Aprile 18th, 2017 Riccardo Fucile
INFUOCATO COMIZIO DI MACRON A BERCY DAVANTI A 20.000 SOSTENITORI TRA EMOZIONI, CITAZIONI E CARISMA
A sei giorni dal primo turno, un sondaggio ha mostrato che la coppia Macron-Le Pen sembra poter rintuzzare la rimonta che Francois Fillon e Mèlenchon avevano cominciato da alcuni giorni.
Il leader di En Marche!, protagonista di un comizio infuocato davanti a 20.000 sostenitori a Bercy (Parigi), è in testa con il 24% delle intenzioni di voto, la presidente del Front National segue al 23%, 19,5% per il candidato della destra dei Rèpublicains e 18% per quello della «Francia indomita», l’estrema sinistra.
La Francia che torna «forte e solidale», la speranza e la fine del disfattismo, ma soprattutto tanta Europa sono stati i temi del grande comizio di Macron alla Accorhotels Arena di Bercy.
Il candidato senza partito, al quale per mesi è stato pronosticato un sicuro fallimento, ha mostrato di essere ormai riuscito a mobilitare le folle anche grazie ad un carisma tutto personale, fatto di emotività e di citazioni dotte, come quella di Albert Camus in chiusura.
«Lo sentite il mormorio della primavera? Domenica vinceremo e sarà l’inizio di una nuova Francia»: queste le prima parole di Macron sul palco, guardando diritto negli occhi la moglie Brigitte, seduta in tribuna al fianco del principale alleato, il centrista Francois Bayrou, molto applaudito.
Un clima bollente sulle tribune per un candidato nato tecnocrate – dalla banca d’affari Rotschild al ministero dell’Economia – e diventato via via carismatico.
Un’ora e mezzo di discorso e molti riferimenti alla «generazione Macron», che si riconosce «in Bob Dylan e Vaclav Havel» ma anche in «Michel Rocard e Fran‡ois Mitterrand».
«Restituiremo la Francia al suo ottimismo, alla sua fede nel futuro» ha promesso Macron, strappando il paese all’«immobilismo e al disfattismo», alla voglia di «nostalgia e restaurazione».
L’intento del comizio era anche quello di mostrare che l’entusiasmo mostrato negli ultimi giorni dai sostenitori di Mèlenchon, che sembra però aver esaurito la sua forza ascendente, c’è anche fra le file di En Marche!.
«Noi siamo contro chi vuole chiudere le frontiere – ha gridato Macron attaccando il programma della Le Pen e suscitando salve di fischi – non dovete fischiarli, ma combatterli».
Ed ha poi insistito, «voi dovete combattere, perchè siete dei guerrieri».
Poi, tanta Europa: «siamo per una Francia forte e un’Europa ambiziosa», ha detto Macron, un’«Europa meno burocratica e stanca, meno incerta e più protettrice».
«Sarò il presidente del risveglio della nostra ambizione europea – ha continuato Macron – La vita, il caso, il destino forse, mi hanno offerto il privilegio di proporvi questa scelta. Ne avverto l’onore e la gravità . Sono pronto. Con voi, che avete alzato la testa, al fianco di Brigitte e con chi ci ama».
(da agenzie)
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Aprile 18th, 2017 Riccardo Fucile
ATTACCANO MUNCHAU CHE LI AVEVA DEFINITI CIARLATANI MA LA RISPOSTA DIMOSTRA CHE NON HANNO NEANCHE CAPITO LA DOMANDA… A LORO INTERESSA SOLO ARRIVARE ALLE POLTRONE SENZA CURARSI DELLE CONSEGUENZE
La settimana scorsa Wolfgang Mà¼nchau sul Financial Times aveva spiegato ai 5 Stelle tutti i problemi di un’eventuale uscita dall’euro del nostro Paese dicendo senza mezzi termini che Beppe Grillo è un ciarlatano disposto a tutto pur di andare al governo e spiegando perchè l’idea del MoVimento 5 Stelle di uscire dall’euro con un referendum (come spiegato qualche tempo fa da Luigi Di Maio) non ha senso a causa del panico che si genererebbe e delle ripercussioni immediate dovute all’annuncio dell’uscita dell’Italia dalla moneta unica.
Lunedì il MoVimento 5 Stelle ha preso carta e penna e ha risposto alle obiezioni di Mà¼nchau dando prova di non aver capito il senso dell’articolo.
Secondo i 5 Stelle la reazione dei mercati non rappresenta un problema, anzi sarebbe “la dimostrazione che siamo una forza politica rivoluzionaria”.
I 5 Stelle parlano della vittoria al referendum (e alle elezioni politiche) ma non dicono una parola sulla gestione della campagna referendaria (che tra l’altro prevede due referendum) e su quello che potrebbe succedere durante quel lasso di tempo.
Laddove Mà¼nchau scriveva che gli investitori non aspetterebbero l’esito del referendum una volta che i 5 Stelle avranno vinto le politiche spiegando che “qualsiasi investitore raziocinante prevederebbe un voto a favore di un’uscita dall’euro, farebbe una stima della svalutazione e calcolerebbe quanto dovrebbe salire il rendimento in quel momento per neutralizzare una futura ridenominazione” e prevedendo un fuggi fuggi generale dal sistema finanziario italiano che lascerebbe le banche del nostro paese in una problematica situazione di insolvenza i 5 Stelle non sembrano minimamente preoccuparsi delle implicazioni conseguenti all’annuncio di un referendum per l’uscita dall’euro.
L’unico accenno alla questione referendaria è che il MoVimento “ci sta lavorando” .
Impossibile però sapere in che modo, e l’idea delle contromisure politiche è buttata lì senza alcuna ulteriore spiegazione.
Ed il motivo è evidente, perchè le contromisure politiche di cui parla il MoVimento 5 Stelle consisterebbero nel bloccare la circolazione di capitali.
Una scelta che potrebbe senz’altro impedire la fuga dei capitali all’estero ma che avrebbe conseguenze altrettanto pericolose sulla vita dei cittadini e sull’attività delle imprese.
Curiosamente però i 5 Stelle preferiscono non parlare nel dettaglio di questa soluzione perchè ricorderebbe agli elettori le scene che si sono viste in Grecia: banche chiuse, contingentamento delle importazioni, limiti all’ammontare dei prelievi bancomat giornalieri, divieto all’esportazione di denaro oltre una certa somma e limite ai trasferimenti bancari.
E questo non per qualche giorno o qualche settimana ma fino a che non saranno ultimate le procedure prima per istituire il referendum consultivo e poi per votare sull’uscita dall’euro, e poi probabilmente per diversi anni ancora, come spiegato da Barry Eichengreen .
Il fatto che i 5 Stelle non abbiano il coraggio di dirlo non fa altro che confermare la tesi di Mà¼nchau: sono dei ciarlatani disposti a tutto pur di andare al governo del Paese.
I 5 Stelle preferiscono invece parlare d’altro, della lotta alla povertà , dei danni dell’euro e di quelli provocati dai governi Monti, Letta e Renzi, del reddito di cittadinanza (in lire, evidentemente).
Il MoVimento ci spiega che ci sono studi “di istituzioni finanziarie autorevoli” che certificano che anche se l’uscita dall’euro non sarà facile questo non significa che sarà un cataclisma.
La faccenda si fa interessante perchè subito dopo aver detto che “i cittadini non credono a chi ha appoggiato il sistema finanziario internazionale” si rifanno ad una serie di studi tra cui uno studio di Mediobanca.
Per i 5 Stelle la finanza è cattiva ma le sue previsioni — quando fanno comodo à§a va sans dire — diventa buona, incredibile non è vero?
Il problema delle previsioni di Mediobanca — che sostiene che qualche anno fa l’uscita dall’euro sarebbe stata “conveniente” ma che ora non lo è più — è che come faceva notare Salvatore Biasco sull’Huffington Post non tiene conto di quello che succederebbe al debito pubblico italiano e non calcola cosa comporterebbe la perdita di quelle obbligazioni non ridenominabili in lire per il settore finanziario nostrano (senza contare i danni che ne riceverebbero i piccoli risparmiatori, ovvero i cittadini che detengono una parte del debito pubblico).
Perdita che significherebbe — tra le altre cose — il fallimento di molti istituti di credito, il blocco del credito e il conseguente fallimento di diverse imprese. Una sciocchezza insomma.
I 5 Stelle poi tornano a magnificare le gioie della svalutazione della ritrovata moneta nazionale, che ci consentirebbe di tornare competitivi sul mercato (certo, c’è il problema che le imprese non avrebbero più soldi ma fa nulla), parlando tra l’altro di una fine dell’Eurozona (con la Germania che ritorna al Marco, l’Italia alla Lira e così via).
C’è da dire che previsioni del genere vanno avanti da vent’anni (ovvero dalla nascita dell’euro) e non si sono ancora avverate mentre nessuno degli euroscettici si è mai concretamente impegnato per una seria riforma del sistema della moneta unica.
Senza contare che nel caso dell’Italia l’eventuale surplus commerciale potrebbe essere letteralmente mangiato dal fatto che l’Italia sarebbe costretta a regolare i conti con la BCE prima di uscire visto che il nostro saldo Target 2 è negativo.
Target2 (T2) finanzia i saldi negativi delle partite correnti concedendo credito illimitato e automatico ai paesi debitori, come l’Italia (più Danimarca, Bulgaria, Polonia, Lituania e Romania).
Ma questo solo finchè siamo nell’euro.
Entrato in funzione tra il 2007 e il 2008 in sostituzione della versione precedente (che era semplicemente Target da Trans-European Automated Real-Time Gross Settlement Express Transfer System) Target2 registra i pagamenti interbancari che avvengono tra le varie banche centrali dei vari paesi europei e viene utilizzato sia dalle banche centrali sia dalle banche commerciali per trattare pagamenti in euro in tempo reale.
A garantire il funzionamento di tutto il sistema, e ad emettere un saldo contabile che certifica l’esposizione debitoria di ciascuna banca centrale rispetto alle altre è la BCE. Target2 non è un semplice sistema informatico che sorveglia il regolare svolgimento delle transazioni ma ha il compito di mantenere in equilibrio la bilancia dei pagamenti tra i vari paesi dell’Eurozona.
Il fatto che l’Italia sia uno dei sei paesi maggiormente esposti dal punto di vista debitorio su Target 2 è un dato che dovrebbe destare qualche preoccupazione.
La Banca d’Italia spiega che anche se il surplus delle partite correnti rimane elevato la posizione debitoria del nostro Paese è aumentata di 100 miliardi di euro ad ottobre (a novembre è salita a 358,612 miliardi):
Il surplus delle partite correnti rimane elevato, a 42 miliardi nei dodici mesi terminanti ad agosto 2016 (2,5 per cento del PIL). Dall’inizio dell’anno tuttavia la posizione debitoria della Banca d’Italia su TARGET2 è aumentata di circa 100 miliardi, raggiungendo alla fine di ottobre 355 miliardi.
Per i 5 Stelle la questione non si pone (ed infatti non viene nemmeno nominata) perchè l’importante è che l’Italia — tramite la Banca d’Italia — torni a controllare il proprio debito pubblico.
Peccato però che — come già hanno fatto notare le agenzie di rating (e non solo Mà¼nchau) — in caso di uscita dall’euro la possibilità di un default è assai concreta e quel punto la bella notizia di poter “controllare il proprio debito pubblico” da soli potrebbe trasformarsi in un vero incubo.
A scanso di equivoci a pagare saranno i cittadini italiani e non “la casta”.
Ciliegina sulla torta è il paragone con il terrorismo sulla Brexit, quasi a dire: vedete in Regno Unito tutto va benissimo.
Il problema è che il paragone non regge, in primo luogo perchè come tutti sanno il Regno Unito non è mai stato dentro il sistema della moneta unica quindi non sta uscendo dall’euro ma dall’Unione Europea (per l’Italia nell’ipotesi del M5S non è chiaro se rimarremmo all’interno della UE pur fuori dall’euro).
In secondo luogo perchè la Brexit non è ancora avvenuta ma avverrà al più tardi a marzo 2019: per il momento i britannici hanno solo dato formalmente avvio ai negoziati che però devono ancora iniziare.
La democrazia viene prima dei mercati è un bello slogan, che però fa credere ai cittadini italiani che i mercati si adegueranno ai risultati del voto, o che non terranno conto delle intenzioni del governo a 5 Stelle prima che si voti sulla permanenza nell’euro: non è così e il MoVimento su questo punto dovrebbe smetterla di prendere in giro i suoi elettori e i cittadini italiani.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 18th, 2017 Riccardo Fucile
LA PERFORMANCE DI DI MAIO A CORRIERE TV SULLA SCIA DEL NOTO CASTIGATORE DEI CONGIUNTIVI
«Io non ho nulla da cui scusarsi se non si dovrebbero scusare quei radical chic che stamattina mi attaccano….»: la performance di Luigi Di Maio a CorriereTV della scorsa settimana è stata molto apprezzata, a tal punto da finire su Youtube e su Facebook.
La battuta è ripresa dal minuto 18,40 del forum di Corriere TV a cui ha partecipato il vicepresidente della Camera venerdì scorso, ed era già stata immortalata sabato da Jacopo Iacoboni sulla Stampa.
Nell’occasione veniva collegata a un’altra battuta stavolta di Davide Casaleggio: «La Olivetti ha lasciato un’aurea, in questo paese, a partire da Ivrea ma in tutta Italia. Noi volevamo intercettare quest’aurea…».
Celebre, sempre in tema di Dimaiate, anche i famosi tentativi passati sul congiuntivo.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 18th, 2017 Riccardo Fucile
ED E’ GIA UN BUON RISULTATO
L’accordo raggiunto nella trattativa tra Berlusconi e il gruppo cinese per la cessione del Milan (lascio ad altri il termine “closing”), arrivato dopo un lunghissimo tira e molla proprio alla vigilia di un derby, ha dato la stura, sui giornali e nelle tv, a un’inesauribile serie di commenti e di celebrazioni dell’epoca berlusconiana giunta alla fine.
A parte la solita perfetta, geniale ricostruzione di Michele Serra su La Repubblica, tutto il resto non ha brillato nè per originalità nè per capacità di esprimere la complessità , la stratificazione di una vicenda.
Molti pezzi e servizi encomiastici sul ruolo innovativo di Berlusconi nella storia del calcio italiano, un dato storicamente innegabile, ma che forse potrebbe essere osservato in maniera meno acritica; molte perplessità e parecchie ironie sui nuovi arrivati.
Ora mettetevi nei panni di chi come me rappresenta una categoria piuttosto folta, quella dei milanisti da una vita che hanno visto gli scudetti e le coppe di Rivera e Maldini padre, la beffa di Verona e la serie B, che hanno continuato, negli ultimi trent’anni, a tifare Milan con orgoglio, passione, entusiasmo, gioie enormi ma anche con un po’ di imbarazzo per la presenza tutt’altro che discreta di un presidente come Berlusconi.
Una volta una tifosa eccellente e intelligente come Lella Costa rivelò che non poteva più tifare Milan e giustificò la sua scelta con un celebre calembour.
Il cuore — disse — ha delle ragioni che la ragione non può comprendere. E’ vero, ma al contrario: ci sono ragioni di cuore come il tifo, scelte infantili, irrazionali che la razionalità politica non può comprendere, nè approvare, ma neppure eliminare. E così siamo rimasti milanisti nonostante…
Ora che questa storia è finita, ora che non avremo più imbarazzi, che non dovremo più subire le ironie degli amici tifosi di squadre con proprietà meno inquietanti, ora che potremo esultare senza vedere la nostra esultanza riflessa in quella di Berlusconi, che non dovremo più sorbirci i suoi insopportabili pipponi sui valori, sui destini gloriosi, ora però un po’ di preoccupazione c’è.
Chi saranno questi nuovi proprietari, avranno davvero tanti soldi e saranno capaci di investirli bene? E perchè non si trova una figura, un uomo-Milan disposto a diventare il simbolo di questa nuova avventura, un Maldini, un Ambrosini, così bravo quando commenta su Sky o — perchè no? — un Rivera?
Per fortuna, se non a fugare del tutto, ad arginare tutte queste preoccupazioni, sono intervenute due cose.
La prima, di tipo scaramantico, è il derby riacciuffato al 97′, dopo che il telecronista ci aveva già minacciato da un minuto che l’arbitro aveva il fischietto in bocca pronto a segnalare la fine. Insomma, a giudicare dalla loro prima uscita,’sti cinesi sembra che portino bene
La seconda, più seria, è un’intervista rilasciata per Il Fatto Quotidiano di Pasqua da Matteo Salvini ad Antonello Caporale in cui, con la consueta finezza, annuncia che con l’avvento di “Hong Kong o King Kong” non lo vedremo più allo stadio.
Ecco questa è una notizia davvero importante per noi milanisti veri, autentici, per quelli delle ragioni del cuore.
In tutti questi anni, infatti, insieme alla presenza di Berlusconi, che aveva un suo ovvio motivo, ne abbiamo dovuto sopportare un’altra ancor più fastidiosa, quella dei milanisti che più che essere tali ci tenevano molto ad apparire, a farsi vedere, a farci sapere che tifavano, che parlavano della squadra con il presidente.
I personaggi come Fede, per un certo periodo, poi appunto come Salvini, milanisti da tribuna d’onore, per cui il Milan è uno status-symbol, un mezzo per esibire la loro vicinanza, la loro familiarità con il capo.
Ecco, se l’arrivo dei cinesi riesce a far piazza pulita di questi personaggi, a restituire il Milan ai milanisti veri, senza secondi fini, allora un risultato lo abbiamo già portato a casa
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 18th, 2017 Riccardo Fucile
L’EX PREMIER NON E’ D’ACCORDO, POTREBBE GENERARE UN AUMENTO GENERALIZZATO DEI PREZZI SU GENERI DI PRIMA NECESSITA’
La settimana scorsa sulla Stampa è uscita una succosa anticipazione del libro che Matteo Renzi sta scrivendo e che concentrava l’attenzione sui funzionari del Ministero dell’Economia e delle Finanze che avrebbero brindato, secondo l’ex premier, alla sua sconfitta la sera del 4 dicembre all’arrivo dei risultati del referendum.
Oggi si apre un nuovo fronte nei rapporti tra i renziani e il ministro Pier Carlo Padoan, che rischia di mandare in fibrillazione il governo Gentiloni oppure — più probabilmente — che alla fine del taglio del cuneo fiscale non si faccia niente.
In un’intervista pubblicata la domenica di Pasqua sul Messaggero Padoan ha giudicato «un’opzione sostenuta da buone ragioni» lo scambio tra un aumento dell’Iva e la riduzione delle tasse sul lavoro.
«Lo scambio tra Iva e cuneo fiscale», ha detto il ministro, «è una forma di svalutazione interna che beneficia le imprese esportatrici, che sono anche le più competitive,le quali non possono più avvantaggiarsi del tasso di cambio. Si tratta di una richiesta classica», ha proseguito, «e siccome io sono anche un tecnico ricordo che nelle scelte politiche non si possono ignorare gli aspetti tecnici e viceversa».
Di cosa stiamo parlando? In primo luogo parliamo di una clausola di salvaguardia che non è eredità di Monti o Letta ma è stata messa dal governo Renzi e prevede «nel triennio 2016-2018, l’aumento progressivo delle aliquote Iva dal 10 al 13% per la intermedia e dal 22 al 25,5% per quella ordinaria, con un aumento di gettito da imposte indirette che la Nota di aggiornamento al DEF dello scorso anno quantificava in “12,4 miliardi nel 2016, di 17,8 nel 2017 e di 21,4 miliardi nel 2018”».
E in secondo luogo parliamo di un’opzione sul tavolo da alcuni mesi — la prima volta se ne parlò compiutamente l’8 marzo scorso — e che possiede indubbiamente una sua logica interna: ovvero quella di far passare il peso della tassazione dalla produzione (le tasse sul lavoro) al consumo (le tasse sull’IVA).
In tutto ciò, spiega oggi il Messaggero, Padoan è confortato da una buona letteratura scientifica: il rapporto sull’Italia dell’OCSE, l’organizzazione di cui l’attuale ministro è stato capo economista per anni, spiega che lo scambio tra IVA e cuneo fiscale avrebbe un senso: le tasse in busta paga pesano in Italia il 47,8% contro una media OCSE del 36%; in Italia i contributi sociali pesano per il 13% del PIL e il loro peso a carico dei datori di lavoro è tra i più alti dei paesi occidentali.
L’OCSE allora propone di ridurre gli oneri sociali di dieci punti percentuali, aumentando così il PIL pro capite dell’1,6% in cinque anni. Il tasso di occupazione registrerebbe un aumento di 1,3 punti percentuali sempre in cinque anni.
Qui però arriva il punto: “Secondo l’Ocse andrebbe incrementato il «Vat revenue ratio», ossia il rapporto tra l’Iva attualmente riscossa e quella che teoricamente dovrebbe essere riscossa applicando l’aliquota standard (il 22% attualmente in Italia) all’intera base imponibile potenziale. In soldoni, spiega l’Ocse, se il Fisco riuscisse a far pagare l’Iva a tutti quelli che la devono pagare ed eliminasse le aliquote ridotte (quella del 10% e quella del 4%), avrebbe un extra gettito di 45 miliardi di euro «a consumi invariati». Quanto basterebbe per abbattere del 30% gli oneri sociali versati dai datori di lavoro”.
Ovviamente è politicamente impraticabile eliminare di un colpo le aliquote ridotte su pane, pasta, verdure, carne, pesce, energia, trasporti e farmaci per tagliare le tasse sul lavoro.
Ma il suggerimento dell’OCSE è quello di armonizzare l’IVA ridotta lasciando inalterata la super-ridotta. In ogni caso l’aumento andrebbe a toccare settori che colpiscono più o meno tutti (l’energia, i trasporti, i farmaci, la carne e il pesce) finendo così per pesare di più sulle tasche dei meno abbienti.
Ma soprattutto, tutto ciò andrebbe a cozzare contro la strategia annunciata da Renzi, secondo il quale l’abbattimento delle tasse dovrebbe passare per una riduzione delle aliquote fiscali Irpef, come aveva dettato nel suo cronoprogramma. E questo senza aumentare l’Iva. Una questione ribadita anche nel retroscena a firma di Maria Teresa Meli pubblicato oggi sul Corriere:
Le affermazioni del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che in un’intervista al Messaggero ha ipotizzato l’aumento dell’Iva, non sembrano preoccupare più di tanto l’ex premier. «Nel Def c’è scritto chiaramente che l’aumento non ci sarà , dunque non aumenteremo l’Iva», ha spiegato l’ex presidente del Consiglio a chi gli chiedeva lumi. Renzi ha ribadito più volte nell’ultimo periodo che il governo deve andare avanti, ma l’ex segretario ritiene anche, e non lo ha nascosto ai suoi, che l’esecutivo debba «far uno sforzo in più». «Non ci possiamo far dettare l’agenda dall’Europa», è il suo pensiero. Perciò, se l’Unione Europea si ripresenterà con il volto dell’austerity bisognerà ingaggiare un braccio di ferro senza timidezze: «Non possiamo continuare con il “ce lo chiede l’Europa”», ha ribadito qualche giorno fa.
Insomma, se è vero che nelle scelte politiche non si possono ignorare gli aspetti tecnici, è vero anche che nelle scelte tecniche non si possono ignorare gli aspetti politici. Il primo aspetto è che non sembra tanto igienico provocare un aumento generalizzato dei prezzi su generi di prima necessità a qualche mese dalle elezioni.
Il secondo aspetto è che il capo (a breve tornerà ad esserlo) del partito di maggioranza che regge il governo non sembra per niente d’accordo con il ministero dell’Economia. Ce n’è abbastanza per pronosticare che o il taglio del cuneo fiscale sarà talmente ridotto da non avere nessun effetto, come successe già al governo Prodi e come stava per succedere all’esecutivo Letta, oppure il governo dovrà trovarsi un altro ministro dell’Economia.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 18th, 2017 Riccardo Fucile
MANCA IL RAPPRESENTANTE DELLA CITTA’ METROPOLITANA NEL COMITATO DI GESTIONE E L’ATTIVITA’ E’ PARALIZZATA
L’Autorità portuale di Civitavecchia è bloccata da sei mesi perchè non può insediare il comitato di gestione: tutto a causa dell’assenza del rappresentante della sindaca della Città Metropolitana, ovvero Virginia Raggi.
Mentre il collega Cozzolino (sindaco M5S di Civitavecchia) e il governatore Luca Zingaretti (per la Regione) hanno già provveduto. L’organo serve per licenziare il bilancio, nominare il segretario generale e approvare il piano regolatore del porto. Racconta oggi Giovanna Vitale su Repubblica Roma:
Un guaio serio per uno dei motori dell’economia laziale, fra i pochi capaci di girare in controtendenza rispetto alla crisi che ha colpito ovunque negli ultimi anni, con un utile di esercizio salito fino a 15 milioni di euro, 31 volte l’utile netto del 2010, tutti reinvestiti in nuove infrastrutture. Numeri e problemi che tuttavia alla prima cittadina di Roma (e della Città metropolitana) non sembrano importare.
Nonostante le numerose lettere di sollecito, le diffide e persino la denuncia per omissione in atti d’ufficio minacciata dai sindacati, Raggi appare impermeabile a ogni richiamo. Arrivato, il primo, nell’ottobre scorso, quando il ministro dei Trasporti Graziano Delrio nominò Francesco Maria Di Majo presidente dell’Autorità portuale, invitando tutti gli enti interessati a indicare i propri rappresentanti nel Comitato di gestione. Raggi per oltre un mese ha fatto però finta di niente.
In barba persino alla legge (la 169/2016) che impone al porto di Civitavecchia di mettersi in regola entro 30 giorni.
Il 28 novembre è stato perciò il presidente Di Majo a chiederle per iscritto di provvedere al più presto. Ma la sindaca non ha ancora una volta battuto ciglio.
Invocando anzi altro tempo per selezionare la professionalità più adatta tramite bando pubblico.
Che nel frattempo è stato sì espletato, ma poi prontamente annullato perchè gli 11 candidati in corsa, compreso l’ingegner Matteo Africano che pure è risultato vincitore, non erano abbastanza graditi al Movimento.
Vanificando, infine, anche la mediazione tentata sull’avvocato Igino Mancini. Da qui l’ultima proposta: per evitare la paralisi del porto, Raggi nomini in via temporanea il dirigente della Mobilità della Città metropolitana (come Zingaretti ha fatto in Regione) e intanto riapra il bando per individuare l’esperto che meglio le aggrada. Ma pure questa offerta è stata rispedita al mittente: «La legge non prevede nomine temporanee», la risposta sdegnata di Raggi.
E ora rischia il commissariamento per la nomina del porto di Civitavecchia. Non male, no?
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 18th, 2017 Riccardo Fucile
IL COMUNE VARA UN FORUM PER LE SEGNALAZIONI SULLE OFFESE CONTRO NAPOLI, CHIEDENDO PRECISAZIONI E RETTIFICHE E AVVIANDO ANCHE AZIONI LEGALI
Attenti a parlare male di Napoli e dei napoletani perchè si rischia una querela da parte del Comune.
Se, infatti, qualcuno esprimerà un giudizio che lede, diffama, offende la città rischia di essere segnalato allo sportello online Difendi la città .
Il punto di partenza è questo e lo si legge sul sito del Comune: “Da tempo ma sempre più spesso si assiste ad una narrazione distorta e a volte diffamatoria della città di Napoli rendendola oggetto di pregiudizi, stereotipi e dannose generalizzazioni”.
Da qui l’idea dello sportello: “Per raccogliere le segnalazioni dei cittadini napoletani relative alle offese contro Napoli, chiedendo attraverso gli uffici comunali interessati precisazioni ed apposita rettifica ma eventualmente avviando, previa attenta valutazione dell’Avvocatura comunale, iniziative legali per tutelare la dignità del territorio, l’immagine e la reputazione della città di Napoli e del popolo partenopeo”.
E così basterà compilare un form con i propri dati, le informazioni sulla offesa e anche con le ‘prove’ come screenshot della pagina web o del profilo social, foto del giornale. L’ultimo caso che ha destato le ire del sindaco ha visto protagonista il sindaco di Cantù che su Facebook ha definito Napoli la fogna d’Italia.
Contro di lui è partita una querela ed ora lo stesso provvedimento potrebbe essere preso anche nei confronti di tanti altri perchè il principio di base è questo: basta offendere Napoli e i napoletani.
Lo sportello ‘Difendi la città ” fa parte del progetto Napoli città autonoma.
“Vuole essere una contro narrazione costante — spiega Flavia Sorrentino, delegata del sindaco per l’autonomia della città — saranno affisse delle locandine anche in collaborazione con l’ANM. Noi vogliamo difendere e tutelare il diritto della città ad essere rispettata”.
Un provvedimento, quello della querela, che potrebbe aiutare la città anche da un altro punto di vista.
La richiesta di risarcimento danni verrà infatti destinata a migliorare l’arredo, il decoro, la qualità dei servizi della città .
Piccola curiosità : e se invece l’offesa non dovesse rivelarsi come tale e il giudice condannasse a risarcimenti spese vari il Comune, chi pagherebbe?
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 18th, 2017 Riccardo Fucile
SOLO DUE GIOVANI RAGAZZE REAGISCONO, GLI UOMINI FANNO FINTA DI NULLA… TRA INDIFFERENZA E BUROCRAZIA
È una di quelle storie che, spesso, a un cronista capita di raccontare e analizzare, quando si tratta di spiegare come la violenza si scateni sui più deboli. Ed è una di quelle storie che racconti ancora più diversamente in prima persona dopo esserti quasi arrabbiato con il (nuovo) 112 regionale che impiega 2 minuti e 38 secondi a “identificarti”, a chiederti di cosa hai bisogno e se ritieni sia meglio che venga inviato il soccorso sanitario o altro, come se tu fossi un esperto.
E che racconti dopo avere assistito impotente, nell’indifferenza di molti altri passanti, alla violenza su una giovane donna cercando poi di chiedere soccorso.
È domenica sera, la domenica di Pasqua, poco dopo le 22.
A Genova, nella centrale via San Vincenzo (l’area è pedonale) sento l’eco di urla e insulti.
Vedo alcune persone che osservano, altre che filano via veloci dopo avere assistito alla scena. Guardo anch’io: sulla destra a terra, vicino a un vaso di fiori c’è una giovane donna, il volto coperto di sangue e di fronte a lei un ragazzo, alto, che la insulta e la colpisce con due calci.
“Oh che fai” dico. Ma non sono Hulk e fisicamente perderei la partita con quel giovane uomo.
Attorno a me, altri guardano e si allontanano. “Qualcuno ha chiamato la polizia o un’ambulanza?”, chiedo. Silenzio.
Allora lo faccio io e mi mordo la lingua durante quei 2′ 38” in cui un operatore del nuovo e sbandierato 112, numero unificato dei soccorsi, prima mi dice: “la individuo a Genova”. Poi: “dov’è?”, quindi “cosa accade?”. Glielo spiego due volte. Lui ribadisce: “cosa serve, soccorso medico o sanitario?”.
Alla fine gli dico: “mandi una pattuglia” pensando che sia meglio così, perchè intanto possono fermare il ragazzo e poi far soccorrere la ragazza.
Passano circa cinque minuti in attesa che arrivi una pattuglia di carabinieri.
E in quei minuti ri-accade di tutto.
Il ragazzo continua a insultare la ragazza, prova ancora a colpirla ma (emergerà dopo) essendo ubriaco, barcolla e fortunatamente manca l’obiettivo.
Passa altra gente che rimane indifferente. Solo due giovani ragazze appena arrivate, all’apparenza punk (quantomeno dall’abbigliamento) insultano il ragazzo.
Gli dico: “Sta arrivando la polizia”. Lui fugge (“ecco così mi farete arrestare”) verso via XX Settembre mentre una delle due ragazzine lo colpisce con uno zainetto e un tablet alla schiena. È
stato l’unico moto di reazione oltre al mio.
(da “il Secolo XIX”)
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Aprile 18th, 2017 Riccardo Fucile
IN ITALIA UTILIZZATI SOLTANTO 880 MILIONI DEI 73,6 MILIARDI TOTALI DISPONIBILI…E POI DIAMO TUTTE LE COLPE ALLA UE
I fondi strutturali europei sono lo strumento principale di investimento per la politica di coesione dell’Ue, impiegati per favorire la crescita economica e occupazionale degli Stati membri e la cooperazione territoriale europea.
Oltre al Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), c’è il Fondo sociale europeo (Fse) – concentrato su occupazione, istruzione, formazione, inclusione sociale e capacità istituzionale – e il Fondo di coesione (Fc), dedicato a trasporti e tutela dell’ambiente negli Stati membri meno sviluppati.
L’insieme dei fondi strutturali e di investimento europei (Sie) è composto infine dal Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (Feasr) e dal Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (Feamp).
Il Corriere della Sera pubblica oggi una classifica che raggruppa i dati di spesa per i fondi europei nella programmazione 2014-2020 dalla quale si evince che sono stati utilizzati soltanto 880 milioni dei 73,6 miliardi totali disponibili; non solo: il computo totale dei fondi spesi nel FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale) ammonta a zero in Abruzzo, a Bolzano, in Campania, nel Lazio, in Sicilia, in Umbria e in Puglia: ovvero per la massima parte in regioni che avrebbero bisogno più delle altre di investimenti.
A parziale scusante, spiega Sergio Rizzo nell’articolo del Corriere, va detto che l’impiego effettivo dei fondi europei procede sempre piuttosto a rilento nei primi due anni di ogni programma settennale, e questo per comprensibili ragioni tecniche:
Bisogna predisporre i piani che devono passare il vaglio di Bruxelles, quindi fare i bandi e infine assegnare i finanziamenti.
Le procedure possono quindi essere talvolta inizialmente complicate.
Da questo punto di vista l’Italia ne sa purtroppo qualcosa più degli altri, visto il tempo (più di un anno) che se n’è andato soltanto per superare le osservazioni europee ai nostri piani.
E questo è di sicuro il primo problema. Il risultato è che nella classifica della spesa siamo già gli ultimi fra i maggiori Paesi destinatari dei finanziamenti continentali, dietro Polonia, Germania, Francia e Spagna. Ma i risultati finali sono questi. E il ragionamento vale anche per gli altri stati europei, che però hanno speso di più.
(da agenzie)
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