Dicembre 7th, 2020 Riccardo Fucile
IL GESTORE DEL CIRCOLO PRIVATO SANZIONATO E ATTIVITA’ CHIUSA
Stavano festeggiando un matrimonio all’interno di un circolo privato di viale Porto Torres, a Sassari, senza mascherina o altri dispositivi di protezione individuale e in barba a qualsiasi prescrizione governativa, regionale e comunale.
È il motivo per cui sabato pomeriggio la Polizia (agenti della sezione amministrativa, delle Volanti, della squadra Mobile e della scientifica) hanno identificato oltre cento cittadini extracomunitari e stanno svolgendo ulteriori indagini per stabilire se ci siano gli estremi per assumere ulteriori provvedimenti per la violazione delle norme anti Covid-19.
La festa è stata subito interrotta e i partecipanti, invitati a lasciare l’edificio, si sono allontanati senza creare problemi. Identificato anche il proprietario del locale, che è stato convocato in Questura per la notifica di alcune sanzioni amministrative e la chiusura dell’attività . Su altri provvedimenti a carico del circolo deciderà la Prefettura.
A Napoli invece otto persone sono state sanzionate in quanto sorprese a partecipare a una festa abusiva all’interno di un b&b a via Duomo.
Gli agenti del Commissariato Decumani sono intervenuti sabato sera su disposizione della Centrale Operativa per una segnalazione di schiamazzi e musica ad alto volume provenienti dalla stanza di un bed and breakfast.
I poliziotti hanno udito forti rumori provenienti dall’interno della struttura e, una volta entrati, hanno sorpreso in una stanza otto napoletani tra i 21 e i 32 anni, di cui due con precedenti di polizia, tutti privi della mascherina e li hanno sanzionati per inottemperanza alle misure anti Covid-19
(da agenzie)
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Dicembre 7th, 2020 Riccardo Fucile
GLI EX COMANDANTI ACQUISTARONO DUE ALLOGGI IN UN COMPRENSORIO CHE IL COMUNE VOLEVA ABBATTERE
Una storia che ha origine nel 2006 quando Stefano Napoli e Antonio Di Maggio sono entrambi impegnati nel gruppo che controlla proprio quel territorio dove il costruttore Franco Di Bonaventura sta completando quel comprensorio privo dei permessi urbanistici.
Napoli ottiene il permesso dal Corpo di stipulare un contratto part- time con la Cosedil, una delle società del costruttore. Ed è lo stesso Napoli – come dimostrano oggi documenti inediti – a consegnare ad alcuni degli acquirenti le chiavi di casa, controfirmando i verbali di immissione in possesso della casa.
Il comandante del Corpo, che ha presentato le dimissioni il 30 novembre scorso, non si limita a questo. Il 19 dicembre del 2007 acquista un’abitazione di 47 metri quadrati, esattamente un mese dopo che il suo superiore di allora Antonio Di Maggio firmi il rogito per l’acquisto della sua casa.
Di Maggio dichiara oggi di non aver saputo che quelle case fossero abusive. Una circostanza che non può essere confermata per Napoli. Non solo per via del rapporto con il costruttore e del ruolo ricoperto nella vendita delle case, ma anche per quanto riportato sul contratto di acquisto di quella casa, che Report è riuscito a recuperare. Nel contratto il costruttore dichiara che sulla casa pesa ancora l’assenza di sanatoria da parte del Comune. Alcuni anni dopo il Comune si rende conto dell’abuso tanto da chiedere che quelle case vengano abbattute.
I due comandanti (Napoli e Di Maggio), insieme agli altri acquirenti, fanno ricorso al Tar. Il 27 gennaio del 2017 il tribunale amministrativo si pronuncia in favore dei ricorrenti, ribadendo che quelle case sono abusive, ma riconoscendo al Comune una grave responsabilità , quella di essersi reso conto con “colpevole ritardo” dell’illegittimità di quei titoli edilizi.
Una volta ottenuta la copertura del Tar, molti degli acquirenti hanno tentato di rivalersi nei confronti del costruttore, riuscendo perfino a farsi ricevere insieme ai loro avvocati dalla segreteria della sindaca Raggi. ” Alla segreteria della sindaca – racconta uno dei residenti del comprensorio abusivo – abbiamo portato tutte le carte, raccontando anche il ruolo svolto dai due comandanti dei vigili, in particolare da Napoli”.
Era l’inizio del 2018. Poche settimane dopo Antonio Di Maggio è stato nominato dalla Raggi comandante generale del Corpo di polizia locale di Roma Capitale. Nel luglio scorso lo stesso onore è toccato a Stefano Napoli.
(da agenzie)
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Dicembre 7th, 2020 Riccardo Fucile
L’ETA MEDIA DELLE VITTIME E’ DI 80 ANNI, IL 97% AVEVA ALTRE PATOLOGIE… PEGGIORAMENTI IN SICILIA E CAMPANIA
L’Istituto superiore di sanità fa il punto sulle vittime del Covid. Il 39,9% dei decessi verificatisi per Covid in Italia dall’inizio della pandemia, è avvenuto in Lombardia, ovvero 22.252. A livello nazionale, l’età media dei deceduti è 80 anni mentre solo l’1,2%, ovvero 657, era under 50 e il 97% aveva malattie precedenti.
In estate l’età media delle vittime era salita fino ad arrivare a 85 anni (la prima settimana di luglio, per poi tornare a calare). Quasi tutti, il 97%, con almeno una patologia pregressa: complessivamente, riferisce l’Iss, 180 pazienti (3,1% del campione) presentavano 0 patologie, 712 (12,4%) una patologia, 1060 (18,5%) 2 patologie e 3774 (65,9%) presentavano 3 o più patologie.
E’ quanto mostra il Report sulle caratteristiche dei pazienti deceduti positivi a Sars-CoV-2 in Italia, basato sui dati aggiornati al 2 dicembre e che descrive le caratteristiche di 55.824 pazienti. La seconda regione per numero di decessi è l’Emilia Romagna con 5.805 (10,4% del totale), seguita da Piemonte 5556 (10%), Veneto 3899 (7%), Lazio 2525 (4,5%) e Liguria 2419 (4,3%).
La diversa distribuzione territoriale in questa seconda ondata ha cambiato le proporzioni: da marzo a maggio in Lombardia si registravano il 47,6% delle morti, quasi la metà del totale, per scendere al 32,3% nel periodo giugno-settembre e al 27% tra ottobre e dicembre. In calo rispetto al dato generale anche il Piemonte, che aveva l’11,9% dei decessi nella prima fase, per poi calare al 9,2% in estate e al 6,7% nella seconda ondata. Viceversa, le regioni del centrosud hanno visto incrementare il loro contributo alle vittime totali: il Lazio è passato dal 2,4% della prima ondata al 7,9% della seconda, la Toscana dal 3% al 6,4. Peggio la Sicilia, passata dallo 0,9% al 6,2% del totale, e la Campania, dall,1,4% all’8,3%.
(da agenzie)
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Dicembre 7th, 2020 Riccardo Fucile
ELARGIZIONI STATALI NON DOVUTE PER 350.000 EURO
Più di 350mila euro versati dallo Stato per il reddito di cittadinanza sono per lo più finiti nelle tasche dei clan della Piana di Gioia Tauro.
Altri 21mila erogati per i buoni spesa nei mesi del primo lockdown se li sono accaparrati gli ‘ndranghetisti della Locride e i loro familiari, inclusa la sorella di un latitante che nello stesso mese in cui riceveva il sussidio firmava buoni fruttiferi per 7mila euro.
Si sono appropriati anche delle briciole e degli aiuti destinati alle famiglie in difficoltà i clan della provincia di Reggio Calabria. A scoprirlo i carabinieri del comando provinciale e delle stazioni del territorio, che per mesi hanno passato al setaccio gli elenchi dei beneficiari di indennità e sussidi.
Risultato, fra Gioia Tauro e Rosarno, 50 persone sono state denunciate per indebita percezione del reddito di cittadinanza.
Fra loro ci sono anche condannati in via definitiva per mafia, inclusi diversi boss dei clan locali, e familiari diretti di elementi di spicco della cosca Bellocco — Pesce di Rosarno, negli anni passati raggiunti da sequestri milionari.
Molte delle richieste — hanno accertato i carabinieri — erano state presentate da donne che hanno “dimenticato” di segnalare la presenza di condannati o detenuti per ‘Ndrangheta all’interno del proprio nucleo familiare, in modo da aggirare le norme che le avrebbero escluse dai sussidi. In altri casi invece, c’è chi ha scelto di barare sulla reale residenza. Sulla carta, madre e figlia o zia e nipote, ad esempio, vivano in due abitazioni diverse, ma in realtà dividevano la stessa casa.
Risultato, entrambe ricevevano per intero il sussidio mensile di circa 800 euro al mese, cui per reddito e condizioni non avrebbero avuto diritto. Abusi, imbrogli e irregolarità che alle casse dello Stato sono già costate circa 357.000mila euro e se non fossero stati accertati avrebbero significato un ulteriore esborso di 127mila euro.
Non si tratta dei primi casi. Nei mesi scorsi, un’altra operazione dei carabinieri ha permesso di individuare altri 87 furbetti del reddito di cittadinanza, che per mesi hanno ricevuto indebitamente i sussidi. In totale, si tratta di oltre un milione di euro di aiuti finiti anche nelle tasche dei clan, per i quali sono stati avviati procedure di recupero e procedimenti penali.
Ma negli ultimi mesi, è emerso dalle indagini, la ‘Ndrangheta ha deciso di mettere le mani anche sui bonus spesa, il sussidio mensile che va dagli 80 ai 200 euro, ideato dal governo e affidato ai Comuni nei mesi del lockdown, per permettere a famiglie e soggetti in difficoltà di acquistare cibo e beni di prima necessità .
È successo ad Africo, Bianco, Brancaleone, Bruzzano, Caraffa del Bianco, Casignana, Ferruzzano, Palizzi, Samo, San Luca, Sant’Agata del Bianco e Staiti. Sono tutti Comuni della Locride ed è qui che, controllando gli elenchi dei beneficiari, i carabinieri hanno scovato e denunciato 135 persone, per metà residenti a San Luca, feudo storico dei più antichi e potenti clan della zona, che hanno barato sulle proprie reali condizioni, pur di strappare il sussidio.
Fra loro c’è chi ha barato sulla reale residenza, chi sulla composizione del nucleo familiare, chi ha dimenticato di dichiarare gli altri aiuti e indennità percepite. E almeno un terzo dei “furbetti” del bonus — hanno scoperto gli investigatori — è legato a famiglie di ‘Ndrangheta.
In elenco c’è anche un sorvegliato speciale di Pubblica Sicurezza, già percettore del reddito di cittadinanza, nonchè la sorella di un uomo tuttora latitante, che nello stesso mese in cui ha percepito il “buono spesa covid-19” ha anche sottoscritto buoni fruttiferi per 7mila euro. In totale, oltre 21mila euro destinati a soggetti in difficoltà sono finiti in mano a chi non ne aveva diritto. Soldi che adesso dovranno restituire, mentre le accuse contro di loro sono al vaglio della procura di Locri.
(da agenzie)
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Dicembre 7th, 2020 Riccardo Fucile
SE IL 5 GENNAIO VINCONO I DEMOCRATICI AVRANNO LA MAGGIORANZA IN SENATO… TRUMP STA DIVENTANTO UNA PALLA AL PIEDE PER I SUOI
Il 5 gennaio la Georgia deciderà gli equilibri della politica americana per i prossimi due anni: nello Stato del Sud infatti si voterà per assegnare due seggi vacanti al Senato, seggi che faranno andare la bilancia del potere — ora pari — da una parte o dall’altra.
A novembre la Georgia ha fatto registrare un forte aumento di elettori alle urne, che hanno consegnato uno Stato tradizionalmente repubblicano al democratico Joe Biden: la differenza fra Biden e Trump è stata solamente di 12 mila voti.
Ora entrambi i partiti si stanno impegnando per vincere non solo uno ma entrambi i seggi in palio: aggiudicarsene uno non sarebbe sufficiente ai democratici per strappare il controllo del Senato a Mitch McConnell, capogruppo dei repubblicani e senza dubbio il più importante esponente del suo partito oggi.
Controllare il Senato sarà vitale per i democratici: senza di esso, difficilmente le politiche che Biden punta a mettere in atto riusciranno a passare il vaglio del Congresso.
La posta in ballo è alta: non stupisce dunque che gli strateghi repubblicani fossero molto nervosi di fronte all’ipotesi che un rancoroso e confuso presidente Trump si presentasse in Georgia per sostenere i candidati locali.
E avevano ragione. Trump ha usato il discorso di sabato come ha fatto in tutte le sue uscite post-elettorali — per lo più su Tiwtter – per presentare un lungo elenco di accuse senza nessuna base legale, sposare teorie del complotto e puntare il dito contro “i poteri forti” che a suo dire stanno facendo di tutto per cacciarlo dalla Casa Bianca.
Il presidente ha anche attaccato i leader repubblicani dello Stato, compreso il governatore, che a suo dire non hanno messo in discussione la vittoria di Biden.
Gli strateghi repubblicani temono che questo atteggiamento possa, alla lunga, alienare molti elettori che, alle prese con la pandemia e tutte le questioni che ha aperto, non hanno necessariamente voglia di alzarsi dal divano per tornare alle urne a due mesi l’ultima volta.
La risposta su quale atteggiamento Trump avrebbe tenuto è arrivata subito: “Sapete bene che abbiamo vinto qui in Georgia. Non abbiamo perso”, ha detto il presidente. E da lì in avanti sono stati 100 minuti di sfida aperta alla realtà dei fatti, con poche menzioni per i due candidati che a gennaio si presenteranno al giudizio degli elettori.
E così è passata anche la possibilità per Trump di contribuire a fermare la terza sconfitta consecutiva del suo partito, che ha già perso la Casa Bianca e la Camera dei Rappresentanti. Trump, ancora una volta, ha dimostrato quello che pensa: the USA c’est moi!
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 7th, 2020 Riccardo Fucile
ECCO I GRAFICI… COSA NON HA FUNZIONATO? AVEVAMO RAGIONE A DIRE CHE ABBIAMO PERSO DUE MESI QUANDO INVECE ANDAVA CHIUSO TUTTO SUBITO
Quanto è stato determinante il Dpcm del 6 novembre durante questa seconda ondata della Covid19? Il Governo Conte aveva diviso l’Italia in tre zone di rischio con la speranza di migliorare la situazione, ma dalle analisi svolte da Open insieme al fisico Enrico D’Urso risulta meno efficace rispetto al lockdown attuato a inizio Pandemia.
Si è scelta una via blanda rispetto al lockdown, per ragioni economiche e sociali, senza però frenare con decisione la diffusione del virus e di conseguenza i contagi.
Durante l’approvazione del Dpcm del 6 novembre era già presente un calo degli incrementi delle terapie intensive, per poi iniziare una lenta discesa che non è dipesa dai provvedimenti governativi quanto dal numero dei decessi.
Quello che risulta evidente è che si è ottenuto una mitigazione della diffusione del virus, non un calo deciso, infatti i grafici mostrano che gli ospedali si svuotano più lentamente, proprio perchè continuano a presentarsi nuovi contagi e conseguentemente nuovi pazienti.
Questo articolo segue quello precedente del 14 novembre, dove abbiamo analizzato le differenze tra prima e seconda ondata, tenendo in considerazione il numero dei ricoveri, delle terapie intensive e dei decessi in relazione alla capienza massima degli ospedali nell’assistere i casi gravi (SSN), valori che ci aiutano a capire meglio come si diffonde il nuovo Coronavirus in Italia.
La situazione prima del Dpcm
La curva dei pazienti ricoverati con forme gravi di Covid-19 si stava avvicinando al limite della SSN, fissato a cinquemila posti in terapia intensiva con un massimo di settemila relativo ai posti totali, tenuto conto che l’emergenza sanitaria avrebbe potuto assorbire anche i letti destinati ad altri reparti.
Sovrapponendo le curve della prima e della seconda ondata, facendo coincidere nei grafici le loro date di inizio, i rapporti tra ospedalizzati, terapie intensive e decessi erano più bassi rispetto al primo picco. Questo dato ci ha fatto riflettere su quanto eravamo impreparati all’emergere del virus.
Nella prima parte della pandemia abbiamo tanti morti in funzione delle terapie intensive. Non sapevamo quali protocolli terapeutici adottare e avevamo un grande numero di anziani ammalati, mentre all’iniziare del secondo picco c’erano pochi anziani e sapevamo quali misure mediche adottare.
Il limite di capienza degli ospedali era un rischio già evitabile, così come il raggiungimento di un picco per poi iniziare una discesa, non solo in ragione dei guariti, ma anche dei morti. Rimane una costante, ossia la presenza nella popolazione di soggetti maggiormente a rischio che si riflettono nei grafici osservati nel precedente articolo.
Vediamo ora quanto è successo durante l’ultimo Dpcm, in attesa dell’entrata in vigore del più recente dal 21 dicembre al 6 gennaio, dopo il quale torneremo a osservare i grafici.
Terapie intensive: il Dpcm ha influito poco
Rispetto al lockdown abbiamo regioni con misure più lievi (zone arancioni e gialle), contrapposte ad altre con maggiori restrizioni (zone rosse). Secondo quanto emerso nei documenti relativi ai verbali del Comitato Tecnico Scientifico — noti grazie a una richiesta della Fondazione Einaudi — questa divisione in tre tipologie di regioni era stata deliberatamente ignorata dall’amministrazione di Giuseppe Conte, portando al lockdown e suscitando così diverse critiche.
Come possiamo vedere nel primo grafico, la curva dei ricoveri in terapia intensiva (linea blu) stava già calando da circa un mese, quindi era fisiologico che si sarebbe formata una gobba per poi avere un calo.
In altre parole, l’andamento era lineare e non più esponenziale, come ci si aspetta da un virus del genere, se lasciato libero di circolare.
Il problema era quello di non farla proseguire oltre il limite della capienza, anticipando il più possibile la discesa, perchè statisticamente avremo in proporzione non solo pazienti guariti, ma anche delle vittime.
Gli ospedali si vuotano più lentamente
Il secondo picco arriva il 25 novembre, con 3848 terapie intensive occupate (con un limite stimato sui cinquemila), oltre hanno cominciato a calare. Con che velocità rispetto al primo picco?
Nel secondo grafico vediamo un confronto degli incrementi (sopra lo zero) e decrementi (sotto lo zero), tra prima e seconda ondata (rispettivamente linea rossa e blu). Il lockdown è associato a un calo più netto dei ricoveri in terapia intensiva, rispetto a quelli visti durante il Dpcm del 6 novembre.
Per farci un’idea di cosa potrebbe essere successo ripassiamo alcuni concetti, che potete approfondire meglio nei nostri articoli precedenti.
Il tasso di riproduzione del SARS-CoV-2 (Ro=2) è tale da avere una diffusione esponenziale della Covid-19, ed è una proprietà intrinseca del patogeno. Con l’arrivo delle misure di contenimento, come il distanziamento sociale, si considera l’indice di trasmissione (Rt) che non dipende solo dal virus, ma soprattutto dalla presenza di ostacoli alla sua diffusione.
Di conseguenza, avere un Rt basso non indica necessariamente lo scampato pericolo, ma solo che esiste una qualche barriera alla diffusione dell’epidemia, ragione per cui lo sviluppo di appositi vaccini resta sempre il miglior provvedimento possibile da integrare agli altri.
Perchè avere meno terapie intensive occupate non è sempre una buona notizia
È anche vero che ospedali e personale medico devono essere mantenuti al meglio, per questo occorre non penalizzare più di una certa soglia l’economia del Paese. Osservando questa fase di calo abbiamo visto che le terapie intensive si svuotano, anche se più lentamente: cosa vuol dire?
Il terzo grafico mostra i rapporti tra terapie intensive e ricoveri (linea verde), tra morti e terapie intensive (linea blu), e l’andamento medio settimanale del rapporto (linea rossa).
Vediamo che c’è poco da stare allegri, perchè aumentano i morti: sono questi a incidere particolarmente sul calo dei posti occupati.
Il 4 dicembre il rapporto morti/terapie intensive era circa del 20%. Osserviamo in particolare, che durante l’estate si ammalavano soprattutto i giovani, adesso aumenta l’età media dei pazienti gravi.
Nell’ultimo grafico osserviamo una sovrapposizione dei ricoveri in terapia intensiva tra prima ondata (linea blu) e seconda ondata (linea rossa).
Nella prima ondata la discesa era più rapida, ma questo perchè c’erano molti più decessi. Nella seconda ondata si ammalano più persone, ma nell’arco di più tempo. Di fronte ai grafici, l’ultimo DPCM sembra mitigare la curva senza apportare un netto miglioramento della situazione.
Abbiamo preferito provvedimenti meno rigidi nel lungo periodo ad altri più rigidi nel breve periodo, per venire in contro a comprensibili esigenze economiche.
Alla luce di questo, forse non sarà un grande sacrificio affrontare le nuove misure previste durante le Feste, visto che lo scopo è quello di viverne molte altre nei prossimi anni, possibilmente assieme ai membri che tendono a riunire maggiormente le famiglie in queste occasioni, generalmente i più anziani.
L’obiettivo del Dpcm del 6 novembre era quello di appiattire la curva della seconda ondata. Esistevano alternative ancora più blande? Qualcuno suggeriva il modello svedese, ma abbiamo visto che questo non è attuabile in Italia, con una popolazione più elevata e conseguentemente meno posti in terapia intensiva. Del resto, i grafici della Svezia non sembrano mostrare alcun virtuosismo.
Un altro modello è quello proposto dai firmatari della Great Barrington Declaration, su cui un successivo studio di The Lancet poneva non pochi dubbi: si voleva isolare la popolazione anziana, lasciando che il resto si immunizzasse naturalmente; ma non è possibile raggiungere l’immunità di comunità naturalmente; nè i firmatari della Great Barrington spiegavano, come sarebbe stato possibile tenere tutti i soggetti più vulnerabili perfettamente al riparo.
(da Open)
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Dicembre 7th, 2020 Riccardo Fucile
AVEVA FATTO IL TAMPONE QUESTA MATTINA AL VIMINALE, HA SUBITO LASCIATO LA RIUNIONE
Positiva. E il coronavirus colpisce di nuovo un componenti del governo.
L’agenzia Agi riferisce che la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, è risultata positiva al Covid19. La ministra si era sottoposta questa mattina al tampone presso il Viminale e si è poi recata a Palazzo Chigi per partecipare al consiglio dei ministri sul Recovery Plan.
Nel pomeriggio, però, è arrivato il risultato e dopo aver appreso la positività di Lamorgese, il premier Conte ha sospeso per circa mezz’ora il cdm e la ministra ha lasciato il vertice.
Nei mesi scorsi anche il ministro ai Rapporti con le Regioni, Francesco Broccia, era risultato posiitivo al coronavirus.
(da agenzie)
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Dicembre 7th, 2020 Riccardo Fucile
QUALCUNO VOTERA’ SI’ APERTAMENTE, MOLTI ALTRI USCIRANNO DALL’AULA: E I SOVRANISTI AVREBBERO LA DIMOSTRAZIONE CHE NON CONTANO UNA MAZZA
Il governo mercoledì dovrà affrontare una prova alquanto scivolosa: il voto in Senato sulla risoluzione di maggioranza sulla riforma del Mes.
A preoccupare il premier Giuseppe Conte, che sa di avere numeri più risicati a Palazzo Madama, non solo quel che resta della fronda 5 stelle impuntata sul no, ma anche Forza Italia, che dalla posizione europeista, la stessa del Ppe, ha virato ufficialmente sull’asse Salvini-Meloni, che si oppone all’indirizzo dell’esecutivo sul meccanismo Salva-Stati. Tuttavia, la situazione potrebbe rivelarsi diversa dal previsto, dal momento che rispetto alla linea ufficiale di Silvio Berlusconi, ribadita dal vicepresidente del partito Antonio Tajani, ci sarà chi ne prenderà le distanze facendo mancare il suo voto o, in alcuni casi, votando sì.
Schierati dalla parte delle ragioni dell’esecutivo, prima di tutto i fuoriusciti da FI: la componente di centrodestra ‘Idea e Cambiamo’, costituita da Gaetano Quagliariello, Paolo Romani e Massimo Vittorio Berutti, e Paola Binetti, all’interno del gruppo parlamentare azzurro, ma appartenente all’Udc insieme ad Antonio De Poli e Antonio Saccone.
L’Udc voterà diversamente da Forza Italia
“Forza Italia — ci tiene a spiegare Binetti ad HuffPost — mentre si è espressa sempre in modo molto positivo rispetto alla possibilità di acquisire le risorse economiche del Mes, rispetto alla revisione del trattato ha espresso parere negativo e questa è la posizione formale e ufficiale di Forza Italia che non solo è su tutti i giornali, ma che io riconfermo”. La senatrice romana racconta come “quasi sempre l’Udc vota insieme a FI, ma questa volta la nostra posizione è diversa”.
Quali le motivazioni? “La nostra posizione — prosegue — è di certo favorevole alle risorse economiche”. In questo momento le difficoltà sono tante: “Dalla temporizzazione del Recovery Fund che sembra allontanarsi sempre più, con una mancanza di chiarezza rispetto a quelle del Recovery Plan, a tutte le resistenze poste da Italia Viva, rispetto al modo di gestire i fondi, fino ad arrivare alla task force di esperti”.
Se in questo momento “avessimo avuto il pronto contante, le risorse del Mes, i famosi 36 miliardi a qualcosa, certamente il Paese avrebbe avuto un momento di tranquillità , perchè i soldi non si stampano la notte e li abbiamo spesi con le famose manovre di scostamento, parliamo di quasi 120 miliardi, quindi non uno scherzo”, ragiona Binetti.
“Fatta questa premessa, l’Udc ai fondi, fondamentali, dice sì e dunque si scosta da Forza Italia e lo fa anche sulla base di una consapevolezza che vogliamo sottolineare ed è un rinnovato atto di fiducia nei confronti dell’Europa”.
La posizione viene fuori dal cambio di scenario in seno all’Ue portato dal Covid: “In questa fase di emergenza è emersa una visione solidaristica rispetto alle pratiche abituali e l’Italia è uno dei Paesi che ne godrà maggiormente”. In sostanza all’Udc “sembrava importante dare un segnale positivo non solo all’Europa come astrazione, ma anche a quel Partito Popolare Europeo che in Europa voterà a favore del Mes”.
Come ribadisce Binetti, “l’Udc è nel Ppe, perciò a noi questo sembrava un modo concreto di sostenere una linea politica attuale che è anche la linea politica di tendenza per noi rispetto al fatto che noi nel centrodestra siamo i più centristi”.
La decisione, volvendo tirare le fila, è un modo per “sostenere una visione dell’Europa ricollocata al centro dei suoi valori, delle sue scelte e, nel caso specifico, anche di investimenti”. In tal senso, votare a favore del Mes e della riforma del Mes rappresenta altresì “un’ipoteca forte per poter poi accedere alla riforma stessa”.
A favore Quagliariello & Co., mentre gli ‘stressati’ di FI spariranno dall’Aula
Come dicevamo, il piccolo gruppo composto da Quagliariello, Romani e Berutti darà il suo assenso alla risoluzione sulla riforma del Salva-Stati, essendo ‘Idea e Cambiamo’ in forte dissenso su questo punto con Forza Italia.
Tra gli azzurri, invece, “non mancano le fibrillazioni”, rivela una fonte, “e la sensazione di disagio e stress dilaga”.
Così, “come si fa in questi casi, o si esce dall’Aula, o ci si astiene o si vota a favore”. Ricordiamo che, a differenza del voto sullo scostamento di bilancio, che richiedeva il sì di una maggioranza assoluta (161 su 321 in Senato), il voto sulla riforma del Mes di mercoledì richiederà solo la maggioranza relativa: i sì devono semplicemente superare i no.
Facendo un mimino di conti previsionali, come spiegato anche dal costituzionalista dem Stefano Ceccanti al Sole24ore, i primi possono oscillare “tra i 155 e i 160 sommando i gruppi M5S, Pd, Iv, Autonomie e larga parte del Misto, pur detraendo una quindicina di senatori M5S. I no si collocano invece intorno ai 140-145 al massimo sommando al centrodestra cinque dei 15 dissidenti M5S”.
Senza considerare, appunto, Forza Italia, in cui alcune teste potrebbero scostarsi dalla linea ufficiale. Se Tajani in un’intervista alla Verità ha parlato a suon di distinguo: “In realtà Berlusconi ha sempre respinto questa riforma… non c’è stato nessun cambio di direzione da parte nostra”, altri mugugnano e sono pronti a fare muro di gomma.
Il senatore forzista Andrea Cangini, sentito da HuffPost, ha chiarito la sua posizione, dicendo che essa è legata alla mediazione all’interno di Forza Italia: “Se il mio partito troverà il modo di conciliare il proprio europeismo con un voto contrario alla riforma del Mes, accetterò di buon grado il compromesso”.
Cosa voterà mercoledì? “Sì, ma solo se nessuna mediazione verrà trovata e se il mio voto non sarà decisivo per tenere in vita un governo evidentemente inadeguato alla gravità della condizione in cui è precipitata la nostra povera Italia”.
Un colonnello azzurro spiega che “più della metà dei sentori di Forza Italia vorrebbe votare sì, ma il duo Ronzulli-Bernini sta spingendo per seguire la linea di Berlusconi-Tajani, la stessa partorita da Salvini-Meloni”.
Vista l’aria che tira, dunque, non sembra che la risoluzione di maggioranza sulla riforma del Mes sia in pericolo, o almeno non potrebbe esserlo a causa dell’opposizione di centrodestra, che da sola, anche votando no in modo compatto, non potrebbe mettere a repentaglio l’esecutivo.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 7th, 2020 Riccardo Fucile
AL SISI INCONTRA MACRON A PARIGI, L’EUROPA PENSA AI RAPPORTI COMMERCIALI E L’ITALIA A VENDERE ARMI: BRAVI, CONTINUATE A RICEVERE UN CRIMINALE CON TUTTI GLI ONORI
Patrick Zaky resta in carcere per altri 45 giorni. Lo ha deciso un giudice del Cairo respingendo l’istanza della difesa che ne aveva chiesto l’immediata scarcerazione. Si tratta dello stesso giudice che ieri ha ordinato il congelamento dei beni dei dirigenti della Ong con cui collabora lo studente dell’università di Bologna – Egyptian initiative for human rights, Eipr – arrestati nelle settimane scorse e poi rilasciati in seguito alle pressioni internazionali.
Zaky è stato arrestato il 7 febbraio scorso, di ritorno da Bologna in Egitto per una breve vacanza. Le accuse a suo carico sono basate su dieci post di un account Facebook che i suoi legali considerano fake ma che hanno configurato fra l’altro la “diffusione di notizie false, l’incitamento alla protesta e l’istigazione alla violenza e ai crimini terroristici”. Secondo Amnesty International rischia fino a 25 anni di carcere.
“Dopo ore di attesa questa decisione vergognosa e sconcertante di rinnovare di altri 45 giorni la detenzione di Patrick Zaky lascia senza fiato e sgomenti”, commenta Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia. “Patrick terminerà questo anno terribile nella prigione di Tora”, sottolinea Noury, lanciando un appello: “E’ veramente il momento che ci sia un’azione internazionale guidata e promossa dall’Italia per salvare questo ragazzo, questa storia anche italiana, dall’orrore del carcere di Tora in Egitto”.
La notizia arriva nel giorno in cui il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi è a Parigi per una visita di tre giorni, cominciata con un incontro all’Eliseo destinato a rafforzare la cooperazione bilaterale di fronte alle crisi in Medio Oriente.
Sul piede di guerra le associazioni di difesa dei diritti umani, che contestano questa visita.Ancora in sospeso c’è anche la vicenda giudiziaria di Gasser Abdel Razek, Karim Ennarah e Mohamed Basheer, dirigenti di Eipr, fermati a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro con l’accusa di aver diffuso informazioni false e di aver complottato contro lo Stato. Due giorni fa sono stati rilasciati ma le accuse contro di loro non sono state ritirate. La decisione di congelarne i beni, come riferisce l’Ong stessa in un tweet, è stata presa senza aver ascoltato la difesa presentata dai legali, a cui è stato nuovamente negato l’accesso agli atti.
(da agenzie)
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