Aprile 3rd, 2017 Riccardo Fucile
IL MANAGER COINVOLTO IN RICICLAGGIO MAFIOSO, LA SOCIETA OFFSHORE, L’UOMO D’AFFARI AMMANIGLIATO CON LA POLITICA, IL CONDANNATO PER FURTO DI LIBRI ANTICHI: IL RITRATTO DEGLI UOMINI LEGATI ALLA MAXI OPERA
Mister Tap, la mafia calabrese, i narcos sudamericani, le valigie piene di denaro nero, le casseforti anonime con la targa offshore, gli oligarchi russi, gli affaristi italiani legati alla politica e altri misteriosi protagonisti e comprimari.
Alla base del Tap, il supergasdotto che minaccia di perforare le coste del Salento, c’è una storia nera mai raccontata prima.
Un intreccio di vicende pubbliche e segreti privati che rilancia quel groviglio di interrogativi che fanno da detonatore delle proteste esplose in Puglia contro lo sradicamento dei primi 231 olivi: chi ha deciso l’attuale tracciato?
È davvero necessario far passare miliardi di metri cubi di gas tra spiagge meravigliose e oliveti secolari, anzichè dirottare i maxi-tubi in zone già industrializzate, che si potrebbero disinquinare con una minima parte dei fondi del Tap?
Come mai i finanziamenti pubblici europei sono stati incamerati da una società -veicolo con azionisti svizzeri?
Se è vero che il gasdotto è strategico per molti Stati sovrani, perchè sono le aziende private a progettare dove, come e con chi costruire una grande opera tanto costosa e controversa?
Il Tap, che sta per Trans Adriatic Pipeline, è la parte finale di un gasdotto gigantesco: quasi quattromila chilometri di condotte per trasportare enormi quantità di metano dall’Azerbaijan all’Italia. Il costo preventivato è di 45 miliardi.
Il troncone iniziale Sud-Caucasico parte dal giacimento azero di Shah Deniz 2 e attraversa la Georgia. Il secondo tratto, chiamato Tanap, percorre tutta la Turchia.
Il Tap è l’ultimo pezzo, lungo 878 chilometri, che s’inerpica nel nord della Grecia (fino a quota 1.800), scende sulla costa albanese, s’inabissa in mare (fino a meno 820 metri) e arriva in Salento: l’approdo previsto è la spiaggia di San Foca, a Melendugno, dove in questi giorni, tra rumorose proteste popolari, è iniziato lo sradicamento degli olivi.
La società capofila Tap Ag, che raggruppa in Svizzera una cordata di multinazionali, assicura che il gasdotto sarà interrato, tutti gli alberi verranno ripiantati e gli altissimi standard di sicurezza azzereranno ogni rischio di inquinamento, incidente o disastro.
In Italia finora sono iniziati solo i lavori preparatori del micro-tunnel previsto dal ministero dell’Ambiente per non devastare una costa che vive di turismo: una galleria di cemento che parte in mare, a 800 metri dalla riva, passa sotto la spiaggia e riaffiora nei campi, a 700 metri dalla battigia.
Da lì il progetto continua su terra, per altri 8,2 chilometri, fino a un nuovo terminale di recezione: qui il consorzio Tap prevede di spostare 1.900 alberi secolari.
Per collegarsi alla rete nazionale del gas, poi, servono altri 55 chilometri di condotte fino a Mesagne, vicino a Brindisi.
Gli olivi a rischio, in totale, salgono così a 10 mila.
Contro questo tracciato, oltre ai cittadini del fronte “No Tap”, si sono schierati i sindaci interessati e il governatore della Puglia, Michele Emiliano, che ha chiesto più volte di «far approdare il gasdotto direttamente a Brindisi, evitando 55 chilometri di scavi e tubi superflui».
I governi Monti, Letta e Renzi hanno però inserito il Tap tra le opere strategiche, per cui si possono ignorare comuni e regioni: basta una valutazione d’impatto ambientale gestita dal ministero, che in questi giorni è stata convalidata dal Consiglio di Stato.
Il super gasdotto, dunque, è un’opera progettata, eseguita e gestita da imprese private, ma dichiarata di eccezionale interesse pubblico, addirittura sovranazionale. L’Espresso ha potuto esaminare una serie di documenti riservati della Commissione europea, che svelano il ruolo cruciale di una società -madre, finora sconosciuta: l’azienda che ha ideato il progetto e ha ottenuto i primi decisivi finanziamenti pubblici.
Si chiama Egl Produzione Italia, è una società per azioni con 200 mila euro di capitale, ma è controllata dalla Egl lussemburghese, a sua volta posseduta dal gruppo elvetico Axpo, che fa capo a diversi cantoni della Svizzera tedesca.
Le carte, ottenute grazie a una richiesta di atti dell’organizzazione Re:Common, documentano che la Egl italiana ha ottenuto, nel 2004 e 2005, due finanziamenti europei a fondo perduto, per oltre tre milioni, utilizzati proprio per i progetti preliminari e gli studi di fattibilità del Tap.
I ricercatori avevano chiesto di esaminare tutti gli altri atti, ma la Commissione europea ha risposto che devono restare riservati per rispettare i segreti industriali, la sicurezza e la privacy delle aziende del gasdotto.
Comunque ora è chiaro che il Tap è nato con «fondi strutturali europei» concessi a un colosso svizzero dell’energia, in teoria esterno alla Ue.
Anche l’amministratore delegato di questa Egl Italia, la società -madre del Tap, è un cittadino svizzero: Raffaele Tognacca, 51 anni, un manager che ha fatto anche politica con i liberali in Canton Ticino. Tognacca ha lavorato per anni tra Roma e Genova come dirigente del gruppo italiano Erg, che ha diversificato dal petrolio agli impianti eolici e solari soprattutto al sud.
Tornato in Svizzera, ha aperto con la moglie la società finanziaria Viva Transfer, che un’indagine anti-mafia italiana ha additato come una lavanderia di soldi sporchi. Intervistato dalla tv svizzera italiana, il procuratore aggiunto Michele Prestipino descrisse la vicenda come «un caso esemplare di riciclaggio internazionale di denaro mafioso».
Tutto parte nella primavera 2014, quando la Guardia di Finanza di Roma scopre una presunta banda di narcotrafficanti collegati alla ‘ndrangheta.
Il clan, capeggiato dal calabrese Cosimo Tassone, è accusato di aver importato oltre mezza tonnellata di cocaina dal Sudamerica, con altri 220 chili sequestrati a Gioia Tauro.
In quei giorni, secondo l’accusa, il clan calabrese deve versare un milione e mezzo di euro ai narcos sudamericani, ma non può usare il previsto canale bancario brasiliano. Quindi il braccio destro di Tassone recluta una famiglia di promotori finanziari toscani, il padre e due figli, che accettano di «trasportare quei soldi in contanti, dentro due trolley, a Lugano, nella sede della Viva Transfer», come confermano le confessioni degli stessi corrieri poi arrestati.
A ricevere tutte quelle banconote, da mandare in Brasile, è stato «Raffaele Tognacca in persona». Proprio il manager che ha tenuto a battesimo il Tap.
Quando Tognacca entra in scena, le intercettazioni captano una lite che rischia di degenerare: dal Sudamerica i narcos si lamentano di aver ricevuto mezzo milione in meno.
In Italia Tassone, furibondo, pensa a un furto e manda i suoi uomini a terrorizzare un figlio del corriere toscano: «Gli spacco la testa… Noi non siamo imprenditori!». L’altro figlio intanto viene tenuto in ostaggio in Brasile, come garanzia umana.
Dopo altre violenze e intimidazioni, il boss calabrese si convince che nessuno gli ha rubato i soldi mancanti: è la società di Tognacca che ha incamerato una parcella-record di oltre 400 mila euro («il 30 per cento!»).
Proprio allora scattano gli arresti. Al processo, tutt’ora in corso, i pm di Roma hanno formulato una specifica accusa di riciclaggio.
E dopo la retata, hanno incontrato i colleghi elvetici, competenti a valutare la parte estera del presunto reato. Tognacca si è difeso pubblicamente dichiarando di «non essere stato oggetto di nessuna misura penale nè in Italia nè in Svizzera».
Per i magistrati italiani resta assodato che il clan calabrese usò la Viva Transfer per pagare la cocaina. Ma i giudici elvetici potrebbero aver archiviato tutto per «mancata prova del dolo»: Tognacca poteva non sapere che erano soldi di mafia. Magari pensava di aiutare onesti evasori fiscali. Certo è che mister Tap non disprezzava le valigie di denaro nero.
Oggi la Egl italiana non esiste più: è stata assorbita da Axpo. Ma il Tap va avanti.
Nel 2009 la Commissione europea accetta pure di cambiare il beneficiario del residuo finanziamento a fondo perduto, dirottato dalla Egl alla Tap Asset spa, un’altra filiale di Axpo con sede a Roma, nello stesso palazzo della delegazione europea.
La vicinanza aiuta. La società -bis infatti eredita i contributi quando è già diventata una scatola vuota: nove mesi prima, infatti, ha venduto il progetto del supergasdotto, per almeno 12 milioni, all’attuale capofila Tap Ag.
Pure questa è una società svizzera, ma oggi è controllata da multinazionali dell’energia come l’italiana Snam, l’inglese Bp, la belga Fluxys, la spagnola Enagas, l’azera Az-tap e naturalmente Axpo.
Nel 2013 il corridoio sud del gas, cioè l’intero maxi-gasdotto, viene approvato dalle autorità europee, appoggiate dagli Usa, con una dichiarata funzione anti-russa, per creare un’alternativa al metano della Gazprom.
Ma ora i documenti mettono in dubbio questa giustificazione geo-politica: il gigante russo Lukoil, infatti, è entrato con il 10 per cento nel consorzio guidato da Bp e dalla società azera Socar per sfruttare il giacimento di Shah Deniz 2, proprio quello del Tap. Mentre alcune intercettazioni italiane autorizzano a pensare all’esistenza di accordi sotterranei anche con altre società russe. Controllate da oligarchi fedeli al presidente Vladimir Putin.
Nel febbraio 2009 l’imprenditore pugliese Giampaolo Tarantini viene registrato al telefono, nell’inchiesta sulle escort di Berlusconi, mentre parla con Roberto De Santis, un manager legato all’ex premier Massimo D’Alema.
Nel colloquio, già pubblicato dall’Espresso, De Santis chiede aiuto a Tarantini per ottenere il via libera del governo Berlusconi a un progetto «enorme», dove «la società capogruppo si chiama Tap».
Ora è possibile capire i retroscena di quell’intercettazione.
Intervistato dalla tv pugliese Telerama, De Santis ha giustificato così le sue parole sul gasdotto: «Ero consigliere d’amministrazione della società Avelar, che aveva interesse nel Tap, ma dal 2010 in poi non ne ha più avuto, perchè non ha più ritenuto opportuno continuare in quella avventura imprenditoriale… Avelar aveva degli accordi con la svizzera Egl, che poi sono venuti meno nel 2010».
Il problema è che Avelar non è mai comparsa ufficialmente nel Tap. È una società svizzera creata dal miliardario Viktor Vekselberg, titolare del colosso Renova e vicinissimo a Putin, per investire nelle energie rinnovabili.
Per sbarcare in Italia, Vekselberg ha inserito nella Avelar due manager senza alcuna esperienza nell’energia, ma con forti agganci politici a destra e a sinistra: il dalemiano De Santis, appunto; e un grande amico di Marcello Dell’Utri, Massimo Marino De Caro, come vicepresidente esecutivo.
De Caro è stato poi arrestato e condannato per il colossale furto di libri antichi nella biblioteca dei Girolamini a Napoli.
Quell’inchiesta nata a Firenze ha anche rivelato che De Caro, dopo aver ricevuto un bonifico milionario dalla Avelar, ha girato oltre 400 mila euro a Dell’Utri, per motivi rimasti oscuri, mentre l’ex senatore di Forza Italia era ancora libero, in attesa della condanna definitiva per mafia.
Finora si ignorava che un oligarca amico di Putin, attraverso l’italo-svizzera Avelar, avesse stretto accordi, mai rivelati, sul gasdotto anti-russo.
Ad aumentare il tasso di misteri attorno al Tap pensano anche i Panama Papers .
I documenti offshore ottenuti dal consorzio giornalistico Icij, di cui fa parte L’Espresso in esclusiva per l’Italia, mostrano che tra i clienti dello studio Mossack Fonseca (i cui titolari nel frattempo sono stati arrestati a Panama) compare anche il manager più importante della Tap Ag svizzera.
Si chiama Zaur Gahramanov, è nato nel 1982 in Azerbaijan e occupa ruoli cruciali in tutte le società chiave del maxi-gasdotto: è dirigente di grandi aziende del gruppo Socar, il colosso petrolifero dello Stato azero; consigliere d’amministrazione dei gasdotti Tap e Tanap; e gestore di varie società estere, tra cui la cassaforte svizzera che gestisce i profitti miliardari di gas e petrolio.
Nella sua posizione di super manager di Stato, dovrebbe avere qualche problema ad aprire società offshore, cioè casseforti anonime utilizzabili per nascondere denaro nero e azzerare le tasse (o peggio).
Invece il 18 febbraio 2011 lo studio di Panama registra proprio Gahramanov come azionista di una società offshore delle British Virgin Islands, chiamata Geneva Commodities International Ltd.
La società è gestita da un fiduciario elvetico e tutti gli atti vengono trasmessi in Svizzera, spesso su richiesta di una banca.
Gli altri due soci della offshore sembrano fiduciari di altri soggetti che vogliono restare nell’ombra: sono un professionista tedesco residente in Svizzera e un russo con domicilio in Israele.
Nello studio Mossack Fonseca, accanto al certificato azionario, ci sono tutti i dati personali del manager azero dei gasdotti. Il timbro della società anonima ha un disegno con tre spighe di grano. Sembra quasi un programma: con le offshore c’è grano per tutti.
La cassaforte segreta delle Isole Vergini viene resa inattiva il 12 settembre 2014, con una singolare coincidenza di date: proprio quel giorno il governo di Enrico Letta approva la valutazione d’impatto ambientale del Tap.
La stessa autorizzazione ministeriale ora convalidata da un’autorevole sentenza del Consiglio di Stato. Che sarebbe stata ancora più autorevole se, a guidare il collegio, fosse andato un togato diverso dall’espertissimo burocrate scelto dal governo Renzi come presidente aggiunto del Consiglio di Stato: Filippo Patroni Griffi, ex ministro e poi sottosegretario dello stesso esecutivo che ha approvato il Tap.
Paolo Biondani e Leo Sisti
(da “L’Espresso”)
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Aprile 3rd, 2017 Riccardo Fucile
PENOSO AUTOGOL DEL M5S: SILURATA SIMONA LAING, EX DG DELLE FARMACIE COMUNALI DI ROMA, CHE AVEVA SCOPERTO FURTI E RIPORTATO IN UTILE UN’AZIENDA IN ROSSO FISSO… LA POLTRONA SERVIVA A QUALCHE FEDELISSIMO GRILLINO
Le hanno dato il benservito nonostante un bilancio in positivo (+ 530 mila euro) dopo anni di “rosso”, due milioni in meno di esposizione finanziaria, meno debiti verso i fornitori, oltre a svariate denunce presentate in procura contro sprechi e malversazioni.
Dopo le nomine in Acea, lo spoil system dei 5 Stelle a Roma si allunga anche su Farmacap, la municipalizzata del Campidoglio che gestisce (fino al 2015 in costante perdita) 45 farmacie comunali.
A perdere il posto, licenziata “per giusta causa” e perchè “era venuto meno il rapporto di fiducia ” è stata, due giorni fa, Simona Laing, 45 anni, da Pistoia, ex dg dell’azienda.
Era entrata in conflitto col commissario Angelo Stefanori, nominato a gennaio da Virginia Raggi.
“La verità – si sfoga Laing – è che davo noia”.
Si spieghi meglio
“Me lo disse un signore molto influente, appena arrivata in città , nell’estate 2015, chiamata da Ignazio Marino: “Non ti faranno mettere a posto l’azienda. Sarebbe un caso che Roma non può accettare. Diventeresti un modello”. In un anno ho reso Farmacap più efficiente e ho aperto 3 farmacie h24. Sono brava ma non credo di essere un genio. Quello che ho fatto io poteva essere fatto anche da chi mi ha preceduto. La differenza? Non sono di Roma, non sono “comprabile”. Volevo vincere la sfida. E c’ero quasi riuscita”.
Il commissario le contesta le cifre del bilancio: scrive che l’utile da lei raggiunto è “fittizio” perchè non tiene conto dei “diritti acquisiti dai dipendenti: buoni pasto e arretrati”.
“Ma non si può dare un giudizio su un bilancio perchè non ci sono i buoni pasto che non ho sospeso io e che, tra l’altro, anche per i giudici non erano dovuti”.
Sta di fatto che lei è entrata in conflitto con dipendenti e sindacati.
“Solo con la Cgil che ha fatto asse col commissario per farmi allontanare “.
Tra i motivi del suo licenziamento, secondo Stefanori c’è anche la sua scarsa presenza in azienda.
“Pettegolezzi da poco. Come direttore generale non ho l’obbligo di timbrare il cartellino. In base a cosa Stefanori dice così? Non c’è mai stata una volta in cui mi abbia convocato e non mi abbia trovato in sede”.
Il commissario arriva il 10 gennaio. Lei è stata licenziata il 1° aprile: quando si inizia a deteriore il vostro rapporto?
“Non gli è mai interessato entrare in sintonia con me. In due mesi mi ha inviato 2 lettere di contestazioni disciplinari e 50 note. La situazione degenera col licenziamento di 4 dipendenti sorpresi a rubare farmaci. C’è un’inchiesta della procura, ci sono le telecamere che riprendono i furti. Bisognava dare un segnale e io l’ho fatto: come fai a non licenziare chi ruba 220 volte in un mese?”.
E Stefanori?
“Contesta la legittimità del mio provvedimento. Ma i 5 Stelle non erano quelli che se c’era qualcosa di strano bisogna rivolgersi immediatamente alla procura?”.
Il suo rapporto con la giunta Raggi com’è stato?
“Finchè al Bilancio c’era l’ex assessore Marcello Minenna ho lavorato benissimo, parlavamo la stessa lingua. Dopo settembre, dopo le sue dimissioni, sono stata lasciata sola fino all’arrivo di Stefanori. Ora che sono stata cacciata mi chiedo: è questo il trattamento riservato alla nuova classe dirigente? Intanto ho deciso di impugnare il mio licenziamento e di chiedere i danni d’immagine “.
Dopo le voci di liquidazione, sembra che il Comune ora voglia tenere Farmacap. Proprio il giorno del suo licenziamento, il Campidoglio ha stanziato 10 milioni per coprire la crisi di liquidità dell’azienda. Come giudica questa mossa?
“Farmacap non ha bisogno di quei soldi, perchè quel debito lo si può risanare tenendo i bilanci in utile, come stavo facendo io. La verità è che invece di stanziare quei soldi per la povera gente si prevede già che la gestione di Stefanori porti ad avere delle perdite. Così l’azienda tornerà a essere una mucca da mungere”.
(da “La Repubblica”)
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Aprile 3rd, 2017 Riccardo Fucile
L’IMMAGINE DI DI MAIO E’ OFFUSCATA E DIVISIVA, SI CERCA UN’ALTERNATIVA… DAVIGO: “I PARTITI SMETTANO DI CANDIDARE MAGISTRATI”
L’antecedente storico, per quanto fallito, degli esperimenti politici collegati al lavoro di Gianroberto Casaleggio è stato l’Italia dei Valori: un partito, poi ridimensionato per varie ragioni, guidato da quello che era allora il pm più in voga, Antonio Di Pietro.
Il Movimento Cinque Stelle, nell’idea di Casaleggio, non doveva nè poteva ripercorrere quella strada, di «partito di un pm e tanti poliziotti», ma non per questo ha smesso di corteggiare i magistrati e amare le divise. Tutt’altro.
Poichè il candidato premier del Movimento non è affatto scontato, e passerà dalla «procedura» del voto online (sui server dell’azienda), una fonte ci racconta che un’idea è circolata, nei vertici del mondo cinque stelle: convincere Piercamillo Davigo ad accettare una candidatura.
O, in subordine, una «chiamata» dopo una eventuale vittoria col proporzionale; opzione che, per un servitore dello Stato, potrebbe essere più difficile da rifiutare.
Naturalmente è un’idea molto difficile da realizzare.
Ma non dissimile, come schema, dal tentato coinvolgimento di Stefano Rodotà , o di Nino Di Matteo, nel biennio 2013-2014.
Abbiamo interpellato ieri l’ex presidente dell’Anm per chiedergli lumi su questa indiscrezione, ci ha detto che preferisce non commentare, e non fare interviste.
Ma il suo pensiero fino a oggi è stato chiaro: Davigo ha appena lasciato la guida dell’Anm dicendo che le carriere di magistrato e di politico è meglio rimangano separate. Poi ha anche detto questa frase sui passaggi dalla toga alla politica: «È un reato a concorso necessario. Se (i magistrati, ndr.) si candidano c’è qualcuno che li candida. Smettano di candidarli».
Insomma, ha ricordato, i casi sono pochi (sei magistrati su novemila) e soprattutto, sono voluti dai partiti. Una ritrosia che non fermerà i grillini.
Che i capi del Movimento (Milano, e mondo milanese) stiano cominciando ad avvertire sinistri scricchiolii nella credibilità dei suoi giovani leader, è innegabile. L’unica a brillare davvero, nella considerazione, è la sindaca torinese Chiara Appendino.
La leadership di Di Maio non ha affatto messo d’accordo un gruppo di parlamentari-guida che, nonostante i proclami, sono assai divisi.
La Casaleggio anche per questo si muove con discrezione per allargarsi a pezzi di valore della società , con un’attenzione speciale al mondo dei magistrati, in primis.
Al convegno inaugurale della neonata Associazione Casaleggio, anticipato dalla Stampa, che si terrà l’8 aprile, era stato invitato anche Francesco Greco, il procuratore di Milano.
E ha da poco confermato la sua presenza Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto di Messina, un fuoriclasse della magistratura, assai stimato da Davigo, e coautore con lui dell’ultimo libro, Giustizialisti.
Ardita ha spiegato al Corriere di non aver mai conosciuto Gianroberto Casaleggio (di cui l’8 si ricorda appunto la figura, scomparsa un anno fa), ma qui possiamo raccontare una curiosità , cioè che Casaleggio conosceva bene lui, perchè uno dei suoi più capaci collaboratori del tempo, Nicola Biondo, gliene aveva parlato regalandogli un libro di Ardita che il cofondatore del M5S apprezzò tantissimo, dal titolo Ricatto allo Stato (sottotitolo: La trattativa tra Cosa nostra e le istituzioni), edito da Feltrinelli. Un libro per tanti aspetti illuminante.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)
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Aprile 3rd, 2017 Riccardo Fucile
MARIO PUDDU ACCUSATO DI ABUSO D’UFFICIO
Siccome l’ha scritto su Facebook il primo aprile in pochi ci hanno creduto: «Con mia grande sorpresa mi è stato appena notificato un avviso di conclusione delle indagini preliminari per un presunto abuso d’ufficio», ha scritto Mario Puddu, sindaco di Assemini, due giorni fa. Gli scarsi particolari sulla vicenda forniti dal primo cittadino però ci aiutano a capire di che si parla.
La notizia della chiusura delle indagini nei confronti del sindaco arriva infatti a nove mesi dall’annuncio dell’indagine per abuso d’ufficio nei suoi confronti in seguito all’esposto presentato dall’ex segretaria comunale Daniela Petricci che lo accusa di aver subito “comportamenti vessatori”.
L’ex dirigente, difesa dall’avvocato Carlo Amat, sostiene di essere stata cacciata dal servizio in seguito a una presunta “campagna denigratoria”.
L’ex dirigente sostiene di essere stata rimossa dal servizio, una volta diventata vittima di una “campagna denigratoria”.
Petricci accusa di avere ricevuto quattro visite fiscali e una denuncia per truffa, per poi uscirne pulita, e chiosa spiegando di essere stata ridotta “alla mansione di un impiegato dell’anagrafe”. Non solo.
La donna afferma che Puddu, fin dalla sua elezione nel 2013, abbia creato “uno staff non ufficiale“
La donna non è la prima a rivolgere questa accusa a Puddu. L’anno scorso, infatti, tre consigliere comunali, Rita Piano, Irene Piras e Stefania Frau, avevano attaccato giunta e sindaco M5S per la presenza di “uno staff occulto in conflitto d’interessi”.
Pochi giorni dopo, il Movimento 5 Stelle le aveva prima sospese e poi espulse, con un’email firmata dallo staff di Beppe Grillo.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 3rd, 2017 Riccardo Fucile
IN PRIMO GRADO E’ STATO CONDANNATO A 7 MESI, ORA LE MOTIVAZIONI DEL GIUDICE
È trascorso un mese esatto dalla sentenza di condanna in primo grado con cui si è concluso il processo direttissimo nei confronti del consigliere comunale di Alessandria Angelo Malerba per il furto di due banconote da 50 euro sfilate dal portafoglio di un cliente della palestra Pianeta Sport, che lo stesso politico – eletto nel Movimento 5 Stelle, che adesso siede in municipio nel gruppo misto – frequentava abitualmente.
Scade il termine per il deposito delle motivazioni del verdetto: il giudice Giorgia De Palma spiegherà , cioè, perchè lo ha ritenuto colpevole di aver premuto la serratura dell’armadietto in cui un avventore della palestra (con il quale il consigliere, poco prima, aveva pure scambiato qualche convenevole di buona creanza) aveva riposto indumenti e documenti, di aver prelevato il portafoglio, di aver selezionato due banconote da 50 euro ciascuna da trasferire nel proprio giubbotto e di aver richiuso l’armadietto controllando accuratamente che non si notasse l’interferenza furtiva.
La sequenza delle azioni, di cui avevano dato conto i carabinieri (che da un po’ di giorni, in caserma, osservavano il monitor collegato con le telecamere nascoste piazzate nello spogliatoio), era stata riscontrata visivamente anche dai pubblici ministeri Alessio Rinaldi e Andrea Zito che, al processo, hanno prodotto il cd contenente il filmato, riferito, in particolare, alla mattina del 10 marzo 2016, quando scattò l’arresto in flagranza.
E il filmato, alla fine, dopo ripetuti tentativi della difesa di impedirne la visione (che contestò comportamenti irrituali o formalmente illeciti da parte degli investigatori), è passato davanti agli occhi del giudice, così come dei pm e del difensore Francesco Ponzano, nominato d’ufficio per l’udienza conclusiva della direttissima (il 3 marzo 2017).
VOLEVA CANDIDARSI SINDACO
I pubblici ministeri, sottolineando «il comportamento non collaborativo durante tutto l’iter processuale, privo di qualsiasi pentimento per un fatto spudoratamente evidente», avevano chiesto la condanna a un anno e mezzo di reclusione.
Il giudice ha inflitto sette mesi, concedendo i doppi benefici della sospensione condizionale e della non menzione.
Dal deposito delle motivazioni, ora decorrono 45 giorni di tempo in cui la difesa potrà decidere se impugnare il verdetto in Appello.
Aveva già fatto intuire di sì, così come aveva manifestato l’intenzione di pubblicizzare «gli atti processuali dopo la sentenza, perchè adesso si può» disse l’avvocato, insistendo sull’ipotesi di un complotto contro Malerba come politico che, ebbe a riferire il legale, avrebbe potuto candidarsi a sindaco quando era esponente del M5S.
Nel processo direttissimo il difensore di fiducia Martinelli aveva dismesso il mandato (mentre lo ha conservato nel processo ordinario, che prosegue il 16 giugno, per episodi analoghi in palestra).
L’imputato, però, potrebbe anche personalmente firmare l’impugnazione della sentenza avanti alla Corte d’Appello.
Silvana Mossano
(da “La Stampa”)
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Aprile 3rd, 2017 Riccardo Fucile
DATI FINALI PRIMARIE SEZIONI: RENZI 68,2%, ORLANDO 25,4%, EMILIANO 6,3%
Dopo una notte di battaglia sui numeri, sono arrivati i dati definitivi: Matteo Renzi ha stravinto con il 68,2% dei consensi, contro il 25,4% di Andrea Orlando e il 6,3% di Michele Emiliano. L’affluenza registrata è attorno ai 235-255 mila votanti.
Fra i renziani si registra quindi grande soddisfazione per l’esito del voto.
Per la mozione di Andrea Orlando parla Gianni Cuperlo in un’intervista al Corriere della Sera, lanciando un appello agli ex compagni di Mdp: “Venite a votare il 30 aprile e aiutateci ad ancorare il Pd alla sua natura e missione. Che non è dividere il campo della sinistra, ma ricucire quello che Renzi ha strappato. Oggi la candidatura in grado di farlo è quella di Orlando” afferma Cuperlo, che chiede “una svolta anche per il rispetto che dobbiamo a tante persone perbene che in tanti circoli hanno costruito un congresso vero”.
Per la mozione di Michele Emiliano, parla Francesco Boccia in un’intervista alla Repubblica, che traccia un bilancio positivo del lavoro fin qui svolto: “L’autonarrazione di Renzi – che pensava di portare 300 mila persone a votare – è fallita. La leadership Pd è ancora contendibile e le primarie aperte lo dimostreranno. Oggi contiamo il voto dei 200 mila tesserati, il 30 aprile ci saranno due milioni di elettori di centrosinistra che renderanno possibile a Davide di sconfiggere Golia. Abbiamo combattuto a mani nude, finora. Non ci fermeremo”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 3rd, 2017 Riccardo Fucile
ALLE PRESIDENZIALI PREVALE CON IL 58% AL PRIMO TURNO IL PREMIER RIFORMATORE E LIBERALE… BATOSTA PER I NAZIONALISTI DI SESELJ
La Serbia non ha deluso l’Europa. Il giovane premier europeista, riformatore e liberalconservatore Aleksandar Vucic ha vinto le elezioni presidenziali anticipate svoltesi ieri.
Il premier che aveva deciso di candidarsi a capo dello Stato per sbarrare la strada a ogni pericolo di deriva nazionalpopulista e antieuropea, ha ottenuto il 55,7 per cento sulla base di proiezioni sul 93,3 per cento dei voti, e addirittura il 59,89 per cento in base al 16 per cento già scrutinato dei voti, o del 58 per cento secondo le proiezioni dell’istituto demoscopico Ipsos.
La strategia di Vucic – che guida il governo del paese dal 2014 – cioè una strategia di negoziato con Bruxelles per entrare nella Ue al piຠpresto, di riforme accelerate per modernizzare l’economia, di neutralita’ma pro-Unione europea tra Nato e Mosca e infine ma non ultimo di tentativi di dialogo di pace con i paesi vicini, tutti gli Stati nati dalla disintegrazione della Jugoslavia e con l’Albania, vengono dunque confermate dagli elettori.
“Mi dichiaro vincitore”, ha detto in tarda serata il 47enne leader serbo, affermando di aver ottenuto più di due milioni di voti sugli elettori partecipanti alle presidenziali tra i meno di sette milioni di elettori.
“Sono molto orgoglioso di avere conseguito una vittoria pulita come una goccia d’acqua, e incontestabile”, ha aggiunto, parlando in serata al quartier generale dello Sns (il suo Partito progressista serbo, liberalconservatore ed europeista) acclamato dai suoi sostenitori, dai collaboratori più stretti e da membri del governo, che scandivano ‘Pobeda, Pobeda’(Vittoria, Vittoria).
“Ringrazio tutti quelli che mi hanno dato fiducia, saluto e ringrazio anche tutti i miei avversari nella competizione democratica alla presidenza, alcuni di loro hanno ottenuto buoni risultati”, ha affermato ancora.
“Alcuni di loro”, allusione sibillina al fatto che tra i rivali chi è andato peggio, il vero sconfitto, è il nazionalista Vojslav Seselj, antioccidentale, antieuropeo, nostalgico ed ex collaboratore del dittatore e criminale di guerra Slobodan Milosevic il quale distruggendo la repubblica federale creata da Tito e poi con guerre massacri e crimini contro gli altri popoli della Jugoslavia causò l’intervento Nato, perdette la guerra e seppellà quel paese cardine della stabilità¡ balcanica.
Addio ai sogni nostalgici più cupi e pericolosi, insomma. Col voto di ieri si percepisce quasi un’aria nuova nei Balcani dove nel 1914 comincià³ la prima guerra mondiale.
“I serbi”, ha ancora detto il premier, “si sono espressi per la continuazione delle riforme e della via dell’integrazione europea del nostro paese. I cittadini vogliono andare avanti. Abbiamo vinto non con slogan populisti bensà col duro lavoro quotidiano delle riforme, spiegando che per essere efficaci le riforme devono a volte essere dolorose. So che ci sono persone insoddisfatte e in difficoltà per le riforme, ci occuperemo anche di loro”.
Vucic ha promesso di nuovo negoziati con la Ue per entrarvi, il mantenimento da paese neutrale col partner storico, la Russia, e con la Cina che porta sempre piຠinvestimenti.
E dalle prossime ore, alla fiera di Mostar, con un incontro col premier croato Andrej Plenkovic, tenterà¡ di rilanciare il difficile processo di colloqui e pace tra Stati e territori dell’ex Jugoslavia.
È un risultato importante e positivo per tutti i governi europeisti nell’Unione, dall’Italia di Gentiloni partner di riferimento di Belgrado alla Germania della cancelliera Angela Merkel che ha sempre espresso approvazione ed elogio incondizionato a Vucic e al suo appello a “voltare le pagine degli odii etnici e delle violenze del passato e costruire una Serbia europea e moderna che guarda al futuro”.
Non meno significativo, secondo i primi risultati, è appunto, come Vucic ha accennato, l’ordine d’arrivo dei rivali sconfitti.
Al secondo posto sarebbe giunto infatti l’ex ombudsman (difensore civico) Sasha Jankovic con oltre il 14 per cento, seguito dal 25enne eccentrico comico beffardo Luka Maksimovic, un campione dell’antipolitica che però non ha nulla dell’aggressività antisistema e violenza verbale di Grillo.
Al quarto posto l’ex ministro degli Esteri Vuk Jeremic.
Il grande sconfitto è dunque proprio Vosjlav Seselj, nostalgico del dittatore Slobodan Milosevic, l’uomo che con la sua svolta autoritaria e brutali guerre e massacri distrusse la Jugoslavia di Tito.
Vucic è anche nella sua storia personale un simbolo di come la Serbia sia cambiata e stia cambiando. Giovanissimo fu nel governo con Milosevic da nazionalista, poi ruppe con gli ultrà e creò con lo Sns un nuovo partito moderato, riformatore, europeista.
Gli avversari lo accusano di voler accumulare troppo potere e sognare controlli sui media, ma lo fanno avanzando paragoni assurdi con la Turchia di Erdogan o la Corea del Nord. Roma, Berlino e la Commissione europea gli dà nno fiducia.
Da quando egli è al governo è tornata la ripresa con una crescita del Prodotto interno lordo del 2,8 per cento l’anno scorso e conti sovrani sotto controllo. Restano, come in molti paesi di centroest e Balcani, pesanti problemi economici, dalla disoccupazione al 15 per cento a retribuzioni medie di appena 350 euro mensili. Lui integrandosi nella Ue vuole far andare avanti la Serbia.
Il personale Osce, che ha organizzato e supervisionato il voto presidenziale per i serbi del Kosovo, in tarda serata ha trasportato le urne con le schede elettorali a Raska e Vranje, località del sud della Serbia a ridosso della frontiera con il Kosovo, dove il materiale verrà consegnato ai responsabili della commissione elettorale serba. La giornata elettorale in Kosovo e’ trascorsa tranquilla e senza incidenti di rilievo, con una affluenza – secondo l’Osce – del 39,2%.
(da “La Repubblica”)
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