Dicembre 13th, 2019 Riccardo Fucile
CI SAREBBE UN EFFETTO SARDINE E UNA MANCANZA DI CREDIBILITA’ DELLA BORGONZONI RISPETTO A BONACCINI A FARE LA DIFFERENZA …E SALVINI COMINCIA A SMARCARSI ANCHE IN CALABRIA PER TIMORE DI PERDERE
Amedeo La Mattina su La Stampa oggi racconta che il centrodestra teme il doppio flop in Emilia Romagna e Calabria
Nella coalizione a trazione leghista ci sono molti dubbi, anche se nessuno è disposto a dirlo pubblicamente. Dentro Forza Italia e Fratelli d’Italia vedono aumentare il vantaggio di Bonaccini in Emilia-Romagna: nell’ultimo sondaggio commissionato dal governatore uscente era di due punti e mezzo, in quello che sta per essere completato ci sarebbe addirittura un’accelerazione a svantaggio della leghista Borgonzoni.
I sondaggisti ritengono che cominci a sentirsi l’effetto Sardine, movimento nato a Bologna. Ma è anche la campagna elettorale del candidato del centrosinistra, la sua credibilità , a fare un ulteriore differenza. Bonaccini gode di un vantaggio personale, anche se le liste del centrodestra sono più forti. Se il governatore vincesse la sfida, conquisterebbe il premio di maggioranza che gli consentirebbe di proseguire. Questa è la fotografia di oggi ma al voto manca ancora più di un mese
Matteo Salvini ha piantato in Emilia-Romagna le tende e non mollerà l’osso fino alla fine perchè rischia di giocarsi la faccia. Non potrà fare lo stesso in Calabria, anche perchè in quella regione gli interessa di più fare il pieno di voti per le liste della Lega. «La cosa più importante — ha detto ieri all’inaugurazione della sede leghista a Catanzaro — è avere per la prima volta tanti consiglieri della Lega in Consiglio, chiunque sia il governatore».
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 13th, 2019 Riccardo Fucile
IN CALABRIA GRILLINI SPACCATI SUL NOME DI AIELLO
Con appena 335 voti Simone Benini, 49 anni, imprenditore e consigliere comunale forlivese, è stato eletto su Rousseau come candidato del M5s alle prossime elezioni regionali in Emilia Romagna.
Con qualche voto in più – 1150 – invece gli iscritti calabresi alla piattaforma hanno confermato la candidatura del professor Francesco Aiello in Calabria.
Si sa, su Rousseau ci vuol poco ad essere eletti, basta una manciata di preferenze. Ma se i 335 voti di Benini vi sembrano pochi, sono comunque di più dei 266 presi cinque anni fa dalla candidata cinquestelle modenese Giulia Gibertoni.
Questa volta gli iscritti emiliani in due giornate hanno espresso 6.015 preferenze. Quanto ad Aiello, complice anche la vicenda della casa abusiva, in Calabria per lui non c’è stato certo un consenso “bulgaro”: i voti contrari sono stati 1017, quindi di fatto ha vinto per 133 preferenze. In totale sono stati espressi 2.167 voti.
Un risultato, quest’ultimo, che è arrivato nella ferale giornata del dibattito sul Mes al Senato, quando quattro senatori del Movimento hanno votato in dissenso con il loro gruppo. E il giorno dopo tre di questi – Grassi, Lucidi e Urraro – sono passati alla Lega.
In entrambe le Regioni, che andranno alle urne il 26 gennaio, il M5s ha scelto di correre da solo, respingendo qualsiasi accordo con il Pd dopo la disfatta in Umbria. Una tattica sui cui nello sesso Movimento ci sono delle divisioni. I più preoccupati che questa possa rivelarsi una scelta suicida sono sicuramente tutti gli eletti vicini al presidente della Camera Roberto Fico.
Benini è sposato con un figlio e una figlia. È un piccolo imprenditore -si legge sul blog delle stelle- attivo nel campo IT, sistemista programmatore senior, esperto di sistemi informatici.
È grande appassionato dei temi che sono alla base dei programmi del Movimento 5 stelle: energie rinnovabili, politiche rifiuti zero, sostenibilità ambientale applicata in ogni campo. È appassionato di apicultura ed è lui stesso apicoltore.
Dal 2014 è consigliere comunale del Movimento 5 Stelle di Forlì, dove è stato riconfermato nel mandato a maggio di quest’anno. Durante il primo mandato è stato vice presidente della 2a Commissione Consiliare Programmazione, investimenti, urbanistica, ambiente, attività economiche.
Aiello è docente ordinario di Politica economica all’Università della Calabria ed è fondatore del portale di economia “Open Calabria”.
(da agenzie)
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Dicembre 13th, 2019 Riccardo Fucile
ALLARME PER LE VOCI DI ACCORDO SALVINI-RENZI
Il 23 febbraio del 2018 il giurista campano Ugo Grassi scriveva un lungo post sul Blog delle stelle per difendere la clausola che chiede ai parlamentari M5S di pagare una multa da 100mila euro in caso di “cambio casacca”.
Ieri, lo stesso senatore ha comunicato il suo ingresso nella Lega. Lo hanno seguito i colleghi Francesco Urraro e Stefano Lucidi, senatore umbro alla seconda legislatura, con idee di destra, ma grande sostenitore dell’alleanza con il Pd alle regionali.
Matteo Salvini li accoglie a braccia aperte. Luigi Di Maio attacca: “Ci dicano quanto costa al chilo un senatore. In confronto a Salvini, Berlusconi era un pivello”.
Il ministro accusa i transfughi di mancanza di dignità . Ma Grassi e Urraro li ha scelti lui, candidati per i collegi uninominali tra la società civile, a completa discrezione del capo politico.
Si fidava talmente, che al primo chiese di scrivere l’atto di impeachment per Sergio Mattarella, nei giorni in cui ne aveva proposto la messa in stato di accusa. “Non sono un costituzionalista, ma penso ci siano tutti gli estremi”, aveva detto Grassi a Repubblica, prima che il suo leader cambiasse idea.
La paura dei 5S al governo, e del Pd, è che i tre siano solo la punta di un iceberg che rischia di mandare in pezzi una nave già in cattive acque. “Siamo tutti talmente deboli da non riuscire a rompere una cosa già rotta”, dice sconfortata l’ex ministra dem Marianna Madia davanti a un bicchiere d’acqua, alla buvette.
L’aria è tale che il team dei facilitatori scelto da Di Maio, al voto sul blog fino a domani, è la fotografia dei 5 stelle più a disagio con il Conte bis: tra i sei cui sarà affidata l’organizzazione (un “listino bloccato” contro cui tuona il vicepresidente del Parlamento europeo Fabio Massimo Castaldo) ci sono infatti Ignazio Corrao, l’europarlamentare che non ha votato per la commissione von der Leyen (non è stato sanzionato e viene ora premiato tra lo sconcerto di molti), l’ex ministro Danilo Toninelli (che da mesi fa asse con Barbara Lezzi e gli scontenti della maggioranza giallo-rossa), poi due “casaleggiane” di ferro, Enrica Sabatini e Barbara Floridia, e come unica rappresentante del “caminetto” che ha dato filo da torcere a Di Maio sulle ultime scelte, a partire da quella sulle regionali, la sola vicepresidente del Senato Paola Taverna.
Esclusa la capogruppo in Regione Lazio Roberta Lombardi, troppo autonoma e forse troppo convinta dell’alleanza con i dem. Esclusi tutti gli eletti vicini al presidente della Camera Roberto Fico, preoccupato in queste ore soprattutto del voto in Emilia Romagna e delle possibili conseguenze.
Escluso anche, ma per sua scelta, Alessandro Di Battista, che ha in testa nuovi progetti e sarebbe pronto a una nuova partenza. Tornerà in gioco solo in caso di nuove elezioni. A giudicare dai timori, un’eventualità non così lontana.
Sia i 5 stelle che il Pd sospettano infatti che ci possa essere un accordo tra il leader di Italia Viva Renzi e quello della Lega Salvini per andare al voto.
E’ stato proprio un emissario del Carroccio a mettere sull’avviso il Nazareno: “Renzi ci ha chiesto aiuto per fermare il modello spagnolo e lo sbarramento al 5%. In cambio, farebbe cadere il governo”.
Certo, la minaccia potrebbe essere falsa, ma è un fatto che sia Zingaretti che Di Maio la stiano prendendo molto sul serio.
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 13th, 2019 Riccardo Fucile
“CHI SI PROIETTA SULLA LEGA DOVRA’ ASPETTARE, CON QUESTO GOVERNO INVECE PUO’ GIA’ LAVORARE”
“Chi scommette su Salvini, fa male i suoi calcoli”. All’indomani del delicato voto sul Mes, superato dalla maggioranza di governo seppure con alcune defezioni pentastellate, Giuseppe Conte lancia un appello a tutte le forze parlamentari e a chi è tentato dalla Lega (i delusi 5s).
Lo fa da Bruxelles, in un colloquio con Huffpost e alcuni quotidiani italiani a margine del Consiglio europeo di dicembre.
Seduto sul divanetto bianco di una delle sale della rappresentanza italiana, Conte scarta il regalo del premier portoghese Antonio Costa (una bottiglia di Barbeito) e poi si concede per una mezz’ora ai cronisti su diversi argomenti, dalla politica interna alla sfida europea sul clima che vede l’Italia schierata “al fianco di Ursula von der Leyen e il suo Green deal” e con la richiesta del governo di utilizzare i fondi del Just Transition Fund per l’ex Ilva di Taranto: “Dobbiamo usare anche la leva finanziaria e lo stesso Just Transition Mechanism può essere uno strumento, perchè c’è un impatto economico e sociale” nella transizione energetica, dice Conte.
E poi la riforma del Mes, l’ultimo pericolo scampato (per ora) della maggioranza, con la speranza italiana è di rimandare la firma finale a quando sarà stato trovato un “equilibrio” dell’intero pacchetto di riforme sul rafforzamento dell’unione bancaria e monetaria.
Fino alla Libia, materia che oggi sarà al centro di un trilaterale di Conte con la Cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron.
Appello ai parlamentari
“Lancio questo messaggio alle forze politiche di maggioranza e ai parlamentari tutti — dice il premier – a chi si sente di non aver potuto a dare un contributo fin qui: noi stiamo lavorando di qui al 2023 per riformare il paese, c’è in cantiere il Green deal, la riforma della giustizia, la riduzione della burocrazia in tutti i settori di attività . Tutte le competenze potranno trovare in questo processo riformatore di ampio respiro, la possibilità di dare un contributo. Chi invece si proietta sulla Lega, deve mettere in conto che dovrà aspettare molto di più. Con noi invece può già lavorare”.
Ora l’obiettivo è rendere la maggioranza più attraente delle ‘sirene’ leghiste. Tradotto: chi è eletto, ha un seggio per altri 4 anni. Con Salvini, chissà . E chissà quanto dovrà aspettare. “Salvini non disperda energie” a cercare di attirare parlamentari della maggioranza di governo, dice Conte, “le proposte della Lega sono di là da venire quando e se andrà al governo”.
Ancora, in riferimento a Salvini e quello che Luigi Di Maio ha definito “mercato delle vacche”: “Ognuno si assume la responsabilità delle iniziative che ritiene. Io non voglio entrare nel giudizio delle decisioni dei singoli parlamentari, non voglio valutare neppure i comportamenti di Grassi (ex M5s passato alla Lega dopo il voto sul Mes, ndr.) che peraltro è un collega, un professore di diritto. Sulla sensibilità istituzionale di Salvini mi sono già pronunciato: auguro al professore Grassi di avere più fortuna di me, io ci ho lavorato affianco e non è che abbia ottenuto grossi risulati. Lui ha solo sparato…”.
Responsabili
All’orizzonte, naturalmente, i movimenti dei cosiddetti ‘responsabili’, i senatori di Forza Italia che si offrirebbero alla maggioranza per rafforzare il governo. “La maggioranza è solida — precisa Conte – tengo i conti numerici di ieri alla Camera e al Senato e non faccio scenari futuri, se e ma. Se e quando si concretizzerà questa ipotesi si valuterà ”.
Quanto a eventuali ‘scissioni’ del M5s da parte degli scontenti Di Maio, ‘responsabili’ pentastellati più vicini allo stesso premier, Conte frena: “Io certo non mi auguro che le forze attuali della maggioranza si suddividano e i gruppi attuali si possano frammentare ulteriormente, decisamente no”.
Non alza polemiche, nemmeno con Matteo Renzi: “Mi fido di tutti quelli che stanno lavorando con noi fino a prova contraria”.
Nè vuole commentare il discorso dell’ex premier ieri al Senato o l’inchiesta in corso sulla fondanzione renziana ‘Open’. Di certo, però, quanto sta avvenendo non può essere motivo per tornare a forme tradizionali di finanziamento pubblico ai partiti: “I social sono alla portata di tutte le tasche, si può partecipare alle competizioni elettorali anche con poche risorse finanziarie. Non ritornerei affatto al passato, a forme di finanziamento pubblico tradizionale. Nello scorso esecutivo, con la normativa contro la corruzione, abbiamo stabilito regole e tetti per evitare che un singolo finanziatore possa avere un ruolo preponderante in termini di influenza su una forza politica, abbiamo stabilito trasparenza anche per le fondazioni. Certo, se nel dibattito pubblico questo diventa un tema, ci confronteremo. E’ tema da non liquidare in due battute”.
Ad ogni modo, è il rafforzamento della maggioranza di governo il tema centrale nell’agenda di Conte per la politica interna.
Ma il vertice di lunedì, annuncia, “non sarà dedicato a programmare tutto il cronoprogramma” della legislatura, “affronteremo le questioni più urgenti”.
In sintesi: “Fisco: tagliare la pressione fiscale e riformare l’Irpef. Giustizia: completare il pacchetto, civile, penale e tributaria, piano anti-evasione, snellire la burocrazia. Quando organizzeremo queste riforme, balzeremo avanti nelle classifiche guardate dai fondi internazionali: dobbiamo scalare le posizioni”.
Libia
Oggi intanto qui a Bruxelles, il primo vertice con Merkel e Macron sulla Libia da quando il premier del governo riconosciuto dall’Onu a Tripoli, Fayez al Searraj, ha firmato il memorandum d’intesa con il turco Erdogan. “L’incontro l’ho chiesto io”, precisa Conte, servirà a “preparare la conferenza di Berlino sulla Libia, presumibilmente ad anno nuovo”.
Lo scenario ora è pericolosissimo. Significa: conflitto militare alle porte sull’altra sponda del Mediterraneo, proprio di fronte alle coste meridionali dell’Italia.
“Il conflitto si è radicalizzato — dice Conte – difficilmente ci si metterà intorno a un tavolo e rischiamo anche noi europei di dover fare i conti con attori stranieri che hanno preso piede e terreno e, essendosi impegnati, reclamano anche un ruolo”.
Il premier racconta di aver avvertito il generale di Tobruk Haftar, sostenuto da Francia, Egitto, Russia, “quando è venuto a Roma. Gliel’ho spiegato bene: ‘stai commettendo un errore fatale, non solo non convincerai mai le milizie a ritirarsi e in più ci sarà anche l’incognita di Misurata che non ti lascerà occupare la Libia inerte’. Valutazioni che si sono rivelate vere”. Ora al Serraj si è messo d’accordo con Erdogan: “Accordo inaccettabile, in spregio al diritto internazionale”, dice il capo del governo che, qui al Consiglio europeo, ha avuto modo di parlarne anche con Kyriakos MÄ«tsotakÄ«s, il premier della Grecia, scavalcata dall’intesa tra Ankara e Tripoli: “Mi ha ringraziato per l’appoggio italiano”.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 13th, 2019 Riccardo Fucile
GLI ERRORI DELLA MERKEL E DI CORBIN… LA SCOZIA SI STACCHERA’ E GLI INGLESI PAGHERANNO CARO L’ADDIO AGLI ACCORDI COMMERCIALI EUROPEI
La vittoria dei conservatori è anche frutto di due errori. Gli errori: li hanno commessi, in strano tandem, Angela Merkel e Jeremy Corbyn.
La prima ha concesso ancora tempo al governo inglese per decidere sulla Brexit, oltre la data delle elezioni europee del giugno scorso.
In questo modo ha lasciato sul terreno una bomba inesplosa che prima o poi sarebbe deflagrata nella politica britannica. E infatti è montata la frustrazione e persino la rabbia di tanti cittadini di fronte ad una questione che si ingarbugliava sempre più in una ridda di voti contraddittori alla Camera dei Comuni, tanto da ridicolizzare la loro ben amata istituzione; e questa rabbia è esplosa nelle urne dando un mandato chiaro e univoco a chi proclamava ai quattro venti che sarebbe uscito dall’Ue subito e senza tante storie.
Che questo fosse il sentimento ormai dominante dell’opinione pubblica lo dimostra l’esito dei tanti conservatori espulsi da Johnson che si sono presentati come indipendenti senza essere eletti pur avendo in molti casi un pedigree politico di primo livello.
Anzi, invece di danneggiare i Tory hanno affondato i candidati Labour che hanno perso tutti quei collegi. In realtà , il tema su cui alla fine gli inglesi hanno votato è stato la Brexit. Del programma laborista, fatto per compiacere la propria base tradizionale, non importava nulla.
Tutti volevano finirla con questo tormentone. E quindi Johnson ha potuto condurre una furiosa, ma inequivoca campagna pro-Brexit, grazie al fatto che i governi Ue, guidati dalla Merkel contro Macron, avevano lasciato agli inglesi, ancora irrisolta, la decisione sulla uscita dall’Unione.
Il secondo errore lo ha commesso Corbyn quando ha consentito a Johnson di andare alle elezioni; un errore fatale perchè il Labour è stato costretto a competere sul terreno a lui più ostico. L’ambiguità di Corbyn sulla Brexit aveva tenuto in surplace il Labour lasciando che fossero i Tories ad accapigliarsi; ed in effetti la strategia appariva efficace, a livello parlamentare.
Ma andando alle urne il partito doveva prendere posizione, e quella laborista è stata pallida e incerta finendo per scontentare sia i giovani e la middle class cosmopolita sia, soprattutto, la base operaia che ha voltato la faccia al partito. La perdita di una serie di storici bastioni operai è la prova lampante di quanto la Brexit sia stata dominante in questa campagna.
Infine, ultimo tassello, la vittoria degli indipendentisti scozzesi. Ridimensionati dal Labour nelle ultime elezioni sono tornati con forza proprio grazie a Johnson perchè l’ipotesi di una uscita dura e pura dall’Ue ripropone la questione scozzese in nuovi termini e rende l’esito del prossimo referendum indipendentista molto più favorevole al distacco dal Regno Unito .
La vittoria Johnson è ampia e confortevole: ha eliminato i filo europei dal suo partito e messo in un angolo i labouristi. Ma è una vittoria che può costare molto cara perchè, oltre a “perdere” l’ Europa — e si accorgerà presto quali conseguenze porterà la Brexit senza accordo, cioè dovendo rinegoziare accordi commerciali con tutti i paesi del mondo — perderà anche la Scozia.
E sarà un bel problema per Boris.
(da “Huffingtonpost”)
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