non si poteva e non si può costruire, allora gli edifici vanno abbattuti, abitati o no che siano, ti dicono con le loro facce incredule gli architetti di altri Paesi.
Se, invece, si poteva e si può costruire, allora non c’è motivo di pretendere una qualsiasi cifra in denaro e, anzi, bisognerebbe risarcire i proprietari delle spese.
Una chiarezza che in Italia non ha alcuna possibilità di essere fatta: che il brutto vinca e che il rischio si aggravi, tanto siamo tutti paesani.
Mario Tozzi
(da “La Stampa”)
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Aprile 17th, 2017 Riccardo Fucile
M5S 30%, PD 26,8%, FORZA ITALIA 12,9%, LEGA 12,3%, FDI 4,8%, MDP 3,9%, AP 2,7%, SIN. ITAL. 1,8%
Il consueto appuntamento con il sondaggio di Emg per il Tg de La 7, vede primo partito con il 30% i Cinquestelle, ma in calo dello 0,5% rispetto a una settimana fa forse a causa anche dei riflessi del caso Genova.
Secondo partito il Pd con il 26,8%, in rialzo dello 0,2%.
Al terzo posto Forza Italia con il 12,9% (+ 0,5%), ritornato primo partito del centrodestra chedistanzia la Lega al 12,3% (-0,4%)
Cala anche Fdi al 4,8% (-0,1%)
Rialza la testa Mdp del ottiene il 3,9% (+ 0,2%), mentre AP, il nuovo partito di Alfano si attesta al 2,7% (in calo dello02%)
Chiude Sinistra Italiana all’1,8% con un aumento dello 0,1% rispetto al rilevamento di una settimana fa.
(da agenzie)
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Aprile 17th, 2017 Riccardo Fucile
SE NON ARRIVA AL BALLOTTAGGIO MARINE LE PEN RISCHIA DI PERDERE LA GUIDA DEL PARTITO: LA NIPOTE MARLON POTREBBE TENTARE LA SCALATA
A meno di una settimana dal primo turno delle elezioni presidenziali francesi del 23 aprile, l’ultimo sondaggio di Opinion Way commissionato dal quotidiano ‘Les Echos’, registra una situazione di assoluta incertezza.
I quattro candidati più accreditati per la vittoria finale sono ormai divisi da una manciata di voti e all’interno di una forchetta di 4 punti percentuali.
I due candidati in testa, Marine Le Pen e Emmanuel Macron, secondo il sondaggio, si trovano appaiati al 22%, con la leader del Front National che perde un punto.
Subito dietro al duo di testa, a sorpresa, si piazza Franà§ois Fillon, a lungo considerato già battuto a causa dello scandalo PenelopeGate ma evidentemente in ripresa: il candidato della destra repubblicana guadagna un punto e si attesta al 21% delle intenzioni di voto dei francesi, un soffio dietro i primi due.
Resta saldamente quarto il candidato della sinistra radicale, Jean-Luc Melenchon, che continua ad aggirarsi attorno al 18%.
Fuori dai giochi invece, almeno stando alle percentuali riportate oggi da ‘Opinion Way’, il candidato ufficiale del partito socialista, Benoit Hamon, che si muove
Dalle parti della Le Pen i cinque punti in meno rispetto a un mese fa pesano come macigni.
Un mancato passaggio al secondo turno sarebbe catastrofico, il futuro di Marine al vertice del partito sarebbe rimesso in discussione sia dal padre Jean-Marie, sia dalla nipote Marion.
La crescita di Mèlenchon, anche lui antieuropeo e “rottamatore”, le ha nuociuto. “Serena”, come la descrive il suo staff, Marine si prepara agli ultimi due appuntamenti — comizi di Parigi lunedì e Marsiglia mercoledì — ben sapendo di giocarsi tutto.
A pronunciarsi sono chiamati oltre 45 milioni di francesi ma il 31% di loro pensa di non recarsi alle urne nè per il primo turno di domenica 23 aprile nè per il ballottaggio del 7 maggio.
Sarebbe un’astensione da record, ma per il secondo turno molto dipenderà da chi saranno i due sfidanti.
I primi exit-poll, saranno disponibili a partire dalle 20 nelle due giornate di votazione. Si voterà ovunque dalle 8 alle 20, senza la regola del passato che prevedeva la chiusura dei seggi dei centri più piccoli alle 18 e che ha reso possibili “fughe” di risultati in anticipo.
Per candidarsi all’Eliseo occorre presentare al Consiglio costituzionale una lista di 500 firme di “patrocinatori” (parlamentari, sindaci o consiglieri regionali).
Ogni candidato ha dovuto depositare una dichiarazione dei propri redditi e proprietà ad una Authority della trasparenza, che le ha pubblicate on line.
Elezioni primarie sono state organizzate soltanto dalla destra dei Rèpublicains, dai socialisti e dai verdi di Europe-Ecologie.
Il nuovo presidente che uscirà dalle urne dovrà governare con un primo ministro e una maggioranza che usciranno dalle Elezioni politiche dell’11 e 18 giugno per rinnovare Assemblèe Nationale e Senato.
Per la prima volta nella Quinta repubblica, il presidente in carica, il socialista Francois Hollande, ha deciso di non presentarsi per un secondo mandato.
Il sistema elettorale, a scrutinio uninominale maggioritario a due turni, prevede il ballottaggio a meno che uno dei candidati non superi il 50% al primo turno, una circostanza che non si è però mai verificata finora.
Il presidente eletto resta all’Eliseo per cinque anni, come ha voluto la riforma costituzionale di Jacques Chirac, che nel 2000 ha diminuito da sette anni a cinque il mandato presidenziale.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 17th, 2017 Riccardo Fucile
ANNULLATO IL VOLO, RESTANO ANCORA A PYONGYANG… IL SENATO PRECISA: “NON SONO IN MISSIONE, SONO ANDATI A TITOLO PERSONALE”
Nei giorni scorsi avevamo raccontato dei senatori Bartolomeo Pepe e Antonio Razzi, prima in partenza e poi bloccati in Corea del Nord mentre gli USA minacciavano un raid.
Il missile lanciato nel frattempo da Kim Jong-Un è caduto mentre Razzi è rimasto a Pyognyang con Pepe e una troupe del programma di Rai 2 Nemo composta da Nello Trocchia ed Edoardo Anselmi.
Attualmente il senatore di Forza Italia infatti è bloccato nella capitale della Nord Corea e non può tornare in Italia dopo che la compagnia di bandiera Air Koryo ha posticipato il volo in partenza per Pechino.
Era previsto lunedì mattina ma al momento è ancora fermo in Corea in attesa che la situazione si sblocchi.
Ma a quanto pare i due non sembrano molto impauriti dall’imprevisto, visto che lo stesso Pepe su Twitter ha scritto che i due sono pronti a tornare per fare da scudi umani se la situazione precipitasse.
Pepe visita regolarmente la Corea da un paio d’anni, alla ricerca soprattutto di contatti commerciali.
I suoi collaboratori ci fanno sapere che i coreani avrebbero acquistato un rigassificatore da un’impresa italiana lo scorso anno.
Al centro della missione del senatore ci sarebbe un’azione di distensione, anche se il Senato ha specificato che i senatori che si trovano in Corea sono lì a titolo personale.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 17th, 2017 Riccardo Fucile
NATHAN DAMINGO, ESPONENTE RAZZISTA SOSTENITORE DI TRUMP, HA PASSATO 4 ANNI IN GALERA PER RAPINA A MANO ARMATA
Un paio di giorni fa una manifestazione di sostenitori di Donald Trump a Berkeley, in California, è finita con una serie di scontri con gli anti-Trump. Luke Rudkowski, giornalista di We are Change”, ha mostrato, tra gli altri, un video in cui una manifestante viene colpita da un uomo sulla fronte.
L’uomo è stato identificato come il suprematista bianco Nathan Damigo, fondatore del movimento “alt-right” Identity Evropa.
Nathan Damigo era alla manifestazione, quel giorno, mentre Identity Evrope, il movimento di Damigo, non ha negato che sia lui l’uomo ritratto nel video mentre colpisce la donna.
Studente di trent’anni, è il fondatore di IE, Damigo è stato condannato nel 2007 per rapina a mano armata dopo aver rapinato un tassista.
Ha trascorso quattro anni in prigione, dove ha conosciuto i libri di David Duke del Ku Klux Klan.
Un pendaglio da forca che ben rappresenta la categoria.
(da agenzie)
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Aprile 17th, 2017 Riccardo Fucile
“STANDARD INTERNAZIONALI NON RISPETTATI”… MA COME SI PUO’ ALL’ULTIMO DIRE CHE SONO VALIDE ANCHE LE SCHEDE SENZA TIMBRO DELLA COMMISSIONE ELETTORALE?
Il giorno porta solo tensioni. L’Osce ha bocciato la regolarità della consultazione e il principale partito di opposizione, il kemalista Chp, ha chiesto alla Commissione elettorale suprema (Ysk) di cancellare per sospette irregolarità nel voto l’esito del referendum.
Sotto accusa soprattutto l’altissimo numero di schede prive di timbro ufficiale utilizzate, secondo l’opposizione, nel 37% dei seggi.
Il capo della commissione elettorale turca ha ribadito invece che le schede senza timbro sono valide, e che già in passato erano state ammesse dal governo turco.
Accuse di brogli.
“Al momento, questo è un voto dubbio”, ha commentato Utku Cakirozer, deputato del Chp (Partito repubblicano del popolo) che ha contestato complessivamente 2,5 milioni di voti, denunciando una seria irregolarità di procedura riguardante almeno 1,5 milioni di schede senza il timbro ufficiale.
Già ieri sera il Ysk si era giustificato indicando alcuni precedenti (2004 e 1994), senza però menzionare che la legge elettorale del 2010 ha espressamente vietato le buste senza timbro e aggiungendo di avere deciso di accettarle “su richiesta dell’Akp” – come ha affermato il presidente Sadi Gà¼ven – e portando gli oppositori a gridare allo scandalo.
“Non si possono cambiare le regole del gioco a metà “, ha affermato il leader Chp Kemal Kilià§daroglu, mentre Meral Akgener, nazionalista Mhp distaccatasi dalla linea ufficiale del partito, ha detto che “il consiglio ha commesso un crimine” e che “la Turchia non può proseguire con quest’onta”.
L’Osce.
Il referendum costituzionale turco non ha rispettatto gli standard democratici, a causa della “mancanza di imparzialità ” che ha fatto sì che il “campo di gioco non fosse tutto allo stesso livello”, ha dichiarato Tana de Zulueta, a capo della missione dell’Osce in Turchia.
“In generale, il referendum non ha rispettato le norme del Consiglio d’Europa”, ha aggiunto Cezar Florin Preda, leader del team dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa.
E’ il durissimo verdetto della missione dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) sul voto di ieri. Durante la campagna si sono registrate “violazioni che contravvengono agli standard Osce, a quelli europei e agli obblighi internazionali sulla libertà e l’equità del voto”.
Per gli osservatori, la campagna per il referendum turco “è stata iniqua” a causa della “mancanza di pari opportunità , di una copertura unilaterale dei media e di limitazioni alle libertà fondamentali”.
Tutte queste limitazioni hanno “creato condizioni di disparità ” nella gestione del referendum. Gli osservatori criticano anche “le modifiche procedurali decise all’ultimo minuto che hanno “rimosso importanti salvaguardie”.
Se gli aspetti tecnici del voto sono stati “ben amministrati” gli elettori non hanno avuto “informazioni imparziali sugli aspetti chiave della riforma”.
Le libertà politiche durante la campagna sono state “ridotte sulla base dello stato d’emergenza” ha detto Tana de Zulueta, a capo della missione. “Uno stato d’emergenza non dovrebbe mai essere usato per minare lo stato di diritto” ha aggiunto Preda.
Se la giornata elettorale ha registrato un andamento regolare e ordinato, a fine giornata il Consiglio elettorale supremo ha emesso istruzioni che hanno modificato in modo significativo i requisiti di validità delle schede elettorali, “rimuovendo un’importante salvaguardia e contraddicendo la legge”.
Per Tana de Zulueta, la decisione della Ysk di conteggiare come valide le schede senza timbro ufficial ha ridotto importanti garanzie contro i brogli. Tana de Zulueta ha precisato di “non aver avuto finora nessun contatto” con l’Ysk e di non avere il “compito di giudicare”.
(da agenzie)
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Aprile 17th, 2017 Riccardo Fucile
I PUNTI PRINCIPALI DEL PROGRAMMA DEI QUATTRO CANDIDATI IN CORSA PER L’ELISEO…. LA PAZZA IDEA: SE HAMON (SOCIALISTA, ALL’8%) SI RITIRASSE ?
Sarà battaglia a quattro: questo emerge dagli ultimissimi sondaggi, a poco meno di una settimana dal primo turno delle elezioni presidenziali francesi.
Non sarà dunque lotta a due tra Marine Le Pen e Emmanuel Macron, come sembrava scontato fino a qualche settimana fa (si vota domenica prossima, 23 aprile): il repubblicano Franà§ois Fillon e il radicale di sinistra Jean-Luc Mèlenchon non possono ancora essere dati per morti.
Almeno stando appunto ai sondaggi, che consegnano ai media francesi una situazione che così equilibrata non è mai stata dall’inizio della campagna elettorale e forse in tutta la storia della quinta Repubblica francese, segnata per lo più dal bipolarismo.
Stavolta invece sono in quattro a giocarsela e la grande novità è che tra i quattro non c’è il candidato del partito socialista, ovvero quello espresso dalla maggioranza uscente: Benoit Hamon è dato ormai solo all’8% e secondo qualcuno starebbe persino circolando la pazza idea di rinunciare alla candidatura per sostenere quella dell’indipendente, e decisamente più sbilanciato a sinistra, Mèlenchon, definito da Le Figaro “il Chavez francese” e promotore di un programma incentrato sulla spesa pubblica e su misure draconiane sul piano fiscale, dalla lotta all’evasione alla super tassazione dei redditi alti.
MELENCHON
In particolare Mèlenchon, nato in Marocco da genitori franco-algerini, vorrebbe tassare al 100% i redditi superiori ai 400mila euro annui (33mila euro al mese), ovvero di fatto vorrebbe mettere un tetto ai guadagni e aggiungere scalini fiscali (arrivare a 14 dai 5 attuali) in modo che chi dichiara il reddito massimo, ovvero 33mila euro al mese, paghi il 90% di imposte.
Il leader di “La France insoumise”, laureato in filosofia, vuole anche tassare i francesi residenti all’estero: nel caso degli sportivi ha anche detto che in caso contrario non vestiranno più le maglie delle nazionali transalpine.
Nel suo pacchetto c’è anche l’aumento del salario minimo (SMIC) dagli attuali 1.150 euro circa netti a 1.300, e l’abolizione del Senato.
LE PEN
Mèlenchon continua dunque a salire nelle intenzioni di voto, andando a raccogliere la rabbia dell’elettorato più deluso e antieuropeista, alla stessa stregua (ma con soluzioni diverse) di Marine Le Pen, che infatti nelle ultime settimane ha perso qualcosa: oggi un elettore su cinque (il 20%) voterebbe l’estremista di sinistra e il 22,5% (contro il 26% di qualche tempo fa) per la leader del Front National, strafavorita all’inizio della campagna elettorale.
Le Pen propone un programma marcatamente populista e anti-europeo: vuole abbassare — così come Mèlenchon — l’età pensionabile a 60 anni (dai 62 attuali), riservare le politiche sociali (il contributo di solidarietà per i più poveri, i disabili, e l’assegnazione delle case popolari) ai soli cittadini francesi, abolire lo ius soli e inasprire il controllo delle frontiere e la concessione del diritto di asilo, abolire Schengen e il PAC (politiche agricole comuni) per tornare a una politica agricola nazionale.
Ma soprattutto la figlia d’arte (il padre Jean-Marie, ora quasi 90enne, raggiunse uno storico ballottaggio nel 2002, perdendo poi da Chirac) auspica un ritorno al franco e se eletta proporrà un referendum per l’uscita dall’Unione europea.
MACRON
L’antieuropeismo è un po’ un filo conduttore della campagna francese: in testa ai sondaggi c’è però l’unico candidato espressamente europeista, l’ex ministro dell’Economia Emmanuel Macron, col 23,5% delle preferenze degli intervistati. Macron, che sempre secondo le proiezioni vincerebbe contro chiunque una volta raggiunto il ballottaggio (al contrario di Le Pen che è data perdente in tutte le combinazioni), è l’astro nascente della politica francese.
Non ancora 40enne, è riuscito ad occupare un ampio spazio elettorale lasciato libero dagli estremismi che tanto vanno di moda: pur reduce dall’esperienza col governo Hollande, giudicato disastroso dalla maggior parte della cittadinanza, è stato capace di reinventarsi centrista, o per meglio dire liberal-progressista.
Il suo equilibrio piace sempre di più ai francesi, forse proprio perchè tra i quattro candidati è quello che cambierebbe meno cose, soprattutto sul fronte internazionale.
Macron vuole infatti che la Francia rimanga saldamente in Europa, che rispetti il patto di stabilità 3% nel rapporto deficit/Pil, è inoltre favorevole ai trattati commerciali atlantici con Usa e Canada (l’unico tra gli 11 candidati) e crede ancora fortemente nella Nato, anzi la lascerebbe così come è opponendosi a nuovi ingressi.
Macron vorrebbe anche mantenere Schengen, lo ius soli, l’attuale legge sui simboli religiosi (vietati dal 2004 nelle scuole, il velo vietato dal 2010 nei luoghi pubblici), l’attuale e discussissima Loi Travail (il Jobs Act francese, che tutti gli altri 10 candidati vorrebbero invece rivedere).
Anche sulle pensioni Macron è conservatore (è l’unico che le lascerebbe esattamente come sono), mentre le grandi novità del suo programma sono principalmente tre: riduzione del cuneo fiscale per le imprese, ma soprattutto tagli enormi alla spesa pubblica (attraverso in particolare la soppressione di 120mila impieghi) e l’abolizione della tassa sugli immobili per l’80% di quelli che la pagano.
FILLON
Nel gruppo di testa c’è infine Franà§ois Fillon, ex premier durante la presidenza Sarkozy e sotto tiro ormai da mesi per le vicende giudiziarie relative agli incarichi fittizi assegnati a moglie e figli: questo però non sta impedendo al candidato gollista di rimanere in gioco, nella griglia di partenza col 20% delle preferenze nei sondaggi. Fillon è moderatamente europeista ma è soprattutto il candidato più liberale, quello che propone cambiamenti più drastici sul fronte del lavoro e delle politiche sociali a favore di una riduzione della spesa pubblica: si parte dal taglio di mezzo milione di funzionari pubblici fino all’innalzamento dell’età pensionabile a 65 anni.
Tra i candidati papabili Fillon è ad esempio l’unico che vorrebbe aumentare l’Iva, abolire l’imposta di solidarietà sulle grandi fortune (una tassa che riguarda 340mila contribuenti con reddito superiore a 1,3 milioni, e che frutta alle casse dello Stato 5,2 miliardi l’anno), e addirittura a rendere ancora più favorevole ai datori di lavoro la già criticatissima Loi Travail.
Il candidato repubblicano suggerisce anche di dire addio alla storica legge delle 35 ore, la durata di lavoro settimanale più bassa d’Europa e che Mèlenchon vorrebbe persino ridurre a 32: Fillon suggerisce di lasciarla agli accordi tra lavoratore e azienda.
(da “FirstOnLine”)
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Aprile 17th, 2017 Riccardo Fucile
ALLE PORTE DI PARIGI I COMUNISTI GUIDANO IL COMUNE DAL 1925… GLI ALLOGGI SOCIALI SONO AFFIDATI AL 39% DELLA POPOLAZIONE, COLONIE ESTIVE, MENSA SCOLASTICA A 0,39 EURO
Le riprese dell’epoca rimandano l’immagine di una Zil, l’auto della nomenclatura sovietica, che avanza a stento tra la folla.
Ne scese Jurij Gagarin in persona, l’eroe dello spazio. In quel lontano luglio 1964 venne direttamente da Mosca qui, a Ivry-sur-Seine, banlieue rossa di Parigi, a inaugurare un complesso di case popolari con il suo nome.
Esiste ancora oggi il « Gagarine », subito dietro il Municipio, mastodonte di mattoncini rossi.
Sui muri, in questi giorni di campagna, i manifesti con la faccia di un candidato: Jean-Luc Mèlenchon, lui solo.
In una strada vicina, cammina Thierry James, 60 anni, postino in pensione. Lunghi capelli grigi sulle spalle, assicura che a Ivry, 60mila abitanti, a sud della capitale, si vive bene. Perchè, «tutto sommato, i comunisti fanno ancora un buon lavoro».
Sullo sfondo altre case popolari, degli anni Settanta, l’utopia di una coppia (allora anche nella vita), gli architetti Renèe Gailhoustet e Jean Renaudie, che vollero dare a tutti gli appartamenti un terrazzo.
Oggi ci crescono pini e glicini, ma il cemento è sempre quello: glaciale, arido, sovietico. Philippe Bouyssou, il sindaco comunista (qui lo sono ininterrottamente dal 1925), al potere senza neppure l’ombra di un socialista, riesce ad assicurare alloggi sociali al 39% della popolazione, colonie estive per i ragazzi, pasto alla mensa scolastica a 39 centesimi per le famiglie meno abbienti, cinema sovvenzionato a 4,5 euro per tutti.
Thierry è soddisfatto. Ma lui, a parte che alle comunali, ha votato «quasi sempre socialista, anche per Franà§ois Hollande. Mi ha deluso tantissimo. Questa volta avevo deciso di non partecipare: come la mia compagna, i miei amici. Poi tutti abbiamo assistito alla rimonta di Jean-Luc, che in fondo è un ex socialista pure lui. Del suo programma apprezzavo la volontà di tassare i ricchi e rivalutare gli stipendi più bassi. La prospettiva di uscire dall’euro se non riesce a negoziare nuove regole per l’Ue, mi sembra ancora un’assurdità . Ma tanto non lo farà mai. E ora che può passare al ballottaggio, lo voterò con tutta la mia cerchia».
La strada scende oltre la ferrovia, verso il quartiere del porto, sulla Senna. «Lì c’erano tante fabbriche — racconta David Gouard, politologo, specialista di Ivry «la rouge » —. La deindustrializzazione iniziò già negli anni Sessanta: una crisi forte. Ma dagli anni Novanta hanno riconvertito gli ex stabilimenti in sedi di grandi imprese e centri di logistica».
Nuovi posti di lavoro: anche così i comunisti, scomparsi altrove, si sono salvati. «Negli ultimi dieci anni, attratti da prezzi immobiliari più bassi e servizi pubblici buoni, sono arrivati anche i giovani bobo».
I «bourgeois bohème» : un po’ borghesi, un po’ fricchettoni. Come Sophie Capron, 32 anni. «Sono di Parigi, dei bei quartieri — racconta —. Ho sempre votato a destra, Nicolas Sarkozy compreso, perchè a casa mia si votava così».
Ha lavorato per una società di prenotazioni aeree «che a un certo momento è stata venduta a fondi d’investimento stranieri. Hanno iniziato a pretendere sempre più utili. E a licenziare: hanno buttato fuori anche me. Sono andata in depressione. Mi ha salvato Jean-Luc, il giorno in cui ho letto il suo programma».
Stretta in un cappotto bianco, distribuisce volantini con la faccia del leader della France insoumise, il suo nuovo movimento politico «trasversale», nato nel febbraio 2016.
La Francia indomita. Mathilde Panot, 28 anni, si è laureata alla prestigiosa Sciences Po, «ma poi ho lavorato in associazioni di assistenza sociale nei quartieri più poveri». È la candidata di France insoumise a Ivry.
Difende il suo Jean-Luc. «La prospettiva di uscire dall’euro o dalla Ue è un piano B rispetto alla rinegoziazione dei trattati: se non ce l’hai, non sei credibile sul piano A». Aggressivo Mèlenchon? Intransigente? «La sua rabbia è quella di tanta gente in Francia».
Leonardo Martinelli
(da “La Stampa”)
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Aprile 17th, 2017 Riccardo Fucile
VALICHI CHIUSI A SINGHIOZZO E ROMA CONVOCA L’AMBASCIATORE…. “VENITE A TOGLIERE LAVORO A CHI VIVE NEI CANTONI”
È un crescendo di dispetti e di ripicche. La Svizzera chiude dalle 23 alle 5 tre piccoli valichi di frontiera con l’Italia. La Farnesina convoca l’ambasciatore svizzero, l’equivalente diplomatico di uno schiaffo.
Ma anche l’Italia sbarra di notte, da sempre, una dogana, quella di Maslianico. Quindi, propone Nicholas Marioli, consigliere a Lugano per la Lega dei Ticinesi, partito di maggioranza relativa nel Cantone, Berna protesti con l’ambasciatore italiano. «Vogliono chiudere tutti i valichi con l’Italia? Perfetto. Poi però quest’estate Norman Gobbi, Lorenzo Quadri e Roberta Pantani (tre politici leghisti tosti, ndr) vanno al mare a Biasca», ribatte Luca Gaffuri, consigliere regionale e segretario della Commissione per i rapporti fra Lombardia e Confederazione elvetica.
È un continuo.
C’è la vignetta del Mattino della domenica, settimanale molto vicino alla Lega dei Ticinesi, che raffigura gli italiani come la Banda Bassotti.
Ci sono le cento contravvenzioni in tre ore elevate giovedì a Ponte Tresa della Polizia cantonale ai danni dei frontalieri che andavano al lavoro, «Multe senza pietà », accusa La Prealpina in prima pagina.
Ci sono le polemiche sugli italiani che vengono a togliere il lavoro agli indigeni.
C’è la Gendarmeria che fa sapere che nel ’16 le «riammissioni semplificate» (leggi: i migranti rispediti di là ) dalla Svizzera all’Italia sono state 20 mila, quelle dall’Italia alla Svizzera tre, come dire: gli italiani fanno passare tutti.
Infine, e qui i danni sono potenzialmente molto più seri, c’è la legge appena approvata in Ticino che vieta alle imprese straniere di concorrere ad appalti di valore inferiore a 8,7 milioni di franchi, in pratica il 90%.
Una mazzata per le aziende italiane che lavorano dall’altra parte della frontiera.
Non è un bel momento per i rapporti italo-svizzeri. Anche se forse bisogna distinguere.
Perchè l’impressione è che il governo federale abbia una politica e quello cantonale un’altra.
«Una volta – spiega Eros Sebastiani, presidente dell’Associazione frontalieri Ticino – i frontalieri erano 30 mila, adesso sono 65 mila. E, visto che qualche problema di disoccupazione in Ticino c’è, è molto comodo per i politici locali dire che la colpa è di quello brutto e nero. Ecco, adesso i brutti e neri sono gli italiani. Noi frontalieri abbiamo sempre cercato di mediare, ma è sempre più difficile».
Attualmente in Ticino per gli italiani non tira una buona aria: «Una volta vedevano la targa e ti chiedevano: uè, cuma stett? Adesso pensano e, talvolta, dicono pure: ah, sei tu che rubi il lavoro a mio figlio. A forza di parlare alla pancia della gente e non alla sua testa si rischiano guai seri».
In effetti, in tutto questo batti e ribatti è difficile trovare una via di mezzo.
«Si sa che la Lega Nord è sempre genuflessa davanti a quella dei Ticinesi – attacca Gaffuri -. Il punto è che a Berna hanno capito che il mondo è cambiato, a Bellinzona no. Ma i territori di confine sono sempre stati dei vasi comunicanti e tali devono restare».
Sarà . Però riemergono ataviche diffidenze, vecchi pregiudizi, antichi luoghi comuni. Viene in mente Pane e cioccolata, l’emigrante Nino Manfredi che per integrarsi si tinge perfino di biondo.
Salvo tradirsi al bar, quando esulta perchè l’Italia ha fatto gol alla Svizzera.
Alberto Mattioli
(da “La Stampa”)
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