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L’AEREO DI LINEA PIACE AI GRILLINI MA COSTA PIU’ DEL “VOLO BLU”

Giugno 9th, 2018 Riccardo Fucile

A CONTI FATTI L’AIRBUS DI STATO COSTERA’ 70-80 MILA EURO CONTRO I 100.000 DI BIGLIETTI

Lo staff del presidente del Consiglio Giuseppe Conte assicura di aver provato in tutti i modi a cercare un aereo di linea per andare al G7 in Canada, ma non c’erano i posti disponibili.
Il premier è stato così costretto, infrangendo i dogmi pauperisti dei Cinque Stelle, ad andare all’aeroporto di Ciampino e salire insieme a una delegazione ristretta su un aereo di Stato, in dotazione al trentunesimo stormo dell’Aeronautica.
Un vecchio Airbus che da anni è utilizzato per i viaggi dei presidenti del Consiglio.
La scelta non è passata certo inosservata, viste le critiche sollevate negli ultimi anni dal Movimento 5 Stelle al Pd per i «voli blu» e soprattutto per il nuovissimo e quasi mai utilizzato aereo di Etihad (la compagnia di Abu Dhabi che aveva acquisito Alitalia), ribattezzato «Air Force Renzi».
Ma quanto sarebbe costato volare su aerei di linea fino all’aeroporto di Quèbec City? Ed è proprio vero che in questo modo lo Stato avrebbe risparmiato?
Il costo di un biglietto business per un volo da 11 ore con scalo a Montreal si aggira intorno ai 4.500 euro.
Per il premier e il suo lo staff – composto da minimo una decina di persone, ma che solitamente in questi casi è ben più corposo – il costo sarebbe dunque di 100 mila euro andata e ritorno.
Una cifra però, spiegano alcune fonti, che sarebbe comunque superiore a quella di un volo di Stato.
Perchè per un Airbus A319CJ, come quello utilizzato da Conte, la tratta Roma-Quebec costerebbe andata e ritorno 70-80 mila euro (il costo è tra i 5 e i 7 mila euro a ora di volo), a cui va aggiunto il costo dell’equipaggio che rimane per alcuni giorni fuori sede.
Problema sicurezza
Al di là  dell’aspetto economico e simbolico tanto caro ai Cinque Stelle, e a prescindere dallo status di un premier che partecipa a un G7, il problema è quello della sicurezza.
Non solo per il presidente del Consiglio, ma soprattutto per i passeggeri costretti a volare con un rappresentante delle istituzioni circondato da agenti armati.
E anche di comodità  per lo stesso presidente del Consiglio, che nel corso del viaggio approfondisce i dossier e discute di temi delicati e riservati con i suoi consiglieri, pratica però complessa su un volo affollato.
L’Airbus utilizzato, oltre ad essere un po’ più economico di un volo di linea e sicuro, ha infatti tutti i comfort possibili: una zona riposo, una per le conferenze, docce.
L’Airbus A340-500 voluto da Renzi invece ha meno comodità  ma è molto più spazioso (ci sono 300 posti).
Il gioiello preso in leasing da Etihad è stato però utilizzato solo da Paolo Gentiloni. Per questo aereo lo Stato ha firmato un contratto di leasing da 150 milioni fino al 2023, cioè 50 mila euro al giorno.
I Cinque Stelle ne stanno alla larga, lasciandolo in un hangar, ma così facendo non utilizzano un mezzo già  pagato e impegnano risorse per altre vie comunque meno convenienti.

(da “La Stampa”)

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L’ACCORDO SEGRETO DI DESISTENZA TRA LEGA E M5S: NON OSCURIAMOCI I MINISTRI, VIETATO SCONFINARE

Giugno 9th, 2018 Riccardo Fucile

NEI DICASTERI AFFIDATI A UN PARTITO, L’ALTRO AVRA’ I SOTTOSEGRETARI CHE PERO’ NON DOVRANNO SOVRAPPORSI AL TITOLARE

Mai rubarsi la scena, mai invadere le competenze degli altri.
E se questo vale per i due leader della maggioranza al governo, a maggior ragione deve valere per i singoli ministri leghisti e pentastellati.
Un esempio concreto di questo metodo concordato si è avuto giovedì scorso, quando Matteo Salvini è arrivato all’Assemblea generale della Confcommercio senza dire una parola e ha poi lasciato l’Auditorium di via della Conciliazione muto come un pesce, evitando taccuini e microfoni.
Cosa insolita per il capo del Carroccio, che coglie tutte le occasioni per dire la sua. Invece l’altro ieri si è seduto in prima fila ad ascoltare l’intervento di Luigi Di Maio al debutto nella veste di super-ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro, ha preso qualche appunto, ha applaudito e poi via.
Anche se una traccia della sua presenza tra gli operatori del commercio alla fine l’ha voluta lasciare sotto forma di tweet: «Qui a Confcommercio, con chi produce e resiste! Commercianti, partite Iva e imprese hanno bisogno di pace fiscale, flat tax, eliminazione di spesometri, redditometri, studi di settore e burocrazia, questo sarà  il nostro impegno di governo».
Insomma, non poteva passare del tutto sotto silenzio la sua presenza. Del resto, in quella sala c’era l’elettorato che è stato tradizionalmente fedele al centrodestra e ha sempre riservato standing ovation all’amico Silvio Berlusconi.
Ora, a rappresentarli al governo è Salvini, anche con la difesa del Made in Italy attraverso il ministero dell’Agricoltura e del Turismo, affidato al leghista Gianmarco Centinaio. Ma gli applausi li ha lasciati a Di Maio, quando è stato l’alleato a parlare.
Quanto durerà  l’accordo a non rubarsi la scena lo vedremo nel tempo.
Intanto al fischio d’inizio gli ambiti d’influenza vanno tenuti ben separati: c’è un patto di desistenza tra i due diarchi del governo giallo-verde, un’intesa a non sovrapporsi, a non farsi ombra, a non esporsi su questioni e vicende che coinvolgono e coinvolgeranno sempre di più i rispettivi ministeri.
Non è un caso che Salvini abbia voluto la responsabilità  del Viminale per cavalcare il suo cavallo di battaglia, che è sempre stato lo stop all’immigrazione e la sicurezza. E che Di Maio si sia intestato i dicasteri da cui passerà  l’elaborazione del reddito di cittadinanza.
Ci sarebbe un patto pure su come dovranno funzionare i meccanismi in tutti gli altri ministeri.
I sottosegretari espressione di un partito non avranno competenze tali da disturbare il manovratore, ovvero il ministro dell’altro partito. Gli stessi viceministri avranno deleghe non sovrapponibili al responsabile di quel dicastero. Quasi compartimenti stagni.
Sconfinamenti invece sono autorizzati nei ministeri a guida tecnica: all’Economia, agli Affari Esteri, alla Difesa.
A via XX Settembre in particolare i collaboratori di Giovanni Tria dovranno essere molto presenti e avere competenze decisive per realizzare la flat tax sulla quale punta molto la Lega.
Sarà  necessario un viceministro ferrato in materia finanziaria, in grado di indirizzare le mosse del professore. E molti segnali fanno capire che Tria non avrebbe intenzione di ridurre la pressione fiscale facendo ricorso a qualunque mezzo, compreso l’extra gettito. Ma il problema di come saranno capaci di muoversi i ministri tecnici non riguarda solo l’Economia.
In quelle stanze saranno necessari dei guardiani del «contratto» sottoscritto da Salvini e Di Maio. Quel contratto ai quali tutti dovranno attenersi per evitare deragliamenti. Compreso il presidente del Consiglio Giuseppe Conte che magari, cammin facendo, sentirà  la necessità  di «emanciparsi» dai due leader della maggioranza, scontentando le basi elettorali della Lega e del Movimento 5 Stelle.

(da “La Stampa”)

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BERTINOTTI: “L’ALLEANZA M5S-LEGA COSTRUIRA’ UN REGIME”

Giugno 9th, 2018 Riccardo Fucile

“PARLARE PRIMA CHE FACCIA, SI PUO'”

“Bisogna cercare di sottrarsi all’aria del tempo, cioè all’idea di prendere quello che passa il convento. Bisognerebbe evadere da una serie di prigioni che non consentono le interpretazioni politiche: come se tutto fosse riconducibile alla sola questione che ‘non si può parlare del governo prima che faccia le cose’. Questa è l’eutanasia della politica: è la prima ‘prigione’ in cui oggi ci troviamo. Come se la cultura del fare fosse interamente sostitutiva del pensare, del costruire progetti, mi permetta la parola: costruire ‘ideologia’ ma anche un programma con la P maiuscola”.
Fausto Bertinotti non nasconde gli “errori” della sua sinistra.
Ma rivendica al tempo stesso il diritto di scandagliare questo tempo presente che sfugge ad ogni categoria “conosciuta fin qui”. E’ un diritto di tutti, sottintende l’ex presidente della Camera e segretario di Rifondazione Comunista ai tempi dell’alleanza con l’Unione di Romano Prodi.
Un diritto che la comunità  dovrebbe prendersi anche di fronte a un governo con un consenso popolare così forte: ne va dell’autonomia di pensiero e azione di una società  civile. Ne va della democrazia.
Visto che, dice, questo governo si muove tra “prigioni” e ha tutte le carte in regola per diventare un “regime”.
Sarà  troppo tardi per pensarci?
“Intanto un governo si giudica da chi è. E la risposta è in genere determinata da una forza o da un’alleanza sulla base della quale uno dice ‘mi piace’ oppure ‘no, faccio opposizione’. Invece oggi questo semplice ragionamento esce depotenziato. Lo testimonia anche il dibattito alla Camera: tutto giocato sull’immediatezza, sulla battuta, si sta a guardare la postura del leader o il fatto che gli scappano i fogli degli appunti. Tutte cose che nel mondo che abbiamo alle spalle potevano interessare il binocolo di Gianpaolo Pansa, ma non facevano testo nel giudizio politico sul governo”.
Lei parla di prigioni.
“Si. L’altro elemento che imprigiona è la natura stessa di questo ‘contratto di governo’, non si può dire alleanza. Una natura che si può riassumere nella formula magica dell’omaggio ad un passato certo più leggero, ma fallito: vale a dire il ‘ma anche’ di veltroniana memoria. Fallito e chissà  che porti male anche a loro. Ad ogni modo, nel suo discorso al Parlamento il presidente del Consiglio Conte recupera questa memoria veltroniana. A parte che dovrebbero trovare un’altra definizione al posto di ‘presidente del Consiglio’…”
Quale?
“Direi più un notaio, ecco. Comunque il ‘ma anche’ di Conte è illuminante, è l’equivalente programmatico del ‘non possiamo pronunciarci prima dei fatti’ ed eredita una delle potenze delle formazioni populiste. Cioè la loro vocazione trasversalista. Ci sono forze populiste di destra, come quella della Le Pen, trasversali come il M5s, di sinistra come Podemos. Il trasversalismo italiano è l’elemento portante di questo governo: sia nei Cinquestelle che nella Lega. Significa che tendi a dire che rappresenti tutti. Persino una forza di destra come la Lega, con i suoi tratti classici di destra, con la sua forma partito, organismi dirigenti e insediamento nelle istituzioni locali, persino la Lega è trasversale: lo è nella manifestazione del consenso perchè becca parte importante di un popolo che tradizionalmente è di sinistra”.
E così questa trasversalità  incredibilmente riesce a mettere insieme cose che sembrerebbero opposte come la flat tax e il reddito di cittadinanza.
“Certo. Ed è inutile scandalizzarsi per lo stridore di questo contrasto: lo scandalo è solo eredità  di una cultura che tende a essere sospesa o cancellata nel nuovo corso. Il ‘ma anche’ è la sua cifra e, a differenza di quello veltroniano, è un pesante sociale, fatto di corpi sociali esercitabili solo attraverso i populismi”.
Vede altre prigioni?
“Il potere. Cosa complessa di cui questo nuovo sistema occupa solo un pezzo: il governo. Vale sempre la vecchia formula di Nenni che parlando dell’ingresso dei socialisti al governo con i democristiani, disse: ‘Sono entrato nella stanza dei bottoni ma i bottoni non c’erano’. Perchè molti dei bottoni stanno altrove e il governo è un profeta disarmato. Nell’ultimo quarto di secolo la teoria della governabilità  ha portato ad un’enfatizzazione del concetto di governo nella politica, quasi come scatola magica che però si è spesso rivelata un miraggio. I poteri si sono organizzati con la rivoluzione capitalistica in Europa, per dire. Nel nuovo regime il governo è quello che costruisce dei ‘contratti’ piuttosto che delle alleanze per formare il governo. Nella politica classica, che si è suicidata e che non è innocente, le alleanze servivano invece per definire un programma. Come si è visto nell’ultima crisi, non è più così: è il governo la calamita che chiede di essere costituito, è lui che produce il ‘metaprogramma’ e suggerisce le alleanze. Il governo diventa un soggetto politico, non è più la meta ma è invece ciò che promuove il tutto. Ma c’è un’altra prigione”
Quale?
“I due, Di Maio e Salvini, si alleano perchè, dicono, ‘siamo vincitori’. Ma questo è uno schermo: in nessuna parte del mondo possono vincere entrambi gli opposti, nemmeno se al loro interno hanno elementi di trasversalità  come Lega e M5s”.
Perchè invece in Italia è successo mentre in Spagna Podemos e Ciudadanos non si alleerebbero mai?
“Perchè in Spagna sopravvivono forme classiche della politica, che convivono con le nuove. Tanto che incredibilmente i socialisti possono ancora fare il governo, anche insieme ai miei amici di Podemos e le forze catalane. E il partito conservatore era forza di governo fino all’altro ieri. Da noi invece le forze di governo sono completamente scomparse e le forze populiste occupano l’intera scena”.
Ma Di Maio e Salvini formeranno una vera alleanza o sono destinati alla competizione pur nel ‘contratto di governo’?
“Se queste prigioni non vengono abbattute, il gioco politico si riduce. Se diventano premesse al discorso pubblico, il duopolio è destinato a consolidarsi. O viene disvelato il meccanismo oppure la formula ‘facciamo opposizione’ è impotente. Perchè non serve dire ‘torniamo nei territori’. Non lo puoi fare perchè non lo sai fare: per farlo devi ricostruire te stesso. Per fare opposizione devi avere un’alternativa: loro ce l’hanno, tu no. Per ora l’opposizione è un battibecco perchè non ha un’idea di società  e democrazia”.
Ma chi è destinato a prevalere in questo governo: la Lega o i Cinquestelle?
“Già  nella fase della soluzione della crisi la Lega ha sempre lasciato coesistere due ipotesi: andare a elezioni o fare il governo. Mentre i 5s non avevano alternative. E’ stato così evidente quando Salvini ha proposto Savona all’Economia. Ma dai: nessun negoziatore propone pubblicamente quello che è il punto di caduta delle sue trattative! E io di trattative ne ho fatte tante! Si tiene sempre coperta la carta della mediazione. Salvini l’ha esposta per mettere Mattarella di fronte ad una scelta: se accetti sei dimissionato, se non accetti andiamo a elezioni. Le cose sono andate diversamente e l’ha capitalizzata in un governo populista di destra a guida leghista”.
E ora?
“Le due ipotesi della fase della crisi – elezioni o governo – attraverseranno il ciclo futuro. O si stabilisce uno schema diciamo ‘moroteo’, cioè in stile Dc-Pci: forze diverse, due poli del sistema legati però da una legittimazione reciproca in un sistema di transizione che serve solo a regolare meglio alcune regole istituzioni, per poi sfidarsi alle elezioni e stabilire chi ha il monopolio del governo e chi quello dell’opposizione. Oppure convergono in una alleanza organica, maieuticamente costruita in questa esperienza di governo che finisce così per costruire un regime”.
Regime?
“Certo vanno banditi termini come ‘fascismo’: è fuorviante. Con ‘regime’ non intendo che arrivano i colonnelli, non intendo un regime che nasce uccidendo o arrestando i suoi avversari più pericolosi in stile Matteotti o Gramsci. Intendo invece tendenze di ‘democratura’ già  esistenti in società  post-democratiche. Orban, Erdogan, Putin, pur nelle loro diverse fisionomie, sono profeti di nuovi regimi post-democratici. Hanno un fortissimo consenso popolare: più che consenso, sono invocati dal basso, non sono vissuti come sopraffazione. Oggi questa è la tendenza forte. Anche se non è l’unica perchè, dopo decenni di governi omogenei di centrosinistra, il tessuto europeo si sta scomponendo per via della crisi sociale che è il vero dominus della situazione: non la crisi economica ma qualcosa che corrode nel profondo il tessuto delle nostre società  e determina un regime di instabilità  sul quale si prova a mettere un coperchio come su una pentola in ebollizione. Diverse tendenze tanto che in Gran Bretagna potrebbe persino succedere che vinca Corbyn e la penisola iberica potrebbe diventare persino un’eccezione, con due governi di sinistra in Spagna e Portogallo”.
Significa però che c’è comunque una domanda che arriva dalla società .
“C’è una domanda che viene da questo popolo sconfitto. Del resto, Orban è uno che ha frequentato i campi della sinistra ungherese, non è una belva: è il prodotto di una scomposizione e di una ricomposizione. Tutti coloro che vanno in Ungheria dicono che ha un consenso popolare impressionante”.
Il sogno di Salvini.
“Il quale ha dalla sua un mondo che ‘naturaliter’ può essere leghista: prima che per scelta politica, per senso comune. C’è un movimento di fondo che va in quella direzione e questa è la base potenziale per la costruzione di un regime. Il fastidio per il dissenso è altissimo. Proprio così: fastidio, non contestazione critica. E’ proprio un non volerti prendere in considerazione come nei regimi popolari. Ricordo che in Fiat, nel periodo della strisciante repressione e costruzione del consenso con la messa fuori gioco della Fiom, la tesi di Valletta era che i lavoratori si dividevano in costruttori e distruttori: per salvare il bene della comunità , bisognava eliminare i distruttori. Ecco, così oggi il governo diventa ‘manifestazione popolare’. Il modello culturale è quello delle repubbliche popolari dell’est. Il contrasto non è più contrasto ma dissenso. Non c’è maggioranza e opposizione, c’è consenso e dissenso e la personalizzazione del dissenso. Gli attacchi di Salvini a Saviano sono indicativi di questo stato di cose. Chi dissente viene delegittimato. Non viene contrastato con la dialettica: viene sabotato”.
Dunque di questo passo Salvini ‘si mangerà ‘ un pezzo del M5s?
“Per usare un termine antico, direi ‘sussumere’, portarsi dentro l’alleato non perchè l’alleato lo scelga ma perchè non può fare altro. La faccia complementare alla delegittimazione dell’avversario è la cooptazione in un sistema di opinion leader e intellettuali che ti supportano. Questa degli intellettuali è una cosa che va molto indagata…”
Sono già  cooptati?
“E’ un rischio alto e già  se ne vedono i movimenti. Gli intellettuali sono molto trascinati a stare dentro l’onda quasi per ragioni di ruolo di intellettuale organico. E siccome non c’è più il polo di attrazione del movimento operaio, allora sei organico al governo. Quale governo? Il governo, il sacerdote del nuovo popolo.
Servono degli anticorpi: quali?
“Per chi pensi che ci vorrebbe una sinistra, il compito è ricominciare da capo. Per andare verso il popolo, devi sapere che il popolo è una costruzione: loro la stanno facendo, tu non hai nemmeno iniziato a fare il lavoro. Occorre costruire il popolo. Questo popolo di centrodestra è diventato così in tante parti del paese grazie all’assenza di alternative. Eliot usava una formula che può essere molto utile oggi per spiegare la crisi di consenso a sinistra. Di fronte alle chiese deserte, si chiedeva: è la chiesa che ha abbandonato il popolo o il popolo che ha abbandonato la chiesa? Il popolo si è disunito e si è venuto disgregando”.

(da “Huffingotonpost”)

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VISCO: “UNA RIFORMA FISCALE NON SI FA DICENDO ABBASSIAMO TUTTE LE TASSE E POI VEDIAMO L’EFFETTO CHE FA”

Giugno 9th, 2018 Riccardo Fucile

IL GOVERNATORE DI BANKITALIA: “PROTEGGERE I PIU’ DEBOLI MA DARE OPPORTUNITA’ A TUTTI”

“Una riforma fiscale non si fa dicendo ‘abbassiamo tutte le tasse e poi vediamo l’effetto che fa’”.
Così il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, nel corso del suo intervento a “Repubblica della idee”, a Bologna, rispondendo a una serie di domande legate alla questione “flat tax” prevista dal contratto di governo del nuovo Esecutivo.
“Una riforma fiscale è complessa – ha detto Visco – serve prima un’analisi a tutto campo del sistema tributario”.
Per il Governatore, comunque, dopo 50 anni ,”ci vuol una riforma del fisco e questo prendere tempo”. “Dipende – ha insistito – dai tempi nei quali le riforme vengono messe in atto”.
Poi il governatore ha sottolineato i rischi che il Paese può correre nel caso in cui le misure annunciate venissero messe in atto: “I dazi di natura protezionistica sono sostanzialmente tali da portare indietro il nostro modo di svilupparci, si rischia di passare dai rapporti multilaterali del dopoguerra a quelli bilaterali”.
“Più che le misure vere e proprie- ha spiegato Visco – pesa l’incertezza connessa con questi annunci continui e queste diverse risposte volte chiaramente a sottolineare la necessità  di risolvere i conflitti con le regole del gioco definite”. “L’incertezza – ha poi precisato – porta a rallentare notevolmente le decisioni di investimento”.
“È evidente che i rischi sono percepiti, parliamo di tassi d’interesse e non di spread”, ha detto Visco, definendo poi lo spread “una reazione emotiva” a cui rispondere con “elementi di razionalità “.
“Il nostro debito pubblico – ha spiegato – sta per 1/3 all’estero, il tasso è salito da sotto il 2% a sopra il 3% ed è salito perchè è più difficile collocare i titoli di stato italiani”.
Per Visco, i rischi sono di due tipi: “rischi emotivi che hanno sempre dietro un tasso di razionalità : la componente del debito pubblico è rilevante, nel resto del mondo spesso si discute sul nostro Paese, parlando di corruzione, giustizia e tasso partecipazione al lavoro, ma il debito delle famiglie italiane è il più basso e la capacità  delle imprese di esportare è alta”. “Di fatto – ha concluso il governatore di Bankitalia – il debito degli italiani non è più alto della media dell’Ue, casomai il contrario”.
“Adesso ci vuole una riforma – ha poi proseguito il governatore di Bankitalia – dipende dai tempi in cui queste riforme vengono messe in atto. L’obiettivo è positivo, ma ci vuole tempo. È ovvio – ha concluso Visco – che vogliamo proteggere i più deboli ma vogliamo dare opportunità  a tutti: il tentativo di costruzione di un reddito di inclusione va nella direzione che vuole essere rafforzata dal governo, ma bisogna vedere modi e tempi e avere chiari i vincoli di bilancio”.

(da agenzie)

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DI MAIO, L’ILVA E LA PAURA DI TROVARSI 14.000 OPERAI SOTTO IL MINISTERO

Giugno 9th, 2018 Riccardo Fucile

O RICALCA IL TRACCIATO DEL SUO PREDECESSORE E CI RIMETTE LA FACCIA O CAMBIA LINEA RISCHIANDO LA RIVOLTA E LA SPACCATURA CON UNA PARTE DELL’ELETTORATO

Il deputato “consigliere” economico Lorenzo Fioramonti, continua a parlare di “fallimento industriale e finanziario”, l’operaio Massimo Battista (oggi consigliere comunale M5S a Taranto) continua la sua battaglia contro Mittal e gli operai “che ancora credono che quel rottame vecchio sia il futuro”.
L’eurodeputata grillina Rosa D’Amato ha lasciato l’ultimo tavolo con i sindacati, venti giorni fa, al grido di “Programmiamo la chiusura. L’obiettivo era e resta questo!”.
Ma, spiega oggi Paola Zanca sul Fatto, Luigi Di Maio non ha ancora deciso come muoversi sul dossier più scottante che troverà  sulla scrivania del ministero dello Sviluppo quando finalmente troverà  il tempo, tra una campagna elettorale e l’altra, di mettersi a lavorare.
L’ILVA è infatti una patata talmente bollente che Giggetto ha trovato anche il tempo, ieri, di trattare Beppe Grillo come un dissidente qualsiasi che “parla a titolo personale” quando il Garante del MoVimento 5 Stelle ha tirato fuori la sua proposta di chiudere e bonificare tutto con i soldi dell’Europa.
Più prudente, Di Maio ha detto che aspetta l’incontro con Arcelor-Mittal e con i sindacati prima di prendere una decisione.
Il tempo, in ogni caso, stringe:
Il travaglio dell’acciaieria di Taranto-commissariata dal 2012, in amministrazione straordinaria dal 2015 — porta la scadenza del 1 luglio, quando la cordata di Arcelor Mittal prenderà  possesso degli stabilimenti. L’accordo con i sindacati ancora non c’è, la risoluzione del nodo tra salvaguardia dell’occupazione e tutela ambientale neanche e i nuovi arrivati allo Sviluppo Economico si stanno rimettendo a studiare le carte: Di Maio, lo ha ripetuto ieri, deciderà  il da farsi solo dopo aver incontrato le parti coinvolte nella trattativa.
Sull’esito del colloquio,però, qualcosa è già  scritto, nella testa del leader M5S e dei suoi collaboratori: primo, non si può in venti giorni far saltare tutto quello che è stato fatto finora; secondo, se l’accordo non regge, il 1 luglio i 13800 lavoratori Ilva si ritroveranno davanti al portone del ministero, non proprio un bel biglietto da visita per il governo del cambiamento che ha giurato un mese prima. Così, con le mani piuttosto legate, Di Maio si accinge a “valutare la continuità ”, provando a inserire qualche garanzia in più sul fronte ambientale: avrebbe voluto andasse diversamente, ma sa che le condizioni di partenza non si possono cambiare senza rischiare pesanti contraccolpi.
Cosa rischia Di Maio sull’ILVA
Di Maio rischia di perdere subito la faccia sull’ILVA se propone la stessa soluzione in continuità  con l’odiato predecessore Carlo Calenda.
D’altro canto il contratto è già  siglato e per cancellarlo dovrebbe intervenire l’intero governo con un decreto. Che poi finirebbe automaticamente in tribunale corredato di sontuosa richiesta di risarcimento danni da parte di chi ha firmato e non accetta di essere “superato” da un cambio di maggioranza, peraltro inidoneo a essere di per sè causa e ragione di nullità  di accordi firmati in precedenza.
Ricorda Repubblica che Mittal si è impegnata a investire 2,4 miliardi, di cui 1,2 sulla parte ambientale e 1,2 in investimenti produttivi. In più, pagherà  ai creditori un miliardo e 800 milioni.
C’è poi il miliardo che lo Stato ha recuperato dagli ex proprietari, i Riva, per le bonifiche. E la promessa di assumere 10mila operai, spostando sulle bonifiche attraverso Invitalia tutti gli altri.
Un investimento complessivo di 5 miliardi e 300 milioni difficile da far saltare, anche per chi ha promesso di voler cambiare tutto.
L’alternativa che Di Maio si trova di fronte è quindi quella classica del MoVimento 5 Stelle al governo: i suoi hanno promesso cose difficili o impossibili da realizzare e lui adesso deve trovare il modo per non finire davanti a un tribunale a rimettere a posto mettendo mano al portafogli (del ministero, e quindi degli italiani) per riparare tutto. Un’alternativa che già  in altre occasioni ha consigliato di seguire il motto Adelante, Pedro, con juicio perchè la folla potrebbe in qualsiasi momento arrabbiarsi e chiedere la testa dell’uomo in carrozza.
La Trattativa Realtà -M5S
E allora che si fa? Un esempio di situazione piuttosto simile è quello che ha vissuto Virginia Raggi a Roma con lo stadio a Tor di Valle: in campagna elettorale aveva promesso la cancellazione del progetto, da consigliera aveva presentato esposti su esposti   scritti o suggeriti da comitati e comitatini su presunte irregolarità  che i giudici hanno archiviato facendosi una bella risata.
Da sindaca ha finalmente compreso — e lo ha scritto sul blog di Beppe Grillo — che fermare tutto avrebbe portato a una richiesta risarcitoria tale da mandare il Comune in bancarotta, e ha usato l’argomento per zittire chi, come Roberta Lombardi, voleva spingerla alla guerra al grido di Armiamoci e partite!.
Allora la sindaca ha giocato la carta della diplomazia, consapevole anche del fatto che la proprietà  giallorossa non aveva altre sponde politiche a cui appoggiarsi vista la tattica suicida del Partito Democratico in Regione e al Comune: ha firmato un accordo peggiorativo per la città  con la rinuncia alla metà  delle opere pubbliche promesse risparmiando però così sulle cubature, che erano la parte più “vistosa” e quindi criticabile del progetto.
E ha chiuso un compromesso onorevole che ha visto vincenti la sindaca e i proponenti, non certo i cittadini. Ma intanto ha chiuso la querelle e il dossier.
Una strategia vincente che ora Di Maio potrebbe riciclare con l’ILVA: trovare un accordo migliore dal punto di vista ambientale da sbandierare ai quattro venti e zittire con il Metodo Casaleggio i dissenzienti del partito.
Evitando così di trovarsi non i tifosi giallorossi al Campidoglio ma gli operai al ministero: molto peggio di quello che sarebbe potuto succedere a Virginia Raggi.

(da “NextQuotidiano”)

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IN 25 GIORNI LA CRISI DELLO SPREAD CI E’ COSTATA 5 MILIARDI

Giugno 9th, 2018 Riccardo Fucile

IL SOLE24ORE HA FATTO I CONTI DELLA CRISI DELL’ULTIMO MESE

Il Sole 24 Ore oggi in un articolo di Gianni Trovati fa i conti dei costi della piccola (per ora) crisi dello spread innescata il 15 maggio scorso dalla pubblicazione della bozza di contratto di governo tra Lega e M5S e proseguita con la rottura istituzionale (poi rientrata) su Paolo Savona.
I numeri li fornisce l’Ufficio Parlamentare di Bilancio:
Ogni previsione è prematura, ma le fiammate registrate anche ieri non sono da sottovalutare. Certo, il rialzo dei rendimenti a breve è il più preoccupante perchè misura la percezione di rischi immediati. Ma è quello sui Btp a scaricare l’eredità  più pesante.
La settimana che si è appena chiusa ha confermato un livello quasi doppio rispetto ai 120-130 punti base su cui il differenziale con i Bund ha viaggiato tranquillo per i primi quattro mesi e mezzo dell’anno.
Per i titoli decennali significa un rendimento a cavallo del 3%, contro l’1,8-1,9% registrato fino a metà  maggio: e una dinamica del genere, quando si consolida, costa.
I modelli statistici Upb, riportati nella nota 3 dell’ottobre scorso, indicano in 4,5 miliardi il costo aggiuntivo prodotto da uno shock di 100 punti base nella spesa per interessi da mettere in conto nel 2019. Senza inversione di rotta, il peso aggiuntivo salirebbe a 6,6 miliardi nel 2020.
Lo spread agita il dibattito solo nelle fasi acute, ma sul bilancio pubblico si fa sentire in modo decisamente più stabile. E doppio.
L’effetto trascinamento della crisi del 2011 ha prodotto una spesa maggiore per interessi per 47,2 miliardi in sei anni, e ha accorciato la durata media dei titoli perchè quando i rendimenti crescono le emissioni si abbreviano per limitare le ricadute sul futuro.
Dal 2012, la durata media delle nuove emissioni è risalita rapidamente, fino al picco dei 6,6 anni medi del 2016: ma cambiare i connotati di uno stock di debito come il nostro è un lavoro lungo, e la durata media dei titoli in circolazione è ancora sotto i 7,1 anni a cui era arrivata prima della crisi.

(da agenzie)

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ARRIVANO A POZZALLO 235 PROFUGHI: E’ IL SECONDO SBARCO DELL’ERA SALVINI

Giugno 9th, 2018 Riccardo Fucile

IL COMANDANTE DELLA ONG TEDESCA RACCONTA IL MANCATO SOCCORSO DEI MALTESI CAUSA AVVERSE CONDIZIONI METEO

Due navi con migranti soccorsi in mare sono arrivate nel porto di Pozzallo, nel Ragusano. A bordo di una prima imbarcazione, la “Seefuchs”, ci sarebbero 126 migranti, sulla seconda circa 109 migranti.
Le due navi sono arrivate nella notte e ora sono in corso le operazioni di sbarco coordinate dalla prefettura. Come si apprende, i migranti verranno inizialmente diretti all’hotspot di Pozzallo da cui verranno però trasferiti secondo un piano già  definito. Si tratta del secondo sbarco dell’era Salvini, dopo quello di Reggio Calabria.
La squadra mobile di Ragusa ha prelevato il comandante della “Seefuchs” e lo ha portato in questura per interrogarlo sul mancato aiuto di Malta, che non avrebbe consentito all’imbarcazione in difficoltà  a causa delle condizioni marine avverse di attraccare al porto.
Il Viminale ha ordinato alla polizia di ricostruire minuto per minuto gli ultimi tre giorni, ovvero le comunicazioni con Malta e in che termini è stato espresso il rifiuto al soccorso chiesto alla Valletta dalla sala operativa della Capitaneria di porto di Roma.
Il governo di Malta ha negato di non aver fornito assistenza ai migranti rispondendo al ministro italiano in una nota riportata dal sito d’informazione Malta Indipendent.
“Per quanto riguarda la ricerca e il salvataggio, Malta agisce in conformità  con le convenzioni internazionali applicabili” e “Malta continuerà  a rispettare queste convenzioni riguardo alla sicurezza della vita in mare, come è successo in quest’ultimo caso e in ogni caso”.
Dalla Sea Watch 3, che aveva affiancato la Seafuchs per garantire la sicurezza dei migranti e tentare un trasbordo, hanno dichiarato che “il sostegno richiesto da Malta per lo sbarco di Seafuchs è stato rifiutato”.
Intanto il comandante della nave Seefuchs è negli uffici Frontex a Pozzallo per raccontare le modalità  del soccorso. La ong tedesca Sea Eye, ha ufficialmente diffuso attraverso i canali social di avere soccorso il 6 giugno 119 persone, in grave pericolo: si trovavano a bordo di un gommone instabile con condizioni meteo proibitive.
Quando l’equipaggio ha trovato, l’imbarcazione ha deciso immediatamente di evacuarla per evitare un naufragio.
Le onde alte e il forte vento hanno però impedito diversi tentativi di trasbordo su una nave più grande: uno mercoledì notte sulla Sea-Watch 3, uno stanotte e uno stamattina sulla CP941 della Guardia Costiera Italiana.
Il caso della Seefuchs è ora trattato da MRCC Roma come un caso di emergenza ed e’ stato chiesto aiuto a Malta in quanto il tempo sta peggiorando ulteriormente e sono previste onde fino a 2,5 metri. Queste condizioni mettono in serio pericolo la vita dell’equipaggio e delle persone soccorse”.
Secondo quanto riferisce la ong tedesca “il ministero degli Esteri tedesco e il ministro di Stato Micheal Roth stanno seguendo attentamente la situazione”.
Anche la Sea watch commenta quanto accaduto alla Seefuchs: “Sea-Watch è rimasto nelle immediate vicinanze di Seefuchs per più di 24 ore per offrire assistenza all’Ngo Sea Eye, nel tentativo di effettuare un trasbordo reso impossibile dal peggioramento delle condizioni meteorologiche. Ieri il Centro di coordinamento del soccorso marittimo di Roma ha fornito assistenza alla nave Sar Cp941 della Guardia costiera italiana, ha reindirizzato una nave mercantile e allertato un Eunavfor Med. Il sostegno richiesto da Malta per lo sbarco di Seefuchs è stato rifiutato. Il supporto in generale avrebbe dovuto essere inviato nell’area prima che le condizioni meteorologiche si deteriorassero, come previsto dalle previsioni meteorologiche”.

(da agenzie)

argomento: denuncia | Commenta »

TRUMP ISOLATO, MERKEL E MACRON RIALLINEANO CONTE

Giugno 9th, 2018 Riccardo Fucile

IL PRESIDENTE FRANCESE: “VALORI COMUNI UE”… E STRITOLA LA MANO A TRUMP

“Condividiamo un continente: l’Europa. Una storia e valori comuni: quelli dell’Europa”. Così, su Twitter, il presidente francese Emmanuel Macron, dopo il suo primo incontro con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte al G7 in Canada.
È oggi la giornata conclusiva del G7 a Charlevoix, il Summit di esordio del premier Giuseppe Conte.
Il premier italiano non strappa con l’Unione europea, tanto che Macron e Merkel sottolineano l’unanimità  europea nel G7 nel sostenere che la Russia potrà  tornare al tavolo del G8 solo dopo “progressi” sulla crisi ucraina.
Quella del premier italiano non è una frenata, precisano da Palazzo Chigi: l’Italia sostiene la prospettiva di Mosca al tavolo, ma con la consapevolezza che non si decide da soli.
Intanto sembra essere sempre più solo e isolato Donald Trump.
“Il G6 – e Trump”, titola non a caso il Washington Post, disegnando in un editoriale i rapporti all’interno del gruppo dei 7 paesi più industrializzati. “Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Italia, Canada e Giappone diedero vita al gruppo di sette, concepito come una sorta di conclave regolare tra le principali democrazie capitalistiche circa 40 anni fa, in piena Guerra Fredda”, ricorda il giornale, che sottolinea come inizialmente l’attenzione fosse prevalentemente puntata sull’aspetto economico, per impedire che l’insorgere di quelle questioni commerciali che il presidente Trump sta ora infiammando sfociasse in divisioni politiche che potessero mettere a rischio la solidarietà  di fronte a quella che allora era la minaccia sovietica.
“Nel mondo del dopo-guerra Fredda, il G7 si è trasformato in un’istituzione che rappresenta la determinazione dell’Occidente a perpetuare i valori del libero mercato, del governo rappresentativo, dello stato di diritto”, che i suoi membri consideravano fossero usciti confermati dal crollo dell’Impero Sovietico, aggiunge. “Ne consegue che la decisione di Trump di creare agitazione nel G7 è più di un gioco o una richiesta di attenzione infantili. Significa minare i valori che il G7 è stato creato per salvaguardare”.
Sempre ieri ha fatto notizia la stretta di mano fra Trump e Macron: energica, virile, anche troppo, visti i segni lasciati, prontamente immortalati dai fotografi.
Il presidente francese ha catturato la mano del presidente americano e l’ha tenuta stretta così a lungo da lasciarci sopra il segno, nell’ennesima prova di forza tra i due leader.

(da agenzie)

argomento: Esteri | Commenta »

LA BELLA ITALIA DELLE AZZURRE DEL CALCIO

Giugno 9th, 2018 Riccardo Fucile

C’E’ CHI AI MONDIALI CI VA

Buffon a casa, Pipitone al mondiale. Girelli sì, Insigne no.
Il calcio azzurro è una meraviglia al femminile: dopo vent’anni, superando il Portogallo a Firenze 3-0, le nostre calciatrici si qualificano per la Coppa del Mondo in Francia del 2019.
Una vittoria netta, ottenuta con la determinazione, il bel gioco, la fantasia, la forza del collettivo.
L’allenatrice Milena Bertolini ha firmato un autentico capolavoro. Ma questo successo non deve sorprenderci. Siamo di fronte a un movimento in crescita, lo spareggio per lo scudetto di questa stagione, tra Juventus e Brescia, vinto dalle bianconere, è stato emozionante, tra due squadre eccezionali sotto il profilo tecnico, agonistico e tattico. Stefano Braghin, responsabile del progetto Juventus Women, da tempo mi aveva parlato delle immense potenzialità  del football al femminile: ora è arrivato il risultato più importante, la conquista del mondiale.
Gli azzurri, dopo sessant’anni dalla prima volta, Svezia 1958, e quattro coppe conquistate, guarderanno Russia 2018 davanti alla televisione.
Le nostre calciatrici, ora, possono sognare in grande.
Nella mia carriera di cronista, ho avuto la fortuna di lavorare in televisione con Carolina Morace, tra le nostre prime fuoriclasse.
Anche lei era pronta a scommettere, in epoca non sospetta, sull’affermasi di un calcio che non aveva niente da invidiare a quello degli uomini: bisognava soltanto crederci, fare degli investimenti, mettere insieme un campionato competitivo, puntare sui vivai. Adesso, le nostre ragazze hanno superato nel consenso popolare gli strapagati ragazzi. È soltanto un inizio, non è vero Barbara Facchetti, capodelegazione della nazionale e figlia di Giacinto Magno? Barbara, che non ha mai avuto dubbi.
Bella questa storia, brave queste atlete: è tramontato, finalmente, il tempo del sarcasmo, dei sorrisini, delle battute spesso sgradevoli.
Ed è tempo di archiviare la frase pronunciata da Guido Ara, campione e allenatore della mitica Pro Vercelli, nel 1909: “Il calcio non è uno sport per signorine”.

(da “Huffingtonpost“)

argomento: Costume | Commenta »

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