Maggio 23rd, 2020 Riccardo Fucile
LEGA 24,9%, PD 20,5%, M5S 15,5%, FDI 14,5%, FORZA ITALIA 7,7%, AZIONE CALENDA 3,4%, SINISTRA 2,8%, ITALIA VIVA 2,7%, + EUROPA 1,8%, VERDI 1,2%
Sorpasso in chiave ‘liberal’ tra Azione e Italia Viva.
Secondo il sondaggio realizzato da Euromedia Research per Porta a Porta alla domanda: “Se questa domenica ci fossero le elezioni politiche, Lei per quale partito voterebbe?”
Ecco le risposte:
Lega-Salvini Premier 24,9
Partito Democratico 20,5
Movimento 5 stelle 15,5
Fratelli d’Italia 14,5
Forza Italia 7,7
Azione-C. Calenda 3,4
Leu 2,8
Italia Viva 2,7
+Europa-Italia 1,8
Federazione dei Verdi 1,2
L’area di governo avrebbe 6 punti in meno rispetto a quella di centrodestra, ma la somma dei tre partiti minori (Calenda, Bonino, Verdi) e un altro 4,5% di “altri partiti” arriva a superare il 10%, rimettendo tutto in discussione
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2020 Riccardo Fucile
LA FRETTA DI ANTICIPARE IL LIBERI TUTTI POTREBBE ESSERE FATALE
La Lombardia rischia di rimanere chiusa anche dopo il 3 giugno, data in cui il governo potrebbe dare il via libera per i movimenti tra regioni.
Repubblica spiega che anche se gli ultimi dati sono rassicuranti rimane troppo alto il dato assoluto dei positivi, almeno per il momento e troppo alto il rischio di rovinare tutto per non aver atteso una settimana in più, quindi il 10 giugno, per avere un quadro più completo e riaprire in sicurezza.
E così il ministero della Salute guidato da Roberto Speranza, in raccordo con la presidenza del Consiglio e gli Affari regionali, è in attesa di sapere quali saranno gli effetti delle riaperture dal 18 maggio per prendere una decisione.
Soltanto tra qualche giorno, spiega Tommaso Ciriaco, i dati della curva riusciranno a fotografare l’effetto dell’allentamento del 4 maggio (che per adesso soddisfa, visto che il trend dei contagi è in calo e i pazienti in terapia intensiva si sono quasi dimezzati in 18 giorni). Per avere una prima impressione dell’“effetto 18 maggio”, però, bisognerà studiare i numeri del 30 maggio. E per un quadro davvero esaustivo, serviranno i dati del 10 giugno. Ci sono tre scenari in ballo e soltanto nel primo si immagina una riapertura totale a partire dal 3:
Questo schema ipotizza che l’R con 0 resti sotto controllo e che i positivi si assottiglino molto anche in regioni che contano ancora troppi contagi quotidiani. Il secondo scenario, invece, è quello al momento considerato più probabile, anche da Palazzo Chigi. Prevede un trend accettabile, con una curva che deflette in modo non omogeneo, e comunque non abbastanza in alcune regioni del Paese. Diventerebbe allora inevitabile distinguere tra regioni a basso rischio e quelle a medio-alto: chi non vanta numeri sicuri, accetta confini chiusi almeno per un’altra settimana.
Chi invece può contare su numeri migliori, consente i movimenti verso alcune regioni confinanti, a patto che esprimano contagi altrettanto bassi: si potrà circolare — sono solo alcuni esempi — tra Lazio e Abruzzo, o tra Lazio e Campania, o ancora tra quasi tutte le Regioni del Sud (resta però da capire come gestire situazioni “speciali” come quella di un’isola come la Sardegna, che non confina ovviamente con nessuno).
Il terzo schema, infine, è il più fosco. Ipotizza che già nei prossimi quattro o cinque giorni la curva peggiori, a causa delle riaperture del 4 maggio e di un primissimo “effetto 18 maggio”.
La proiezione dell’R con 0 al 3 giugno potrebbe lambire un livello di 0,9-1. Il governo, a quel punto, valuterebbe addirittura una marcia indietro rispetto ad alcuni allentamenti già sanciti nelle scorse settimane, seguendo il modello flessibile deciso con le regioni.
E infatti, anche se molti giornali, in primis il Corriere della Sera, oggi festeggiano i risultati lombardi, se è vero che l’R con 0 in Lombardia è sceso a un positivo 0,51, infatti, è altrettanto evidente che non può rassicurare il ranking dei contagi per ogni centomila abitanti: la regione guidata da Attilio Fontana è ancora al primo posto, seguita da Trento, Piemonte e Liguria.
Anche perchè ci sono numeri che non tornano nei report delle regioni.
Il Corriere della Sera cita il professor Nino Caltabellotta, presidente della Fondazione Gimbe che analizza sistematicamente le relazioni: «Il fatto che la Regione sia titolare del monitoraggio espone a comportamenti di tipo opportunistico».
Lo dice in termini ancora più netti il biologo Enrico Bucci: «È ovvio che se chiedi alle Regioni di fornirti dati decisivi su aperture o chiusure, saranno loro a determinare quali e come darteli seguendo logiche politiche interne».
La Fondazione Gimbe ha rilevato come nei report lombardi si comunichino i dimessi dagli ospedali, con una sovrastima dei guariti.
Sempre in Lombardia, secondo il Fatto Quotidiano, dall’11 maggio sarebbero spariti dal grafico dei contagi di Milano i casi confermati e sintomatici. Il Trentino è improvvisamente passato da una media di rapporto contagi/tamponi superiore al 4% il 28 aprile, con gravi preoccupazioni, a quella ultra rassicurante dell’11 maggio, dello 0,14%. Non un miracolo, ma un calcolo di contagi più bassi per errore.
Nelle Marche da un giorno all’altro si è cominciato a contare solo i casi sintomatici.
Dalle Regioni arrivano foglietti excel, quando va bene, che dicono poco o niente per analisi serie.
Il viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri chiede «più accuratezza». Ma è un deficit strutturale. Perchè, per esempio, si sa il numero complessivo dei tamponi, ma non si sa se fatti a chi e come, se è il primo o il secondo di conferma, se è fatto a sintomatici o no.
Altro bug dei report: per stabilire correttamente l’Rt, le Regioni dovrebbero fornire la data di insorgenza dei sintomi. In media, perchè i numeri siano attendibili, servirebbe almeno il 50 per cento dei dati.
Ma in almeno nove Regioni quella cifra non si raggiunge. E così si è deciso di abbassare la soglia di attendibilità al 30%.
Per Caltabellotta «secondo gli standard internazionali, bisognerebbe fare 200/250 tamponi al giorno per 100 mila abitanti. Ma pochissime Regioni hanno aumentato i tamponi diagnostici, solo Val d’Aosta e Trentino. Se la curva peggiora, verranno in superficie solo i casi di chi si aggraverà in maniera tale da dover andare in ospedale.
(da “NextQuotidiano“)
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Maggio 23rd, 2020 Riccardo Fucile
CARTABELLLOTTA (GIMBE): “LE REGIONI NON VOGLIONO AUMENTARE LE DIAGNOSI PER NON DOVER APPLICARE MISURE RESTRITTIVE”
Con il pieno avvio della Fase 2 dell’emergenza coronavirus, diventa sempre più importante monitorare l’evoluzione dell’epidemia di coronavirus sul territorio, per poter intervenire tempestivamente nel caso esplodessero nuovi focolai.
Visti i ritardi registrati per quanto riguarda l’indagine sierologica e il programma di tracciamento dei contatti attraverso l’app Immuni, è necessario continuare a fare affidamento sui tamponi.
La fondazione GIMBE, un think tank che si occupa di ricerca in ambito sanitario, ha più volte denunciato le problematiche emerse dopo la riapertura sulla propensione dele Regioni ad eseguire i tamponi. Fanpage.it ha fatto il punto della situazione con il dottor Nino Cartabellotta, presidente della fondazione.
Ecco cosa ci ha spiegato.
La Fondazione GIMBE ha evidenziato un calo nel numero di tamponi eseguiti giornalmente con l’avvio della Fase 2. Questa riduzione è legata alla paura di non rientrare nei parametri indicati dal ministero della Salute per la riapertura e di dover di conseguenza procedere con nuove chiusure?
Sì. Per il monitoraggio dell’epidemia, a fronte dei dati ospedalieri che sono affidabili e tempestivi, il numero di nuovi casi è direttamente influenzato dal numero dei tamponi eseguiti dalle Regioni, che su questo in parte si mostrano restie, verosimilmente per il timore non dichiarato di veder aumentare troppo le nuove diagnosi che le costringerebbero ad applicare misure restrittive. Peraltro preme anche sottolineare che le indicazioni all’uso dei tamponi rimangono quelle ministeriali del 20 marzo e del 3 aprile che raccomandano di eseguirli prioritariamente ai casi sintomatici/paucisintomatici, ai contatti a rischio sintomatici e agli operatori sanitari e agli ospiti di residenze per anziani: in altre parole la fase 2 è partita senza definire una nuova policy nazionale per l’esecuzione dei tamponi.
Avete sottolineato anche ampie differenze regionali nella media di tamponi effettuati al giorno: ciò significa che il sistema di monitoraggio dell’epidemia nel Paese è incompleto?
Considerata la rilevanza della strategia delle 3T (testare, tracciare, trattare), la Fondazione GIMBE ha aggiornato e approfondito l’analisi indipendente condotta sui dati della Protezione Civile: per valutare la reale propensione di una Regione all’attività di testing e tracing sono stati considerati solo i tamponi “diagnostici” e non quelli “di controllo”, utilizzati per confermare la guarigione virologica o per altre necessità di ripetere il test. Dalle analisi relative alle ultime 4 settimane emergono tre dati incontrovertibili: innanzitutto, il numero medio giornaliero di tamponi diagnostici per 100.000 abitanti è incredibilmente esiguo rispetto alla massiccia attività di testing e tracing necessaria nella fase 2; in secondo luogo, la propensione ad eseguire tamponi diagnostici presenta enormi e non giustificate variabilità regionali che influenzano anche il valore di Rt incluso negli indicatori del Ministero della Salute; infine, nelle ultime due settimane solo Provincia Autonoma di Trento e Valle D’Aosta hanno potenziato in maniera rilevante l’attività di testing (e paradossalmente la Valle D’Aosta ha visto aumentare il suo indice Rt).
Il prossimo 3 giugno verranno consentiti anche gli spostamenti tra Regioni: con la libera circolazione su tutto il territorio nazionale quali sono i rischi di una gestione dell’epidemia a livello regionale?
L’emergenza coronavirus e soprattutto la gestione della fase 2 hanno accentuato il cortocircuito di competenze tra Governo e Regioni in tema di tutela della salute, oltre che la “competizione” tra Regioni su tempi e regole per la riapertura. La decisione di affidare alle Regioni una totale autonomia sul monitoraggio dell’epidemia e sulle conseguenti azioni da intraprendere avviene in un contesto molto incerto e poco rassicurante. L’impatto sulla curva dei contagi delle riaperture del 18 maggio potranno essere valutate non prima del 1° giugno: dal 3 giugno, dunque, data in cui inizieremo a intravedere le conseguenze sulla curva epidemica delle riaperture del 18 maggio, il via libera alla mobilità interregionale e alla riapertura delle frontiere sancirà la libera circolazione su tutto il territorio nazionale anche dei soggetti contagiati. È evidente che le decisioni sulle riaperture hanno anteposto gli interessi economici del Paese alla tutela della salute. Tuttavia la dichiarazione del Premier Conte secondo cui si tratta di un rischio calcolato è smentita dall’impossibilità stessa di calcolarlo, perchè la gestione e il monitoraggio dell’epidemia sono affidati a 21 diversi sistemi sanitari che decideranno in totale autonomia ampliamenti e restrizioni delle misure in base ad una situazione epidemiologica autocertificata. La storia insegna che non è sano quando controllore e controllato coincidono.
In materia di testing e tracing, due dei pilastri che la Fondazione GIMBE ha indicato per la Fase 2, sono quindi necessarie politiche coordinate a livello nazionale?
Evidenze scientifiche e raccomandazioni internazionali puntano per la fase 2 su tre pilastri: mirata estensione dei tamponi per individuare i soggetti asintomatici (testing), strategie di tracciatura dei casi (tracing), inclusa l’app Immuni, e loro adeguato isolamento (treatment), oltre alle indagini siero-epidemiologiche per conoscere la diffusione del virus nella popolazione. Tuttavia, questi pilastri non dispongono nel nostro Paese di un’adeguata infrastruttura informativa, tecnologica e organizzativa. Inoltre, a fronte di linee guida elaborate da Governo e Regioni per la riapertura delle attività produttive e sociali, non esiste una strategia sanitaria nazionale per bilanciare tutela della salute e rilancio dell’economia, ma solo variabili orientamenti regionali. In altri termini, per la maggior parte delle Regioni — la ricerca attiva di contagi asintomatici e la tracciatura dei loro contatti non rappresentano una priorità nonostante siano strumenti indispensabili della fase 2, peraltro richiamati dal Premier Conte nella sua informativa al Parlamento del 21 maggio.
In mancanza di una strategia di questo tipo (3T) si baserà l’andamento della Fase 2 esclusivamente sul numero di ricoveri. Che problemi comporta ciò?
Esattamente. Dopo essere stati colti impreparati nella fase 1 senza mascherine, DPI, ventilatori, stiamo pericolosamente rinunciando a giocare d’anticipo affrontando la fase 2 con armi spuntate: considerati i clamorosi ritardi dell’app Immuni e dell’indagine siero-epidemiologica, l’unica arma a disposizione oggi sono i tamponi diagnostici. Se non si identificano, non si tracciano e non si isolano i casi asintomatici/lievi è evidente che, in caso di una risalita della curva epidemica, vedremo solo la punta dell’iceberg, ovvero l’unità di misura sarà l’incremento dei ricoveri in ospedale e in terapia intensiva. Anche questa è una strategia, ma se alcune Regioni intendono seguirla meglio renderla esplicita e smettere di fare tamponi, “tarandoli” sul numero dei casi che vogliono rendere pubblici.
Sono passati abbastanza giorni dall’inizio dell’allentamento del lockdown per calcolarne l’impatto sull’evoluzione della pandemia in Italia? Cosa ci dicono i dati?
Anche nella settimana 13-20 maggio il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE conferma sia la costante riduzione del carico di ospedali (-20,8%) e terapie intensive (-24,3%), sia il rallentamento sul fronte di contagi (+2,4%) e decessi (+3,9%). Tuttavia è bene ricordare che questi dati riflettono ancora la fase finale del lockdown: l’impatto sulla curva dei contagi di qualsiasi intervento di allentamento può essere misurato solo 14 giorni dopo il suo avvio. In altri termini, le conseguenze delle riaperture del 4 maggio possono essere valutate solo a partire dal 18 maggio e quelle del 18 maggio lo saranno non prima del 1° giugno.
Avete rilevato problemi di trasparenza in merito al monitoraggio, che nella Fase 2 è stato totalmente affidato alle Regioni? È sempre possibile accedere ai dati che indicano l’evoluzione dell’epidemia nel territorio?
La Fondazione GIMBE continua la sua rigorosa attività di monitoraggio indipendente sui siti web, conferenze stampa e social media delle Regioni. Stanno emergendo dati molto interessanti che saranno disponibili all’inizio di giugno.
(da Fanpage)
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Maggio 23rd, 2020 Riccardo Fucile
L’EX ASSESSORE DELLA LEGA ALESSANDRO CE’: “GALLERA CINICO E INCOMPETENTE”
Alessandro Cè è stato assessore leghista alla Sanità nella III giunta Formigoni. Oggi in un’intervista rilasciata al Fatto Quotidiano critica Gallera e Fontana per la gestione dell’emergenza Coronavirus SARS-COV-2 e COVID-19 in Lombardia
L’utilità delle Ats per la popolazione lombarda durante il Covid?
Direi nessuna. È evidente che non abbiano funzionato perchè da molti giorni prima del paziente 1 di Codogno erano presenti polmoniti atipiche e non mi risulta sia stata avviata nessuna indagine approfondita sul territorio. Tantomeno ci sia stata una “connessione virtuosa”con la Regione.
Eppure la loro funzione sarebbe di prevenzione delle malattie, programmazione e controllo dell’assistenza. Sono di fatto il potere esecutivo —con nomine politiche —del Pirellone
È stato commesso l’imperdonabile errore di dare maggiore importanza al numero di prestazioni erogate da ospedali, case di cura e ambulatori e aver trascurato la presa in carico dei pazienti che sarebbe dovuta avvenire attraverso le Ats, i distretti sanitari e i medici di base.
Una valutazione di Fontana e di Gallera.
Fontana direi disorientato. Gallera vanaglorioso, cinico e incompetente.
Cosa avrebbero dovuto fare?
La stessa cosa che ha fatto Zaia in Veneto: seguire indicazioni di persone competenti.
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2020 Riccardo Fucile
I DATI NON RISPONDONO A CRITERI UNIVOCI, IN QUESTO MODO LA RIPARTENZA NON E’ ATTENDIBILE
Nino Cartabellotta della Fondazione Gimbe lo sta ripetendo da mesi, da quando è iniziata la conta quotidiana dei casi di coronavirus in Italia.
C’è qualcosa che non torna, più di qualcosa, nei dati che le regioni trasmettono quotidianamente e che determinano il monitoraggio dell’epidemia a livello centrale.
Dati falsi regioni? Semplicemente errori di trasmissione?
Pochi strumenti a disposizione per fornire i numeri corretti e che servirebbero al governo per strutturare una riapertura con criterio? Probabilmente c’è di tutto, in un mix che — da questo momento in poi — potrebbe essere molto rischioso per il Paese, perchè porterebbe inevitabilmente a decisioni sbagliate
Innanzitutto, c’è un criterio molto semplice che deve essere preso in considerazione: se sono le regioni che devono trasmettere i dati che determineranno la loro ripartenza, è quantomeno intuibile che tenderanno a dare delle risposte rassicuranti, sia per evitare di restare indietro rispetto ad altri territori italiani, sia per evidenziare o nascondere elementi della gestione politica e amministrativa dell’emergenza a livello regionale.
Esempi? A bizzeffe. Non è un caso che in Lombardia, ad esempio, non si sia mai fatta una vera e propria distinzione tra i dimessi dagli ospedali e le persone realmente guarite dal coronavirus: come si conteggia il numero dei guariti? Qual è il dato vero dei pazienti non più positivi al Covid? In quel dato rientrano anche le persone che, per sintomi più lievi, vengono dimessi dagli ospedali ma devono ancora terminare di combattere la loro battaglia con il virus?
Altro esempio: nella provincia autonoma di Trento, soltanto a fine aprile, il rapporto tra positivi e tamponi effettuati faceva registrare un pericoloso 4%. Nel giro di due settimane il rapporto scendeva allo 0,14%. Quasi annullato. Il problema stava all’origine: alcuni errori di calcolo avevano permesso la trasmissione di un dato scorretto.
Lo stesso vale per la regione Marche che ha iniziato a conteggiare arbitrariamente, da un momento all’altro, soltanto i casi sintomatici. Ma, come sappiamo bene, sono proprio gli asintomatici positivi le persone che maggiormente rischiano di contagiare gli altri e di far partire nuovi focolai. Per non parlare del numero dei tamponi: in alcune regioni se ne fanno meno per avere meno possibilità di ‘incontrare’ pazienti positivi al coronavirus.
In queste condizioni, sottolineano gli esperti, non è possibile contare su dati precisi per poter organizzare una ripartenza sicura per tutto il territorio italiano. Con il lockdown ci è andata bene: tutti restavano nelle proprie abitazioni, a prescindere dai dati. Adesso che questi sono fondamentali per misurare le diverse reazioni del Paese alla ripresa delle attività , scopriamo tutti i limiti dei sistemi di tracciamento delle regioni. Ed è un grosso problema.
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2020 Riccardo Fucile
TAMPONI, CONTACT TRACING E TEST SERIOLOGICI
Dopo quelli elencati a marzo, il Fatto Quotidiano oggi apre con i dieci nuovi errori della Lombardia, partendo dalla curiosa (o comprensibilissima) riduzione dei tamponi per arrivare all’ospedale in Fiera. Vediamo i primi tre:
1. Tamponi.
La Regione Lombardia è ancora drammaticamente indietro nel numero di tamponi eseguiti. A livello nazionale è al 12° posto, con 64 test per 100 mila abitanti. La media ormai consolidata è di 12 mila tamponi al giorno. Di questi, solo il 50% è diagnostico, cioè eseguito per la prima volta. Con numeri così esigui è difficile aver un quadro epidemiologico chiaro. Rispetto alle segnalazioni di casi sospetti che arrivano alle Ats dai medici di base, è ancora forte il ritardo nell’esecuzione dei test. L’esempio più clamoroso è quello di Brescia: a fronte di 624 casi sospetti Covid segnalati tra il 18 e il 21 maggio, è stata eseguito un solo tampone.
n tutto, dall’inizio della Fase 2, dal 4 maggio, è stato testato — secondo un report riservato della Regione — soltanto 1 caso sospetto su 3. Scarseggiano i reagenti (sempre a Brescia, lo screening su 3 mila lavoratori si è dovuto bloccare e i campioni di sangue sono finiti nel congelatore, in attesa di tempi migliori). Infine, tardiva è stata la scelta di effettuare test prima a medici e infermieri. Risultato: record di operatori sanitari contagiati.
2. Contact tracing.
Lo scopo è individuare in modo rapido possibili nuovi focolai. Anche qui, bersaglio mancato. Secondo il consigliere regionale Pd Samuele Astuti, per ogni contagio le Ats seguono solo due contatti. In Veneto, invece, fino a 12. Il mancato tracciamento epidemiologico è stata una delle cause delle diffusione esponenziale registrata nella Fase 1.
3. Test Sierologici.
Sono partiti in ritardo e la Regione ha puntato su un solo test (Diasorin), con una gara di assegnazione finita anche sul tavolo della procura di Milano. Al 21 maggio i test eseguiti erano 113.709: molto pochi. Il 19% è risultato positivo, cioè 22 mila persone che dovranno essere testate con i tamponi.
Una settimana fa, la Regione assicurava che entro massimo 48 ore a queste persone sarebbe stato effettuato il tampone. A oggi, non è dato sapere se questo sia successo e per quanti. Vi è poi la questione dei test rapidi, sostenuti a gran voce dal virologo Massimo Galli, ma bocciati dalla Regione.
In alcuni comuni —come Cisliano —i sindaci hanno eseguito autonomamente test rapidi, individuando alte percentuali di positivi agli anticorpi. A queste persone l’Ats non ha ancora eseguito il tampone, non considerando valido il test sierologico rapido.
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2020 Riccardo Fucile
MANIFESTAZIONE ALLA “BAGGINA” DEI PARENTI DEGLI ANZIANI MORTI PER CORONAVIRUS
Graziella, Ivana, Bruno, Rina, Guido, Concetta, Renzo, Rosario… la lista continua a lungo, riempiendo il lenzuolo bianco appeso sulla cancellata del Pio Albergo Trivulzio e togliendo il fiato di chi si sofferma a leggere.
I freddi numeri che ormai da mesi siamo abituati a sentire nel macabro conteggio di contagiati e vittime del Covid-19 celano storie di persone che non ci sono più, di famiglie che ne piangono la perdita o, nel migliore dei casi, vivono nell’angoscia che la prossima telefonata sia quella che nessuno vuole ricevere.
Per “celebrare il ricordo dei morti e per testimoniare solidarietà ai vivi” oggi pomeriggio di fronte alla “Baggina” si è svolta la manifestazione organizzata dal Comitato Verità e Giustizia per le vittime del Trivulzio, con la partecipazione di tanti altri familiari di ospiti di RSA, tutti uniti da storie tristemente simili, che hanno trasformato le case di riposo da luogo di accudimento delle persone più fragili a palcoscenico della vicenda più dura e inquietante di questa dolorosa crisi epidemiologica.
La folla radunata di fronte al PAT non perde il self-control che, in tutta questa vicenda, ha accompagnato il portavoce Alessandro Azzoni e gli altri parenti che ne condividono il destino.
Non ci sono richieste di condanne esemplari, nè sfoghi di rabbia, ma la giusta esigenza dell’accertamento delle responsabilità e, soprattutto, richieste precise per il futuro, a partire dalla possibilità di effettuare visite protette così da ridare agli anziani ospiti delle RSA almeno quel calore familiare che ormai da mesi non possono ricevere.
Le testimonianze di chi si impegna in questa battaglia di civiltà sono toccanti, come i fiori portati all’ingresso della struttura, struggente il cartello con scritto “Papà mi manchi” e quello che ricorda la data dell’addio (“15-5-2020 Sei volata in cielo, ciao Mamma”), ma anche inquietanti come la testimonianza della signora Angela, che ha da poco perso la madre, che frequentava il PAT per attività di riabilitazione.
Come molti altri parenti di vittime, Angela non ha saputo niente di quanto stesse accadendo, fino a quando non è stato troppo tardi. Nel suo caso, la circostanza davvero incredibile è che Angela ha lungamente lavorato proprio al Trivulzio, fino allo scorso dicembre. Tutti la conoscevano, così come sua madre, ma nessuno ha sentito il bisogno di avvisarla, anche informalmente.
“Mi hanno tolto la vita”, afferma, mostrando una foto della mamma quando ancora non c’erano ragioni per temere nulla di tutto questo. Un dolore lancinante, soprattutto per chi, dopo una lunga militanza lavorativa, si sente tradito dalla struttura: “Lo hanno fatto per uno scopo ben preciso: per realizzare”, ci dice, con le lacrime agli occhi.
(da Open)
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Maggio 23rd, 2020 Riccardo Fucile
E’ STATA UNA DELLE PRIME ITALIANE A VINCERE IL CONCORSO IN MAGISTRATURA… LA RINUNCIA COSCIENTE AD AVERE FIGLI “PERCHE’ NON SI METTONO AL MONDO ORFANI”
Bisogna ammettere che di Francesca Morvillo si è sempre detto poco, ma non certo perchè lei fosse una “costola”, un accessorio muto del marito, ma perchè Giovanni Falcone ieri come oggi è sempre stato considerato un eroe, la sua di luce avrebbe messo all’ombra chiunque, anche una moglie come la Morvillo.
Era una donna mite e discreta ma il suo ruolo nella vita del marito è stato così importante che oggi molti amici della coppia affermano che forse il Falcone che abbiamo conosciuto non avrebbe avuto tale forza e determinazione senza di lei.
Prima di tutto partiamo da una considerazione. Quando il 23 maggio del 1992, alle 17.58, una carica di cinque quintali di tritolo fece saltare in aria un pezzo dell’autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci, vicino a Palermo, azionata dalla mano Giovanni Brusca, uccidendo il giudice Giovanni Falcone insieme alla sua scorta, e alla moglie appunto, Francesca non era lì per caso. Non fu un inciampo. Sapeva che prima o poi la mafia avrebbe ucciso anche lei e lei non si è mai tirata indietro.
Francesca Morvillo è la prima e unica magistrata assassinata nel nostro Paese. E’ stata una delle prime italiane a vincere il concorso in magistratura nel 1968, ha avuto una carriera brillante molto prima di conoscere Giovanni. E’ stata Sostituto Procuratore al Tribunale dei Minori di Palermo, prima che l’italiano media conoscesse il nome di Falcone.
Si conoscono a casa di amici nel 1979. Sono entrambi sposati e lui era appena tornato a Palermo dopo 14 anni di assenza. Succede che si innamorano e lasciamo i loro compagni. Francesca sa molto bene cosa fa. Sa che non sarà facile che lui non è un uomo come tanti. E Giovanni dal canto suo sa che solo una collega che si batte con passione per la giustizia come Francesca può sopportare tutto quello che gli anni insieme riserveranno a entrambi.
Da subito una scorta che non li lascerà mai e poi la rinuncia ad avere figli perchè come le disse un giorno Giovanni “Francesca, non si mettono al mondo orfani”.
Le foto che abbiamo di lei sono quasi tutte sorridenti, ma possiamo immaginare quanto sia stata dura. Dopo il periodo all’Asinara, è tornata a lavorare, non ha mai lasciato il suo impiego di magistrata e ha sempre aiutato Giovanni, per senso di giustizia e amore per la legalità ogni volta che lui le sottoponeva i suoi provvedimenti più delicati. Spesso lei è stata in disaccordo e glielo ha detto.
Si sposano, e poi arriva il momento in cui dopo il primo attentato sventato mentre sono in vacanza lui vuole divorziare per salvarla, ma lei resta, non solo per amore ma perchè Lei è una donna di Stato e quella è anche la sua guerra alla Mafia.
Altro che ombra… Francesca Morvillo è stata luce, è stata la degna compagna di un uomo non certo comune.
Sapete, forse è stata più coraggiosa, più caparbia, ostinata, eroica, perchè ha sempre saputo che non sarebbe stata ricordata mai quanto lui, ma è andata incontro alla morte lo stesso. Per amore di giustizia e per amore di un Uomo.
(da Globalist)
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Maggio 23rd, 2020 Riccardo Fucile
IL CORONAVIRUS NON HA BLOCCATO LA VOGLIA DEI GIOVANI DI DIRE NO ALLA MAFIA
Erano le 17.57 quando il giudice Giovanni Falcone, insieme alla moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e ai suoi tre agenti di scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, sono stati fatti saltare in aria mentre attraversavano un tratto dell’autostrada A29.
Era il 23 maggio 1992 e le immagini di quel brutale attentato mafioso, nei pressi di Capaci (Palermo), sconvolsero tutta l’Italia. Cosa Nostra si era voluta liberare di uno dei magistrati antimafia più temuti, un uomo con la schiena dritta.
Un’uccisione fortemente voluta dal boss Salvatore Riina anche se poi fu Giovanni Brusca a coordinare i dettagli dell’attentato. Da quel giorno sono trascorsi 28 anni.
Oggi, per la prima volta, a causa dell’emergenza sanitaria del Coronavirus e del conseguente divieto di assembramenti, non si terranno manifestazioni pubbliche, non ci sarà la cerimonia nell’aula bunker dell’Ucciardone e non salperà la nave della Legalità . Ci sarà , invece, un flash mob, “Palermo chiama Italia”, organizzato dalla Fondazione Falcone: verranno sventolati lenzuoli bianchi per ricordare sia la strage di Capaci che quella di via D’Amelio (in cui perse la vita Paolo Borsellino e i suoi cinque agenti della scorta il 19 luglio 1992). “Il coraggio di ogni giorno” è il tema di questa edizione, dedicata inevitabilmente a chi si è distinto nel quotidiano anche e soprattutto in questi mesi di emergenza per il nostro Paese.
Il discorso di Mattarella
Alle 8.35 è cominciata la diretta dal Ministero dell’Istruzione: sono già state srotolate le gigantografie di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e delle loro scorte. Pubblicato anche il video-messaggio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella:
I due attentati del 1992 segnarono il punto più alto dell’assedio della mafia nei confronti dello Stato colpendo magistrati di grande prestigio e professionalità che, con coraggio e determinazione, gli avevano inferto colpi durissimi svelando nell’organizzazione legami e attività illecite. I mafiosi, nel progettare l’assassinio dei due magistrati, non avevano previsto un aspetto decisivo, quel che avrebbe provocato nella società . Nella loro mentalità criminale non avevano previsto che l’insegnamento di Falcone e Borsellino, il loro esempio, i loro valori, sarebbero sopravvissuti rafforzandosi oltre la loro morte, diffondendosi e trasmettendo aspirazione di libertà dal crimine, radicandosi nella coscienza e nell’affetto delle tante persone oneste. La mafia si è sempre nutrita di complicità e di paura, prosperando nell’ombra. Le figure di Falcone e Borsellino hanno fatto crescere nella società il senso del dovere e dell’impegno per contrastare la mafia e per far luce sulle sue tenebre, infondendo coraggio, suscitando rigetto e indignazione, provocando volontà di giustizia e legalità . I giovani sono stati tra i primi a comprendere il senso del sacrificio di Falcone e Borsellino e ne sono divenuti i depositari, anche gli eredi. Dal 1992, anno dopo anno, nuove generazioni di giovani si avvicinano a queste figure esemplari e si appassionano alla loro opera e alla dedizione alla giustizia che hanno manifestato. Cari ragazzi, il significato della vostra partecipazione in questa giornata è il passaggio a voi del loro testimone, siate fieri del loro esempio e ricordatelo sempre.
Nel corso della giornata interverranno la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Federico Cafiero De Raho, il capo della Polizia Franco Gabrielli. A seguire verrà depositata una corona, in memoria degli agenti uccisi da Cosa Nostra, alla Stele di Capaci: a farlo saranno Maria Falcone, sorella di Giovanni, e Tina Montinaro, moglie di Antonio.
Alle 17.58, invece, è previsto il momento del silenzio sotto l’Albero Falcone e, in contemporanea, dal Giardino di Capaci. Quest’anno, per la prima volta, non ci sarà la partecipazione dei cittadini.
Quest’anno, come dicevamo, non ci sarà il tradizionale viaggio da Civitavecchia a Palermo che ogni anno ospitava centinaia di studenti e docenti da tutta Italia. Ci sarà , invece, un collegamento dalla nave delle legalità per raccontare le storie delle scuole italiane che negli anni passati hanno partecipato a questo viaggio.
La nave Splendid della SNAV, che in questi anni ha accompagnato i ragazzi nella traversata del 23 maggio, è attraccata al porto di Genova dopo essere stata trasformata in un ospedale galleggiante per i malati di Covid-19.
Il corteo per le vie del centro di Palermo, invece, sarà sostituito da un flash mob voluto dalla Fondazione Falcone che ha chiesto a gran voce di appendere un lenzuolo bianco sui balconi di casa, affacciandosi tutti insieme alle ore 18
Sarà possibile seguire tutte le manifestazioni sui canali social del Ministero dell’Istruzione e della Fondazione Falcone oltre che sui canali Rai. Due i programmi dedicati da Ra 1: “Uno Mattina in Famiglia” dalle 7.45 e “Italia sì” dalle 16.40.
(da Open)
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