Giugno 11th, 2019 Riccardo Fucile
POLIZZA RISCHIO USCITA: IN SPAGNA LO 0,18%, IN ITALIA LO 0,91%
La differenza nei premi da pagare per ottenere la copertura dei due diversi contratti assicurativi (Cds 2003 e Cds 2014) dà la misura di quanto gli investitori pensano che un Paese rischi davvero di uscire dall’euro.
Quello scarto ieri era di 0,18% per la Spagna e 0,91% per l’Italia, su un orizzonte di cinque anni.
Questo, spiega oggi Federico Fubini sul Corriere della Sera, deriva dal cosiddetto «rischio di ridenominazione»: il sospetto, diffuso fra i suoi creditori, che la Repubblica italiana nei prossimi sessanta mesi finisca per uscire dall’euro e tenti di rimborsare quasi tutti gli investitori in deprezzatissime «nuove» lire.
Proprio in virtù di questo fenomeno la Spagna paga attualmente interessi molto più bassi dell’Italia.
Circolano infatti sul mercato alcuni titoli derivati di due categorie simili ma diverse fra loro: i primi assicurano il sottoscrittore contro l’insolvenza di un Paese, i secondi anche contro l’ipotesi di uscita dall’euro.
Questi ultimi offrono un ombrello più largo, come fossero una polizza contro furto e incendio e non solo contro il furto.
La differenza nei premi da pagare per ottenere la copertura dei due diversi contratti assicurativi (Cds 2003 e Cds 2014) rivela quanto probabile è, per gli investitori, che un Paese esca dall’euro in futuro.
Quello scarto di costo ieri era di 0,18% per la Spagna e 0,91% per l’Italia, su un arco di cinque anni.
Dunque se il governo di Roma offrisse le stesse certezze di voler restare nell’euro che dà Madrid solo nel 2019 pagherebbe 1,5 miliardi di interessi in meno sul nuovo debito che emette.
(da “NextQuotidiano“)
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Giugno 11th, 2019 Riccardo Fucile
LE BALLE DEI SOVRANISTI MENTRE OGNI GIORNO LA COMPAGNIA PERDE 1,2 MILIONI DI EURO DEGLI ITALIANI
Nelle casse di Alitalia sono rimasti 450 milioni entrati anche grazie ai biglietti venduti oltre che ai robusti finanziamenti pubblici.
Ma nessuno si presenta per entrare nella cordata che le Ferrovie dello Stato stanno approntando.
Oggi governo, commissari e Ferrovie dello Stato, in una riunione che si tiene al ministero dello Sviluppo, decideranno di rinviare il termine per la presentazione di offerte vincolanti.
La crisi rischia così di avvitarsi fino a compromettere la sopravvivenza stessa della compagnia in amministrazione straordinaria che a 25 mesi dall’avvio del commissariamento non trova soluzioni adeguate per il rilancio.
Spiega Repubblica:
Al momento, infatti, manca ancora all’appello il 40% dei soci pronti a fondare la Nuova Alitalia: Delta ha indicato Atlantia come partner ideale dell’operazione e il governo italiano, nonostante la chiusura maturata dopo il crollo del Ponte Morandi, non può certo ignorare del tutto questa preferenza. Ecco perchè a quattro giorni dalla scadenza fissata per presentare delle offerte vincolanti (il 15 giugno), l’esecutivo e in particolare Luigi Di Maio, debole regista fin qui della crisi, deve indicare rapidamente una via di fuga.
L’unica percorribile passa per una pax con il gruppo infrastrutturale guidato da Giovanni Castellucci. A quel punto, però, serviranno dei mesi per mettere a fuoco la strategia di rilancio e per ricucire un rapporto tra le parti. Ecco perchè il rinvio di almeno un mese dei termini, appare oggi come la principale via di uscita.
Sullo sfondo rimane Lufthansa, la compagnia tedesca il cui maggiore sponsor era Armando Siri, che nel frattempo è stato cacciato dal ministero a causa di un’indagine per corruzione.
Di fronte, dunque, si intravedono solo tre strade.
La prima: una newco orfana dei Benetton e di Lufthansa, tirata su in fretta e furia con Delta, Fs, un fondo di investimento italiano e una mini cordata di imprenditori nazionali (mini per potenza di fuoco e credibilità industriale), senza andare troppo per il sottile pur di chiudere per il momento il dossier.
La seconda: rinvio di almeno un mese. Una soluzione che metterebbe tutti davanti all’ennesima brutta figura.
La terza ipotesi, una apertura dei 5Stelle a Atlantia o a Lufthansa, è quella che piace meno al Movimento. Ma questa rimane, probabilmente, la via più veloce per salvare il soldato Alitalia.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 11th, 2019 Riccardo Fucile
IL RAGAZZINO EROE CHE SI E’ PRECIPITATO A SCUOLA E HA FATTO USCIRE IN TEMPO VENTI BIMBI
Ci sono due storie interessanti nell’esplosione nel palazzo del comune di Rocca di Papa che ieri ha causato una ventina di feriti, danni a negozi e palazzi e ustioni sul 34% del corpo del sindaco Emanuele Crestini.
La prima è quella degli operai che hanno causato il danno e la seconda è quella del ragazzino di 13 anni che ha aiutato gli altri a fuggire.
Il Messaggero racconta oggi che potrebbero finire già oggi sul registro degli indagati i tre operai che ieri mattina avevano iniziato i carotaggi sulla pavimentazione di corso Costituente a Rocca di Papa.
Almeno due persone, sentite poi dai carabinieri, che abitano nei palazzi di fronte al Comune, li avrebbero visti bucare la conduttura e scappare via.
Non a caso i tre, tutti italiani e impiegati in una ditta molisana a cui aveva fatto ricorso la “TecnoGeo” per eseguire i carotaggi del terreno, sono stati rintracciati dopo diverse ore dalla deflagrazione dai militari della compagnia di Frascati a 150 chilometri dal piccolo comune dei Castelli: avevano quasi raggiunto Isernia.
Che si fossero dati alla fuga dopo aver compreso il danno recato alla conduttura del gas? È questa una delle principali domande che si è posto il procuratore capo di Velletri, Francesco Prete.
Ieri sera sono stati ascoltati per ore dal pm Giuseppe Travaglini — insieme al responsabile della “TecnoGeo” con sede a Monte San Giovanni Campano in provincia di Frosinone — nella caserma del nucleo operativo dell’Armadi Grottaferrata.
Gli investigatori hanno messo sotto sequestro le loro apparecchiature.
Dalle prime ricostruzioni compiute dagli inquirenti sulla dinamica della deflagrazione, i tre operai avevano da poco bucato il terreno con una trivella, intaccando la conduttura di metano. Secondo la ricostruzione del quotidiano hanno ricoperto il foro con uno straccio e sono scappati senza dare l’allarme.
E poi c’è la storia di Cristian, 13 anni, volontario della Protezione Civile:
Alle 11 di ieri, chiamato per una sorta di esercitazione, si è ritrovato improvvisamente ad agire: «Dal tubo nello scavo davanti al municipio usciva un getto di gas. Ho fatto una corsa fino alla scuola, la porta era chiusa, l’ho forzata con una pedata e ho cominciato a gridare: “Tutti fuori, tutti fuori”. C’era una maestra con una ventina di bambini. Si sono alzati ma poi è venuto giù tutto. Tanti bimbi erano già in corridoio, tre sono stati travolti dal tetto».
È stato merito di Cristian o forse un miracolo se l’esplosione che ha letteralmente sventrato il municipio di Rocca di Papa facendo crollare anche la parete dell’asilo confinante (unico aperto dopo la fine delle scuole), non ha ucciso nessuno.
Sedici feriti, tra cui tre bimbi, la più grave (ma non in pericolo di vita) una piccola di cinque anni che dovrà essere operata alla testa all’ospedale Bambino Gesù dove è stata trasportata in elisoccorso.
Grave, con ustioni di primo e secondo grado al viso e sul 35 per cento del corpo anche il sindaco Emanuele Crestini.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 11th, 2019 Riccardo Fucile
LA VICENDA EMERSA GRAZIE ALLE INSEGNANTI…SONO I VALORI CHE DOBBIAMO PRESERVARE DALL’INVASIONE DEGLI “INCIVILI”?
Con l’accusa di aver abusato delle tre nipotine per circa dieci anni, un nonno di 71 anni di Fasano (Brindisi) è stato arrestato e posto ai domiciliari dai Carabinieri, indagato per violenza sessuale su minori.
Due delle nipoti avevano all’epoca meno di 10 anni, una meno di 14.
Secondo quanto ricostruito, gli episodi di violenza sarebbero cominciati nel 2009 con la maggiore delle tre e si sarebbero susseguiti anche sulle altre due fino all’aprile del 2019, avvenuti quando le tre bambine venivano temporaneamente affidate ai nonni.
Le nipoti hanno raccontato a scuola quanto accaduto, si sono rivolte alle loro insegnanti precisando di aver dovuto chiudere a chiave la porta della stanza se restavano a dormire dal nonno, in qualche circostanza, per paura.
Le bambine sono state ascoltate anche da un consulente della Procura di Brindisi.
(da agenzie)
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Giugno 11th, 2019 Riccardo Fucile
COSA ASPETTA CONTE A DIMETTERSI PRIMA DI DOVER ANNNOTARE SUL SUO CURRICULUM CHE E’ STATO COMPLICE DELLA RAPINA AI RISPARMI DEGLI ITALIANI?
Il vertice tra Giuseppe Conte e i suoi azionisti di maggioranza è finito male. Le intenzioni del premier erano chiare e semplici: mettere a cuccia Matteo Salvini e Luigi Di Maio sulla questione della procedura d’infrazione e avere le mani libere per cercare di chiudere un accordo con l’Unione Europea attraverso la promessa di una manovrina per mettere a posto i conti oppure con l’ipoteca dei soldi “avanzati” da quota 100 e reddito di cittadinanza.
Una missione che il presidente del Consiglio si era dato con l’avallo del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e guardata con simpatia anche a Francoforte, dove Mario Draghi da qualche tempo comincia a dimostrare insofferenza nei confronti delle opzioni di finanza creativa come i minibot, ma che rischia di infrangersi nelle difficoltà oggettiva di una politica il cui orizzonte temporale di lungo periodo è domani mattina. Carmelo Lopapa su Repubblica racconta che il presidente del Consiglio ha messo sul tavolo l’offerta con annessa minaccia di dimissioni:
Gioca d’anticipo, perchè non ha altra via d’uscita. Mette subito in chiaro i suoi paletti: non accetterà di ritrovarsi a trattare con la Commissione mentre Salvini o Di Maio lo impallinano con un Facebook live. Per questo, chiede una delega in bianco ai due ministri. E la pretende pubblica, immediata, definitiva.
«Perchè stavolta, a differenza dell’ultima legge di bilancio, sarà difficile evitare la procedura. In Europa il clima è cambiato, serve un miracolo».
Senza mandato pieno, insiste, si dice pronto a consegnare il pallino al Quirinale. A cui per paradosso proprio lui — “l’avvocato del popolo” — ormai guarda come unico faro nella notte populista.
I due però non sono sembrati poi così impressionati, anzi:
Il pressing dei due vice e la resistenza del presidente del Consiglio confliggono violentemente attorno al tavolo del salone presidenziale. Salvini sceglie il registro di sempre, quello degli slogan. «Tu puoi trattare a nome del governo — il senso del suo ragionamento — ma devi tenere il punto. Non possiamo cedere su tutto, dare l’impressione di accettare i diktat di Bruxelles». E Di Maio: «Devi difendere gli italiani, alzare la voce!». Conte tiene il punto. Disponibile a trattare, ma mettendo paletti anche sulla flat tax che è invece priorità leghista. «E comunque — ribadisce, citando il ministro dell’Economia Giovanni Tria — non potrà essere fatta in deficit».
Ma c’è un punto dirimente che il trattativista Conte non può ignorare: la realtà è fatta di numeri e impegni da assumere. In particolare, ci vogliono tre miliardi e una manovra correttiva da offrire alla Commissione Europea. Se l’Italia non si muove, arriva la procedura d’infrazione. E con essa, visto che nel frattempo ci sono 24 miliardi di clausole IVA da annullare e 30 miliardi di promesse sulla flat tax da mantenere, anche il ritorno della paura dello spread. Amedeo La Mattina su La Stampa spiega che il punto è sempre lo stesso:
Come trovare un’intesa con l’Europa è ancora un punto interrogativo. Ma qualche idea già c’è: ad esempio spiegando di avere qualche risparmio in più da Quota 100 e reddito di cittadinanza (circa 3 miliardi) che si potrebbe investire in un assestamento di bilancio per ridurre quel debito oggetto della procedura d’infrazione. O, ancora, si sta cercando di verificare se ci siano entrate maggiori del previsto.
Una strada di dialogo su cui Conte sa di avere la benedizione del presidente Sergio Mattarella. Dal Colle più alto il capo dello Stato osserva e tace, ma spera che la linea del premier sia sposata anche da Salvini e Di Maio. Chi lo conosce bene, però, è convinto che non gradisca il fatto di essere tirato in ballo continuamente, come fosse attore di una vicenda che, invece, riguarda solo il governo.
Il vertice a Palazzo Chigi non si conclude con una fumata bianca. E a Conte a questo punto non resta che una strada: quella di dare le dimissioni. Ma in Italia le dimissioni non si danno mai, si minacciano e basta perchè se si minacciano c’è il rischio che qualcuno le accetti.
(da “NextQuotidiano“)
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Giugno 11th, 2019 Riccardo Fucile
“SULLA UE E TASSA SI FA COME DICIAMO NOI”: L’ARROGANZA DEI DUE NEMICI DEGLI ITALIANI CHE VOGLIONO IL FALLIMENTO DEL PAESE
Manca un quarto d’ora a mezzanotte. Le scorte, sigarette in bocca, buttano i mozziconi a terra e si precipitano dentro, verso le auto.
Nel cortile di Palazzo Chigi si materializzano Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Il primo con la giacca che sembra cucita addosso, anche nell’afa tropicale di Roma, il secondo in camicia bianca.
Camminano l’uno accanto all’altro, si fermano, parlottano, si stringono la mano. È la sceneggiatura di un film studiato bene. Perchè mai i due vicepremier avevano dato vita a simili siparietti nell’unico punto della sede della presidenza del Consiglio ben visibile a fotografi e operatori.
Una pellicola che si completa qualche secondo dopo, quando svaniti dall’inquadratura i due si materializza, solo, Giuseppe Conte, che se ne va.
Il canovaccio nel giro di due settimane si è completamente ribaltato. Lo schema adesso non vede più i leader di Lega e Movimento 5 stelle l’un contro l’altro armati. Sembra il remake di quel che si è già visto prima con il Def e poi con la manovra: i due partiti a braccetto nello sfidare l’Europa, il premier e il ministro dell’Economia a tirare il freno a mano.
Dal balcone al cortile, lo schema non cambia. Perchè è sulla risposta a Bruxelles, tra procedura di infrazione, manovrina e mini bot, che si è giocata gran parte della discussione . “Non sarò io il presidente che porterà il paese dritto verso la procedura d’infrazione”, ha messo in chiaro Conte. Un uomo vicinissimo al capo politico M5s allarga le braccia: “Ormai è il signorsì di Bruxelles”.
Sia l’inner circle di Di Maio sia quello di Salvini hanno visto come un dito in un occhio il colloquio concesso al Corriere della Sera in cui ha ribadito di non voler portare il paese allo scontro con l’Europa.
“È bello saperlo dai giornali”, ha ironizzato Salvini con i suoi. Di Maio ha fatto spallucce: “Siamo una repubblica parlamentare, decide il Parlamento, e le forze politiche che sono in maggioranza”.
Nel quartier generale 5 stelle si guarda con preoccupazione alla “tecnicizzazione” di un presidente che ha sempre ribadito il suo voler essere politico, all’incidenza della moral suasion quirinalizia, al fatto che un asse Conte-Tria-Moavero possa nei fatti cambiare la natura dell’esecutivo.
L’intesa sull’agenda messa in scena nel vertice serale è pressochè totale. Tutte e tre le campane accreditano il via libera al decreto sicurezza bis, già oggi in Consiglio dei ministri, un’accelerazione sul salario minimo, l’orizzonte prioritario del taglio delle tasse.
È qui che però iniziano i problemi. Perchè secondo Palazzo Chigi i due vicepremier vogliono la botte piena e la moglie ubriaca.
“Non si può volere di evitare la procedura d’infrazione e insieme pretendere già da ora una misura espansiva”. Salvini ha ribadito seccamente un concetto già ribadito in chiaro: “Io alla logica degli zerovirgola non ci sto, i voti alla Lega arrivano per cambiare sul serio le cose, Europa compresa”.
Appena più sfumata la posizione di Di Maio: “Siamo responsabili, ma non ci facciamo mettere i piedi in testa da nessuno. Abbiamo ascoltato per anni e abbiamo visto i risultati tra tagli alle pensioni e altro ancora. Adesso facciamo in modo che l’Europa ascolti noi”.
“Non ho sentito aut aut”, ha spiegato Conte al suo staff subito dopo l’incontro. E ha spiegato di voler fissare già in settimana un incontro con Tria e i tecnici del Tesoro. Con i due vicepremier presenti.
Per rendere manifesta la scarsità di soluzioni creative adottabili in un momento delicatissimo nei rapporti comunitari. E per mettere da subito le carte in tavola in vista di settembre e di una legge di stabilità su cui grava la pesantissima ipoteca di oltre venti miliardi da trovare per evitare l’aumento dell’Iva.
È per questo che nell’unico accenno fatto durante al vertice sul rimpasto, la sostituzione della poltrona vacante degli Affari europei, rivendicata dalla Lega con il placet stellato, il presidente ha avvertito: “Fino alla chiusura della vicenda sulla procedura d’infrazione le deleghe le tengo in mano io”.
Nel frattempo, a qualche metro da lui sulla facciata di Palazzo Chigi, la bandiera dell’Europa spostata dal vento si attorcigliava sull’asta smettendo di sventolare, mentre i due vicepremier, dopo la stretta di mano in favore di fotografi, si allontanavano in macchina in una Roma notturna immobile come l’afa che l’avvolge.
(da “Huffingtonpost”)
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