Febbraio 14th, 2021 Riccardo Fucile
LA CRISI RACCONTATA DA CRIMI PER RISPONDERE ALLE FEROCI CRITICHE ALL’ASSEMBLEA DEI PARLAMENTARI
Lo scambio di sms con Zingaretti, il silenzio del presidente del Consiglio incaricato e qualche attacco alle altre forze politiche: le spiegazioni (o giustificazioni?) che il reggente del Movimento ha dato ai suoi parlamentari
Ore 18.15. Mario Draghi, tra 45 minuti, salirà al Colle per sciogliere le riserve sulla sua nomina a presidente del Consiglio. Sul cellulare di Nicola Zingaretti arriva un messaggio: «Sai qualcosa?». È Vito Crimi il mittente, e la domanda è relativa alla lista dei ministri che di lì a poco il presidente della Bce presenterà a Sergio Mattarella. «No, e tu?», risponde il segretario del Partito democratico. Anche il reggente del Movimento 5 stelle non sa nulla. Alle 18.30 il telefono di Crimi squilla, ma la chiamata non arriva dal Nazareno.
Mario Draghi comunica al reggente dei 5 stelle chi sono i ministri del Movimento che ha scelto. Crimi gli domanda quali fossero gli altri nomi che riceveranno l’incarico, le tipologie di ministeri. «Zero totale, non mi ha detto nulla», spiegherà ai colleghi del suo partito. «Draghi ha aggiunto soltanto che ci sarebbero stati nella squadra di governo anche Cingolani e Giovannini».
Il resto, è storia nota: solo Sergio Mattarella ha saputo prima degli altri da Draghi cosa sarebbe successo alle 19.30 del 13 febbraio. Tutti gli altri, politici compresi, hanno dovuto aspettare la diretta YouTube dal Quirinale per avere il quadro completo della situazione.
«In tutte le interlocuzioni avute con Draghi, non si è mai fatto scappare un nome, un’idea di progetto. Niente di niente». Crimi, in riunione con i deputati del Movimento, giustifica così l’impossibilità di incidere per tempo nella formazione del governo e, magari, opporsi al nome di qualche ministro.
«È un uomo che sa che, con un battito di ciglia, può smuovere miliardi. Forse per questo Draghi ha un grande senso di riservatezza al quale non eravamo abituati». Allora, se il Movimento 5 stelle si trova soltanto con quattro ministri politici — di cui due sono senza portafoglio — come lo si giustifica alla parte scontenta del gruppo parlamentare?
«Beppe ha avuto questo tipo di intuizione: non ragionare su chi ci sta e chi no. Ma ragionare sul “ne vale la pena?”. Ovvero: possiamo sfruttare come Movimento 5 stelle questo momento?».
Crimi prova a raccontare ai parlamentari del suo gruppo qual è stato l’arrière-pensèe di Beppe Grillo: «Se il governo deve nascere adesso, visto che abbiamo il Recovery Plan, è il momento di mettere in atto la nostra principale direttrice, e cioè la transizione ecologica. Beppe ha volato alto e ha scelto di far nascere questo governo per prendersi cura delle future generazioni».
Poi, il reggente del Movimento tira fuori l’asso nella manica — almeno dal punto da vista narrativo — e parla ai suoi di non quattro, ma sei ministeri dati al Movimento. «Draghi mi ha detto che ha considerato Cingolani e Giovannini come ministri di indicazione dei 5 stelle». Il motivo è presto spiegato da Crimi: «Quando Beppe, durante le consultazioni, ha parlato di transizione ecologica, ha fatto il nome di alcuni tecnici. Ha indicato Catia Bastioni ad esempio, la quale è stata contattata ma non ha dato la sua disponibilità al presidente per motivi relativi alla sua azienda».
«Lo stesso nome di Giovannini è stato veicolato un po’ di volte da Beppe in queste settimane. Ecco perchè — spiega — nel calcolo dei ministeri associati a noi, ci sono anche i nomi di questi due tecnici. Sappiamo che non fanno parte dei 5 stelle, ma il presidente li ha considerati di nostra indicazione».
Sempre nell’interpretazione del reggente, fornita per cercare di convincere i possibili frondisti a non lasciare il Movimento, c’è spazio per un attacco agli altri partiti di maggioranza.
«Italia viva ne è uscita a pezzi. Aveva due ministri e adesso resta solo la Bonetti, che non è anche una politica pura». Crimi lo ritiene un segnale di «discontinuità con Renzi». Poi, dice, «non mi aspettavo che Forza Italia e Lega proponessore Martin Luther King. I nomi sono quelli caratteristici di Forza Italia e della Lega».
Crimi cerca di far leva anche sull’insoddisfazione degli altri partiti: «Berlusconi non è felice di queste scelte, ci sono molti malumori nel suo partito. Stessa cosa Salvini: Draghi e il Colle hanno scelto Giorgetti, Garavaglia, Stefani, politici più vicini a Zaia che a Salvini».
Il reggente, che ha visto il suo ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, essere spostato all’Agricoltura calca la mano sulle difficoltà che incontrerà il Mise e con le quali, da un certo punto di vista, è meglio non averci a che fare.
«Alla Lega è stato dato un Mise depotenziato e avrà un sacco di problemi con le crisi aziendali». Crimi ne ha anche per il Partito democratico: «A Orlando è stato dato il Lavoro, sapete che botta dovrà affrontare quando ci sarà lo sblocco dei licenziamenti?».
(da TPI)
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Febbraio 14th, 2021 Riccardo Fucile
“SIAMO PERSONE E NON DEI PANDA, LA LEGA NON HA MAI FATTO NULLA PER I DISABILI”
Iacopo Melio, consigliere regionale del Pd in Toscana che sta vivendo un difficile periodo a causa della positività al Covid, ha scritto una lettera a Repubblica, in cui ha espresso forti critiche sul ministero per le Disabilità istituito dal Governo Draghi e richiesto a gran voce dalla Lega di Matteo Salvini.
Qui alcuni estratti della sua lettera, in cui Melio spiega perchè, a suo parere, l’istituzione di questo ministero non è affatto una buona idea:
“Quando non si sa dove pescare “punti tenerezza”, il tema disabilità viene estratto con quella rassicurante compassione mista a pietismo (e incapacità ) da far sussultare anche un paralitico. […] Ministro della Disabilità : figura ad hoc, “per noi”, per ribadire l’esistenza di una categoria a parte, e dunque l’esigenza di provvedimenti “speciali” per persone “speciali”. Che poverini, i disabili coccolosi, aiutiamoli nel recinto loro, infilandoli in uno scompartimento, sia mai ambissero allo stesso trattamento degli altri cittadini.
E invece nessuna tutela è arrivata da Salvini, Meloni e compagnia. Non troverete un solo punto realizzato, di nessun programma specifico, del fantameraviglioso Ministero senza portafoglio (e quindi di pura propaganda strumentale). Solo un’antica discriminazione che continua a evidenziare differenze, anzichè puntare ad una parità sostanziale con competenza e cognizione di causa. Per questo un ruolo simile è tanto inutile quanto dannoso, portandoci cento passi indietro sulla strada dell’inclusione, e fa orrore vedere la facilità con la quale viene riproposto facendo leva sul pietismo più populista. […]
Non smetteremo di ripeterlo: basterebbe che tutti i ministri tenessero di conto della disabilità quando, nel proprio settore, vengono realizzate nuove manovre, rendendole inclusive per tutti. Basterebbe ricordarsi di ogni diversità , non solo quella fisica, senza indossare guanti bianchi ma uno sguardo aperto e intersezionale, che non appiccichi etichette ma le combatta convintamente al punto da non vederle. Ma soprattutto, basterebbe sfruttare ciò che già esiste e funziona benissimo in un’ottica di uguaglianza: il ministero per le Pari Opportunità , ad esempio, perchè di questo stiamo parlando, di persone che chiedono stessi diritti e non di specie in via d’estinzione da salvaguardare. Siamo persone e non dei panda”.
(da agenzie)
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Febbraio 14th, 2021 Riccardo Fucile
QUALI I RISULTATI DEL MINISTERO NEI DUE PAESI?
In Spagna il ministero della Transizione ecologica e della Sfida demografica ha portato alla fine della famigerata ‘tassa solare’ e a un’attenzione particolare (presente anche nel progetto di legge sui cambiamenti climatici) al settore energetico.
Si nota la differenza strategica con altri settori, vedi l’agricoltura, affidati ad altri ministeri.
In Francia, invece, il Ministero ‘de la Transition ècologique et solidaire’, che pure ha promosso le fonti rinnovabili e l’auto elettrica e ha prodotto un piano per le infrastrutture verdi nelle città , ha dovuto affrontare più di un ostacolo, tanto che è stato proprio l’aumento delle accise sui carburanti a provocare l’inizio delle proteste dei ‘gilet gialli’.
Cosa accadrebbe, allora, se in Italia il Ministero per la transizione ecologica annunciato da Mario Draghi mettesse mano al taglio dei sussidi dannosi per l’ambiente?
Vediamo, allora, cosa è stato fatto di buono e quali errori sono stati commessi nei due Paesi europei che prima di noi hanno visto nascere il ministero per la Transizione ecologica.
IL MITECO IN SPAGNA
In Spagna il Miteco nasce nel 2018 con l’arrivo del premier Pedro Sà¡nchez e assume funzioni che erano dei ministeri dell’Agricoltura e dell’Energia. E il 2018, tanto per fare un esempio, per la Spagna è stato anche l’anno in cui il nuovo governo ha scritto la parola fine alla controversa tassa solare (complicazioni che scoraggiavano l’installazione di impianti a energia rinnovabile) creata dall’esecutivo di Mariano Rajoy nel 2015.
Solo nel 2020 è stato ribattezzato ministero per la Transizione ecologica e la Sfida demografica “per far fronte — spiega a ilfattoquotidiano.it Greenpeace Spagna — ai problemi della Spagna svuotata e del mondo rurale”. Sulla carta, dunque, è il dicastero guidato da Teresa Ribera Rodriguez, promossa nel frattempo vicepremier, a dettare legge in fatto di politica energetica attraverso diverse strutture, come la Direzione generale della Politica energetica e delle miniere e la Sottodirezione generale per le prospettive, la strategia e la regolamentazione dell’energia. Collegati direttamente al ministero sono l’Istituto per la giusta transizione e l’Istituto per la diversificazione e il risparmio energetico (Idae) con il Fondo Nazionale per l’efficienza energetica.
GREENPEACE SPAGNA: “I PRO E I CONTRO”
Ma davvero in questi ultimi anni il ministero ha potuto guidare il Paese verso la transizione? Secondo Greenpeace Spagna, i cambiamenti apportati con il riordino dei ministeri hanno portato “indubbiamente a prendere decisioni strategiche in campo energetico per procedere verso la decarbonizzazione, anche se più lentamente di quanto sarebbe necessario per conformarsi all’Accordo di Parigi, ma nella giusta direzione”.
E quando si chiede come sia andata sul fronte organizzativo e delle competenze tra ministeri, la risposta è una conferma di quanto il tema ambientale sia trasversale.
“Il problema principale — spiega l’organizzazione — è che, essendo molto limitato al campo dell’energia e, soprattutto, dell’elettricità ” la competenza del ministero “esclude alcuni settori che giocano un ruolo molto importante” per il raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo del 2015. Un problema ben noto anche in Italia: “Trasporti, Politiche abitative e Agricoltura hanno un proprio Ministero. Questa situazione — spiega Greenpeace — si riflette molto bene nel progetto di Legge sui cambiamenti climatici e la transizione energetica”. E di fatto la proposta normativa del ministero spagnolo per la Transizione ecologica “si concentra principalmente sul settore energetico (per l’Italia sarebbe una svolta, ndr), tralasciando l’impegno a ridurre le emissioni in altri settori che sono anche fondamentali per la decarbonizzazione, come l’Agricoltura”.
In Italia, la deputata LeU e vicepresidente della Commissione Ambiente della Camera Rossella Muroni cita come fonte di ispirazione proprio il modello spagnolo dove il ministero “ha tra le proprie competenze anche questioni come il divario tra zone rurali e le città . Anche in Italia grandi città e aree metropolitane sono i centri dove si concentrano non solo i residenti, ma anche l’inquinamento e le spinte all’innovazione e al cambiamento”, oltre al fatto che “le aree interne e i nostri oltre 5mila piccoli Comuni sono la spina dorsale del Paese”.
“Il nuovo dicastero — aggiunge — permetterebbe di coordinare le politiche per il clima, l’energia, la tutela del territorio e lo sviluppo green con quelle sulle città e contro lo spopolamento delle aree interne”. Perchè tra i problemi che il nostro Paese deve superare c’è proprio quello del coordinamento: “In Italia servono 5 anni per autorizzare una pala eolica perchè l’iter deve passare da un ministero all’altro, così quando finalmente la installi il rotore che la fa girare è già vecchio”. Per superare questo empasse, il primo passo può essere il ministero della Transizione, ma è un cambiamento che va accompagnato da altre misure. Indispensabili, come dimostra l’esempio francese.
IL MINISTERO FRANCESE
È nel 2017 che il ministero dell’Ecologia con sede a Parigi è diventato ministero della Transizione ecologica e solidale. A guidarlo, il giornalista e conduttore televisivo impegnato nei temi ambientali Nicolas Hulot, fino all’agosto 2018, quando si è dimesso denunciando che le lobby condizionavano l’Eliseo e che molti suoi dossier erano stati bloccati perchè, evidentemente, l’ambiente non era priorità del governo di Emmanuel Macron.
Qualcosa è accaduto se a novembre 2018 è stato proprio l’annuncio, in nome della fiscalità ecologica, dell’aumento delle tasse sul carburante a scatenare la protesta dei gilet gialli, poi trasformata in una rivolta. In una recente intervista all’Huffington Post lo stesso Hulot, sostenendo che a misure radicali vanno affiancate misure “solidali”, ha dichiarato che l’Italia può far tesoro degli errori commessi in Francia e che la strada del ministero della Transizione ecologica è l’unica possibile.
Ne è convinto anche l’ex ministro dell’Ambiente Edo Ronchi, oggi presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, che ricorda come la ‘transizione verde’ sia il primo dei sei pilastri (quel 37% della dotazione totale ancora da raggiungere) del piano di ripresa europeo a cui il Pnrr deve attenersi. “L’idea è giusta, ma necessita di un cambiamento complesso, altrimenti si rischia di replicare gli errori commessi altrove”, spiega Ronchi. C’è da dire che la Francia non poteva contare, così come nessun altro Paese, sulle risorse ora disponibili. “Certo — replica — e ora bisogna spenderle nella giusta direzione”.
LE LEZIONI DA IMPARARE
Per Ronchi il conflitto innescato in Francia dall’impatto della carbon tax e della pressione fiscale sui redditi medio alti è una prima lezione. Ma l’Italia può evitare anche un altro errore dei francesi: “Il riordino non è stato accompagnato da modifiche dell’impianto normativo tali da dare pieni poteri al ministro della Transizione ecologica, come si è visto nella vicenda legata alle misure fiscali. Questo significa che puoi anche esprimere un parere, dire quali sono le priorità , ma non hai l’ultima parola”.
Cosa dovremmo fare per evitarlo? “Va risolto il problema del coordinamento delle norme che, al momento, definiscono le competenze sulla base della precedente ripartizione tra ministeri”. In Francia, ricorda Ronchi, il ministero della Transizione ha comunque “lavorato per una promozione incisiva dell’auto elettrica e delle fonti rinnovabili e un piano per le infrastrutture verdi nelle città ”.
A luglio 2020, poi, c’è stato il rimpasto di governo e da allora guida il dicastero (oggi ministero della Transizione ecologica) Barbara Pompili. Nell’ultima manovra, il bilancio per il ministero è arrivato a 48,6 miliardi (1,3 miliardi di euro in più rispetto all’anno precedente), di cui 15,4 dedicati esclusivamente alla transizione, 16 alla politica abitativa e 8 ai trasporti.
E se alla fine dell’anno Macron ha annunciato un referendum per inserire nella Costituzione un riferimento alla lotta al cambiamento climatico e alla protezione dell’ambiente, più di recente la sua proposta di legge sul clima, che dovrebbe aiutare a ridurre del 40% le emissioni di gas a effetto serra nel 2030 rispetto al 1990, ha attirato molte critiche, in primis quelle di 110 ong, che la reputano poco ambiziosa e frutto delle pressioni delle lobby.
Un’altra lezione: avere il ministero della Transizione non basta, se non sai (o vuoi) farlo funzionare.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 14th, 2021 Riccardo Fucile
LA RICERCA SVEDESE: RADDOPPIA IL TASSO DI INFEZIONE DEI DOCENTI
La chiusura o la riapertura delle scuole rappresenta uno dei temi più delicati nel contesto della pandemia che stiamo vivendo
Tuttavia c’è una categoria di lavoratori che paga un prezzo particolarmente salato in termini di contagi quando si mantengono gli istituti scolastici aperti: quella degli insegnanti. Come mostra un nuovo studio svedese, infatti, il tasso di infezione risulta doppio tra i docenti che continuano a tenere lezioni in presenza rispetto a chi sfrutta la didattica a distanza.
La Svezia rappresenta un Paese particolarmente interessante dove condurre indagini epidemiologiche sulla pandemia di COVID-19, poichè è stato praticamente l’unico in Europa a non aver applicato il lockdown durante la prima ondata dei contagi (con esiti infelici in termini di mortalità e protezione della popolazione).
Tra le poche misure introdotte dal governo a marzo del 2020 vi fu la chiusura delle scuole secondarie superiori, mentre medie ed elementari rimasero aperte, a differenza della stragrande maggioranza degli altri Paesi.
Mettendo a confronto i tassi di infezione registrati tra insegnanti e genitori di studenti al primo anno delle superiori (chiuse) con quelli registrati in insegnanti e genitori di studenti dell’ultimo anno della scuola secondaria inferiore (aperta), un team di ricerca composto da esperti delle università di Uppsala e Stoccolma ha fatto diverse scoperte interessanti.
Gli scienziati, coordinati dalla professoressa Helena B. Svaleryd del Dipartimento di Economia dell’ateneo di Uppsala, hanno infatti determinato che aver mantenuto la scuola secondaria inferiore aperta ha determinato che il tasso di contagi da coronavirus SARS-CoV-2 è risultato doppio tra gli insegnanti della scuola rimasta aperta.
Su un totale di 39.500 insegnanti della scuola secondaria superiore svedese, in 79 sono stati ricoverati per COVID-19 e uno è deceduto.
Se le scuole fossero state chiuse, gli scienziati hanno stimato che i contagi registrati sarebbero stati circa la metà , ovvero 46.
Svaleryd e colleghi hanno inoltre scoperto che il tasso di infezioni tra i partner degli insegnanti in presenza risultava essere del 30 percento superiore rispetto a quelli dei docenti che conducevano le lezioni a distanza.
Il rischio di infezione tra i genitori dei figli che studiavano all’ultimo anno della scuola secondaria inferiore, infine, era del 17 percento maggiore rispetto a quello dei genitori di figli che seguivano la didattica a distanza.
Se le scuole fossero state chiuse, spiegano gli autori dello studio, ci sarebbero stati circa 500 casi di infezione in meno tra i 450mila genitori che avevano figli alle scuole secondarie inferiori.
I dettagli della ricerca svedese “The effects of school closures on SARS-CoV-2 among parents and teachers” sono stati pubblicati sull’autorevole rivista scientifica PNAS.
(da agenzie)
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Febbraio 14th, 2021 Riccardo Fucile
ZONA ARANCIONE PER LA RECRUDESCENZA DEL VIRUS, MA MOLTI SE NE SONO FREGATI… BASTA CON LE MULTE, CI VUOLE IL RITIRO DELLA LICENZA
Molti ristoranti della Riviera ligure di Ponente, soprattutto a Ventimiglia, hanno tenuto aperto nel giorno di San Valentino nonostante l’intera Liguria sia stata collocata in ‘zona arancione’ col divieto di apertura per ristoranti e bar.
I locali hanno fatto il pienone, soprattutto da parte dei clienti francesi che, non potendo celebrare la festa degli innamorati in Francia, hanno valicato la frontiera. Qualcuno si è spinto fino a Sanremo. A Ventimiglia il ristorante ‘Pasta e Basta’, del quartiere Marina San Giuseppe, ha cambiato l’insegna in “Adesso Basta”.
“Prevedendo la loro possibile protesta abbiamo cercato in tutti i modi di dissuadere. Il nostro intervento, comprese le polizie locali, c’è stato per numerosi casi e rappresenta una sconfitta per tutti”. Lo ha detto il questore di Imperia Pietro Milone sull’apertura massiccia dei ristoranti a Ventimiglia, uno solo a Sanremo (a quanto risulta al momento). Sono decine i clienti che vengono identificati, assieme ai gestori dei ristoranti, per i quali si profila una multa da 400 euro, ridotta a 280 se pagata entro 5 giorni.
La massiccia presenza di francesi, giunti nella Riviera ligure di Ponente per festeggiare il San Valentino, si spiega col fatto che pur non potendo entrare senza tampone “negativo”, i controlli vengono effettuati solo ‘a campione’.
(da agenzie)
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Febbraio 14th, 2021 Riccardo Fucile
LA VICE-PRESIDENTE USA: “IN TROPPE HANNO PERSO IL LAVORO DURANTE LA PANDEMIA. PIU’ SOSTEGNO ALLE MADRI LAVORATRICI”
“Durante la pandemia hanno perso il posto di lavoro – o sono in ogni caso uscite dalla forza lavoro – circa due milioni e mezzo di donne, di che riempire 40 stadi di football. Questo esodo femminile di massa dalla forza lavoro del Paese è un’emergenza nazionale che richiede una soluzione nazionale”. È l’intervento della vicepresidente degli Usa Kamala Harris ripreso dal Washington Post e tradotto e pubblicato dalla Stampa.
“La nostra economia non potrà riprendersi del tutto se le donne non vi parteciperanno appieno”, afferma Harris.
“La perdita del posto di lavoro, la chiusura delle piccole imprese, la mancanza di asili nido hanno creato una tempesta perfetta per le lavoratrici americane… Le lavoratrici colpite più duramente sono quelle con posti di lavoro a bassa retribuzione, che vivono sotto la soglia della povertà fissata a livello federale”, scrive Harris. Ma anche sul fronte delle imprese il conto è salato: “Nel febbraio 2020 c’erano quasi cinque milioni di imprenditrici. In aprile una su quattro aveva dovuto chiudere la sua azienda”.
“Ovunque, le famiglie si stanno accollando un fardello pesante, perchè le case sono diventate aule scolastiche e asili nido, e l’incertezza appesantisce di preoccupazione ogni giornata. Di conseguenza, molte donne lavoratrici sono state costrette a ridurre il loro orario di lavoro o a lasciare del tutto il loro posto”.
Tutto questo “non è ammissibile”, afferma la vice president. “In mancanza di un’assistenza all’infanzia accessibile e abbordabile, le madri lavoratrici sono costrette a una scelta immorale. Dobbiamo adoperarci per far sì che tutte le madri che lavorano abbiano il sostegno di cui necessitano – esorta -. Durante la pandemia e dopo”.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 14th, 2021 Riccardo Fucile
IL BUON GIORNO SI VEDE DAL MATTINO
Non inizia sotto il migliore dei segni il mandato da ministro dell’Istruzione per Patrizio Bianchi. Uscito dal Quirinale dopo il giuramento da ministro e la foto di rito — quest’anno con distanziamento e norme anti-Covid da rispettare — Bianchi si è fermato a parlare brevemente con i cronisti.
Sarà stata l’emozione o la poca abitudine a parlare con i giornalisti, Bianchi ha fatto una piccola gaffe linguistica.
Prima ha risposto “l’ho imparato ieri sera” a chi gli ha chiesto quando aveva saputo che sarebbe stato nominato ministro. Poi un altro scivolone: “Speriamo che faremo bene”, afferma rispondendo a un’altra domanda.
Per quanto riguarda il suo esordio da ministro, quindi, per Bianchi poteva andare meglio. Appena arrivato dai giornalisti la prima domanda che gli è stata posta riguarda il momento in cui ha appreso di essere ministro. “L’ho imparato ieri”, afferma il neo-ministro dell’Istruzione. Un’espressione, come spiegano tanti utenti su Twitter che commentano la gaffe, che in realtà è di origine dialettale e viene spesso usata in alcune zone dell’Emilia-Romagna al posto del più corretto “l’ho appreso”.
Bianchi è originario della provincia di Ferrara: questa sarebbe, secondo alcuni utenti, la spiegazione.
Ma Bianchi non si è fermato qua. Poco dopo un’altra scivolata: “Ho trovato della bella gente, speriamo che faremo tutti bene”, risponde a chi gli chiede cosa lo aspetterà . Poi il ministro aggiunge: “Partiamo da quello che c’è, da una situazione difficile che riusciremo ad affrontare”.
Il neo-ministro si sofferma qualche altro secondo a rispondere ai cronisti: “Emozionato e anche conscio della quantità di lavoro che dovremo fare”, afferma ancora. Sui suoi compagni di governo Bianchi aggiunge: “Ho trovato della bella gente”. Infine, sulla possibile apertura di tutte le scuole in presenza, il ministro replica: “È a questo che stiamo lavorando”.
(da Fanpage)
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Febbraio 14th, 2021 Riccardo Fucile
ORFANI DI SALVINI, I MENTACATTI RAZZISTI CONTINUANO A DIFFAMARE IL MINISTRO DEGLI INTERNI… TANTO IN ITALIA CONTINUANO A CIRCOLARE A PIEDE LIBERO
Basterebbe guardare il video originale, tranquillamente disponibile sulla pagina YouTube del Quirinale, per accorgersi che si tratta di un pidocchioso fotomontaggio.
I sovranisti ci provano, anche se uno dei loro principali alleati adesso è passato al nemico. Ma a gettare fango, creare fake news, far circolare illazioni, rimangono sempre i primi.
Stavolta, la bufala clamorosa che alcuni stanno condividendo con sommo sprezzo del ridicolo è che Luciana Lamorgese, riconfermata Ministra dell’Interno, abbia giurato nelle mani di Mattarella con una mascherina pro-migranti.
Basterebbe guardare il video originale, tranquillamente disponibile sulla pagina YouTube del Quirinale, per accorgersi che si tratta di un pidocchioso fotomontaggio. E infatti, per fortuna, la bufala ha avuto vita molto breve.
Ciò che però salta all’occhio, tra chi l’ha condivisa credendola vera, sono i riferimenti a Salvini, impossibilitato a protestare contro quest’onta sull’onore degli italiani perchè ora, con questi traditori della patria, ci governa insieme.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 14th, 2021 Riccardo Fucile
APERTA LA SCATOLETTA DI TONNO, I CINQUESTELLE HANNO SCOPERTO CHE IL TONNO ERANO LORO… E LE LOBBY GONGOLANO
Siccome ogni Restaurazione ha i suoi rituali, non avrebbe guastato se il governo Dragarella avesse giurato in uniforme da Congresso di Vienna: parrucche imbiancate con codini e fiocchi neri, volti incipriati e impomatati, marsine a coda, culotte, scarpe a punta. Invece i nuovi (si fa per dire) ministri erano tutti in borghese, per non farsi riconoscere.
Avevamo promesso un giudizio sul governo quando ne avessimo visti i ministri (per il programma c’è tempo: uscirà dal cilindro di Super Mario un minuto prima della fiducia, o forse dopo, fa lo stesso: è il ritorno della democrazia dopo la feroce dittatura contiana, come direbbe Sabino Cassese). E il momento è arrivato.
Ministri.
Il bottino di 209 miliardi del Recovery se lo pappano il premier, il suo amico Giorgetti (Mise) e i suoi tecnici, cioè gli uomini delle lobby: Franco (Mef e Bankitalia), Cingolani (renzian-leopoldino di Leonardo- Finmeccanica che Grillo ha scambiato per grillino) e Colao (Morgan Stanley, McKinsey, Omnitel, Vodafone, Rcs, Unilever, Verizon, con breve parentesi di incompetenza quando lo chiamò Conte per il piano-fuffa Fase-2 e ora tornato il genio di prima); più Giovannini (ottimo prof di statistica alle Infrastrutture).
Del resto Draghi se ne infischia e lascia pasturare i partiti con i loro nanerottoli, scelti aumma aumma dai Quirinal Men: so’ criature.
Pandemia.
Speranza resta alla Salute, per la gioia di Salvini e dei teorici della “dittatura sanitaria” e del “riaprire tutto”. Ma arriva la Gelmini alle Regioni al posto di Boccia, protagonista di epici scontri con gli sgovernatori. Sarà uno spasso vederla genuflessa alle loro mattane. Al suo fianco, come viceministro, vedremmo bene Bertolaso. E, commissario al posto di Arcuri, troppo efficiente sui vaccini, il mitico Gallera: era stanco, ma si sarà riposato.
Discontinuità .
Undici ministri, la metà del governo Draghi, vengono dal Conte-2: i 9 confermati più Colao più il neotitolare dell’Istruzione Bianchi, capo della task force dell’Azzolina per la scuola (tecnico del congiuntivo, dice “speriamo che faremo bene”, ma non è grillino, quindi è licenza poetica). E ora chi la avverte la Concita del “basta ministri scadenti, arrivano quelli bravi”? Fatti fuori Conte, Bonafede, Gualtieri, Amendola e regalato il Recovery ai soliti noti, si digerisce tutto.
Cielle.
I garruli squittii di Cassese a edicole unificate indicano che, dopo il lungo digiuno del Conte-1 e del Conte-2, qualche protègè l’ha piazzato. Tipo Marta Cartabia, Guardasigilli di scuola ciellina (come la ministra dell’Università , Cristina Messa), ma pure napolitaniana e mattarelliana, celebre per l’abilità di non dire nulla, ma di dirlo benissimo, fra gridolini estatici di giubilo.
Di lei si sa che sogna “una giustizia dal volto umano” (apperò) e una “pena che guarda al futuro” (urca). Ora, più prosaicamente, dovrà dare subito il parere del governo sul ritorno della prescrizione, previa seduta spiritica con Eleanor Roosevelt che — assicura il Corriere — è “tra le figure femminili ‘decisive’ per la sua formazione” (accipicchia).
Pd.
Sistemati tutti i capicorrente Franceschini (al quinto governo), Guerini e Orlando, prende pure l’Istruzione con il finto tecnico Bianchi, due volte assessore dem in Emilia-Romagna: 4 ministri come il M5S, che però ha il doppio di seggi.
5Stelle.
Machiavellici alla rovescia, sapevano che senza di loro il Pd e Leu si sarebbero sfilati e Draghi, per non finire ostaggio delle destre, avrebbe rinunciato. Bastava mettersi in attesa e, se proprio Grillo voleva entrare, dettare condizioni minime: Giustizia, Lavoro, Istruzione, Mise o Transizione Ecologica. Invece han detto subito di sì, presentandosi a Draghi con le brache calate e le mani alzate. E hanno ammainato le loro bandiere Bonafede, Azzolina e Catalfo (con Reddito e Inps).
Risultato: SuperMario li ha sterminati e pure umiliati, con i pesanti ma inutili Esteri a Di Maio, Patuanelli degradato dal Mise all’Agricoltura, più i Rapporti col Parlamento e Politiche giovanili (sventata la Marina mercantile, ma solo perchè non c’è più).
Ciliegina sulla torta: la Transizione Ecologica, subito dimezzata, è finita a un renziano. Meno male che Draghi era grillino: figurarsi se non lo era. Insomma: aperta finalmente la scatoletta di tonno, i 5Stelle hanno scoperto che il tonno erano loro.
FI-Lega. Il capolavoro del Rignanese, prima di tramutare Iv da ago della bilancia a pelo superfluo, è aver riportato Salvini e B. al governo. Il resto l’han fatto Draghi e Mattarella, regalando alla destra un governo tutto nordista e i ministeri politici più lucrosi: Mise e Turismo (Giorgetti e Garavaglia), Pa (Brunetta), Regioni (Gelmini) e Sud (Carfagna, con i fondi di coesione Ue, nel fu serbatoio di voti dei 5Stelle).
Ps. Nota per gli storici della mutua che vaneggiano di “fallimento della politica come nel 1993 e nel 2011” e paragonano l’avvento di Draghi a quelli di Ciampi e Monti.
Nel ’93 Ciampi arrivò mentre gli italiani lanciavano le spugne ad Amato e Conso per il decreto Salvaladri e le monetine a Craxi per l’autorizzazione a procedere negata dal Parlamento al pool di Milano.
Nel 2011 Monti arrivò mentre due ali di folla maledicevano B. che saliva al Quirinale a dimettersi e poi fuggiva dal retro dopo aver distrutto l’Italia per farsi gli affari suoi.
Nel 2021 Draghi arriva mentre Conte esce da Palazzo Chigi a testa alta fra gli applausi e le lacrime. Mica male, per un fallito.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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