Gennaio 3rd, 2020 Riccardo Fucile
“AL MOVIMENTO SERVONO PERSONE CHE LAVORINO PER OTTENERE RISULTATI, NON VISIBILITA’, PERSONE CHE CI METTANO LA FACCIA NON A GIORNI ALTERNI A SECONDA DELLE PROPRIE CONVENIENZE”
Nelle more della cacciata di Gianluigi Paragone dal MoVimento 5 Stelle c’è il caso di Alessandro Di Battista, che per la prima volta si è messo esplicitamente di traverso alle direttive dei vertici del M5S elogiando il senatore uscente che intanto minaccia cause su cause.
Annalisa Cuzzocrea su Repubblica spiega che la scelta di Dibba ha causato una rottura con Di Maio:
«Pluralismo non significa anarchia – ha detto ai suoi il ministro degli Esteri – il Movimento è fatto di tante voci, mi auguro che tutte siano presenti agli Stati generali di marzo, ma non è possibile accettare che ognuno faccia quel che vuole contro la comunità di cui fa parte».
Ogni stoccata ha bersagli precisi. La prima è riservata all’ex ministro Lorenzo Fioramonti e a Gianluigi Paragone: «Al Movimento servono persone che lavorino per ottenere risultati, non visibilità ».
La seconda, un’accusa non nuova, pare disegnare i contorni di Alessandro Di Battista: «Servono persone che ci mettano la faccia sempre e non a giorni alterni, secondo le proprie convenienze».
È sempre colui che non a torto si è guadagnato il soprannome di “sommergibile”, la prima preoccupazione del leader.
La mossa dell’ex deputato a sostegno di Paragone non ha sorpreso Di Maio. I due si sono visti nelle scorse settimane e “Dibba” era stato chiaro: «Io con Gianluigi continuerò a lavorare. Abbiamo la stessa visione del Movimento, dice quel che ho sempre detto io».
Il capo della Farnesina conosceva il prezzo della sua decisione, quando l’ha presa: perdere di nuovo il sostegno del più popolare fra gli attivisti, recuperato da poco con la decisione di correre in solitaria alle prossime regionali.
Restare solo, di nuovo, ora che i ministri M5S – un tempo fedelissimi – sembrano rispondere a nuove logiche: quelle che li tengono al governo con Giuseppe Conte e li vedono costruire un percorso con il Pd dettato dal fondatore Beppe Grillo.
Ma non aveva scelta: perchè il Movimento è nel caos ormai da mesi e serviva una mossa che, per quanto azzardata, cercasse di porre un argine all’esondazione.
Così il leader si assume due rischi: quello di avere contro Di Battista, nonostante questo faccia crescere i timori di una scissione, con i pasdarà n alla Barbara Lezzi che seguono l’ex deputato alla ricerca delle origini perdute.
E quello di accelerare le fuoriuscite alla Camera, dove sarebbe già pronto il gruppo “Eco” di Fioramonti, e gli smottamenti al Senato, dove i “contiani” hanno preparato un documento contro di lui. Rischi calcolati.
Dibba è di nuovo in partenza per l’Iran, starà fuori per un po’. E se qualcuno ha pensato di giocare sulle divisioni M5S per rafforzare Conte, ha — secondo il leader — sbagliato strategia. Perchè per dirla con uno dei deputati che gli sono rimasti fedeli, «i governi non si reggono sul gruppo misto».
(da “NextQuotidiano“)
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Gennaio 3rd, 2020 Riccardo Fucile
IL LEGHISTA SOMMERSO DI CRITICHE, I SUOI ELETTORI SI ACCORGONO CHE E’ UN SOVRANISTA ALLE VONGOLE… LA MELONI TACE FINO ALLE 15.50 POI CONDANNA SOLO LE PROTESTE DAVANTI ALL’AMBASCIATA USA E NON CITA MAI SOLEIMANI CHE ERA INDICATO COME LEI NEI 20 PERSONAGGI DEL TIMES “PROTAGONISTI DEL 2020”, NON SI SA MAI …
Matteo Salvini sulla sua pagina facebook oggi ha composto un elogio di Donald Trump e
degli Stati Uniti dopo l’omicidio del capo delle Forze al-Quds, Qassem Soleimani con i droni.
La scelta di Salvini risponde all’esigenza di legittimare la Lega agli occhi degli USA dopo l’endorsement del presidente americano nei confronti di Giuseppi Conte, che il Capitano non aveva preso benissimo.
“Donne e uomini liberi devono ringraziare il presidente Trump e la democrazia americana per aver eliminato uno degli uomini più pericolosi e spietati al mondo, un terrorista islamico, un nemico dell’Occidente, di Israele, dei diritti e delle libertà .”
Ma c’è un problema che evidentemente il Capitano non ha considerato: i suoi fans non l’hanno presa per niente bene.
I “veri patrioti” che riponevano qualche speranza nel Matteo Nazionale si sono improvvisamente accorti che il suo è un sovranismo alle vongole.
Molti sono quelli che si professano leghisti ma dicono che il capitano ha toppato. Alcuni sono anche così acuti da notare che Salvini, nel florilegio di foto — tra cui spicca quella di Netanyahu — con cui ha corredato l’evento manca quella di Putin. Altri sono arrabbiatissimi e lo paragonano a un cane che riporta l’osso al padrone statunitense.
I fans del Capitano sono furiosi e, da veri sovranisti, se la prendono con gli amerikani; Salvini è andato proprio a toccare un nervo molto scoperto: “Non approvo questo attacco come tutti gli attacchi americani, veri competenti nel destabilizzare paesi orientali”.
E così via, compreso chi gli annuncia che è un “servo dei servi del padrone”.
A questo punto vi chiederete: ma la vicecapadaaaagggente invece che dice?
Giorgia Meloni ha intelligentemente scelto un silenzio di tomba nei confronti dell’avvenimento politico che in questo momento campeggia sui giornali di tutto il mondo: D’altro canto la leader di Fratelli d’Italia va capita: giusto ieri il Times l’ha incoronata come una delle venti persone che cambieranno il corso del 2020. Ma nella lista dei venti c’era anche Suleimani.
Meglio non farsi notare troppo, non sia mai che quella fosse una lista della spesa: ce l’ho, ce l’ho, me manca…
Ma alle ore 15,50. Giorgia Meloni, dopo il silenzio degli agnellini, si risveglia improvvisamente per dire la sua sulla vicenda. Ovvero condanna l’attacco all’ambasciata americana a Baghdad causato dall’omicidio di Soleimani e, insieme, non pronuncia mai il nome della persona uccisa.
Ammazza quanto so’ sovrani, ahò.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 3rd, 2020 Riccardo Fucile
NON CITA QUELLO CHE UN ANNO FA DEFINIVA “IL MIGLIORE PRESIDENTE USA DELLA STORIA” … FORSE HA PAURA CHE QUALCUNO GLI RICORDI LE CAZZATE CHE DICE
Ieri Alessandro Di Battista era sulle prime pagine di tutti i giornali per il sostegno nei confronti di Gianluigi Bombatomica Paragone che ha violato le regole del MoVimento 5 Stelle non votando la fiducia in due occasioni al governo Conte Bis.
Oggi, dopo l’omicidio in Iraq del generale Soleimani da parte delle forze USA, Di Battista ritrova la voce per dire che quello di Baghdad è stato “un raid vigliacco”, “pericoloso”, “stupido”.
Ma in tutto lo status c’è qualcuno che non viene mai nominato, nonostante il raid sia stato in ultima analisi una sua scelta da commander in chief.
Si tratta di un certo Donald Trump, che l’esperto di geopolitica a 5 Stelle forse ha dimenticato.
O forse ha paura che qualcuno gli ricordi le cazzate che dice, tipo questa qui, scritta su Facebook poco più di un anno fa.
All’epoca, secondo Dibba, Donald Trump era “il miglior presidente della storia in politica estera” anche se “ha contro i poteri forti”, mentre il predecessore Barack Obama era “un golpista”.
Ora che Trump bombarda (in Siria) e ammazza (in Iraq) l’ex deputato espertone di politica estera cambia giustamente linea, confidando sul fatto che gli italiani hanno la memoria di un mollusco e quindi non si rendono conto delle sue giravolte logiche e politiche.
Ci riuscirà ? Ma certo che sì.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 3rd, 2020 Riccardo Fucile
NUNZIO ANGIOLA E GIANLUCA ROSPI LASCIANO IL GRUPPO E APPRODANO AL MISTO (IN ATTESA DI FIORAMONTI)
Due deputati del MoVimento 5 Stelle, Nunzio Angiola e Gianluca Rospi, hanno lasciato il
gruppo dei grillini alla Camera.
“Ho deciso, con grande rammarico, di abbandonare il M5S. Il mio dissenso non deriva da un mio personale cambiamento di opinioni, ma dalla presa d’atto che, chi più chi meno, i vertici del Movimento hanno preferito trincerarsi in una chiusura pregiudiziale nelle proprie granitiche convinzioni. La mia odierna decisione non è da porsi in connessione con quella di altri colleghi parlamentari, come Lorenzo Fioramonti”, annuncia Angiola.
Il 30 dicembre scorso però proprio Angiola sulla sua pagina fb aveva scritto, rivolgendosi a Fioramonti: “Fare le cose difficili è infatti dannatamente difficile. Ma imparare a farle è necessario. In certi casi, nella vita occorre fare un passo indietro, per farne poi due in avanti”. Angiola il 23 dicembre scorso aveva annunciato di non aver votato la legge di bilancio anche se contemporaneamente confermava il suo appoggio al governo Conte Bis.
Rospi invece veniva fino a qualche tempo fa come uno della pattuglia di deputati pronti a lasciare per andare con Lorenzo Fioramonti e con il suo nuovo movimento Eco.
“Vorrei, infine -conclude Angiola- rassicurare i cittadini e i sindaci del mio Collegio elettorale. Il mio impegno per il Paese, il territorio murgiano e per l’Università non si ferma qui, e non si fermerà mai. Continuerà — in modo più determinato e incisivo — come parlamentare della Repubblica Italiana, nel Gruppo Misto”.
Rospi ha invece fatto sapere che non ritiene più tollerabile “la gestione oligarchica del MoVimento 5 Stelle”: in realtà il M5S è gestito così da ben prima che Rospi si candidasse con loro. Si vede che nel frattempo ha avuto un’illuminazione sulla via di Damasco.
I due onorevoli hanno nel frattempo provveduto a cancellare ogni simbolo del M5S dalle loro pagine FB ma non hanno scritto nulla sul loro addio al M5S. “Lascio il M5S e passo al Gruppo Misto perchè non è più tollerabile una gestione verticistica e oligarchica”, ha fatto sapere Rospi in una nota.
“Ho consegnato al Presidente della Camera, Roberto Fico, la mia decisione di lasciare il gruppo parlamentare M5S e di approdare al Gruppo Misto, scelta che non è da ritenersi attinente a quella di altri colleghi che in questi giorni stanno lasciando il movimento“, spiega.
“In queste festività ho riflettuto tanto e, per svariate ragioni, in primis il non condividere la Manovra di Bilancio approvata di recente e la mancanza di collegialità nelle decisioni all’interno del gruppo, ho maturato l’idea di lasciare, con grande rammarico, il MoVimento 5 Stelle. Manovra di Bilancio a parte, non è più tollerabile una gestione verticistica e oligarchica del Gruppo parlamentare con il risultato che ristrette minoranze decidono per la maggioranza; il M5S non vuole più dialogare, con la base che si limita a veicolare le scelte prese dall’alto senza più essere portatrice di proposte”, continua Rospi.
“Non è un cambio di opinione ma la semplice presa d’atto di una chiusura del MoVimento nei miei confronti. Lasciatemi dire anche che oggi ho l’impressione che nel Nostro Paese ci sia un atteggiamento passivo nei confronti del presente; un atteggiamento in grado di sgretolare uno dei pilastri del nostro stare insieme e del nostro modo di guardare al futuro. È come se si pretendesse di avere diritto a un domani migliore senza essere consapevoli che bisogna saperlo conquistare, costruendolo insieme e da protagonisti, convinti che i legami che hanno senso, riprendendo le parole di Silvia Vegetti Finzi, non limitano l’io ma gli danno forza e significato” attacca. “Con questo spirito sono entrato in Parlamento il 4 marzo del 2018, rinunciando ad altri prestigiosi traguardi conquistati negli anni passati. Ed ancora più determinato di prima mi preme rassicurare i cittadini, i Vescovi e i sindaci del mio Collegio ai quali dico che continuerò nell’impegno preso come parlamentare della Repubblica Italiana, questa volta però dal Gruppo Misto”, conclude.
(da agenzie)
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Gennaio 3rd, 2020 Riccardo Fucile
CASO GREGORETTI, LA MEMORIA DIFENSIVA DI SALVINI FA ACQUA DA TUTTE LE PARTI…LA RIDISTRIBUZIONE NON C’ENTRA UNA MAZZA CON IL SEQUESTRO DI PERSONE E SALVINI HA VIOLATO L’ART 53 DEL SUO STESSO DECRETO SICUREZZA CHE NON PERMETTE IL BLOCCO DI UNA NAVE MILITARE ITALIANA
Matteo Salvini vuole difendersi dall’accusa di sequestro di persona nel caso di Nave Gregoretti portandosi dietro Giuseppe Conte e Luigi Di Maio.
Con la memoria depositata questa mattina alla giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato, che dovrà decidere se accogliere o no la richiesta del Tribunale dei ministri di Catania intenzionato a sollecitare il rinvio a giudizio dell’ex titolare dell’Interno, ribadisce di aver «agito per difendere il mio Paese», ma soprattutto sosterrà che «ogni decisione è stata presa in maniera collegiale, condivisa anche nelle trattative con gli altri Stati dell’Unione europea per la distribuzione dei migranti».
Ora, tutti voi ricorderete che ai bei (si fa per dire) tempi in cui faceva il ministro dell’Interno, Salvini non pubblicizzava per niente la collegialità delle azioni di governo, anzi: a titolo di puro esempio basti ricordare la conferenza stampa congiunta con Di Maio e Conte in cui si annunciavano il reddito di cittadinanza e quota 100: nell’occasione, mentre il presidente del Consiglio e l’allora ministro dello Sviluppo e del Lavoro mostrarono cartelli con i due provvedimenti, il ministro dell’Interno si fece scattare una foto con il cartello di Quota 100, a sottolineare che il reddito non l’aveva voluto lui.
La stessa cosa riguarda le sceneggiate sulle ONG, dove Salvini si autoritraeva come unico protagonista della “guerra” con le navi cariche di naufraghi.
Oggi Salvini fa sapere che invece si trattava di azioni collegiali, dimostrando così a tutti di essere un “cazzaro verde”, come da definizione del Fatto, di prima qualità .
Spiega oggi Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera:
In realtà in questi giorni la sua difesa è stata messa a punto con l’avvocato Giulia Bongiorno e punta «sull’interesse pubblico e sulla collegialità della gestione della vicenda». Alla memoria sono allegati diversi documenti «per dimostrare il coinvolgimento dei ministeri competenti e della presidenza del Consiglio per ottenere una redistribuzione degli stranieri in Paesi europei».
In particolare è citata la dichiarazione pubblica del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede che aveva confermato «il dialogo tra i ministeri delle Infrastrutture, dell’Interno edella Difesa» e quella dello stesso Di Maio: «Per me l’Italia non può sopportare nuovi arrividi migranti, devono andare in Europa».
Ma anche i contatti con Palazzo Chigi che in una nota inviata ai giudici l’11 ottobre aveva invece scritto:«Nella riunione del Consiglio dei ministri del 31 luglio scorso la questione non figura all’ordine del giorno e non è stata oggetto di trattazione nell’ambito delle questioni “varie ed eventuali” nè in altri successivi».
Ora, attenzione: è chiaro a tutti che la trattativa con l’Unione Europea sulla ridistribuzione dei migranti e la loro sosta in mare in attesa degli eventi sono due cose differenti.
Si poteva ottenere la distribuzione a prescindere dalla situazione in cui si trovavano le persone sulla nave italiana a cui Salvini ha impedito lo sbarco violando, come abbiamo scritto il 30 luglio 2019 e ribadito il 18 dicembre scorso (causando un curioso effetto-copia da parte di un nutrito stuolo di espertissimi) il decreto Salvini.
Ovvero il Decreto-legge 14 giugno 2019, n. 53 noto anche come “Decreto Sicurezza Bis” prevede che il ministro dell’Interno con provvedimento da adottare di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e informato il Presidente del Consiglio «può limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale».
Ora, spiega Carmelo Lopapa oggi su Repubblica, la strategia di Salvini è diventata proprio questa: trascinare Conte e Di Maio nella contesa per discolparsi. Ecco i punti della sua difesa riassunti sul quotidiano:
Punto primo. Nessun atto è stato compiuto da Matteo Salvini in quei cinque drammatici giorni di luglio per trarre vantaggio o lucrare politicamente dalla vicenda dei 131 immigrati a bordo del pattugliatore della Guardia Costiera Gregoretti. Tutte le decisioni sono state adottate nella sua qualità e nei suoi poteri di ministro dell’Interno.
Punto secondo. Delle sue determinazioni in tal senso sono stati sempre tenuti al corrente il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e i ministri competenti.
A conferma, ed è il terzo punto, ci sarebbe il fatto che pur essendo di dominio pubblico lo stallo della nave al largo di Catania e poi di Augusta, non è giunto alcun ordine in direzione opposta da parte di Palazzo Chigi.
Tesi che sarebbe suffragata, secondo la difesa del leader leghista, dalla copia delle “interlocuzioni scritte” avvenute in quei giorni tra il Viminale, la Presidenza del Consiglio, il ministero degli Affari esteri (guidato fino ad agosto da Enzo Moavero Milanesi) e organismi comunitari.
Infine ci sarebbe il precedente del caso Diciotti, che ha portato alla respinta della richiesta di processo per una vicenda analoga.
La questione però, per adesso potrebbe essere superata dai numeri: con i 5S schierati a favore, i 140 senatori del centrodestra potrebbero non bastare (difficilmente i 17 renziani salveranno palesemente il leghista). Stesso equilibrio in giunta: solo 10 su 23 in favore dell’ex ministro.
(da “NextQuotidiano“)
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Gennaio 3rd, 2020 Riccardo Fucile
“DA UNA BMW E’ SCESO UN ENERGUMENO CHE HA AGGREDITO BOTTAI CHE SI E’ DIFESO E L’HA NEUTRALIZZATO”… QUINDI IL LEGHISTA SI SAREBBE INVENTATO TUTTO, SALVINI AVEVA ACCUSATO “I CONIGLI DI SINISTRA”
Saranno le immagini delle telecamere a disposizione della polizia giudiziaria a fare
chiarezza sulla presunta aggressione denunciata, prima su Facebook e poi negli uffici competenti, dal consigliere della Lega Alessandro Perini.
Un’azione violenta messa in atto, a suo dire, da alcuni antagonisti di sinistra capeggiati dal segretario del Partito Comunista livornese, Lenny Bottai.
Versione che, tuttavia, contrasta eccome da quella del coordinatore del PC, ex pugile professionista, il quale ha replicato alle accuse raccontando innanzitutto di confidare nelle riprese delle telecamere e, quindi, di essere egli stesso la vittima di un’aggressione subita da un terzo personaggio, uno sconosciuto improvvisamente palesatosi durante la discussione con l’esponente leghista del 31 dicembre scorso nelle vicinanze di Palazzo civico.
Un “gorilla”, stando alla versione di Bottai, che gli avrebbe tirato un pugno e che sarebbe poi stato “graziato” dallo stesso segretario del PC il quale, dopo averlo reso inoffensivo, lo avrebbe lasciato andar via sull’auto con cui era arrivato.
Solo allora, gettatosi nel mezzo nel tentativo di separare la contesa, sarebbe stato colpito anche Perini, come poi confermato anche a LivornoToday dallo stesso consigliere, senza però capire da dove provenisse il colpo.
Versione, quella raccontata da Bottai, che trova riscontro nei racconti di alcune persone presenti alla scena, le cui testimonianze potrebbero servire alle autorità competenti quale eventuale supporto alle immagini registrate dalle telecamere.
Ad aver assistito alla scena, il titolare di un esercizio commerciale della zona: “Perini e Bottai stavano discutendo tra loro – dice -. I toni erano accesi ma tutto sommato pacifici. Perini ogni tanto toccava Bottai, come a volerlo provocare, e lui ha reagito prendendolo per un orecchio. Ma la situazione era calma e tutto stava per finire, fino a quando non è arrivata un terza persona che è andata dal consigliere della Lega dicendogli: ‘te sei il figliolo del Perini?’. A quel punto, ottenuta una risposta affermativa, si è girato ed ha tirato un pugno a Bottai, che poi ha risposto. Da li è nato un parapiglia tra i due, senza mai coinvolgere Perini”.
“Ero al bar con altri amici per fare un brindisi di fine anno e ho visto tutta la scena – racconta il cliente di un bar -, Perini e Bottai stavano discutendo. Poi è arrivata una Bmw di colore bianca, si è accostata al marciapiede e dalla macchina è sceso un gorilla: capelli rasati, tutto vestito di scuro, con gli stivali, ha parlato con Perini e poi ha sferrato un pugno a Bottai, colpendolo. A quel punto Bottai ha reagito e i due si sono azzuffati, fino a quando Bottai non lo ha lasciato andare via. Quest’uomo è salito sui sedili posteriori dell’auto e si è allontanato. Sembrava una situazione studiata a tavolino”.
“La discussione era animata e stava andando avanti da un po’ – sostiene una donna presente al momento della lite -, qualche persona si era fermata a guardare. Poi, quando le cose sembravano finite, ho pensato anche che si salutassero scambiandosi gli auguri. E invece è arrivata una macchina, è sceso un uomo, si è rivolto a Perini e poi ha picchiato Bottai che ha reagito e lo ha bloccato. Quindi ha supplicato di lasciarlo andare e se ne è andato prima dell’arrivo della Municipale a bordo della macchina con la quale era arrivato”
(da “LivornoToday”)
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Gennaio 3rd, 2020 Riccardo Fucile
HA RIFIUTATO UN CONFRONTO AL “RESTO DEL CARLINO”, ALLA CNA REGIONALE, A TV LOCALI E A SKY
Lucia Borgonzoni ha detto qualche giorno fa a Libero che il motivo per cui non si fanno confronti tv con il suo rivale Stefano Bonaccini “bisognerebbe chiederlo a lui”.
La situazione è curiosa perchè Bonaccini, in vantaggio nei sondaggi, ha tutto da perdere da un confronto tv con la senatrice leghista. E invece, scrive il governatore sulla sua pagina facebook, è Borgonzoni che scappa dai confronti tv.
“I confronti, poi, vanno fatti sui problemi concreti dell’Emilia-Romagna. Il quotidiano più diffuso a livello regionale ha proposto di farne uno, io ho accettato e tu hai rifiutato. Così come diverse televisioni locali hanno ricevuto da tempo la mia disponibilità , ma ancora nulla da parte tua: come mai? Mi è già capitato di partecipare a confronti con categorie socio-economiche ai quali eravamo stati invitati entrambi, ma ero presente solo io. Abbiamo fatto senza problemi un confronto televisivo su una Tv nazionale, adesso però è il momento dei progetti concreti. Tu vuoi discutere di partiti e alchimie politiche, io voglio parlare di Emilia-Romagna, perchè è alla guida di questa Regione che ci siamo candidati. Scappi, forse? Non conosci abbastanza bene la regione che ti candidi a guidare? Altrimenti parliamone. Di Emilia-Romagna.
L’uscita di Bonaccini arriva dopo che la candidata leghista ieri ha detto no alle dimissioni da senatrice che il governatore le aveva chiesto: «Il livello è da prima elementare” aveva risposto.
Intanto il Resto del Carlino ha fatto sapere che è stata la Lega a scappare dal confronto fissato il 23 gennaio, ufficialmente per motivi politici.
La stessa cosa è accaduta per un evento organizzato dalla CNA regionale, mentre le tv locali e Sky sono ancora in attesa di una risposta.
(da agenzie)
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Gennaio 3rd, 2020 Riccardo Fucile
ALTRO CHE LE BALLE DI SALVINI, SONO SOLO 4 LE AUTOSTRADE CHE AUMENTANO I PEDAGGI E GUARDA CASO TUTTE IN REGIONI A CONDUZIONE LEGHISTA…E QUELLA VENETA E’ AL 50% DELLA REGIONE
Come ogni anno, ad inizio dell’anno i consumatori si trovano ad aver a che fare con una
serie di rincari. Il più puntuale, e più odiato, è quello delle tratte autostradali.
Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che è l’ente che autorizza gli aumenti dei pedaggi, per il 2020 ha “congelato” quasi tutti i pedaggi: tranne quelli di quattro tratte.
Si tratta dell’Autovia Padana (la A21 Piacenza-Cremona-Brescia) che subirà un aumento del 4,88%, della BREBEMI (la A35 Milano-Bergamo-Brescia) con un rincaro del 3,79%, la Pedemontana Lombarda (+0,88%) e la CAV, Concessioni Autostradali Venete (che gestisce la A4 Passante di Mestre e la A57 Tangenziale di Mestre) per la quale è stato autorizzata una variazione del 1,20%.
Per il restante 95% della rete autostradale italiana invece non ci saranno aumenti.
Tra le quattro tratte autorizzate spicca sicuramente la BREBEMI, che rispetto al costo al chilometro è una delle autostrade più care d’Italia (seconda solo alla tratta Torino-Aosta del Monte Bianco, che però lo è per ovvie ragioni dovute al percorso) e che è famosa per essere deserta ed essere considerata uno spreco di soldi.
A far discutere però è il rincaro concesso alla CAV, che a differenza delle altre società autostradali alle quali il Ministero ha concesso gli aumenti tariffari è completamente pubblica.
La Concessioni Autostradali Venete infatti è partecipata al 50% dalla Regione Veneto di Luca Zaia e al 50% da ANAS.
Da febbraio la presidente della società è Luisa Serato, leghista della prima ora, già presidente del consiglio della provincia di Padova e fedelissima di Luca Zaia.
L’aumento arriva pochi giorni dopo l’annuncio da parte di CAV di un’offerta “speciale”: un anno di Telepass gratis per i residenti della Padova-Treviso-Venezia.
Vale a dire proprio gli utenti che saranno maggiormente colpiti dal rincaro della tratta. In sostanza CAV offre lo sconto sul canone di abbonamento Telepass, che è un marchio al 100% di proprietà di Atlantia Spa, la cassaforte dei Benetton, ma in cambio aumenta del 7% la tratta Padova-Mestre — frequentatissima dai pendolari — facendola passare da 2,80 euro a 3 euro. È la tratta autostradale più cara del Veneto.
Per i pendolari, quelli che la fanno per andare a lavoro, si stima che l’aumento si traduca in un esborso di circa 100 euro in più all’anno.
Prendiamo la tratta Padova-Mestre: secondo Carlo Garofolini, presidente dell’Adico, i viaggiatori dovranno pagare 10 centesimi in più per ogni chilometro percorso.
Questo a fronte di poche o nulle migliorie ad un tratto autostradale che — lo ricordiamo — è già stato pagato coi soldi pubblici.
Il M5S del Veneto critica duramente la decisione della Regione-modello (almeno secondo Matteo Salvini e Lucia Borgonzoni) di chiedere l’aumento dei pedaggi.
L’assessora ai trasporti della giunta Zaia Elisa De Berti si difende dalle critiche e ci tiene a precisare che «gli aumenti di Cav sono un’autonoma decisione del Governo titolare della materia regolatoria e azionista di Cav al 50%».
Dimenticando ovviamente di dire chi detiene l’altro 50%: Regione Veneto.
Meglio continuare a far credere — come sostiene Salvini — che l’unico ad aumentare le tasse sia il governo giallorosso.
Paolo Zabeo della CGIA di Mestre spiega che era evidente che le cose sarebbero finite così, perchè entro il 2030 CAV deve ripagare il project bond da 830 milioni di euro emesso nel 2016 per pagare ad ANAS la costruzione del Passante di Mestre.
Al Corriere del Veneto Zabeo dichiara: «Si sapeva che sarebbe finita così, perchè tutto nasce dal project financing che è all’origine del Passante. Di fatto ci stiamo pagando l’autostrada due volte: con le tasse e con i pedaggi. Mentre in altre zone d’Italia si circola gratis».
E non è finita, perchè quei 20 km tra Padova e Mestre, al costo di 0,149 euro al chilometro saranno surclassati dalla Pedemontana Veneta, uno dei pallini della Lega e di Zaia, il cui pedaggio costerà 0,162 euro al chilometro.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 3rd, 2020 Riccardo Fucile
ERA STATA CONFISCATA ALLA MAFIA, “LIBERA” AVEVA PRESENTATO UN PROGETTO PER FARLA RIVIVERE
Il 31 dicembre era al suo posto in Borgo stretto, con il solito striscione che ricordava a tutti i passanti — cittadini pisani, studenti e turisti — l’enorme valore simbolico che aveva.
Si leggeva «Questo è un bene confiscato alla mafia».
La giunta leghista di Pisa, dall’oggi al domani, ha deciso che quell’edicola lì non doveva più starci. È stata rimossa da uno dei luoghi più frequentati della città , nonostante il suo elevato valore simbolico.
Soltanto qualche mese fa, il presidio aveva ricevuto la visita di don Luigi Ciotti che, insieme a Libera (associazione contro le mafie) aveva presentato un progetto per dare nuovamente vita a quel piccolo monumento alla legalità in pieno centro cittadino.
Il 1° gennaio, però, i cittadini pisani hanno scoperto che quell’edicola non c’era più. Nessuna spiegazione è stata fornita allenta’associazione, che aveva chiesto conto al comune della situazione.
I funzionari che hanno risposto alla missiva hanno affermato che i responsabili degli uffici che si sono occupati della rimozione erano in ferie.
«Abbiamo lavorato con impegno per mantenere vivo il simbolo che l’impronta della criminalità organizzata ha lasciato sul nostro territorio — hanno scritto da Libera -; non più tardi dello scorso maggio le settimane di mobilitazione per l’Edicola avevano risvegliato l’interesse cittadino sul tema. Grazie alla mobilitazione di un’ampia fetta della popolazione, dalle scuole alle associazioni studentesche, e il supporto in prima persona di Don Ciotti, del Sindaco di Pisa Conti, oltre che l’impegno garantito dai Rettori delle Università di Pisa e della Scuola Superiore Sant’Anna, erano stati presi accordi con l’amministrazione comunale per preservare questo simbolo, garantendo una continuità nel messaggio e nell’utilizzo a scopo sociale».
Michele Conti, sindaco leghista della città , ha deciso di rimuovere quell’edicola nonostante questo progetto fosse in piedi. Probabilmente in nome del decoro urbano e della sicurezza, tematiche che sono diventate prioritarie nella nuova giunta che si è insediata nella città sull’Arno dal giugno 2018 e che tanto hanno fatto discutere per i provvedimenti radicali adottati negli ultimi mesi.
Libera, alla fine del post, ha ironizzato: «Ci siamo recati personalmente in Comune, ma ci hanno detto che sono tutti in ferie. Hanno rimosso la speranza di cambiamento mentre erano in ferie..».
L’edicola di Borgo stretto era stata confiscata alla mafia nel 2013. Successivamente, era stata aperta da Libera fino al 2018, quando era stata chiusa per gli eccessivi costi. C’era un progetto per darle nuova vita, un progetto su cui lo stesso sindaco aveva concesso un’apertura nonostante le voci sulla rimozione del piccolo presidio.
Quello striscione ricordava che in città , in pieno centro, in una regione come la Toscana, c’era un appiglio della criminalità organizzata. Ora, lo striscione non c’è più. E nemmeno l’edicola. E nemmeno il ricordo di quanto fatto fino a questo momento a Pisa contro le mafie.
(da agenzie)
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