Aprile 2nd, 2017 Riccardo Fucile
VOTANTI INTORNO A QUOTA 200.000, LA META’ DEGLI ISCRITTI CERTIFICATI
Matteo Renzi vince il congresso tra gli iscritti con il 69%, Andrea Orlando è secondo con il 24,5-25% e Michele Emiliano arriva al 6,5-7%. Sono i dati, ancora non ufficiali, diffusi da fonti della mozione Renzi.
L’affluenza potrebbe attestarsi intorno al 50%: al momento risultano tra i 140 mila e i 155 mila votanti (in base ai dati di 4.700 circoli su oltre 6mila), ma si può presupporre – che si arrivi a chiudere intorno a quota 200mila, circa la metà degli iscritti certificati.
“Sono molto soddisfatto per il consenso così alto ricevuto da Renzi nei nostri iscritti: è un grande risultato. La base del Pd ha espresso un giudizio inequivocabile: Renzi è per gli iscritti il segretario in cui ripongono la loro fiducia e le loro speranze. Le dimensioni del risultato sono davvero importanti, per certi versi sorprendenti”, è stato il commento di Lorenzo Guerini, coordinatore della Mozione Renzi.
Per il senatore Pd Francesco Verducci, del Coordinamento nazionale della Mozione Renzi, quella che esce dai circoli Pd è “una grande prova di democrazia, di trasparenza, di impegno che non ha paragoni in Italia e che è un’assoluta rarità anche nel panorama europeo. Il Pd sta dimostrando vitalità e energia che nessun altro partito o movimento possiede, grazie alla passione di migliaia di iscritti e volontari. Chi fa polemica e prova a sminuire e delegittimare quanto sta avvenendo fa un torto alla comunità del Pd che sta dimostrando di esserci, di voler contare e di avere le idee molto chiare”.
Soddisfazione ha espresso anche il ministro Maurizio Martina, che ha sottolineato come sia “stata una bellissima prova. Stiamo parlando di migliaia di persone che hanno discusso, partecipato e scelto, dando forza all’idea di un partito fatto dall’impegno di tanti, uniti dalla volontà di dare una mano all’Italia. La netta affermazione della nostra proposta con Matteo Renzi ci dà fiducia e forza per i prossimi impegni. È il primo passo che ora va portato alle primarie degli elettori di domenica 30 aprile. Per un Pd più forte e più aperto, alternativo a Berlusconi, Grillo e Salvini, continueremo a proporre il nostro progetto per l’Italia. Avanti, insieme”.
Di dati in linea con le aspettative parla Marco Sarracino, portavoce nazionale della Mozione Orlando, che però si dice deluso dalla scarsa affluenza: “Ci duole notare che l’affluenza è sicuramente inferiore a quella dello scorso congresso nazionale, specie in quelle regioni dove la partecipazione è sempre stata molto alta”, ha commentato
Sorpresa, invece, hanno riservato, per Sarracino, i risultati per Renzi: “Siamo sorpresi dal risultato di Renzi, il quale, appoggiato dal 90% dell’Assemblea nazionale e della Direzione nazionale e da tutti i segretari regionali, tranne quello della Valle D’Aosta, ottiene percentuali sicuramente inferiori alle sue aspettative, vincendo in quelle città dove il Pd è messo peggio, un dato su cui dovremmo riflettere in tanti. Siamo convinti che da oggi al 30 aprile si apre una nuova partita che vedrà il nostro progetto premiato nel giorno delle Primarie”.
(da “La Repubblica“)
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Aprile 2nd, 2017 Riccardo Fucile
“DALLA VITA HO AVUTO PIU’ DI QUANTO LA MIA PIGRIZIA MI PERMETTESSE”
Sua figlia Elisabetta su Facebook ha scritto: “Non starà al meglio, certo. Ma il cinema italiano l’ha abbandonato”. Lui, invece, nella posizione della vittima non si sente troppo a suo agio: “Penso di avere avuto dalla vita più quanto la mia pigrizia mi permettesse”.
Paolo Villaggio ha 84 anni, una carriera che si è depositata nell’immaginario collettivo italiano — trasformandolo in una maschera del carattere nazionale — e un elenco di prodezze da ricordare: “La voce della luna” con Federico Fellini, le canzoni con De Andrè (“Un amico e un poeta unico”), lo stupore invidioso che corrucciò il volto di Alberto Moravia quando alla Fondazione Cini il poeta russo EvtuÅ¡enko prese la parola e disse che c’era un autore italiano che gli ricordava Gogol’ e ÄŒechov. Era lui. “Mi guardarono tutti male”.
Il libro a cui si riferiva era “Fantozzi”, che già prima di diventare film aveva venduto un milione di copie, e che oggi si è trasformato in audio libro edito da Volume Audiobooks: “L’idea di leggerlo e interpretarlo a quarantasei anni di distanza dalla prima uscita è venuta a due giovani: Daniele Liburdi e Massimo Mescia. Io, con la mia naturale voracità , mi sono lasciato coinvolgere con entusiasmo”.
Che cosa ha trovato di nuovo?
Quando scrissi il primo Fantozzi, l’Europa intera si trovava in una condizione totalmente diversa. Il ceto medio sperava nella felicità che poteva donargli il socialismo. Oggi, invece, è ripiegato su stesso. Nessuno pensa più di migliorare il proprio tenore di vita. L’esistente è accettato in una noiosa condizione di attesa.
C’è stata in mezzo una crisi.
Ma la piccola borghesia non solo è precaria, forse è anche infelice.
Nemmeno Fantozzi era un uomo soddisfatto.
All’inizio la gente mi fermava per strada e mi confessava che gli ricordava un parente o un vicino di casa. Le persone lo guardavano e si sentivano migliori. Non erano spinte a rovesciare la propria condizione. Forse, allora esercitava una funzione consolatoria.
E oggi?
Oggi no, oggi stanno peggio di lui. In fondo si può dire che Fantozzi sia piuttosto un conservatore, volendo essere pignoli: un reazionario.
E per chi voterebbe tra i reazionari oggi a disposizione: Donald Trump, Marine Le Pen, Matteo Salvini?
Per nessuno dei tre. Fantozzi voterebbe per Balabam, il suo mega direttore galattico.
Spesso lei viene associato a Fantozzi, anche se ha fatto molto altro: ha mai odiato quel personaggio?
Come potrei: gli devo tutto. Fantozzi è la maschera per la quale sarò ricordato anche dopo la morte.
L’hanno paragonata a quella di Totò.
Quella di Totò è la comicità più straordinaria che il cinema italiano abbia espresso, ma dubito che la critica l’avrebbe compresa se non avesse lavorato con autori come Pier Paolo Pasolini, Mario Monicelli, Alberto Lattuada.
Anche lei è stato accolto nel mondo del cinema d’autore da Federico Fellini.
Lavorai per lui insieme a Roberto Benigni, che ha avuto un successo mondiale da me invidiato mostruosamente. Poi, però, l’ho accettato con rassegnazione totale.
E Beppe Grillo?
Condividiamo il mestiere e la città di nascita: Genova. Devo ammettere, però, che negli ultimi anni l’ho guardato da lontano diventare un protagonista della politica italiana e ho invidiato anche lui.
Avrebbe voluto fare ciò che ha fatto?
Da ragazzo, mio padre voleva che diventassi ingegnere. Eppure, quando cominciai a muovere i primi passi nel teatro, in famiglia non venni ostacolato. Sin da piccolo ero programmato per quello che ho fatto, che è esattamente ciò che avrei voluto fare.
E lei che padre è stato? Suo figlio, in un libro autobiografico, ha scritto che è stato un padre “assente”.
Semmai, il problema è che sono stato un padre troppo presente. Direi quasi: incombente.
Una volta disse che i politici sono la nostra proiezione. Se guarda quelli di oggi, che paese vede?
Un paese triste.
Cosa non ha avuto dalla vita?
Un corpo diverso. Il mio aspetto è sempre stato insignificante. Mi ha impedito di avere il successo con le donne che avrei voluto avere.
(da “Huffingtonpost“)
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Aprile 2nd, 2017 Riccardo Fucile
INVECE CHE QUELLO DELLA SUA RIVALTA (TORINO) METTE QUELLO DI RIVALTA SUL TREBBIA (PIACENZA)
Michele Colaci si candida sindaco a Rivalta… Sul Trebbia.
L’epic fail comparso sul manifesto elettorale del candidato che corre alle elezioni di Rivalta di Torino, sostenuto da Forza Italia, Lega, Alleanza Nazionale e Fratelli d’Italia, non è sfuggito al popolo di Facebook.
Sotto il nome della lista civica di Colaci “Rivalta da Vivere”, infatti, nel manifesto presentato la scorsa settimana in conferenza stampa, compare l’immagine di una silouette di donna e poi, stilizzata, quella del castello.
Peccato che i tratti non siano affatto quelli del castello di Rivalta di Torino, ma piuttosto di Rivalta sul Trebbia, frazione del comune di Gazzola, in provincia di Piacenza.
La torre slanciata, nel maniero alle porte di Torino, non esiste ma nessuno ci ha fatto caso, nemmeno lo stesso candidato che si è fatto immortalare davanti all’ingresso della sede del comitato elettorale insieme con i suoi sostenitori.
Le battute sulle pagine Facebook che riguardano la città patria del tomino si sprecano: “Dopo la Milano da bere abbiamo la Rivalta da Vivere, quella di Gazzola in provincia di Piacenza, sia chiaro”; “Strano che Colaci si candidi in Emilia e apra la sua sede elettorale qui nel torinese”, si legge sul web.
Alla fine arrivano anche le scuse ufficiali del grafico che ha curato il progetto del manifesto: “Ho commesso un errore grossolano – scrive il professionista – Nella prima bozza avevo inserito l’immagine sbagliata e avevo provveduto a correggere in quella definitiva, ma poi al momento di mandarla in stampa ho pescato il file sbagliato”. Gli utenti perdonano al grafico l’errore di stampa, molto meno la disattenzione dei suoi committenti.
Come fa un candidato sindaco a non accorgersi subito di un errore del genere?
(da “La Repubblica”)
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Aprile 2nd, 2017 Riccardo Fucile
FIRMATO UN ACCORDO SINDACALE CHE GARANTISCE MAGGIORI DIRITTI AI DIPENDENTI
Se Fiat Chrysler da anni non applica più ai suoi dipendenti nemmeno il contratto nazionale dei metalmeccanici, Volkswagen sceglie invece di garantire ai suoi dipendenti italiani tutele aggiuntive rispetto a quelle previste dal Jobs Act.
Le direzioni aziendali di Ducati Motor e Automobili Lamborghini, con sede nel Bolognese ma entrambe di proprietà della casa tedesca, hanno infatti sottoscritto il 17 marzo insieme alle organizzazioni sindacali di categoria Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Uilm due accordi sindacali che di fatto aggirano, su alcuni punti, la riforma del lavoro renziana.
Garantendo ai circa 3mila dipendenti dei due stabilimenti simbolo della storia italiana dei motori tutele aggiuntive rispetto ai loro colleghi.
Obiettivo dell’intesa, scrivono in una nota congiunta i sindacati, è “intervenire sui recenti cambiamenti della legislazione sul lavoro con una particolare attenzione a: disciplina dei licenziamenti; disciplina delle mansioni (il cosiddetto demansionamento); disciplina riguardante gli strumenti di controllo a distanza”.
I due accordi — il cui contenuto è identico — modificano radicalmente l’impianto della legislazione vigente, andando a scardinare anche uno dei pilastri delle politiche del lavoro renziane: la differenza tra chi è stato assunto in azienda prima del Jobs Act e chi dopo.
Tra chi ha il vecchio contratto a tempo indeterminato e chi quello nuovo, a tutele crescenti. “Le parti hanno condiviso che questa intesa possa determinare una condizione di maggior tutela indipendentemente dalla data di assunzione”, si legge infatti nel testo.
Michele Bulgarelli, della Fiom-Cgil di Bologna, spiega a ilfattoquotidiano.it: “Il Jobs Act ha introdotto una frattura all’interno del mondo del lavoro: la data del 7 marzo 2015. Gli assunti dopo quella data non sono uguali agli altri, non hanno gli stessi diritti. Ora — prosegue — a prescindere dalla data di assunzione, tutti i dipendenti in Ducati e Lamborghini avranno la stessa tutela introdotta dalla contrattazione aziendale. Si ricompone il mondo del lavoro”.
In materia di “licenziamenti individuali per giustificato motivo”, spiegano Fiom, Fim e Uilm, i lavoratori Ducati e Lamborghini non verranno più convocati dall’azienda direttamente presso la Direzione Territoriale del Lavoro, dove la legge prevede che debbano confrontarsi il singolo dipendente oggetto del provvedimento e l’impresa, ma avranno diritto di avviare un confronto preventivo con l’azienda alla presenza della propria organizzazione sindacale di riferimento, per individuare tutte le possibili soluzioni alternative al licenziamento, quali modifica della propria collocazione, riqualifica professionale, accesso a contratti part-time o ammortizzatori sociali.
Discorso simile anche per il “demansionamento”, ovvero la revisione al ribasso della qualifica professionale di un dipendente — spesso accompagnata da diminuzione di stipendio — che Ducati e Lamborghini non potranno più disporre unilateralmente (come invece prevede il Jobs Act in diversi casi).
A tutela delle professionalità acquisite viene infatti introdotta una procedura, non prevista dalla legge, grazie alla quale il lavoratore colpito dal provvedimento può attivare un iter finalizzato al mantenimento del livello conseguito, a partire dalla messa in campo di strumenti volti alla propria riqualificazione professionale.
Ulteriore sconfessione del Jobs Act è quella costituita da ciò che l’intesa raggiunta prevede in materia di “strumenti di controllo a distanza“, dove il coinvolgimento sindacale non è richiesto solo nei casi previsti dalla legge — installazione di telecamere — ma anche per l’utilizzo di ogni tecnologia da cui possa derivare controllo a distanza, come tablet, dispositivi gps, telefoni cellulari. Saranno pertanto istituite apposite commissioni bilaterali preventive tra sindacato e azienda con il compito di valutare e accordarsi, caso per caso.
Una novità , quest’ultima, che in realtà va a ufficializzare una pratica già in essere in Ducati e Lamborghini, la cui condotta aziendale, ispirata al cosiddetto modello tedesco e alla Charta dei rapporto di lavoro nel Gruppo Volkswagen, afferma che “le parti coinvolte perseguono insieme una politica di consenso sociale, nell’ambito della quale hanno priorità soluzioni concrete e oggettive dei problemi, stabilite nel quadro di trattative, rispetto alle soluzioni di orientamento conflittuale”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 2nd, 2017 Riccardo Fucile
LA FARSA: AGENTI GIA’ IN PIAZZA, POCHE DECINE DI MANIFESTANTI, POLIZIA GARBATA, FERMATI ANCHE UN PAIO DI PRO-PUTIN PER FARE VEDERE CHE NON FANNO DISTINZIONI… IL TUTTO A FAVORE DI TELECAMERE
A Mosca arrestate almeno 29 persone, impegnate in una manifestazione non autorizzata nella capitale russa.
«Hanno infranto l’ordine pubblico», ha detto un portavoce della polizia, che la scorsa settimana si era resa protagonista di una ondata di centinaia arresti durante una protesta organizzata da Alexei Navalny, oggi considerato l’oppositore più pericoloso per Vladimir Putin, che si trova al momento in carcere dove sta scontando 15 giorni di detenzione amministrativa per le manifestazioni non autorizzate di domenica scorsa. In piazza del Maneggio, di fronte alla piazza Rossa – il cui accesso era stato limitato – era dispiegato un gran numero di polizia, come pure nella zona poco distante di piazza Triumnfalnaya e piazza Pushkin, dove il 26 marzo si sono verificati la maggioranza degli arresti di massa.
Le persone radunate non erano più di 200, di cui la maggior parte cronisti.
Un ragazzo ha attirato l’attenzione dei corrispondenti, iniziando a camminare su e giù per la piazza con una bandiera russa in mano.
Un altro ha iniziato a urlare slogan pro-Putin ed è stato portato via dalle forze dell’ordine.
Le tv di Stato hanno seguito la “tentata manifestazione” in diretta, cosa inusuale per i canali federali, il che ha rinsaldato il sospetto che le autorità fossero interessate a mostrare il «fallimento» dell’ultima iniziativa dell’opposizione.
La protesta è una messinscena
Sui social quanto accaduto centro di Mosca è stato trattato con ironia. «La polizia e l’Fsb (i servizi segreti russi) hanno organizzato in piazza del Maneggio una colazione per la stampa?», si chiede su Facebook Gleb Pavlovsky, commentando la manifestazione di protesta, che ha visto la partecipazione più di giornalisti russi e stranieri che di oppositori o giovani studenti.
Il sospetto, fin dall’inizio, era che dietro gli anonimi organizzatori della manifestazione – convocata via social network e Telegram, per le ore 12 – ci fosse una provocazione delle autorità russe, intenzionate a mostrare alla popolazione come, in una settimana, fossero riusciti a mettere a tacere le proteste e a evitare così una possibile rivoluzione, vero incubo del Cremlino dopo le diverse rivoluzioni colorate che hanno percorso lo spazio post sovietico negli ultimi anni.
Nessuna delle sigle dell’opposizione, a partire dal Fondo anti-corruzione di Aleksei Navalny, si è associata all’iniziativa.
La maggior parte degli arresti e stata effettuata tra via Tverskaya e piazza Triumfalnaya e ha riguardato partecipanti alle cosiddette «passeggiate dell’opposizione», manifestazione di protesta pacifica, che si tiene ogni domenica in centro.
Secondo OVD Info, un sito che monitora le detenzioni di attivisti, in tutto sono state arrestate almeno 32 persone, tra cui quattro minorenni.
Sabato il Comitato investigativo russo aveva aperto un’inchiesta penale contro gli utenti di internet che hanno incitato a partecipare alle proteste di Mosca.
Grande attenzione da parte dei media
Il 26 marzo, le proteste di Navalny contro la corruzione non erano state seguite dai canali ufficiali. «Quando una settimana fa, sono scesi in piazza decine di migliaia di persone, la Tv ha taciuto, mentre oggi parlano delle manifestazioni e delle misure di sicurezza. Cui prodest?», ha scritto su Twitter il vice direttore di radio Eco di Mosca.
(da “La Stampa”)
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Aprile 2nd, 2017 Riccardo Fucile
DAL LEADER A DE VITO-LOMBARDI A COLOMBAN: CHI C’E’ DIETRO I CANDIDATI AL CDA… NESSUNA DIFFERENZA RISPETTO AI METODI DELLA KASTA
Per i 5 Stelle è la prima grande operazione di spoil system: Virginia Raggi, sindaca di Roma, è alle prese con il rinnovo del board di Acea, multiutility dell’acqua e dell’elettricità , azienda tra i principali player tricolori, unica società quotata in Borsa nella galassia delle partecipate del Campidoglio.
E siccome la sindaca grillina ha già dimostrato di avere più d’un problema con le nomine, che tanti grattacapi le hanno sin qui procurato, i vertici del Movimento hanno deciso di metterla di nuovo sotto tutela: piazzando, nella lista dei magnifici cinque chiamati a sedere per il Campidoglio nel più importante cda del Gruppo Roma, uomini e donne di provata fede, tutti rispondenti a una precisa filiera interna ai 5S.
Adattata ai tempi, è a suo modo una lottizzazione in perfetto stile vecchia Dc, rimasta insuperata nella spartizione dei posti fra correnti.
Esattamente ciò che avverrà in Acea, considerata dai grillini la prova generale di quel che potrebbe accadere tra un anno, con la “presa” – data da molti per probabile – di Palazzo Chigi.
Perciò “è vietato sbagliare”, si sono molto raccomandati lungo la direttrice Milano-Genova. La stessa che ha condizionato l’intera partita sulla multiutility e influenzato la scelta della maggioranza capitolina, chiamata stavolta dalla sindaca a condividere il percorso di selezione dei nomi.
Ad aprire la lista dei rappresentanti di Roma Capitale – depositata ieri pomeriggio nella sede di Piazzale Ostiense in vista dell’assemblea dei soci che si terrà il 27 aprile – è l’ingegner Stefano Donnarumma, direttore Rete di A2A e un trascorso alla guida di Acea Distribuzione: il suo nome è stato caldeggiato dai consiglieri comunali su proposta del presidente dell’Aula Marcello De Vito, pupillo della deputata Roberta Lombardi, e ha subito ricevuto l’ok di Davide Casaleggio. L’ad sarà lui.
Alla presidenza, invece, andrà l’avvocato genovese Luca Lanzalone, che per conto della giunta Raggi ha condotto la trattativa con la Roma Calcio sul nuovo stadio a Tor di Valle: a imporlo è stata la sindaca in persona, che ha così risolto il problema della sua parcella, visto che per vari motivi, di budget e burocratici, non era stato possibile inquadrarlo come consulente di Palazzo Senatorio.
Anche a costo di litigare con Massimo Colomban, l’autorevole assessore alle Partecipate, che gli avrebbe preferito l’ingegner Giorgio Simioni, suo braccio destro in Campidoglio, già assunto in Acea come consulente al ragguardevole stipendio di 240mila euro l’anno.
Colomban però non è rimasto a bocca asciutta. Un posto in cda lo ha strappato lo stesso.
Tra i consiglieri ci sarà infatti la sua quasi compaesana Gabriella Chiellino, 48 anni, da Conegliano Veneto: laureata in Scienze Ambientali all’Università Cà Foscari di Venezia, dove poi è rimasta come docente a contratto, ha fondato nel 2003 la società di consulenza e progettazione eAmbiente srl e nel 2010 la eEnergia, specializzata in risparmio energetico nei processi produttivi e terziario.
Da Genova, sponsor Beppe Grillo, arriva invece Liliana Godino, già responsabile acquisti di Grandi Navi Veloci e ora dirigente di un’altra grande azienda del settore.
Infine, visto che serviva una terza donna per rispettare le quote rosa e i grillini faticavano a trovarla, l’amministratore delegato in pectore ne ha indicato in extremis una “sua”: l’avvocata Michaela Castelli, classe 1970, e una sfilza di incarichi.
Siede infatti nel board dell’Istituto centrale banche popolari, di cui è anche presidente del comitato di controllo, nonchè membro del collegio sindacale della Nuova Sidap srl (gruppo Autogrill), del cda di Recordati e presidente della vigilanza di Becton Dickinson, multinazionale leader nelle tecnologie medicali.
Due uomini e tre donne: a loro l’onere di vincere la sfida del primo spoil system a 5 stelle, realizzato con una versione aggiornata dell’intramontabile Cencelli.
(da “La Repubblica”)
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Aprile 2nd, 2017 Riccardo Fucile
I GIUDICI DECISI A VALUTARE SUBITO LE ISTANZE CIVILI E PENALI
Non è tempo di portare le cose alle lunghe. Sopratutto in campagna elettorale.
Tant’è che il procuratore capo Francesco Cozzi ordina al pm Walter Cotugno di convocare urgentemente da una parte Beppe Grillo ed Alessandro Di Battista indagati per diffamazione; dall’altra Marika Casimatis come persona offesa ed “informata sui fatti”. Soprattutto, il capo dei pm genovesi vuole che la vicenda sia chiusa entro la prossima settimana.
In un verso o nell’altro: sia verso un approfondimento di indagini, sia verso l’archiviazione.
Al leader e al deputato dei Cinque Stelle domani saranno notificati gli avvisi di garanzia, sorti dalla iscrizione dei due pentastellati nel registro degli indagati dopo la querela presentata da Marika Cassimatis, la candidata a sindaco di Genova che ha vinto le primarie on-line, ma che a sorpresa è stata esautorata dal garante, perchè a lui non gradita
La professoressa di Geografia (insegna al “Rosselli” di Sestri Ponente) sostiene di essere stata diffamata, che lei ed i componenti della sua lista siano stati perfino minacciati sul web. L’esposto, presentato il 17 marzo scorso, parte da alcune frasi postate dall’ex comico genovese sul suo blog.
Grillo ha accusato Marika Cassimatis di “avere ripetutamente e continuativamente danneggiato l’immagine dei M5S, dileggiando, attaccando e denigrando i portavoce e altri iscritti…”.
Inoltre, l’astro nascente del movimento dei grillini, Alessandro Di Battista, durante una intervista rilasciata a Torino in quei giorni, ha detto “…Siamo in una vasca di squali…». Le accuse sarebbero corroborate da prove.
«Nè io, nè qualcuno della mia lista ha fatto mai fatto attività contro i Cinque Stelle – ripete la candidata “scomunicata” – per giunta queste accuse fanno riferimento a documenti che sono stati presentati, ma non sappiamo a cosa si riferiscano. Sto cercando di venirne a conoscenza, ma senza alcun risultato».
Parallelamente alla vicenda penale si muove quella civile. L’avvocato romano Lorenzo Borrè, sempre su mandato di Cassimatis, ha presentato due distinti ricorsi al Tribunale di Genova
Il primo è una classica citazione per richiesta danni e come tale deve essere notificata alla controparte, quindi al Movimento Cinque Stelle oppure al garante, a Grillo.
Il secondo ricorso è una istanza cautelare, con la quale si chiede da una parte l’annullamento della delibera con la quale il fondatore ha azzerato la vittoria della candidata; dall’altra, la revoca della nomina di Luca Pirondini, il competitor.
L’istanza, con carattere di urgenza, chiede l’intervento dirimente dei giudici prima dei 50 giorni che precedono le elezioni amministrative di Genova.
La lettera, però, è stata spedita da Roma attraverso posta certificata. «E io non l’ho ancora vista, sulla mia scrivania non è arrivata – afferma Claudio Viazzi, presidente del Tribunale di Genova – quando la vedrò, deciderò a chi assegnarla, può darsi che vada alla Prima Sezione Civile competente sulle questioni elettorali e su quelle associative».
Al riguardo, però, il presidente dei giudici genovesi non nasconde qualche perplessità su come intervenire sulla vicenda: «Non so se siamo di fronte ad un movimento, ad una associazione che non ha regole, che non ha statuto o a qualcos’altro – precisa – e bisognerà capire fino a che punto l’associato può far valere i diritti eventualmente lesi».
Comunque, le due vicende (penale e civile) dal punto di vista temporale potrebbero essere affrontate contestualmente.
La prossima settimana è decisiva. Si capirà se il Movimento, di colpo, rischia di trovarsi privato del simbolo e con Cassimatis rimessa in sella dal tribunale.
Altrimenti, la candidata non avrebbe quello che i giudici chiamano “diritto esigibile”.
(da “il Secolo XIX”)
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Aprile 2nd, 2017 Riccardo Fucile
L’EX CANDIDATO SINDACO DI MILANO FISSA LA DATA DELLE PRIMARIE PER L’8 OTTOBRE
In una location storicamente adorata dai socialisti, Stefano Parisi, che fu del Psi, pone le basi per una costituente di centro. Si candida a leader di questa nuova compagine, e fissa la data delle primarie, l’8 ottobre.
Hotel Ergife, zona sud della Capitale. La convention parisiana è fissata per le 15, ma già attorno all’ora di pranzo c’è aria di fibrillazione perchè, annota Felice da Agrigento, «oggi rinasce il centrodestra».
Nella hall dell’albergo passeggia Alberto Bombassei, patron della Brembo e oggi parlamentare di “Civici e Innovatori”. Il quale non si sbilancia sul progetto del manager: «Sono amico di Stefano da diversi anni. Ci conosciamo dai tempi di Confindustria. Ma sono qui in veste di osservatore. Aspetto di sentire qual è il progetto politico prima di proferire verbo e aderire a qualsiasi cosa».
Sorride Bombassei quando poi il discorso vira su Silvio Berlusconi, l’eterno leader del centrodestra: «Fra Parisi e Berlusconi si è consumato un amore iniziale. Ma voi lo sapete come finisce con il Cavaliere, è sempre così…».
In fondo, il flusso di gente che varca l’ingresso dell’Ergife per applaudire Parisi ha nostalgia del Silvio Berlusconi che nel ’94 decise di scendere in campo per «evitare che il Paese finisse ai comunisti».
Ci sono imprenditori, liberi professionisti. C’è quel ceto medio che ha sempre spinto per la ricchezza e per la meritocrazia.
Non mancano però le facce di un centrodestra ormai diviso in mille rivoli.
Ecco dunque sfilare Gabriele Albertini, da sempre tifoso di «Stefano»: «Sarà lui – afferma alla Stampa – il leader del nuovo centro».
Eppoi ci sono Maurizio Sacconi, Raffaele Bonanni, l’ex ministro all’Ambiente Corrado Clini, il siciliano Nello Musumeci, e anche il verdiniano Ignazio Abrignani. Spazio anche a pezzi del mondo cattolico come Luigi Amicone, oggi consigliere comunale di Milano, e Gianluca Cesana, leader laico di Comunione e Liberazione.
C’è questo e tanto altro nella mega sala dell’Ergife, dove siedono oltre 130 circoli di Energie per l’Italia e dove Emanuele, speaker per un giorno, annuncia che «a Gela c’è stato il record di iscritti».
Un’affermazione che lascia di stucco una signora ben vestita munita di borsa griffata che sogghigna: «Ma Gela non è uno dei comuni della Sicilia con il più tasso di criminalità ? Annamo bene…».
Riccardo Puglisi, economista, entra in punta di piedi e sarà una della voci che scalderà la platea con un intervento sulla moneta europea.
Defilato Claudio Scajola, che preferisce tenersi distante dalla prime file. La gente lo riconosce e viene riempito di abbracci.
«Ho controllato bene dalla posizione in cui mi trovavo. C’erano persone che provenivano da tutte le parti d’Italia, e ho visto anche molteplici facce di Fi che mi hanno accolto con tanto calore».
Ma il progetto di Parisi risulta compatibile con il Cavaliere? L’ex coordinatore di Fi ne è più che convinto: «Compatibilissimo. Mi auguro che sia un’ulteriore passo avanti per ricostruire il centro dello schieramento. Perchè oggi al centrodestra manca il centro».
Giuseppe Alberto Falci
(da “La Stampa“)
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Aprile 2nd, 2017 Riccardo Fucile
COPIA LE PEGGIORI DESTRE E SBAGLIA
La sinistra, o presunta tale, che copia la destra populista su temi fondamentali come sicurezza e immigrazione. Una storia che viene da lontano. Una storia perdente. Eppure una storia che continua a ripetersi.
Questa volta ad assumere tale paradigma è il ministro degli Interni, Marco Minniti. L’uomo che lo scorso sabato avrebbe sventato, insieme al questore Marino, un ipotetico piano dei black bloc per distruggere Roma, di cui ancora oggi non esiste traccia nè prova al di là delle campagne allarmistiche dei media.
L’unica certezza resta il fermo preventivo – in stile Minority Report – di 122 persone che volevano andare in piazza a manifestare. Condotti negli uffici di polizia di Tor Cervara per l’orientamento ideologico (come recita un articolo della Costituzione ai più sconosciuto). Per Minniti “è stata una bella giornata per l’Italia e l’Europa”.
Mentre il Giornale si compiaceva, il giorno dopo, del suo operato, finalmente un uomo col pugno duro contro gli attivisti (e la libertà di manifestare): “C’è finalmente un ministro, al Viminale, e ieri se ne sono accorti tutti. Roma non è stata messa a ferro e fuoco da no global o black bloc, il vertice europeo non è stato devastato dal temuto attentato terroristico, cani sciolti e kamikaze si sono tenuti alla larga, ad antagonisti e facinorosi di qualche centri sociale è stata messa la museruola”.
Ma chi è Minniti, questo ministro che prende i complimenti della stampa destrorsa e populista per la sua gestione di piazza?
Storico dalemiano, tra la cerchia dei fedelissimi, poi veltroniano, ora è renziano doc. Negli ultimi anni, per il Pd, è diventato l’uomo dei servizi. Marco Minniti ha alle spalle una vita nella politica e nelle istituzioni.
Classe 1956, da giovanissimo si iscrive alla Figc per compiere il consueto percorso dei postcomunisti: Pds, Ds e Partito democratico. Eletto deputato per la prima volta alle elezioni del 2001, nel 2006 entra a far parte del governo Prodi che lo nomina viceministro dell’Interno.
Nel 2009 diventa presidente e animatore della Fondazione Icsa (Intelligence culture and strategic analysis) mentre alle elezioni politiche del 2013 viene eletto al Senato e nominato sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri con delega proprio ai servizi segreti nel governo Letta e successivamente Renzi.
Adesso è il nuovo inquilino del Viminale. Aneddoto vuole che, nei ritagli di tempo libero, scappi appena possibile al Circolo Montecitorio, con le sue racchette, per giocare a tennis con la propria scorta. Un giocatore tosto. Così ha scelto la linea dura anche da ministro.
Da poco ha presentato il suo piano, pensato insieme al ministro Orlando, che si muoverà in due direzioni: il primo pacchetto di misure sull’immigrazione, il secondo sulla sicurezza urbana.
Provvedimenti che, tra i molteplici aspetti, prevedono la riapertura di nuovi Cie; lo stanziamento di 19 milioni di euro per il potenziamento dei rimpatri, attraverso accordi con Sudan, Libia, Mali e Nigeria; l’eliminazione del secondo grado di giudizio in caso di diniego dell’istanza di domanda; l’introduzione dei lavori socialmente utili per i richiedenti asilo. Poi la parte sul decoro urbano, dove si apre ai Daspi e a ordinanze che mirano a colpire più i poveri che la povertà , nell’era delle enormi disuguaglianze sociali.
Sembra essere tornati nella fase dei sindaci sceriffo: sanzioni contro coloro che praticano accattonaggio, che rovistano tra i rifiuti (a Roma, tra l’altro, l’unico modo per praticare la raccolta differenziata), sequestro di merci e attrezzature, e in più la confisca amministrativa, per i venditori ambulanti.
Poi hanno tratti discutibili l’arresto “in flagranza” dopo 48 ore (ossimoro) e, infine, la reintroduzione di alcuni aspetti della Fini/Giovanardi dichiarati incostituzionali che ritornano nell’art. 13 di questo pacchetto sicurezza. Più una guerra ai tossicodipendenti che alle tossicodipendenze.
In un’intervista al Corriere Minniti ha spiegato come questo provvedimento serva per non regalare l’Ue alle destre xenofobe e razziste: “Bisogna essere decisi e severi in materia di gestione dei flussi migratori, per non lasciare spazio alle destre e ai populismi che altrimenti vincerebbero ovunque e distruggerebbero l’Europa”.
Siamo alle solite. Minniti parla come se non ci fossero stati gli ultimi 20 anni.
Come se tali principi non avessero poi portato allo snaturamento delle socialdemocrazie europee. Come dimenticarsi, per esempio, che i dirigenti del centrosinistra italiano sono stati i primi a precarizzare il mondo del lavoro o a proporre le detenzioni come risposta agli esodi massicci e inarrestabili di migranti? Come dimenticarsi del pacchetto Treu? Come dimenticarsi delle guerre umanitarie in Kosovo?
Dopo il trentennio glorioso per le ragioni del lavoro e dell’avanzamento dei diritti, dopo le prime avvisaglie liberiste, dal 2000 sono stati proprio i socialisti europei ad attaccare e smantellare i diversi sistemi di Stato sociale.
La destra ha continuato su un terreno già ben concimato. La sinistra ha fatto da apripista per misure che, oltre a non funzionare in termini elettoralistici perchè hanno spianato la vittoria delle destre, sono anche del tutto inefficaci. Difficili, se non impossibili, da applicare.
Il pacchetto sicurezza prevedrebbe sanzioni amministrative per chi dorme sulle panchine della stazione. Bene, quella persona che per dormire per strada è evidentemente povera e disperata, veramente avrà la possibilità di pagare una multa? Non credo.
“Sicurezza è libertà “, dice Minniti sottovalutando che il suo piano rischierà di essere invece liberticida e che non porterà a nessuna sicurezza per i cittadini.
Quale differenza sostanziale tra il suo provvedimento e quello di un ipotetico populista?
Se si accetta il piano delle peggiori destre, si ha già perso da un punto di vista socio-culturale.
Finirà male, le avvisaglie ci sono tutte. E Minniti, l’uomo forte del Viminale, ha imboccato la strada sbagliata: dice di voler fermare le destre populiste, senza rendersi conto che così le avvantaggia e basta.
La sicurezza, che tutti i cittadini pretendono, è in un’altra direzione: ci vuole più politica – per gestire alcuni delicati fenomeni – e meno misure liberticide.
(da “Huffingtonpost”)
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