Giugno 22nd, 2017 Riccardo Fucile
FRANCO ROBERTI: “E’ PRESENTE IN TUTTI I SETTORI NEVRALGICI DELLA POLITICA, DELL’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA E DELL’ECONOMIA”
“Radicata ovunque, anche nelle istituzioni. L’ndrangheta è “presente in tutti i settori nevralgici della politica, dell’amministrazione pubblica e dell’economia, creando le condizioni per un arricchimento, non più solo attraverso le tradizionali attività illecite del traffico internazionale di stupefacenti e delle estorsioni, ma anche intercettando, attraverso prestanome o imprenditori di riferimento, importanti flussi economici pubblici ad ogni livello, comunale, regionale, statale ed europeo”.
E’ uno dei passaggi chiave della relazione di Franco Roberti procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo nella relazione annuale della Dna.
La ‘ndrangheta “è presente in quasi tutte le regioni italiane nonchè in vari Stati, non solo europei, ma anche in America – negli Stati Uniti e in Canada – ed in Australia. Continuano, poi, ad essere sempre solidi, i rapporti con le organizzazioni criminali del centro/sud America con riferimento alla gestione del traffico internazionale degli stupefacenti, in primis la cocaina, affare criminale in cui la ndrangheta continua mantenere una posizione di assoluta supremazia in tutta Europa”, afferma la Relazione.
In particolare, nel nord Italia, il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e la Toscana “sono territori in cui l’organizzazione criminale reinveste i cospicui proventi della propria variegata attività criminosa, nel settore immobiliare o attraverso operatori economici, talvolta veri e propri prestanome di esponenti apicali delle diverse famiglie calabresi, talaltra in stretti rapporti con esse, al punto da mettere la propria impresa al servizio delle stesse”.
Piemonte e Valle d’Aosta, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna ed Umbria, “sono regioni in cui, invece, vari sodalizi di ndrangheta hanno ormai realizzato una presenza stabile e preponderante, talvolta soppiantando altre organizzazioni criminali – così come avvenuto, per esempio, in Piemonte con le famiglie catanesi di Cosa Nostra – ma spesso in sinergia o, comunque, con accordi di non belligeranza, con le stesse, fenomeno riscontrato in Lombardia ed Emilia Romagna, ove sono attivi anche gruppi riconducibili alla Camorra o a Cosa Nostra”.
“Attenta riflessione – secondo la Relazione della Dna – merita soprattutto la figura di Paolo Romeo, ritenuto il vero e proprio motore dell’associazione segreta emersa nel procedimento Fata Morgana e delineatasi con le indagini Reghion e Mammasantissima, dimostratasi in grado di condizionare l’agire delle istituzioni locali, finendo con il piegarle ai propri desiderata, convergenti, ovviamente, con gli interessi più generali della ndrangheta”.
Soggetto che, spiega la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, “le diverse indagini hanno delineato quale appartenente al mondo massonico e, al contempo, uomo di vertice dell’associazione criminale, dei cui interessi è portatore, nel mondo imprenditoriale ed in quello politico, ruolo svolto con accanto personaggi che sono sostanzialmente gli stessi quantomeno dal 2002, dunque da circa 15 anni, senza dimenticare i suoi antichi e dunque ben solidi rapporti con la destra estrema ed eversiva, nel cui contesto, versa la fine degli anni 70, ebbe modo di occuparsi della latitanza di Franco Freda, imputato a Catanzaro nel processo per la strage di piazza Fontana”. “All’interno di questa cabina di regia criminale – si legge ancora nella Relazione – è stato gestito il potere, quello vero, quello reale, quello che decide chi, in un certo contesto territoriale, diventerà sindaco, consigliere o assessore comunale, consigliere o assessore regionale e addirittura parlamentare nazionale od europeo. Sono stati, invero, il Romeo ed il De Stefano a pianificare, fin nei minimi dettagli, l’ascesa politica di Alberto Sarra, consigliere regionale nel 2002 – subentrando a Giuseppe Scopelliti, fatto eleggere Sindaco di Reggio Calabria”.
Parlando in generale delle mafie Roberti sottolinea che “l’uso stabile e continuo del metodo corruttivo-collusivo da parte delle associazioni mafiose, determina di fatto l’acquisizione (ma forse sarebbe meglio dire, l’acquisto) in capo alle mafie stesse, dei poteri dell’Autorità Pubblica che governa il settore amministrativo ed economico che viene infiltrato. Con l’utilizzazione del metodo collusivo-corruttivo, le mafie si avvalgono sempre della forza d’intimidazione e dell’ assoggettamento ma per ottenere il risultato, non usano direttamente della propria forza, ma – con risultati analoghi e generando un totale assoggettamento – quella di altri e cioè dei Pubblici Ufficiali a busta paga”.
“Nel periodo esaminato si è verificato in modo significativo l’arretramento territoriale del cosiddetto Stato islamico in più scenari, e si è quindi registrata una parallela minore capacità di espansione territoriale. Questa mutata realtà ha direttamente inciso sul fenomeno dei foreign fighters, con una contrazione del numero delle partenze” scrive ancora il procuratore.
“Ancora si sottrae alla cattura Matteo Messina Denaro, storico latitante, capo indiscusso delle famiglie mafiose del trapanese, che estende la propria influenza ben al di là dei territori indicati. Il suo arresto non può che costituire una priorità assoluta”.
La Dna ritiene che, nella “situazione di difficoltà di “Cosa Nostra”, il venir meno anche di questo punto di riferimento, potrebbe costituire, anche in termini simbolici, così importanti in questi luoghi, un danno enorme per l’organizzazione”.
(da agenzie)
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Giugno 22nd, 2017 Riccardo Fucile
“L’EUROPA E’ IL SOLO LUOGO AL MONDO DOVE SI FONDONO LIBERTA’ INDIVIDUALI, SPIRITO DEMOCRATICO E GIUSTIZIA SOCIALE, NON ABBIAMO DA IMPARARE DA NESSUNO”… “LA DEMOCRAZIA NON SI FA DALL’ESTERNO SENZA COINVOLGERE I POPOLI”… “I PAESI CHE NON NE RISPETTANO LE REGOLE NE TRAGGANO LE CONSEGUENZE POLITICHE”
Nei giardini dell’Eliseo Emmanuel Macron espone le linee di politica europea e internazionale alla vigilia del suo primo Consiglio Ue a Bruxelles.
Il presidente francese dialoga con il Corriere e altri sette giornali europei per un’ora e 20 minuti, scarabocchiando, ogni tanto, piccole stelle sul foglio bianco davanti a lui.
È la sua prima intervista da quando i francesi lo hanno eletto.
Evento che lui definisce «l’inizio di una rinascita francese e spero europea». Accanto al tricolore e alla bandiera blu con le dodici stelle gialle, Macron attribuisce all’Europa la missione storica di «difendere la libertà e la democrazia» minacciate da demagogia e estremismi.
Una missione da adempiere puntando sul rilancio della coppia franco-tedesca – «altrimenti l’Europa balbetta» – e sulla fine «di una forma di neo-conservatorismo importata in Francia da 10 anni. La democrazia non si costruisce dall’esterno senza coinvolgere i popoli, la guerra in Libia è stata un errore».
La Francia può incarnare una nuova leadership in Europa?
«La leadership non si assume per decreto, si costruisce coinvolgendo altri Paesi e attori e viene riconosciuta alla luce dei risultati che vengono ottenuti. Sarebbe presuntuoso dire sin da ora che la Francia esercita una nuova leadership europea. La vera questione è l’obiettivo della nostra azione, e il punto di partenza è la crisi che attraversano le democrazie occidentali (…). Quando guardiamo il Pianeta oggi, che cosa vediamo? Un’ascesa delle democrazie illiberali e degli estremismi in Europa, il risorgere di regimi autoritari che mettono in discussione la vitalità democratica, e gli Stati Uniti d’America che in parte si ritirano dal mondo. Le crisi si moltiplicano in Medio Oriente e nel Golfo, le ineguaglianze si aggravano ovunque nel mondo»
Da dove provengono queste instabilità ?
«Non c’è una sola causa. Nascono in parte dalle disuguaglianze profonde provocate dall’ordine mondiale, e dal terrorismo islamista. A questi squilibri si aggiunge quello del clima. Quelli che pensano che la lotta contro il riscaldamento climatico sia un capriccio si sbagliano profondamente. Il punto fondamentale quindi non è sapere se esiste o no una leadership francese, se gonfiamo il petto più degli altri. La questione è difendere il nostro bene comune, ovvero la libertà e la democrazia, e capire come possiamo vincere questa battaglia di cui l’Europa, ne sono convinto, porta la responsabilità . Perchè? Perchè la democrazia è nata su questo continente. Gli Stati Uniti amano la libertà quanto noi, ma non hanno il nostro gusto per la giustizia. L’Europa è il solo luogo al mondo dove le libertà individuali, lo spirito democratico e la giustizia sociale si sono sposati fino a questo punto. Il punto è se l’Europa riuscirà a difendere i suoi valori profondi, dei quali ha irrigato il mondo per decenni, o se scomparirà davanti all’ascesa delle democrazie illiberali e dei regimi autoritari».
Qual è il suo progetto per rifondare la zona euro? E come convincere la Germania?
«Se non abbiamo coscienza della vera sfida, possiamo continuare a passare delle notti intere a interrogarci sulla sede della prossima agenzia europea o il modo in cui sarà speso questo o quel budget… Ci collocheremmo allora fuori della storia. Non è questa la mia scelta, e neanche quella di Angela Merkel. (…) La Francia non avrà alcuna capacità motrice se non fa un discorso chiaro e lucido sul mondo, ma neanche se non rafforza la sua economia e la sua società . Ecco perchè ho chiesto al governo di dare il via alle riforme fondamentali che sono indispensabili per la Francia. Ma la forza degli uni non può nutrirsi a lungo della debolezza dagli altri. La Germania, che si è riformata una quindicina di anni fa, si rende conto oggi che questa situazione non è più sostenibile. Il mio metodo per la coppia franco-tedesca è un’alleanza basata sulla fiducia. Vorrei tornare allo spirito di cooperazione che esisteva un tempo tra Franà§ois Mitterrand e Helmut Kohl. Non si va a un Consiglio europeo senza avere una posizione comune. Non vuol dire che siamo d’accordo su tutto, ma che non vogliamo perdere tempo a chiedere agli altri di risolvere i nostri disaccordi. Altrimenti l’Europa balbetta e la chiave per ripartire è un’Europa che protegga».
Perchè la «protezione» è così importante?
«Perchè in tutte le nostre società le classi medie sono attraversate dal dubbio. Hanno l’impressione che l’Europa si faccia malgrado loro. Bisogna creare un’Europa che protegga, dotandoci di una vera politica di difesa e di sicurezza comune. Dobbiamo essere più efficaci davanti alle grandi migrazioni, riformando profondamente il sistema di protezione delle nostre frontiere, la politica migratoria e il diritto di asilo. Il sistema attuale fa portare solo su alcuni Paesi tutto il peso e non potrà resistere alle prossime ondate migratorie. Credo in un’Europa che protegge le sue frontiere esterne, assicura la sua sicurezza tramite la cooperazione delle polizie e della giustizia nella lotta contro il terrorismo, un’Europa che protegga contro gli squilibri della globalizzazione. È questa la prima tappa. Non ci può essere un approfondimento istituzionale finchè non avremo restaurato la coerenza dell’Europa. Ci vuole un’integrazione più forte della zona euro prima di passare alla tappa successiva. Per questo difendo con vigore l’idea di un budget della zona euro, dotato di una governance democratica. È il solo modo di ricreare una convergenza tra le nostre economie e i nostri Paesi. Dobbiamo giocare sul pilastro della responsabilità e insieme su quello della solidarietà . La mia sensazione è che la Germania non abbia un blocco su questo».
Pensa quindi che la Germania sia pronta a cambiare
«Ne sono convinto. (…) Nei prossimi anni la Germania spenderà più della Francia in materia di difesa. Chi l’avrebbe mai creduto possibile? Ma la Germania è lucida sui limiti di un’azione che non sia pienamente europea, in particolare in tema di interventi militari. La Germania sa che il nostro destino è ridiventato tragico. Ha bisogno della Francia per proteggersi, per proteggere l’Europa e assicurare la nostra sicurezza comune. (…) Gli egoismi nazionali sono dei veleni che agiscono lentamente, indeboliscono le nostre democrazie e la capacità collettiva ad affrontare questa sfida. So che la cancelliera ne è cosciente».
L’Europa si presenta oggi in ordine sparso, a Est molti Paesi hanno scelto dei regimi autoritari. Come gestire un’Europa così divisa
«Non credo a questo conflitto tra Est e Ovest. Ci sono delle tensioni perchè i nostri immaginari e la nostra recente non è la stessa. Non dimenticherò mai questa frase di Bronislaw Geremek, che incontrai una ventina d’anni fa al momento dell’allargamento europeo: ”L’Europa non ha chiaro quanto ci deve”. Per la sua generazione, l’Europa occidentale aveva tradito lasciando che il Muro dividesse il continente. Quando sento oggi certi dirigenti europei, tradiscono due volte. Decidono di abbandonare i principi, di volgere le spalle all’Europa (…). L’Europa non è un supermercato, è un destino comune. I Paesi che non ne rispettano le regole devono trarne tutte le conseguenze politiche. E non è solo un dibattito Est-Ovest. Parlerò con tutti e con rispetto, ma non transigerò sui principi dell’Europa, sulla solidarietà e i valori democratici».
Quale modello per la futura relazione tra la Gran Bretagna e l’Unione europea? La porta è aperta per una marcia indietro?
«La porta è aperta fino al momento in cui la si oltrepassa. Non spetta a me dire che è chiusa. Ma a partire dal momento in cui le cose si mettono in marcia con un calendario e un obiettivo, è molto difficile tornare indietro, inutile raccontarsi bugie. Desidero che la discussione che è appena cominciata sia perfettamente coordinata a livello europeo. Non voglio discussioni bilaterali perchè bisogna preservare l’interesse europeo a corto, medio e lungo termine. (…)»
È il momento di rimettere in discussione lo spazio Schengen? Costringere i Paesi che rifiutano i migranti ad accettarli?
«Sono legato allo spazio Schengen che permette la libera circolazione delle persone in seno all’Unione europea, e che è uno degli elementi costitutivi della nostra cittadinanza europea. Se vogliamo garantire questa libera circolazione, dobbiamo rafforzare i controlli alle frontiere esterne dell’Unione europea. Dobbiamo rapidamente dare tutti i mezzi necessari all’Agenzia europea dei guarda-frontiere e delle guarda-coste per gestire le crisi alle frontiere. C’è poi la questione dei rifugiati che fuggono da Paesi in guerra, ai quali dobbiamo ospitalità e umanità . (…). E poi i migranti che non hanno diritto all’asilo, che vanno trattati secondo le regole del diritto e con umanità nel quadro della cooperazione internazionale. Vanno riaccompagnati alla frontiera lavorando con i Paesi di provenienza e di transito, lavorando più efficacemente con le organizzazioni mafiosi che sfruttano la miseria umana. (…) E rimediare alla situazione grottesca dei ”dublinati”, quelle persone che passano da un Paese all’altro nella speranza di ottenere infinte l’asilo».
Dopo la Brexit e l’elezione di Trump, la sua vittoria segna una battuta d’arresto dei populismi in Europa? E il modello Macron è esportabile altrove, per esempio in Italia, che potrebbe essere il nuovo anello debole della catena europea?
«Diffido del termine populismo perchè ha diversi significati. Molti, a destra e a sinistra, mi hanno detto che ero populista. Quando i partiti sono stanchi ci si meraviglia che si possa parlare al popolo. Se essere populisti è questo, non è una cattiva cosa. Io non credo nella demagogia, che consiste nel lusingare un popolo per dirgli quel che si aspetta, parlargli delle sue paure. Non ho l’arroganza di pensare che la mia elezione rappresenti una battuta d’arresto di quel processo. I francesi sono sempre stati così: quando non te lo aspetti, hanno un sussulto. La Francia non è un Paese che si riforma, è un Paese che si trasforma, un Paese di rivoluzione. Fintanto che è possibile non fare le riforme, i francesi non le fanno. Stavolta hanno visto che erano sul bordo del precipizio e hanno reagito. La mia elezione, come la maggioranza ottenuta all’Assemblea, sono un inizio carico di responsabilità . Il debutto di una rinascita francese e spero europea. Una rinascita che permetterà di ripensare i grandi equilibri, di ritrovare un’ambizione, una capacità di guardare le cose in faccia, senza giocare sulle paure ma trasformandole in energia. Perchè le paure ci sono ancora e quel che divide la società resiste. Non c’è una ricetta miracolosa, è una lotta che va condotta giorno per giorno. (…) Quel che sfianca le democrazie, sono i responsabili politici che pensano che i loro concittadini siano stupidi. La crisi dell’immaginario occidentale è una sfida immensa e non è una persona da sola che potrà cambiarla. Ma ho la volontà di ritrovare il filo della storia e l’energia del popolo europeo, per fermare l’ascesa degli estremismi e della demagogia. È una battaglia di civiltà ».
Come gestire il rischio rappresentato da Donald Trump?
«Donald Trump è intanto colui che è stato eletto dal popolo americano. La difficoltà è che allo stato attuale non ha ancora elaborato il quadro concettuale della sua politica internazionale. La sua politica può essere dunque imprevedibile ed è una fonte di disagio. Quanto alla lotta contro il terrorismo, Trump ha la stessa mia voglia di efficacia. Non condivido alcune sue scelte, prima di tutto sul clima. Ma spero che si possa fare in modo che gli Stati Uniti ritornino nell’Accordo di Parigi. È la mano che tendo a Donald Trump. Spero che cambi idea. Perchè tutto è legato. Non si può voler lottare efficacemente contro il terrorismo e non impegnarsi per il clima».
Se la linea rossa dell’uso delle armi chimiche è oltrepassata in Siria, la Francia è pronta a colpire da sola? Ed è in grado di farlo?
«Sì. Se fissi una linea rossa e non la fai rispettare, decidi di essere debole. Non è la mia scelta. Se è confermato che delle armi chimiche sono utilizzate sul campo e siamo in grado di accertarne la provenienza, allora la Francia procederà a dei bombardamenti per distruggere i depositi di armi chimiche».
La cooperazione con gli altri Paesi della coalizione è indispensabile.
«Sì, ma chi ha bloccato le cose nel 2013? Gli Stati Uniti hanno fissato delle linee rosse ma alla fine hanno scelto di non intervenire. E che cosa ha indebolito la Francia? L’avere definito politicamente una linea rossa senza trarne le conseguenze. E che cosa quindi ha liberato Vladimir Putin su altri teatri di operazione? Il fatto di avere constatato che aveva davanti a lui interlocutori che fissavano dei paletti ma non li facevano rispettare. Io rispetto Vladimir Putin. Ho avuto con lui uno scambio costruttivo. Abbiamo dei veri disaccordi, sull’Ucraina in particolare, ma ha visto la mia posizione. Gli ho parlato lungamente dei temi internazionali e della difesa delle ONG e delle libertà nel suo Paese. Quel che ho detto in conferenza stampa a Versailles, non lo ha scoperto lì. Questa è la mia linea: dire le cose con molta fermezza a tutti i miei partner ma dirgliele prima in tàªte à tàªte. (…). Sulla Siria, non risolveremo la questione solamente per via militare, è l’errore che abbiamo commesso in modo collettivo. La vera mia novità su questo tema, è che non ho detto che la destituzione di Bachar el Assad era una condizione preliminare a tutto. Perchè nessuno mi ha presentato il suo successore legittimo. Le mie linee sono chiare. Uno: lotta assoluta contro tutti i gruppi terroristici. Sono loro, i nostri nemici. Due: stabilità della Siria, perchè non voglio uno Stato fallito. Con me finirà una forma di neo-conservatorismo importata in Francia da 10 anni. La democrazia non si fa dall’esterno senza coinvolgere i popoli. La Francia non ha partecipato alla guerra in Iraq e ha avuto ragione. E ha avuto torto di fare la guerra in Libia. Quali sono stati i risultati di questi due interventi? Stati falliti nei quali prosperano i gruppi terroristici. Non voglio che questo accada in Siria. Tre: ho due linee rosse, armi chimiche e corridoi umanitari. L’ho detto chiaramente a Vladimir Putin, sarò intrattabile su questi argomenti. Quattro: voglio una stabilità siriana a medio termine. Questo significa un rispetto delle minoranze. Bisogna trovare le vie e i mezzi di una iniziativa diplomatica che faccia rispettare questi quattro principi».
Mentre lo Stato islamico perde territori in Siria e in Iraq, il terrorismo sfida le nostre democrazie. Come trovare il punto di equilibrio tra leggi eccezionali e protezione delle libertà ?
«Bisogna costruire gli strumenti per lottare contro questa minaccia nuova, sotto il controllo del giudice, amministrativo o penale. Servono risposte inedite e adatte alla lotta contro questo terrorismo islamista. (…) Occorre poi avere una politica internazionale coerente ed essere capaci di parlare con tutte le parti in causa. Questo è il mio principio diplomatico. Ho parlato cinque volte al presidente Erdogan da quando sono qui. Due volte con il presidente iraniano Rohani. Ho ricevuto Vladimir Putin. Alla Francia non viene chiesto di scegliere un campo contro l’altro. È la sua forza e la sua storia diplomatica. Dobbiamo ritrovare la coerenza e la forza di una politica che torni a darci del credito internazionale. Avere una politica di sicurezza ferma costruendo le coalizioni più efficaci contro il terrorismo. Infine, ci vuole una politica di civiltà , che consiste a sradicare i fondamenti profondi di questo terrorismo».
Lo sport affianca la diplomazia. Lei si spende perchè Parigi ottenga i Giochi olimpici del 2024. Un impegno che va al di là della città ?
«È l’impegno di tutto un Paese che voglio manifestare andando a Losanna a luglio e a Lima in settembre. È un evento sportivo ma molto di più, corrisponde alla nostra politica sull’handicap perchè sono Giochi olimpici e paralimpici. È un elemento di orgoglio nazionale e un evento economico considerevole. Inoltre un gesto che mostra come, nella nostra battaglia di lungo termine contro il terrorismo, non fermiamo i grandi eventi. E poi è una candidatura europea, non solo di Parigi nè della Francia. Un modo per mostrare che il mondo non è fatto solo di violenza. Il nostro mondo è fatto di valori condivisi, di riconciliazione, di gioia, di competizione pacifica».
Come gestire le relazioni con la Turchia che non condivide i nostri valori?
«È vero, la Turchia non condivide i nostri valori su molti argomenti. Ma condivide certi nostri interessi. Siamo legati alla Turchia per il conflitto siriano. E la Turchia è un elemento chiave della nostra politica regionale perchè è allo stesso tempo un Paese divino della Siria, un Paese che accoglie un gran numero di rifugiati, che regola il loro flusso, e che coopera alla lotta contro il terrorismo. Ho un dialogo esigente e lucido con il presidente Erdogan. Desidero che in materia di migrazioni, questo dialogo sia europeo e coordinato. Quando l’Europa ha concluso un accordo, lo ha fatto forse un po’ tardi e subendolo un po’. Non bisogna ripetere questo errore. Per il resto, quanto alle posizioni attuali della Turchia, è evidente che andare più lontano verso un’integrazione europea non è un’evoluzione da prendere in considerazione. Ma questo non impedisce una relazione costante».
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 22nd, 2017 Riccardo Fucile
SONO ANDATE IN FUMO ANCHE LE RESIDUE SPERANZE CHE L’ETICA DELLA PRIMA ORA NON SI TRAMUTASSE IN UN MALLEABILE IMPASTO
Martedì mattina ho visto un incendio di sterpaglie lungo via Cristoforo Colombo, l’arteria a sei corsie che collega con il centro l’Eur e la zona sud-ovest della capitale. Bruciavano duecento metri di erba alta e arbusti morti che nessuno quest’anno ha mai tagliato nonostante la prolungata siccità .
Sulla quasi azzerata credibilità della giunta di Virginia Raggi, eletta un anno fa, quelle fiamme alimentate dal vento hanno più influito delle notizie di qualche ora più tardi sulla notifica al sindaco dell’indagine a suo carico per abuso d’ufficio e falso.
Decine di migliaia di automobilisti romani diretti al lavoro non hanno potuto evitare di mettere in relazione il desolante spettacolo del rogo a bassa intensità , guardato a vista da quattro agenti di polizia rassegnati e alcuni pensionati eccitati, con l’autoassoluzione di ventiquattr’ore prima della prima cittadina: “Merito sette e mezzo per quanto ho fatto finora”.
Sette e mezzo per non avere concluso assolutamente nulla è un voto che nemmeno ai tempi del sei politico, per chi se li ricorda.
Peraltro, Raggi ebbe l’ardire di annunciare all’ingresso in Campidoglio: “Stiamo facendo la storia”. Quale, si sta capendo in corso d’opera.
Il falò delle vanità grilline di via Cristoforo Colombo, che i turisti sui bus per Fiumicino hanno globalmente socializzato con foto e post irridenti su Facebook, ha responsabili individuabili per nome e cognome, se mai la giunta M5s volesse occuparsene.
Non lo farà , impegnata com’è a rispettare il patto di non belligeranza con i dipendenti dell’Azienda Municipale dell’Ambiente: voi fate quel che vi pare, basta che in luglio e agosto non scoppi un’altra emergenza rifiuti.
Un patto simile a quelli con l’azienda dei trasporti, con i vigili urbani, con il funzionariato comunale, mai tanto sicuri della propria intoccabilità come nell’epoca degli inflessibili grillini.
Chi, magari vivendo a Padova o Livorno, per dovere o spirito civico si interessa della vicenda romana trae invece conclusioni sconfortanti dal probabile rinvio a giudizio di Virginia Raggi per quanto fece o non fece nei primi sei mesi di mandato.
Fu un’epopea di nomine e dimissioni, di nomi balzati all’onore delle cronache e di botto scomparsi, di eroi dell'”uno vale uno” poi licenziati o incarcerati: alla rinfusa ricordo Paola Muraro, Marcello Minenna, Stefano Fermante, soprattutto Raffaele Marra e Salvatore Romeo.
Frutto della forzata superattività del dipartimento Risorse Umane del Comune, al quale risale un terzo delle poche delibere (272) della giunta in 12 mesi, a dimostrazione che, anzichè di strade sconnesse, cassonetti rigurgitanti e tasse senza corrispettivo in servizi, la giunta si è occupata di posti di governo e sottogoverno.
Il falò delle vanità di via Cristoforo Colombo ha mandato in fumo anche le residue speranze dell’elettorato grillino che l’etica d’acciaio della prima ora non si trasmutasse in un malleabile impasto di Giovanni Rana.
I principi violati che portarono anni fa alla cacciata con ignominia dal Movimento 5 Stelle di consiglieri regionali e sindaci non valgono, ora, per il primo cittadino romano, la cui uscita di scena per mano (indirettamente) giudiziaria metterebbe in serio pregiudizio l’imminente campagna per le elezioni politiche.
Al momento il mantra che Grillo e Casaleggio condividono è “Salvate il soldato Raggi”.
I due potrebbero però cambiare idea. La partita, infatti, è nelle mani della procura di Roma, in particolare dell’aggiunto Paolo Ielo: il magistrato coordinò Mafia Capitale – che di fatto determinò, tra il giubilo pentastellato, la fine dell’esperienza di Ignazio Marino – e adesso segue le inchieste sul caos senza costrutto dopo le elezioni comunali di maggio e giugno 2016.
Potrebbe accadere che il tribunale si occupi tra l’inverno e la primavera prossimi delle vicende che videro protagonisti Muraro, Marra, Romeo e soci, coinvolgendo – come appare inevitabile – Virginia Raggi.
Per il Movimento, una evenienza da evitare a ogni costo.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 22nd, 2017 Riccardo Fucile
“FIERA DI ESSERE STATA DALLA PARTE GIUSTA”
Come era prevedibile, oggi Roberta Lombardi ha letto i giornali e ha deciso di rispondere all’insulto rivoltole da Raffaele Marra in un’intercettazione dello scorso novembre in cui l’ex dirigente del Campidoglio promosso da Virginia Raggi in una conversazione con un’amica la apostrofava così:
«La sindaca è confusa», dice il primo all’altro tra le risate di entrambi. Lo stesso che definisce «mignotte mentali» Roberta Lombardi, Carla Ruocco e Paola Taverna le ortodosse del M5S“.
La risposta di Roberta Lombardi, l’unica a quei tempi a uscire allo scoperto contro Marra definendolo “un virus che ha infettato il MoVimento” mentre lui era ancora ufficialmente nelle grazie di Virginia ed era difeso da tutto il M5S, è tranchant:
Mi chiamano colleghi e amici per esprimermi vicinanza, giornalisti per chiedermi un commento. Vogliono sapere cosa penso delle parole di Raffaele Marra, che in una delle sue tante conversazioni — secondo quanto riportano organi di stampa — mi avrebbe definito una “mignotta”. Anzi, una “mignotta mentale”. Ma cosa dovrei pensare? Un’altra medaglia al valore, un altro motivo d’orgoglio per aver difeso con i denti il M5S e la mia città . Io la testa non l’abbasso mai. Fiera di essere stata dalla parte giusta.
C’è da ricordare che le critiche alle nomine di Virginia costarono a Roberta il posto nel minidirettorio M5S che doveva controllare la sindaca (lei disse di essersi allontanata per seguire meglio l’organizzazione di Italia5Stelle a Palermo): anche Francesca De Vito, sorella di Marcello, l’uomo che sembrava designato a diventare candidato sindaco prima dell’exploit dell’avvocata alle comunarie, criticò ma non venne ascoltata.
La Lombardi invece continuò sulla sua linea, prima ricordando che sarebbe stato il caso di chiedere scusa dopo il pasticcio De Dominicis e poi sottolineando che era necessario mandare via chi con il M5S non c’entrava nulla.
Lombardi, spesso spigolosa, dotata di scarsa diplomazia e a volte protagonista di gaffe, nell’occasione dimostra di avere una statura politica da gigante in confronto a quelli che scappano. E infatti, non a caso, la massacrarono.
Persino Grillo arrivò a dissociarsi. Infine venne la famosa frase di Raffaele Marra in cui il dirigente si autodefinì “lo spermatozoo che ha fecondato il MoVimento”, che scatenò la reazione della Lombardi: lei in risposta lo definì invece “il virus che ha infettato il MoVimento” e chiese la pubblicazione dei pareri dell’ANAC “sulle nomine di Marra e Romeo”.
In realtà la sindaca non chiese mai pareri sulla nomina di Marra, ma solo su Romeo.
Anche all’epoca la Lombardi venne riempita di insulti (insieme ad alcuni commenti favorevoli) sulla sua pagina Facebook. Se li prese in silenzio, senza replicare nè polemizzare, con il coraggio di chi sa di avere ragione.
La cronaca (giudiziaria) alla fine gliel’ha data.
(da “NextQuotidiano“)
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Giugno 22nd, 2017 Riccardo Fucile
“STO COMPLETANDO LA RIORGANIZZAZIONE DELLE PARTECIPATE, IL DOSSIER E’ A BUON PUNTO, IL MIO COMPITO FINISCE QUA”
Ieri Massimo Colomban non era presente alla conferenza stampa che celebrava il primo anno di Grandi Successi di Virginia Raggi con tanto di claque degli attivisti. Oggi sul Messaggero l’assessore vicino alla Casaleggio fa sapere che ha intenzione di andarsene a settembre, lasciando la giunta Raggi che tremare il mondo fa:
«Il mio è un assessorato di scopo, quindi a tempo, sto completando tutta la riorganizzazione della governance delle partecipate. Il gruppo di lavoro va avanti spedito, il dossier è a buon punto, presto lo presenteremo».
La danno in uscita a brevissimo.
«La sindaca lo sa: sono stato chiamato per una missione, a settembre ritengo che il mio compito potrà dirsi esaurito».
Sarà una perdita notevole per gli equilibri del Campidoglio: è identificato come l’uomo della Casaleggio dentro la giunta, l’assessore di punta
«Troppo buono. Tutti siamo utili, nessuno è indispensabile».
Lei è entrato in corsa dopo l’arresto di Marra, è un imprenditore del Veneto laborioso e pragmatico: la sua idea su questo primo anno di Virginia Raggi
«Non mi piace dare giudizi, perchè il ragionamento sarebbe molto complesso e sfaccettato. Posso dire cosa ho trovato».
Insomma, Colomban, che era arrivato per rivoluzionare Roma, se ne andrà dopo aver completato un dossier
Prego.
«Ho trovato in giunta una squadra unita e vogliosa di fare, composta da giovani intraprendenti e da elementi più grandi ed esperti, un bel mix,insomma».
Il cambiamento, a detta anche di big come Luigi Di Maio, non è stato percepito a Roma.
«Il Comune di Roma è una sfida mastodontica. Ci sono dossier e settori che non sono mai stati affrontati e soprattutto risolti. Ci sarà un motivo per cui il Campidoglio ha un debito gestito da un commissario da 13 miliardi di euro, o no?».
Secondo lei la politica che vi ha preceduto ha rubato tutti questi soldi?
«No, non voglio dire questo e non ho gli elementi. Ma ci sono stati troppi errori e sottovalutazioni. Anche da parte del Governo nei riguardi della Capitale».
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 22nd, 2017 Riccardo Fucile
GLI INSULTI ALLE PARLAMENTARI CINQUESTELLE E I SOSPETTI SU FRONGIA
Le nuove intercettazioni di Raffaele Marra gettano oggi una luce nuova e molto interessanti sul rapporto tra lui e Virginia Raggi e su come andò l’ormai famigerata nomina del fratello Renato al dipartimento del turismo, che ha portato all’accusa di falso formulata nei confronti della sindaca dalla procura di Roma.
A raccontarle oggi è Repubblica in due articoli di Lorenzo D’Albergo e Giuseppe Scarpa.
Le intercettazioni sono interessanti perchè Marra è molto chiaro nel sostenere che la sindaca era perfettamente al corrente di tutti i dettagli della nomina del fratello.
Sono state effettuate dal nucleo investigativo dei carabinieri di Roma durante l’indagine che ha portato in carcere Raffaele. Eppure, dice Marra, la Raggi se la sta prendendo con lui per non averla tutelata o avvertita.
Il “romanaccio” di Marra rende poi il tutto ancora più “divertente”.
La prima cittadina “è arrabbiatissima. Addirittura ha usato parole del tipo ‘me l’hai messa in c…’”. E ancora: «È arrabbiata perchè non gliel’ho detto sufficientemente. Dice “ma non me l’ha fatto capire bene, non me l’ha detto con quella chiarezza che mi serviva. Mi doveva svegliare”. E vabbè, ‘a prossima volta faccio un esame psicologico pe’ capi’ come te lo devo dire. È ‘na follia, guarda».
Il dirigente sta parlando prima con l’assessore al Commercio Adriano Meloni e poi con un’amica di nome Concetta: «Mi sta addebitando che non sono stato sufficientemente chiaro, aperto. Che non gliel’ho detto dieci volte invece di nove. (Raggi, OES) mi sta dando dello scorretto»; «O non se n’è accorta o ho comandato io. Dovevo evitare che lei potesse passa’ i guai e non gliel’ho detto. Lei la sta vivendo come un fatto personale, come se io l’avessi tradita… non proteggendola».
Racconta di riunioni collettive in cui veniva attaccato: «Che dici a fare davanti a 15 persone “guarda un po’ che cazzo, io non posso fa” – perchè lei dice pure le parolacce – “guarda un po’ che coglioni che non lo posso fa’ comandante sennò la stampa mi attacca”. E allora devi essere coerente!».
Evidentemente già all’epoca in Campidoglio i rapporti erano deteriorati.
Il protagonista delle chat dei 4 amici al bar stava già retrocedendo a “uno dei 23mila dipendenti del Campidoglio”, come da definizione post-arresto di Virginia.
Ma anche con Salvatore Romeo non correva più quel buon sangue di una volta, a sentire i racconti: «Oggi ha fatto l’ennesima riunione, si so’ appiccicati lei (Raggi, OES) e Salvatore (l’ex capo della segreteria politica Romeo, OES) come al solito, si so’ mandati a quel paese urlando».
E quando l’amica cerca di dire che la Raggi non pensa nulla di male di lui, ecco la replica: «E no, lei (Raggi, OES) dice di sì. L’ha ripetuto due, tre volte. Dice “perchè non gliel’ho detto”. Cioè, lei voleva che la svegliassi»; «Mo’ lei sta in fase rem, in fase di studio, sta pensando».
Ci sono anche insulti pesanti nei confronti di altri del M5S: “«La sindaca è confusa», dice il primo all’altro tra le risate di entrambi. Lo stesso che definisce «mignotte mentali» Roberta Lombardi, Carla Ruocco e Paola Taverna le ortodosse del M5S“. Nel mirino c’è anche Daniele Frongia, all’epoca ancora vicesindaco, che gli ha mandato per primo il link con l’inchiesta dell’Espresso che lo chiama pesantemente in causa per il suo rapporto con Scarpellini:
«Hai visto su L’Espresso si parla della chat dei “quattro amici al bar”? Noi siamo quattro, come fa a usci’ fuori sta cosa? È uno di noi quattro e io non sono. E lei (la sindaca Raggi, ndr) non è. Salvatore (Romeo, ndr) non penso proprio. Solo che se vai a dire “è Daniele (Frongia, ndr) mi ammazzano perchè dice “ma cosa ti viene in mente di dire? E quindi mi devo stare zitto».
Marra, dirigente navigato, ipotizza uno scenario squisitamente politico e, riferendosi sempre a Frongia, all’epoca della conversazione nel mirino dei big del Movimento proprio per la chat dei “quattro amici al bar”, appare sicuro: «Ha fatto il patto con quelli della Camera. Gli avranno detto: “Fai salta’ Marra e a te ti lasciamo stare, ti facciamo candidare, c’è un posto pure per te”. E lui che gioca a scacchi, gioca su dieci tavoli, probabilmente con me fa l’amichetto».
Le intercettazioni vanno contestualizzate. All’epoca Marra non sapeva di essere sotto indagine per le vicende che hanno coinvolto il costruttore Scarpellini e che lo porteranno in carcere per corruzione.
Eppure nei suoi confronti gran parte del M5S è diffidente a causa del suo passato alemanniano. A settembre Roberta Lombardi l’ha già definito “un virus” che ha attecchito nel MoVimento, mentre la sua fazione in Campidoglio ha già provocato il terremoto politico che ha portato all’addio di Carla Romana Raineri e Marcello Minenna.
La Raggi è sotto attacco in Campidoglio anche per la vicenda della ricerca disperata dell’assessore al Bilancio, poi culminata con la promozione di Andrea Mazzillo.
Tra i 4 amici al bar, ormai sulla graticola, c’è anche una caccia alla talpa che fa uscire le chat. Eppure, in omaggio alla trasparenzaquannocepare, nessuno di loro farà nulla prima dell’intervento della procura.
Nonostante le liti e gli insulti (riferiti da Marra), pubblicamente tutti negano che ci sia un problema in Campidoglio.
Solo dopo l’intervento della procura le cose cambieranno e chi aveva sbagliato pagherà , ma soltanto in seguito all’intervento di Beppe Grillo che imporrà dimissioni e saluti dagli staff.
La sindaca farà finta di nulla e andrà avanti, arrivando fino ad oggi.
Un 7 e 1/2 davvero meritato.
(da “NextQuotidiano”)
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