Giugno 13th, 2017 Riccardo Fucile
INCAPACE A GOVERNARE, INVECE DI GESTIRE L’EMERGENZA CREANDO CENTRI DI ASSISTENZA COME FANNO NEI PAESI CIVILI, SI APPELLA AL PREFETTO AFFINCHE’ QUESTI ESSERI UMANI VENGANO “SCARICATI” ALTROVE… E GRILLO SI PREOCCUPA DEI MENDICANTI: PER CACCIARLI, OVVIO, NON CERTO PER SCUCIRE UN EURO DEI SUOI
La Sindaca di Roma Virginia Raggi, vista la “forte presenza migratoria e il continuo flusso di cittadini stranieri” ha richiesto al Ministero dell’Interno “una moratoria sui nuovi arrivi” nella Capitale.
Questo il contenuto di una lettera firmata dalla sindaca e inviata al Prefetto di Roma Paola Basilone. “Trovo impossibile, oltre che rischioso, ipotizzare ulteriori strutture di accoglienza, peraltro di rilevante impatto e consistenza numerica sul territorio comunale”, si legge nella lettera.
Forse la sindaca non ha ben chiaro che è stata eletta e viene pagata per affrontare e risolvere il problemi e le emergenze, non per lavarsene le mani, scaricandoli su altre amministrazioni.
Un Comune al centro della bufera, incapace di coordinare gli arrivi, lasciando allo sbando quelli del Baobab, senza una minima rete di centro di accoglienza, con intere zone (vedi Termini) lasciate nel degrado assoluto.
Altri sindaci muovono il culo, individuano location, stipulano convenzioni, si coordinano con il mondo del volontariato, non dormono “da in piedi” come la Giunta romana.
Nella lettera la sindaca sottolinea la necessità di considerare l’elevata “pressione migratoria cui è sottoposta Roma: per tali motivi, questa amministrazione, in considerazione degli elevati flussi di migranti non censiti, auspica che le valutazioni sulle dislocazioni di nuovi insediamenti tengano conto della evidente pressione migratoria cui è sottoposta Roma Capitale e delle possibili devastanti conseguenze in termini di costi sociali “, conclude la lettera.
Per la serie Ponzio Pilato in camicia leghista.
Esilarante poi il controcanto neoleghista del miliardario di Sant’Ilario che dalla villa scrive sul blog: «Stop. Questa storia si chiude qua. Ora a Roma si cambia musica. Chiusura dei campi rom, censimento di tutte le aree abusive e le tendopoli. Chi chiede soldi in metropolitana è fuori. In più sarà aumentata la vigilanza nelle metro contro i borseggiatori».
Demagogia allo stato puro: il problema dei rom (che trattiamo nell’articolo qua sotto) è giuridicamente ben più complesso per poterlo ridurre a questa sequela di cazzate e di balle stratosferiche.
Fa morire dal morire dal ridere quel concetto ripetuto “è fuori”: fuori da che?
Se poi si riferisse ai “fuori di testa”, allora il discorso si farebbe interessante, visto quanti ne circolano anche tra i nostri politici
(da agenzie).
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Giugno 13th, 2017 Riccardo Fucile
DIETRO LA DEMAGOGIA DI GRILLO CHE SUL BLOG FA ANNUNCI CONTRO I CAMPI ROM, LA NECESSITA’ DI OCCULTARE LA VERITA: IL CAPOLAVORO DELLA RAGGI PORTERA’ AL MASSIMO ALL’USCITA DI 60 PERSONE DA DUE CAMPI NEL 2023
Il MoVimento 5 Stelle prova a spiegare il senso del piano per il “superamento dei Campi Rom”. Lo stesso piano che una settimana fa Grillo aveva definito un “capolavoro” e che — come abbiamo spiegato qui — tanto capolavoro non è. Oggi sul Blog un post a firma del M5S promette di dire “tutta la verità sui campi Rom” ma c’è ancora parecchia strada da fare.
Il blog viene in soccorso del M5S per fornire le nuove linee guida da ripetere. Il M5S scrive che la giunta Raggi è la prima amministrazione a porre fine al sistema dei campi. In realtà non è vero che i campi saranno chiusi ma che viene avviato un percorso che porterà alla fine dei campi Rom. Che al di là dei giochi di parole significa che i campi Rom ci saranno ancora quando finirà la consiliatura.
La strada scelta dal M5S è la stessa indicata da Ignazio Marino: “smantellare i campi e creare le condizioni affinchè l’emergenza non si ripresenti fra qualche anno”.
Ed infatti è grazie alla delibera 350 del 28 ottobre 2015 che la Raggi può contare sui fondi europei per dare corso al progetto “senza chiedere un euro ai romani”.
Questo però il M5S non lo dice parla di 3,8 milioni di euro ottenuti “grazie a un bando che abbiamo vinto”. E sembra che a vincere il bando sia stato il M5S, non il Comune di Roma su input dell’allora sindaco Marino.
Anzi, il M5S dà la colpa della situazione a tutte le amministrazioni precedenti, compresa quella guidata da Ignazio Marino. Quando si dice l’onestà intellettuale
Quanti campi verranno chiusi con il Piano Raggi? Nessuno.
Ma nel pezzo sul Blog il MoVimento scrive che “i campi della Monachina e La Barbuta verranno chiusi” e addirittura lascia intendere che qualcosa sia già stato fatto quando scrive “parliamo di 700 persone che risiedevano qui”.
In realtà quelle 700 persone risiedono ancora nei due campi. E probabilmente continueranno a farlo perchè il Piano dai due campi usciranno 11 famiglie (circa 60 persone) per una spesa a famiglia pari a 345.454 euro ed una spesa procapite superiore ai 63.000 euro.
A Roma nei campi vivono 6.000 persone (1.500 nuclei familiari).
Quindi nel 2023, se tutto andrà come previsto, i due campi (due degli 8 insediamenti della Capitale) saranno ancora lì. Con sessanta persone in meno.
Il tutto mentre il Comune dovrà trovare — entro il 30 giugno — una sistemazione per le 120 famiglie che attualmente risiedono nell’area del Camping River gestito dalla Isola Verde Onlus.
La convenzione con l’ente gestore è scaduta e il nuovo campo a Roma Nord (per 400 persone) è stato giudicato inidoneo.
Che fine faranno quelle famiglie? L’Amministrazione comunale vorrebbero chiudere il Camping River ma l’Associazione Nazione Rom denuncia che è arrivata una proposta per trasferirle al campo de La Barbuta.
Ovvero proprio uno dei campi che secondo Il M5S spariranno grazie al piano Raggi. Ma se la matematica non è un’opinione far uscire (nel 2023) sessanta persone e fare entrare oggi 120 famiglie non farà altro che aumentare (e non diminuire) la popolazione dei campi.
Curiosamente di questo strano gioco delle tre carte con i Rom sul blog di Grillo non c’è traccia.
Il M5S preferisce rassicurare i cittadini sul fatto che è falso che ai rom saranno assegnate case popolari. Finalmente una cosa vera.
Al contrario di quanto prevede il Piano Nazionale di Inclusione (in ottemperanza alle varie direttive europee) il Comune infatti parla di “reperimento attraverso il mercato immobiliare privato” di abitazioni per chi può sostenere le spese.
Oppure di “reperimento di alloggi attraverso l’Associazionismo” per i nuclei familiari in situazione di particolare fragilità .
Questi ultimi però dovrebbero avere diritto di accedere alle graduatorie per gli alloggi popolari.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 13th, 2017 Riccardo Fucile
COSTRETTO A FARE CAUSA PER OTTENERE IL RICONOSCIMENTO DEI PROPRI DIRITTI : LAVORAVA ANCHE 17 ORE AL GIORNO E IL DATORE DI LAVORO PAGAVA SOLO 5,5 EURO DEI 7,5 INDICATI PER LEGGE
Mentre lo scorso settembre lavorava ed era pagato con i voucher in una piccola azienda metalmeccanica modenese, la Nuova Maini di Bastiglia, si è gravemente infortunato: ha perso tre dita della mano destra, attorno a una pressa.
Adesso, a suo favore, il sindacato, al fianco di un pool di avvocati, farà causa per ottenere da un giudice il riconoscimento sia dell’illegittimità del lavoro tramite i discussi buoni e sia del rapporto dello stesso rapporto di lavoro dipendente dal 2015. È la Cgil, a Modena, a rilanciare la battaglia nazionale contro i voucher (sabato a Roma l’annunciata manifestazione) impegnandosi nella tutela di un caso territoriale specifico.
La vicenda in ballo “emblematica”, è il ritornello oggi in conferenza stampa alla Camera del lavoro di piazza della Cittadella, è quella del giovane operaio di origine albanese Mykhaylo Nesterenko.
Gli avvocati che si stanno dedicando alla sua storia (Ernesto Giliani, Annalisa Bova, Fabrizio Fiorini, Gabriella Cassibba, Yuri Trovato e Laura Caputo) spiegano che chiederanno al giudice del lavoro di pronunciarsi sulla richiesta di “regolarizzazione piena” di Nesterenko: quindi, non con la formula dell’apprendistato tramite la quale l’azienda ha ‘regolarizzato’ il lavoratore alla direzione territoriale del lavoro (il 19 settembre scorso, appena tre giorni prima dell’infortunio, anche se il giovane operaio dice di non avere mai firmato).
In sostanza, ora si chiede al Tribunale il riconoscimento della prestazione di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
E questo visto che Nesterenko, nell’ordine, lavorava secondo un orario da operaio (ma anche 17 ore al giorno), era in condizione di subordinazione gerarchica rispetto al datore di lavoro, era inserito nelle modalità operative dell’azienda, riceveva una retribuzione mensile.
Sull’aspetto della retribuzione mensile, segnalano in particolare Cgil (presente Claudio Riso per la segreteria locale) e avvocati, sarebbe emerso che la titolare aziendale scambiava per il lavoratore i voucher in tabaccheria e per ogni voucher “non versava neanche l’intera quota di 7,5 euro, ma solo 5,5”.
Dunque, la stessa Cgil rileva che “questa causa di lavoro è molto importante”, vista la battaglia contro i voucher che il sindacato ha condotto in questi ultimi due anni.
Del resto, mentre per il risarcimento biologico, morale ed esistenziale collegato all’infortunio sul lavoro di Nesterenko (se sarà provata la responsabilità del datore di lavoro) si procede con una causa penale a parte (avvocato Virgili), per la Cgil “è altrettanto importante portare avanti la causa di lavoro contro l’abuso dei voucher, che ha rappresentato l’estrema precarizzazione dei rapporti di lavoro, la mancanza di diritti e tutele” ma anche “di qualsiasi formazione, sostituendo i normali contratti di lavoro dipendente”, accusano Riso e colleghi.
(da agenzie)
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Giugno 13th, 2017 Riccardo Fucile
SENEGALESE, LAUREATO, HA 49 ANNI, PUO’ ESSERE ELETTO DEPUTATO DOPO AVER ELIMINATO L’EX MINISTRA DI MITTERAND… CONTA IL MERITO, NON IL COLORE DELLA PELLE
A Aubervilliers, periferia nord di Parigi (palazzoni e tanti immigrati), da sempre fedele bastione della gauche, ne hanno visti tanti di candidati catapultati dal centro città , socialisti e benpensanti, che andavano avanti e indietro con macchina e autista. Ma un marcantonio così, di origini senegalesi e in tasca il diploma per eccellenza dell’èlite francese (quello dell’Ena), proprio mai.
Lui è Alexandre Aidara, 49 anni, e in uno dei palazzoni di Aubervilliers, ci è venuto a vivere davvero. Sta in un modesto appartamento tappezzato di manifesti con Emmanuel Macron.
Aidara è stato consigliere del ministro della Giustizia, Christiane Taubira, finchè lei ha abbandonato il suo posto, nel gennaio 2016, ormai in rotta con Hollande.
È rimasto a lavorare a quel dicastero, «in una sede non lontana da qui. E ci sono venuto a vivere: mica ho paura di un quartiere popolare».
Ha iniziato a guardare con simpatia al messaggio «positivo e ottimistico» di Macron. Si è iscritto a En Marche ! e pochi mesi fa gli hanno proposto la candidatura, «che non ho accettato subito: ho un lavoro, una carriera, non ho bisogno di fare politica».
Ma i macronisti non potevano lasciarsi sfuggire un’occasione del genere. Avevano ragione: lui domenica scorsa è balzato in pole position al primo turno delle legislative con il 27,32%. Domenica prossima se la vedrà con un candidato della France insoumise. Ma intanto ha buttato fuori dalla corsa Elisabeth Guigou, mitica ministra già ai tempi di Franà§ois Mitterrand, che qui aveva il suo collegio da una vita, praticamente rieletta automaticamente.
Dietro le larghe spalle di Alexandre (che ha praticato anche la boxe), ci sono già varie vite.
Quella di un ragazzino, figlio di un maestro, costantemente primo della classe, a Louga, cittadina persa nell’ovest del Senegal. A 18 anni vinse una borsa di studio per studiare matematica a Strasburgo.
Poi ha superato il concorso per entrare a Cèntrale, «grande ècole» d’ingegneria, altro tempio dell’èlite.
Sono seguiti dieci anni a lavorare nel privato. Finchè testardo, dopo che era riuscito a diventare francese, ha provato l’Ena. E ha vinto il concorso, inanellando una serie di incarichi ad alto livello in vari ministeri.
Cosa ci fa ad Aubervilliers ? «Voglio diventare un modello per i giovani».
Capisce i problemi di questi figli d’immigrati. Con loro parla della «discriminazione di cui sono stato vittima anch’io. E non sono un paranoico. Ma quando a 18 anni non ti fanno entrare in una discoteca o alla fine di Cèntrale, nonostante i voti alti, fai fatica a trovare uno stage, ti fai qualche domanda».
Aidara assomiglia ad altri candidati di En marche !, in questa voglia di rivincita. Come un terzetto a Parigi: Pierre Person, 28 anni, provinciale di Nancy, consulente per l’amministrazione pubblica. O Laetitia Avia, anche lei di origini africane, dalla banlieue sbarcata nella prestigiosa Sciences-Po, poi avvocato d’affari d’assalto.
O Mounir Majoubi, 33 anni, figlio di due marocchini (un imbianchino e la mamma che pulisce a ore), diventato startupper di successo e oggi ministro dell’Economia digitale.
E probabile deputato al ballottaggio di domenica prossima. Alexandre non ha dubbi: «Se ce l’abbiamo fatta noi, ce la possono fare tutti».
(da “La Stampa”)
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Giugno 13th, 2017 Riccardo Fucile
IL DIRETTORE DEL “FATTO” ENUCLEA “LA RAFFINATA STRATEGIA” CHE HA PORTATO AL DISASTRO E ANTICIPA LA PROSSIMA MOSSA
Marco Travaglio nell’editoriale sul Fatto Quotidiano di oggi ci racconta le regole del suicidio perfetto del MoVimento 5 Stelle che hanno portato i grillini alla sconfitta alle elezioni amministrative di giugno.
La prima mossa è ovviamente la defenestrazione di Federico Pizzarotti:
Hai un sindaco, Federico Pizzarotti, che 5 anni fa ti ha fatto conquistare il primo capoluogo: Parma. Non ruba, governa benino, fa quel che può e annuncia solo quel poco che fa, sottovoce. È anche un gran rompicoglioni, refrattario agli ordini di scuderia. Tenerselo stretto e coprirlo di attenzioni,oltre a levargli ogni alibi per la fuga, sarebbe la migliore smentita ai detrattori che dipingono il Movimento come una caserma agli ordini di Grillo & Casaleggio. Ergo lo scaricano con una sospensione disciplinare di un anno, lo attaccano un giorno sì e l’altro pure, non lo chiamano mai, lo regalano agli avversari e candidano al suo posto un carneade che non mette in fila due parole in croce. Risultato: 3,18%.
La seconda e la terza mossa sono le fallimentari strategie del Capo a Palermo e a Genova. La quarta mossa è Taranto:
Taranto è l’ideale per i 5Stelle: il governo annuncia il “salvataggio”dell’Ilva che avvelena la città , con 6 mila esuberi. Difficile mancare il ballottaggio. Ma si trova il modo: il vertice cittadino sostiene un candidato, ma altri Meetup si mettono di traverso con altri nomi (esattamente come a L’Aquila, a Piacenza, a Padova ecc.). Da Roma si pensa di non presentare il simbolo, magari appoggiando l’ex procuratore anti-Ilva Sebastio, sostenuto da liste civiche. Idea troppo brillante: si rischierebbe di vincere. Infatti subito accantonata. Le Comunarie last minute le vince con ben 107 voti l’avvocato Francesco Nevoli. Che inizia la campagna elettorale alla vigilia del voto. Risultato: solito ballottaggio destra-sinistra.
La quinta mossa l’abbiamo vista ieri: si dà la colpa alle liste civiche coi partiti dietro; si vanta la “crescita lenta, ma inesorabile”; si esulta per i trionfi di Sarego e Parzanica; si fanno sparate anonime sui giornaloni contro i pochi volti noti e vincenti.
E la sesta mossa?
Vista la strepitosa riuscita del sistema di selezione a caso o a cazzo, si completa l’opera passando direttamente dall’“uno vale uno” al “l’uno vale l’altro”.
Al posto delle Comunarie, sorteggio dei candidati dagli elenchi telefonici.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 13th, 2017 Riccardo Fucile
L’EX CANDIDATO AL QUIRINALE PER IL M5S: “I VERTICI DEL M5S SONO DEGLI INCAPACI”
“Sono incapaci”. Il giudice Ferdinando Imposimato, ex candidato al Quirinale dei 5 stelle, è durissimo nei confronti dei vertici del MoVimento.
In un’intervista al quotidiano la Stampa spiega che cosa c’è che non va e cosa pensa dei leader.
Grillo lasciamo perdere, non parlo con Grillo. Ho un buon rapporto con Davide Casaleggio, ma ultimamente le sue scelte mi lasciano perplesso. A Ivrea ero stato invitato non per parlare, ma per sentire. Io che sono stato il candidato al Quirinale del MoVimento? Io che sono un simbolo per loro, il giudice coraggio per i ragazzi grillini? E invece a parlare c’erano personaggi come De Masi. perchè, ho pensato, devo andare ad ascoltare uno che ha fatto campagna per il Sì al referendum? E poi avevano chiamato gente della Trilateral…
Il giudice spiega cosi queste contraddizioni
Certamente il M5s vive di contrasti interni. Io sono contro le correnti, ma sono anche per il dissenso motivato. E se non sono d’accordo, lo dico. Scrivo e parlo per quella parte del moVimento che vuole salvare il MoVimento.
Sul vicepresidente della Camera e candidato premier in pectore, Imposimato dice
Per me è stata una delusione Luigi Di Maio. L’ho sostenuto, ma non credo sia all’altezza della situazione. Se tu ti metti a fare una legge elettorale così sballata, fatta di nominati, con un accordo opaco con Renzi e Berlusconi, vuol dire che non sei capace.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 13th, 2017 Riccardo Fucile
“LADY TOSI” PER 1.200 VOTI BRUCIA ALLO SPRINT LA SALEMI, ORA PUNTA AL TRAGUARDO FINALE…. TOSI SPARA A ZERO: “DAL PUNTO DI VISTA DEI VALORI, SIAMO AGLI ANTIPODI TOTALI DA SALVINI”
È quasi giorno quando l’urlo liberatorio di Flavio Tosi spazza via la tensione. Anzi, la paura. Il fortino del sindaco uscente di Verona ha retto per una manciata di voti: sono solo 1200 le preferenze che separano Patrizia Bisinella, compagna del primo cittadino, dalla candidata di centrosinistra Orietta Salemi.
Milleduecento voti che consentono alla prima di accedere al ballottaggio e condannano la seconda alla delusione più cocente, perchè arriva a un soffio dal traguardo.
Un solo punto percentuale ha separato le due aspiranti sindache che, fino all’ultimo scrutinio, sono rimaste in gioco per sfidare al secondo turno del 25 giugno il candidato del centrodestra unito Sboarina.
Solo quando restavano poche sezioni da scrutinare, è arrivata la certezza che ha smentito gli exit poll e le proiezioni circolate dopo la chiusura dei seggi: il feudo di Flavio Tosi, per dieci anni alla guida della città , alla fine non è caduto. La fidanzata del sindaco arriva al ballottaggio.
E ora si apre una nuova partita, dall’esito per nulla scontato.
In due settimane lady Tosi, senatrice che ha deciso di seguire il compagno nella nuova esperienza di Fare! lasciando il gruppo della Lega a Palazzo Madama, ha dalla sua ancora qualche carta da giocare.
Convincere gli astenuti, per esempio, e sono tanti. A Verona l’affluenza si è fermata al 60%, quasi dieci punti in meno alle elezioni del 2012 quando a votare si recò poco meno del 70% degli aventi diritto.
Non solo: come riportano le analisi di flusso di Youtrend, il 36% degli elettori che nel 2012 scelsero Tosi ha preferito Sboarina (centrodx). Solo il 24% di coloro che scelsero l’ex leghista cinque anni fa ha poi votato la sua fidanzata, Bisinella.
C’è un largo margine su cui lavorare. Ma la spinta decisiva può arrivare dal Partito Democratico.
“Flavio Tosi ha votato sì al Referendum, su quella città dovremo riflettere bene”, ha detto Matteo Ricci, responsabile nazionale Pd per gli enti locali.
È un’apertura importante, soprattutto perchè arriva a caldo, dopo poche ore dall’esito. E perchè è rivolta, di riflesso, a Tosi, sindaco uscente ma onnipresente, durante tutta la campagna elettorale (non c’è foto di Patrizia Bisinella senza che vi sia anche il suo compagno, come un candidato-ombra).
Solo poco tempo fa luogotenente del Carroccio, e leader saldo della Liga Veneta, ha condotto un’eterna lotta con il nemico Salvini al quale sperava, non senza qualche velleità , di sottrarre la guida del partito.
Consapevole di essere arrivato alla fine del suo percorso al Comune ha tentato di soffiare la candidatura per la Regione Veneto a Luca Zaia. Di fronte al rifiuto del leader leghista, si è messo nelle condizioni per farsi cacciare.
Di qui è partita l’iniziativa politica di Fare!, con un gioco di sponde tra Verona e Roma. Mentre in Veneto si consumava la scissione, nella Capitale un gruppetto di parlamentari abbandonava il gruppo del Carroccio sia alla Camera che al Senato, strizzando l’occhio al governo.
Tra questi, c’era anche Patrizia Bisinella, senatrice e fidanzata di Tosi. Gli ex leghisti sono diventati renziani. E ai diversi incontri a Verona tra l’allora premier Renzi e il primo cittadino sono seguiti messaggi di stima reciproca.
Così le truppe tosiane hanno aderito convintamente alla campagna per il Sì al referendum costituzionale del 4 dicembre.
Secondo le cronache locali non in maniera disinteressata: Tosi, ha riportato L’Arena di Verona, avrebbe ottenuto in cambio la promessa di una modifica, tramite decreto, al testo unico sugli enti locali per candidarsi per un terzo mandato. Modifica poi mai arrivata dopo la vittoria del No e le dimissioni di Renzi.
Quindi la discesa in campo veronese della “morosa”, Bisinella, che non disdegnerebbe affatto l’appoggio del Pd: “Vediamo, io ho sempre messo al centro del mio programma i temi della famiglia, del sociale, che mi stanno molto a cuore”.
Tant’è che il leder del Carroccio Salvini è preoccupato e furibondo: “A Verona ci sono i renziani compatti contro la Lega”
Dal canto suo Tosi non nasconde il sollievo: “Se la mia fidanzata Patrizia Bisinella diventerà sindaco nuoterò per 10 Km nell’Adige. Se le cose vanno bene lo farò entro luglio”, ha promesso il primo cittadino. “Siamo andati a letto alle 7 di stamattina. Io non sono riuscito a dormire, ero carico di tensione, mi sono mangiato il fegato tutta la notte”.
Quanto al probabile appoggio della sinistra, “c’è già stata una dichiarazione di sostegno da parte del sindaco Ricci, che ovviamente ringraziamo”.
Quindi vi voteranno? “Mi sembra abbastanza naturale – dice a Un Giorno da Pecora – noi siamo civici puri, pragmatici ed attenti al territorio. Dall’altra c’è Salvini, dal punto vista valoriale siamo agli antipodi totali”, dice Tosi.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 13th, 2017 Riccardo Fucile
CATASTROFE M5S. EMORRAGIA DEL PD, CALO DI FORZA ITALIA
La catastrofe dei Cinque Stelle, rimasti fuori da tutti i ballottaggi. Il crollo di Forza Italia, mascherato (in parte) dalla rinascita di un centrodestra a trazione leghista.
E l’allarmante emorragia del Pd, in forte calo rispetto alla volta scorsa.
Sono questi i tre titoli di una tornata amministrativa rimasta sottotraccia, sino all’apertura delle urne. E segnata da un sostanziale disimpegno dei leader nazionali, a partire da Renzi che finora non ha partecipato a nessun evento elettorale a sostegno dei suoi candidati.
C’è un dato preliminare che spiega molto.
Lo sottolinea Federico Fornaro, senatore mpd e grande esperto di flussi elettorali: “È ripresa la fuga dalle urne degli italiani. Nei 1005 comuni chiamati al voto la percentuale di votanti è stata del 60,07 per cento contro il 66,85 per cento delle precedenti elezioni.
Tendenza all’incremento dell’astensionismo che si rileva anche nei 25 comuni capoluogo di provincia che passano da una media del 64,96 per cento al 58,68 per cento del 2017”.
Le regioni dove il calo è più evidente sono Emilia e Liguria, due regioni tradizionalmente rosse. Il picco negativo, nazionale, è Genova con solo il 48,38 per cento dei votanti, dato che ha un grande valore politico.
Ed è proprio in Liguria che il Pd, ma anche il centrosinistra nel suo insieme va male. A Genova la volta scorsa Doria al primo turno prese il 48,3 con 127.477 voti. E vinse. Questa volta Crivello, candidato di tutto il centrosinistra, va al ballottaggio col 33,39 (in termini assoluti 76.407 voti) dietro il candidato del centrodestra Marco Bucci (38,80). Oltre 55mila (il 23,88) furono i voti del Pd nel 2012 (a cui sommare le civiche).
Stavolta il Pd si è fermato a 43mila voti (19 per cento). Dodicimila in meno rispetto alla volta scorsa, solo parzialmente confluiti nella nei 6.500 voti di una lista di Sinistra.
Ancora più eclatante il caso di La Spezia, dove il candidato del Pd Paolo Manfredini arriva secondo dietro al candidato del centrodestra Pierluigi Peracchini: 25,07 contro 32,61. Manfredini raccoglie in tutto diecimila voti, rispetto agli oltre 20mila di Massimo Federici, il candidato del centrosinistra che cinque anni fa vinse al primo turno.
Questa volta al primo turno il centrosinistra vince solo (si tratta di due conferme) a Cuneo e Palermo.
Anche se, nel capoluogo siciliano, lo spettacolo è davvero pirandelliano. Leoluca Orlando batte il candidato del centrodestra Fabrizio Ferrandelli, questa volta sponsorizzato da Totò Cuffaro ma la volta scorsa candidato proprio dal Pd contro Orlando.
A sostegno di Orlando c’è il Partito democratico che ha combattuto il sindaco uscente fino al giorno prima che si presentassero le liste. C’è anche se non si vede, perchè rinuncia al simbolo per nascondersi nel sistema di liste civiche.
Un sistema di liste, ultima nota paradossale, che raccoglie qualche punto in più del candidato.
Qualche nota pirandelliana si intravede anche a Cuneo dove Federico Borgna, il vincitore, la volta scorsa si presentò a capo di una coalizione centrista e sconfisse l’allora candidato non suo Pierluigi Garelli, sostenuto appunto dal Pd.
Complessivamente il trend del centrosinistra attesta una grande fatica a confermare il dato del 2012.
Dove si vinceva, oggi si rincorre. Nei 22 comuni in cui si svolgerà il secondo turno il centrodestra partirà in vantaggio in 15 – erano solo 2 nelle precedenti elezioni – ed è secondo in 5 (erano 8).
Il centrosinistra, invece, arriva al primo posto nel primo turno solamente in 4 comuni — rispetto ai 13 del passato – e dovrà rincorrere in 16.
Sostiene Fornaro, dati alla mano: “È evidente che i ruoli tra la ‘lepre’ e chi rincorre tra centrodestra e centrosinistra si sono invertiti. Appare dunque assai improbabile che il centrosinistra possa riconfermare le sue 14 amministrazioni comunali uscenti e fino ad ora gli unici due sindaci già eletti (Borgna a Cuneo e Orlando a Palermo) nelle precedenti competizioni non correvano sotto le insegne del Pd e alleati”.
Oltre a Genova, La Spezia e Parma, il Pd è secondo anche ad Asti, Como, Lodi, Monza, Piacenza, Rieti, Taranto, Oristano.
Mentre è avanti ad Alessandria, Pistoia, Lucca e L’Aquila. Tutte città già governate dal Pd e dal centrosinistra. Il calo è evidente.
A Piacenza, ad esempio, il candidato Paolo Rizzi raccoglie il 28,19 per cento (11.856 voti) e il Pd il 18,50 (7.232 voti). La volta scorsa il candidato del centrosinistra prese il doppio 22.878 e il Pd quasi 11mila voti.
A Taranto il candidato Riccardo Melucci raccoglie 16.634 voti, rispetto a Ippazio Stefano che la volta scorsa ne raccolse oltre 50mila. A Pistoia, Samuele Bertinelli, nel 2012 aveva stravinto al primo turno con il 59,04 e il Pd oltre il 33 (12.438 voti) per cento, ora è al 37,46 co Pd al 23,18 per cento (8.243 voti).
Secondo l’analisi complessiva di Youtrend, basata sui dati dei 142 comuni superiori ai 15mila abitanti, il quadro è questo. Il Pd, a livello nazionale, si attesta al 16,6 per cento; i partiti della sinistra il 6,9, Forza Italia al 7, la Lega al 7,8; Fratelli d’Italia al 2,5, il movimento a Cinque stelle al 9.
Scomposti per aree geografiche: il Pd al sud è al 12,5 (mentre il centrosinistra al 34), al centro il 18,8, al nord il 17,9. Il dato del centrodestra però deve tenere conto del fatto che Forza Italia si presenta ovunque, mentre la Lega non ha liste in tutti i comuni in cui si vota. Disaggregandolo, emerge il forte calo del partito di Berlusconi, che ormai ha consensi da partitino.
La ri-surrezione del centrodestra è dovuta innanzitutto alla ritrovata unità a sostegno dei candidati, dopo che nel 2012 Forza Italia e Lega andarono separate ovunque. Ma il rapporti di forza sono invertiti rispetto ad allora. Traina la Lega un po’ ovunque. Ad Alessandria la Lega è al 13,82, Forza Italia al 10,46; a Cuneo 6,34 a 3,17, a Lodi 14,22 a 3,8, a Monza 14,21 a 12,97, a Padova 6,63 a 3,91, a Verona 8,86 a 3,43, a Genova 12,95 a 8,08, a La Spezia 9,28 a 6,95, a Piacenza 12,9 a 8,44.
Dati solo parzialmente compensati dalla presenza di liste civiche, di area Forza Italia. Tra tutte, la più politica è quella “arancione”, a Genova, del governatore Giovanni Toti a sostegno di Marco Bucci (che si è attestata al 9,76 per cento).
Il calo azzurro è così evidente che si propaga anche a Sud, con dati impensabili fino a qualche tempo fa.
All’Aquila, Forza Italia è al 9,92 ma la Lega è al 6,91. Forza Italia nel centrosud è sopra al 10 per cento solo a Rieti, Frosinone, Trapani e Oristano.
Picchi, che solo in parte compensano la debacle totale in alcune zone del paese.
Come a Parma, con gli azzurri al 2,9.
Secondo Youtrend, la Lega è il primo partito del centrodestra al Nord col 12,6 per cento, mentre al centro i consensi sono il 6,1. Forza Italia, invece, al Nord è al 7,8 per cento, al Sud è 6,3, al centro al 6.
Un crollo, appunto, coperto dal dato politico complessivo di un centrodestra che, unito, torna competitivo.
Grazie alle altrui debolezze.
(da “Huffingtonopost“)
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Giugno 13th, 2017 Riccardo Fucile
IN 5 ANNI LA DISTANZA TRA IL PESO NAZIZONALE DEL M5S E QUELLO LOCALE NON SI E’ ACCORCIATA MA SI E’ ADDIRITTURA ALLARGATA
Il Movimento 5 Stelle sta facendo in queste ore quello che ogni organizzazione politica fa istintivamente: negare con tutte le sue forze qualsiasi debacle, o anche solo arretramento, della sua sigla alle amministrative di domenica.
Sappiamo che è un processo doloroso ammettere i fallimenti, ma negarli serve solo a renderli più acuti e più ingarbugliati.
E in effetti ingarbugliata è un buon aggettivo per descrivere la condizione odierna dei pentastellati.
Una analisi che viene fatta circolare dai grillini in queste ore per dimostrare che non hanno perso nelle urne di domenica, risulta, involontariamente, utile per capire esattamente il contrario, cioè una delle ragioni della sconfitta.
Curata da www.byoblu.com, l’analisi compara le amministrative del 2012 e quelle di adesso, dimostrando che nei primi 25 comuni in cui si è votato I 5 Stelle sono addirittura cresciuti — la tesi è che solo questa è l’unica valutazione giusta perchè le comparazioni si possono fare solo su elezioni identiche.
Ma eliminare dalla misura, come si fa in questo caso, la strepitosa affermazione del 2013 che fece del M5S la seconda forza politica del Paese, il risultato delle Europee, nonchè le amministrative che hanno portato i pentastellati alla guida di città come Roma e Torino, serve alla fine solo a sottolineare quanto scarso è rimasto il peso grillino sul territorio a fronte della accelerata crescita nazionale.
Che in cinque anni di forte legislatura la distanza fra la grandezza del peso nazionale di M5s (oggi calcolato sopra il 30 per cento) e il suo peso locale non si sia accorciata ma si sia addirittura allargata, indica un punto di debolezza diventato a questo punto strutturale.
Problema non da poco: se questa è la radiografia della composizione del Movimento, la forza che si candida fra pochi mesi al governo rischia di essere un gigante dai piedi di argilla.
Davvero la causa di questo gap fra locale e nazionale è da attribuire alle faide e alle divisioni interne?
L’idea di uno scontro fra pragmatici (modo per dire governisti) e ortodossi (modo per dire radicali), è facile da offrire e da alimentare.
Ma è una modalità che rimanda a partiti strutturati, in cui l’impatto della discussione si diffonde con geometrie piramidali.
Il M5S è un movimento il cui dibattito interno, che pure spesso si è appalesato in forme molto acute, rimane fluido, difficile da ingabbiare – insomma, per quanto suggestivo, è difficile vedere in Di Maio un Amendola e in Fico un Ingrao che scuotono l’albero dalla chioma alle radici.
La storia dei 5stelle nei vari territori d’Italia in questi ultimi anni appare piuttosto il terminale (fluido appunto) di molte visioni e interpretazioni, il frutto ritardato della occasionalità e diversità da cui è nato il Movimento, l’esplosione di una molteplicità di voci che finisce spesso in individualismi.
È come se sui territori la ricchezza che M5S ha portato nella politica nazionale sia diventata sfaldamento: un gap tremendo di peso, rivelato anche dall’incredibile distanza fra i nove milioni di votanti che i pentastellati muovono e le poche migliaia di votanti che sul blog decidono la selezione dei candidati alle varie cariche.
Più che la causa, gli scontri interni degli M5S vanno dunque visti come il punto di caduta di questa instabilità .
Che i due assi di sviluppo, quello nazionale e quello locale, non si siano armonizzati in cinque anni chiama invece in causa una forte mancanza di leadership.
Di una mano sicura nel dipanare i problemi, di una mente chiara nell’indicare soluzioni e progetto. Un ruolo che certo non poteva essere assunto dalla prima fila dei nuovi dirigenti. Per leadership pensiamo ancora oggi a quella che ha assicurato Gianroberto Casaleggio.
Dopo di lui il M5S è rimasto effettivamente nelle mani del solo Beppe Grillo, su cui ora pesa in effetti la responsabilità maggiore delle scelte fatte e di quelle che i pentastellati dovranno fare.
È un leader adeguato al suo ruolo Beppe Grillo?
(da “Huffingtonpost”)
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