Giugno 27th, 2022 Riccardo Fucile
LA COALIZIONE È SPACCATA, NON SI È MAI RIPRESA DAL VOTO SUL QUIRINALE… IL CARROCCIO E BERLUSCONI RINFACCIANO A GIORGIA DI NON AVER VOLUTO L’APPARENTAMENTO CON TOSI
Difficile adesso dire che è soltanto un voto locale. Nei ballottaggi hanno perso
tutti e le accuse incrociate si mischiano da Nord a Sud.
Per Matteo Salvini le sconfitte di Alessandria e Carrara sono colpi durissimi. Per Forza Italia il risultato di Catanzaro lascia interdetti e quello di Monza coinvolge anche Silvio Berlusconi.
Mentre Giorgia Meloni sa di finire sul banco degli imputati per il tracollo di Federico Sboarina. L’unico sorriso arriva da Lucca, la vittoria sul filo di Mario Pardini però non basta per addolcire una serata che apre scenari foschi per una coalizione che, a leggere i sondaggi, potrebbe, nel 2023, avere i numeri per governare.
Verona d’altronde non è soltanto un simbolo, non è soltanto un feudo che fatalmente può cadere. Per il centrodestra la città veneta è stata il catalizzatore di tutte le tensioni che si sono accumulate negli ultimi mesi.
Non appena si capisce che i cattivi presagi si stanno compiendo, gli alleati si rinfacciano la colpa della sconfitta: Lega e Forza Italia accusano Meloni di aver puntato su un candidato sbagliato e di non essere riuscita a imporre un apparentamento con l’ex sindaco Flavio Tosi.
Fratelli d’Italia risponde insinuando che la disfatta di Verona sia dovuta al mancato appoggio degli altri partiti, una sorta di fuoco amico, insomma.
E a riprova di questo si portano le dichiarazioni di Matteo Salvini, che in un colloquio pubblicato ieri da La Stampa, aveva definito la corsa solitaria di Sboarina uno «sbaglio clamoroso». Parole considerate improvvide nel migliore dei casi, un sabotaggio nel peggiore.
Il capogruppo di FdI Francesco Lollobrigida, poco dopo la chiusura dei seggi, forte del successo del primo turno, analizza: «Purtroppo, a volte, i risultati degli alleati sono stati meno brillanti di quel che speravamo. Nonostante tutto, FdI non ha mai fatto mancare il suo sostegno ai candidati proposti dal centrodestra senza fare mai polemiche che potessero danneggiarci».
E se in questa notte si maledicono le divisioni che hanno portato a perdere alcune partite significative, è bene ricordare che l’origine, almeno quella recente, di queste incomprensioni va fatta risalire al Quirinale. La scelta di rieleggere Sergio Mattarella ha spaccato la coalizione al punto di far saltare i tavoli nazionali che dovevano conciliare le liti locali.
A Verona hanno perso in tanti: Meloni che ha imposto la candidatura del sindaco uscente davanti allo scetticismo della Lega, Salvini che non riesce a invertire una tendenza al ribasso e persino il governatore Luca Zaia, molto legato a Sboarina, che vede scemare la sua aurea di invincibilità in Veneto.
«Era un risultato scontato, ce lo aspettavamo, dopo il mancato apparentamento con Tosi», dice Licia Ronzulli, coordinatrice azzurra in Lombardia. « L’errore è stato fatto al primo turno quando Fi ha voluto rompere la coalizione», risponde Ignazio La Russa, senatore di FdI.
I dirigenti di Fratelli d’Italia sapevano che una sconfitta nella città scaligera avrebbe aperto delle polemiche da parte degli alleati. La previsione è stata rispettata.
Per la Lega la colpa è di Meloni, che non ha ascoltato le perplessità del Carroccio, «abbiamo detto in tutti i modi che Sboarina ci portava alla sconfitta», ripeteva un dirigente salvininiano a Montecitorio nei giorni scorsi. L’accusa che fa da sfondo alle polemiche contro Meloni è quella di volare nei sondaggi, ma di dimostrare capacità di leadership.
Da via Bellerio arriva un elenco: Verona, Como, Roma. Sono gli esempi delle scelte sbagliate della leader di FdI alla amministrative. Ma in questa notte nessuno può dirsi innocente: la sconfitta di Alessandria, la città del capogruppo della Lega Riccardo Molinari, si aggiunge a quelle delle liste del Carroccio al Nord.
A questo punto Salvini dovrà convocare i suoi per un chiarimento che potrebbe non essere la solita messa cantata del leader. E la questione non si chiude di certo con i ballottaggi di ieri. In ballo ci sono adesso le trattative per i candidati alle regionali, in Sicilia, nel prossimo autunno, e poi nel Lazio e in Lombardia a marzo.
La questione della riconferma di Nello Musumeci, voluta da Meloni, e quella di Attilio Fontana pretesa da Salvini fa prospettare scenari di trattative tese.
(da la Stampa)
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Giugno 27th, 2022 Riccardo Fucile
IL CANDIDATO DEL CENTROSINISTRA, GIORGIO ABONANTE, SOSTENUTO DA PD, M5S E CALENDA, HA RIPORTATO LA CITTÀ AL CENTROSINISTRA DOPO 5 ANNI … ALESSANDRIA È LA CITTÀ DEL CAPOGRUPPO DELLA LEGA ALLA CAMERA, RICCARDO MOLINARI
Giorgio Abonante è il nuovo sindaco di Alessandria, la città torna al centrosinistra dopo 5 anni. La rimonta di Gianfranco Cuttica di Revigliasco non c’è stata.
Anzi il centrodestra, che era costretto a rincorrere ma nutriva speranze perché il margine di svantaggio al primo turno era stato minimo (591 voti), non è riuscito nel sorpasso: anzi, il gap si è dilatato ulteriormente. Ancora una volta è stato l’astensionismo il dato più rilevante e di ciò si è rammaricato nel primo commento il neo sindaco: «Dovremo recuperare il rapporto con una città sfiduciata».
Erano stati pochi a votare al primo turno (il 46,7%), sono andati ancora in numero minore alle urne al ballottaggio, visto che si è registrato un modesto 37,13 per cento per complessivi 27.348 votanti.
Pochi istanti dopo le 23, è cominciato rapidamente lo scrutinio e, in uno dei seggi campione, le prime 100 schede sono state aperte in meno di dieci minuti. La tendenza era quella prevista, cioè di grande equilibrio: un voto per l’uno, subito bilanciato da uno per l’avversario.
Se ad Abonante riusciva un filotto di 4-5 preferenze, Cuttica ne otteneva altrettante e recupera il gap. Dopo il primo seggio, si credeva veramente che ci si giocasse la poltrona di sindaco per una manciata di preferenze e che anche le schede contestate potessero essere decisive.
Invece, si è rimasti in equilibrio per un po’, poi gradualmente Abonante ha preso un vantaggio lieve ma costante che ha incrementato ad ogni sezione.
Abonante, tifoso romanista e contentissimo anche per la vittoria di un suo idolo, Damiano Tommasi a Verona, è rimasto prudente per un po’, ha analizzato nella sede in centro l’andamento e poi, man mano che il margine saliva e ha deciso di spostarsi alla Soms del Cristo, dove lo attendevano già in tanti e i sorrisi si sprecavano.
Fra coloro che, già a metà scrutinio, si sentivano vincitori c’era uno storico esponente del Pd, cioè, Daniele Borioli, che ha dato una sorta di imprimatur ad Abonante: «Una delle vittorie più importanti di questo turno amministrativo, è nelle città che si ricostituisce il tessuto della democrazia».
Lo ha seguito a ruota il consigliere regionale dem, Domenico Ravetti: «Abonante ha trainato tutti, nessuno si sarebbe immaginato un esito simile pochi mesi fa, invece siamo riusciti a compiere l’impresa. Giorgio sarà un eccellente sindaco e governerà bene».
Anche Michelangelo Serra, del Movimento 5 Stelle, alleato fin dal primo turno con il Pd, non ha nascosto la soddisfazione. Proprio il M5s è stato prezioso per Abonante grazie alla battaglia condotta nel quartiere Europista contro l’insediamento del centro logistico Pam, una delle battaglie più convinte della coalizione di centrosinistra.
Sul fronte opposto, nel quartier generale di via Faà di Bruno, l’assessore uscente Cinzia Lumiera ha rimarcato che «una percentuale di votanti inferiore al 40% è stata penalizzante per noi, dovremo capire il perché».
(da la Stampa)
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Giugno 27th, 2022 Riccardo Fucile
IL VESCOVO GIUSEPPE ZENTI AVEVA INVITATO A NON VOTARLO ANCHE SE TOMMASI È CATTOLICO, OSSERVANTE, PADRE DI SEI FIGLI: “ABBIAMO FATTO POLITICA SENZA INSULTARE”… L’ONDA GIALLA DI CENTINAIA DI GIOVANI ATTIVISTI HA SFONDATO ANCHE NELLE PERIFERIE
“Damiano alé, Damiano alé”, cantano commossi i ragazzi con le magliette gialle.
Incredibile ma vero, a Damiano Tommasi è riuscito il più mancino dei tiri: è il nuovo sindaco di Verona.
Stipati come sardine nel suo comitato elettorale sauna, attorno a noi è tutto un abbracciarsi stile Mundial, grida festanti, rullare di tamburi, “Da-mia-no, Da-mia-no”, “non ci posso credere”, “abbiamo fatto la storia”: il senso di incredulità che danno le grandi imprese. Ed è una notte che questi ragazzi porteranno sempre nel cuore: questa è soprattutto la loro impresa.
Tommaso Ferrari, il leader della lista di giovani Traguardi, intorno alle 23,30 inizia a leggere i risultati che giungono dai seggi. All’inizio sembra che si profili un testa a testa, tuttavia è solo un’impressione fallace. “Ci dispiace, ma siamo a 54 a 46”, dice con slancio ribaldo a un certo punto Ferrari, e lì parte un enorme “sìììììììì!”. È come stare in curva sud.
In una sola sezione Federico Sboarina risulta avanti, in tutte le altre Tommasi è in fuga. A metà scrutinio, alle 23,45, il vantaggio si cristallizza. Arrivano le birre.
Fratelli d’Italia, il partito di Sboarina, lo sfidante, ammette la sconfitta. “Facciamo un applauso di incoraggiamento”, urla allora Ferrari. La torcida gialla esplode. Un ragazzo urla: “Vi è chiaro che abbiamo vinto?”. Ogni argine alla scaramanzia a quel punto cede: “Sindaco! Sindaco!”.
La destra – dopo vent’anni di dominio incontrastato (nell’ultima elezione il centrosinistra non era arrivato nemmeno al ballottaggio) – finisce così all’opposizione.
L’ha sconfitta un ex calciatore di 48 anni, un cattolico, un outsider dal carattere riservato e severo. La destra si era presentata divisa, ma la divisione è un demerito, non un’attenuante.
A mezzanotte e dieci è ufficiale. “Andiamo a festeggiare il nuovo sindaco”, urla Ferrari. “Damiano sta arrivando”, dicono.
Il chierichetto alla fine ha battuto il vescovo che aveva detto che non andava votato. E Damiano arriva, abbraccia moglie e figlia: “Abbiamo mosso un entusiasmo incredibile, facendo politica senza insultare. Abbiamo scritto una nuova pagina”.
È una notte che la sinistra italiana dovrebbe mandare a memoria. Qui ha ritrovato un popolo che le aveva voltato le spalle. Soprattutto nelle periferie l’affermazione è perentoria. Ed è una vittoria che viene da lontano, preparata con cura: Tommasi aveva ufficializzato la sua candidatura già lo scorso mese di novembre. Ha parlato di valori con umanità, ha spezzato la narrazione di Verona nera.
E Verona si rivela così un laboratorio politico per il centrosinistra: una lezione. Un candidato fuori dal mazzo, moderato ma anche radicale, che ha saputo conquistare i giovani, ricompattare tutti i partiti della coalizione, senza esclusione alcuna al secondo turno, offrendo “un’idea diversa di politica”.
Tommasi, 48 anni, ha convinto anche i vecchi, che nel suo tour nei quartieri si affacciavano dal balcone gridandogli tutto il loro entusiasmo. Una signora lo ha fatto entrare in casa e gli ha tirato fuori la scheda elettorale: c’era un solo timbro in trent’anni. “Ma per te tornerò alle urne”. Nella Prima Repubblica Verona era dorotea, nella Seconda la sua anima si è mutata, con la destra che ha lentamente preso il sopravvento nella narrazione.
Federico Sboarina, il sindaco di Fratelli d’Italia, sostenuto dalla Lega, nei giorni scorsi, aveva pubblicato appelli chiamando alle armi anche l’establishment, gridando contro “il pericolo comunista”. Flavio Tosi, l’ex leghista che per un decennio è stato il re incontrastato di Verona, facendo il sindaco per due volte, era l’ago della bilancia, col suo 23 per cento. Sostenuto da Forza Italia, a cui ha aderito, legato da pessimi rapporti personali con Sboarina, si era visto rifiutare l’apparentamento. Il risultato rivela che i tosiani sono andati al mare. Ora Tosi, sconfitto Sboarina, è l’unico leader forte del centrodestra in città.
“C’è una bellezza che dobbiamo ritirare fuori, mi sono sempre piaciute le sfide difficili, io ho vinto un campionato con la Roma, che ne ha vinti solo tre in cent’anni, e ho sempre pensato che nella vita bisogna essere zemianiani: attaccare, rimanendo se stessi”. Non a caso la sua coalizione si chiama “Rete!”. Nessuno, un mese fa, avrebbe scommesso un centesimo su di lui. Lo si immaginava forse al ballotaggio, ma da secondo. Invece la sera del 12 giugno si è rivelato primo, con il 40 per cento.
Il vescovo Giuseppe Zenti ha invitato a non votarlo (“lo sa, vero, che hai fatto il chierichetto a Trigoria?”, gli ha chiesto Dario Vergassola nella festa di fine campagna elettorale), anche se Tommasi è cattolico, osservante, (“prego spesso”), padre di sei figli.
Tommasi ha detto che bisogna “portare in politica un metodo nuovo”. Ha fatto una campagna atipica, con pochi manifesti elettorali, un unico slogan (“Ora!”), social parsimoniosi, tutta basata sul contatto con le persone, ascolto diretto, “bisogna guardarsi negli occhi”, diceva. “Vorrei che le persone mi guardassero negli occhi, e si fidassero”. Si sono fidate.
(da La Repubblica)
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Giugno 27th, 2022 Riccardo Fucile
SILVIO PERDE A MONZA., SALVINI IN TUTTO IN NORD … LA MELONI COLPITA DALLA SINDROME DEL MARCHESE DEL GRILLO
È il momento della resa dei conti nel centrodestra. I numeri dei risultati delle elezioni comunali dicono che nei capoluoghi di regione il centrodestra ottiene 3 sindaci, il centrosinistra 1. Nei capoluoghi di provincia il centrodestra ottiene 13 sindaci, il centrosinistra 10, le liste civiche 3. Il centrodestra porta a casa i primi cittadini di Palermo, Lucca, Belluno, Barletta e conferma i comuni di Genova, L’Aquila, La Spezia, Pistoia, Asti, Rieti, Frosinone, Oristano, Gorizia. Il centrosinistra strappa i sindaci di Catanzaro, Lodi, Alessandria, Parma, Piacenza, Verona, Monza e conferma i comuni di Padova, Taranto e Cuneo.
Le liste civiche prendono al centrodestra i sindaci di Como e Viterbo e confermano il comune di Messina, mentre il M5s conferma il solo sindaco di Mottola in Puglia. M
a la coalizione di Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi perde nei comuni in cui si è presentato diviso al primo turno.
La fatal Verona, Monza e il Nord senza Lega§
E l’esempio emblematico di questa tendenza è Verona. Dove trionfa l’ex calciatore Damiano Tommasi e il centrodestra vive uno psicodramma locale con chiari rischi di ripercussioni sull’alleanza a livello nazionale. Qui a perdere sono soprattutto Meloni e il suo candidato Federico Sboarina. Che ha rifiutato l’apparentamento con Tosi e adesso è sul banco degli imputati. «Le divisioni hanno penalizzato il centrodestra e aumentato l’astensione, serva a tutti di lezione: quando litiga e si divide, il centrodestra perde», segnala il responsabile Enti locali della Lega Stefano Locatelli.§
Mentre Ignazio La Russa di Fratelli d’Italia prima evidenzia che «hanno votato in pochissimi, i sindaci sono eletti con il 20% dei voti degli aventi diritto». Poi scarica il suo candidato: «Su Verona è stato uno sbaglio di Sboarina e Tosi non sapersi accordare nel ballottaggio con apparentamento o appoggio ufficiale, ma il vero errore è stato fatto al primo turno quando solo FdI e Lega hanno appoggiato il sindaco uscente. Mentre FI ha voluto rompere per appoggiare Tosi. Che non è arrivato neanche al ballottaggio».
Il problema, spiega oggi il Corriere della Sera, è che però il centrodestra ha perso anche quando era unito. Per questo ora il dito è puntato proprio su Meloni. Che, secondo l’accusa degli alleati, ormai soffre della sindrome del Marchese del Grillo. «Quella dell’“io sono io e voi non siete…”.
Ormai crede di poter comandare solo lei, forte di sondaggi che la premiamo in quanto opposizione, ma che al voto potrebbero cambiare… Da tempo non chiamava Berlusconi, ora negli ultimi giorni lo ha fatto spesso, evidentemente vede il rischio di una posizione troppo isolata. E sbaglia troppo spesso i candidati, con arroganza», secondo gli alleati.
Ma se la Meloni è come il Marchese del Grillo, Salvini ha poco da esultare. La Lega vince a Sesto San Giovanni, ormai ex Stalingrado d’Italia. Ma per il resto è in calo al Nord e il Capitano dovrà risponderne. Dopo il flop del referendum lo Stato maggiore del Carroccio attendeva soltanto i risultati del ballottaggio per cominciare a farsi sentire.
Il calo dei consensi è la riprova dei troppi errori nella gestione solitaria del partito che già in molti imputano a Salvini. E porterebbe a lavorare su nuove ipotesi. Come quella di mandare in pensione la Lega «nazionale» per tornare a concentrarsi sulla rappresentanza dei settori produttivi.
Un progetto che prevede una bella giravolta per l’attuale leadership. Che non a caso da qualche tempo teme di fare la fine di Conte con Di Maio.
Poi c’è il Cavaliere. Che ha portato il Monza in Serie A per poi veder esultare alle elezioni il candidato di centrosinistra.
Nonostante l’appello registrato venerdì per mandare ai seggi gli elettori anche con la bella giornata di sole. Ora in ballo ci sono anche le candidature per le elezioni regionali. In Sicilia il candidato di Meloni Nello Musumeci ha ormai rinunciato alla corsa. Facendo un passo di lato sotto le pressioni degli alleati. E qui bisogna fare in fretta perché si voterà in autunno.
Poi ci sono il Lazio e – soprattutto – la Lombardia. Dove il bis di Attilio Fontana è in bilico dopo l’annunciata candidatura di Letizia Moratti. Un altro bel problema da risolvere entro marzo. Possibilmente prima delle urne.
L’esultanza di Letta§
Sull’altro fronte è il segretario del Partito Democratico Enrico Letta ad esultare. «Questo risultato ci rafforza in vista del futuro, della costruzione di un centrosinistra che sia vincente anche a livello nazionale per le politiche dell’anno prossimo. Da domattina ci mettiamo al lavoro per preparare le elezioni politiche dell’anno prossimo e per andare con la stessa determinazione, la linearità, candidati unitari scelti bene senza strappi e un lavoro che tiene insieme un campo largo, ovunque l’unità ha premiato», dice a botta calda.
Il centrodestra perde male perché «ha fatto il alcuni casi scelte incredibili: «In alcuni posti il centrodestra ha scelto come proprio candidato un fuoriuscito del centrosinistra e per me questa è la scelta peggiore che si possa fare. Quei candidati hanno perso, penso al risultato clamoroso di Catanzaro e penso che anche questo sia il segno della linearità che vuol dire che si lavora con coerenza e questo alla fine paga». Un segnale al Centro?
(da Open)
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Giugno 27th, 2022 Riccardo Fucile
DAL COLLEGIO DEGLI ORFANI ALLA CRAZIONE DELL’IMPERO DI LUXOTTICA
Il fondatore di Luxottica Leonardo Del Vecchio è venuto a mancare oggi, all’età
di 87 anni. Secondo Forbes, con una ricchezza stimata intorno ai 25 miliardi di dollari,
Del Vecchio era il 52esimo uomo più ricco del mondo: ma il suo percorso ha inizio da condizioni ben diverse.
Figlio di un commerciante di frutta di origini pugliesi morto poco prima della sua nascita, ultimo di quattro fratelli, Del Vecchio viene alla luce a Milano.
A causa dei problemi economici della sua famiglia, viene affidato al collegio dei Martinitt, nella periferia Est del capoluogo lombardo, dove resta fino al diploma di scuola media.
Comincia a lavorare all’età di 15 anni in qualità di garzone in una fabbrica milanese produttrice di medaglie e coppe. L’azienda era piccola, ma produceva partite di montature metalliche per occhiali: per la prima volta, il ragazzo entra così in contatto con il settore che avrebbe cambiato il corso della sua vita.
Nel frattempo, frequenta corsi serali all’Accademia di Brera per incisore, e a 22 anni si trasferisce in un paese del Trentino dove lavora come operaio.
Vi rimane circa un anno, per poi aprire una bottega di montature per occhiali ad Agordo, in provincia di Belluno, dove la comunità montana aveva messo a disposizione gratuitamente terreni ai giovani imprenditori che avessero impiantato una nuova azienda.
È il primo embrione del suo impero: nel 1961 Del Vecchio avvia Luxottica S.a.s., con soli 14 dipendenti. Sei anni dopo, l’azienda si lancerà nel mercato nazionale, producendo e commercializzando occhiali completi con il proprio marchio. Nel giro di una dozzina d’anni circa, il business decolla: nel 1981, Luxottica si lancia nel mercato internazionale, puntando prima all’Europa e poi all’America, fino a incorporare Ray-Ban, il più famoso marchio mondiale di occhiali da sole. Il successo si riflette in borsa: nel 1990 l’azienda viene quotata a New York, nel 2000 sbarca anche a Piazza Affari. Grazie alla quotazione, sono facilitate le acquisizioni: prima Sunglass Hut, nel 2001, e successivamente, nel 2007, la californiana Oakley, il più importante marchio al mondo di occhiali da sport. Dieci anni più tardi, arriverà la fusione da 50 miliardi di euro tra Luxottica e la francese Essilor.
Dall’unione nascerà EssilorLuxottica, la più grande holding produttrice e venditrice mondiale di occhiali e lenti, che conta circa 80.000 dipendenti e oltre 9.000 negozi in 150 Paesi, per circa 91 milioni di occhiali prodotti nel 2019.
Ora a capo del gigante da 65 miliardi di capitalizzazione lascia il fidato Francesco Milleri. Sposato tre volte, di cui due con la stessa donna, padre di Claudio e Paola (avuti dal primo matrimonio con Luciana Nervo), di Leonardo Maria (dall’ultima moglie Nicoletta Zampillo, risposata nel 2010, dopo il divorzio nel 2000), e di Luca e Clemente (nati nel 2001 e nel 2004, avuti dalla ex-compagna Sabina Grossi), Del Vecchio lascia cinque figli. E un impero.
(da agenzie)
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Giugno 27th, 2022 Riccardo Fucile
“SEI STATO UN DONO IMMENSO”
Quella di Damiano Tommasi a Verona è stata – giustamente – definita un’impresa: il nuovo sindaco della città scaligera, infatti, è riuscito a imporre il suo nome nel Comune roccaforte del centrodestra.
Ma un centinaio di chilometri più a sud, c’è stata un’altra donna in grado di trionfare contro il centrodestra (questa volta unito): Katia Tarasconi, infatti, è stata eletta nuova prima cittadina di Piacenza.
Aveva “vinto” il primo turno e al ballottaggio di ieri si è scontrata con la sindaca uscente Patrizia Barbieri sostenuta da Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. E con il 53,46% di voti, sarà lei ad amministrare la cittadina emiliana per i prossimi 5 anni.
Oltre duemila voti di vantaggio nel computo finale ufficializzato dal Viminale. E così, dopo cinque anni di amministrazione a trazione centrodestra, Piacenza torna nelle mani del centrosinistra.
“Ce l’abbiamo fatta! Questo è stato il risultato di un lavoro comune, portato avanti giorno per giorno, strada per strada, incontrando e ascoltando le persone. Con questa campagna elettorale abbiamo riscoperto il senso di comunità di Piacenza, una città inclusiva, aperta a tutti e che non lascia indietro nessuno. Grazie! Sono onorata della fiducia dei piacentini. E ora, al lavoro!”.
Queste le prime parole di Katia Tarasconi dopo l’ufficializzazione della sua vittoria a Piacenza. E il pensiero della nuova sindaca emiliana sarà andato sicuramente anche al figlio Kristopher Dixon che nel settembre dello scorso anno perse la vita in un incidente a Roma.
Si trovava a bordo di uno scooter con un suo amico, quando il mezzo si è schiantato contro il tram numero 5. Una tragedia che ha colpito tutta la sua famiglia e l’intera comunità piacentina. Il giovane, 17 anni, era molto noto in città anche per il suo ruolo di calciatore nella selezione juniores della Gotico Garibaldina. E dopo la tragedia, sua madre scrisse una lettera aperta a quel figlio morto in un incidente.
“Balla amore mio, balla come solo tu sapevi fare. Affido queste parole a questo luogo invisibile, intangibile. Abbiamo sentito tanto tantissimo amore. Nella tua breve vita sei riuscito a fare la cosa più importante, hai dato amore. La mamma è orgogliosa di te, sei speciale, sei buono e hai fatto ridere tanti con la tua comicità spaziale. Come ci siamo sempre detti, la vita è meravigliosa e va vissuta. Tu l’hai fatto. Se mi dicessero che posso scegliere tra non averti mai avuto e non provare ora questo vuoto oppure averti avuto e doverti lasciare andare, sceglierei sempre di averti avuto nella mia vita. Sei stato un dono immenso. Affido qui il mio grazie a tutti quelli che ti vogliono bene, l’amore è arrivato da tante parti di mondo. Da tante vite che hai toccato. Ai tuoi amici voglio dire quello che dico a te, vivi, sorridi, ama. Adesso basta, perché mi stai dicendo: mamma non bollare! Te ne sei andato con stile, il tuo stile. Hai spaccato. Sono fiera di te. Sarai sempre il mio cucciolo, il mio bambino, la mia vita. Ti amo. Da adesso tu per noi sei in California dove volevi tornare. Verremo a trovarti”.
Meno di un anno dopo, quella vittoria e il compito – affidato dai cittadini – di guidare la città di Piacenza per i prossimi 5 anni.
Con un pensiero che sarà sicuramente andato anche al giovane Kristopher.
(da NextQuotidiano)
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Giugno 27th, 2022 Riccardo Fucile
STRAPPATI 5 COMUNI AI SOVRANISTI
Il dado è tratto. I risultati dei ballottaggi nei 13 capoluoghi hanno consegnato la
vittoria, in questa tornata elettorale, al centrosinistra.
La coalizione guidata dal Partito Democratico, infatti, è riuscita a strappare al Centrodestra ben 5 Comuni, tra cui Verona.
E proprio la città veneta rappresenta la cartina di tornasole di queste elezioni: Damiano Tommasi, infatti, è riuscito nell’impresa di trionfare (confermando quanto già indicato al primo turno) contro il sindaco uscente Federico Sboarina.
Una roccaforte che ha cambiato colore politico, portando il “punteggio” (per rimanere in ambito calcistico) finale sul 7-4 per il centrosinistra.
Tommasi sindaco di Verona si unisce ad altri grandi successi del Centrosinistra in giro per l’Italia. Pilotto a Monza, Tarasconi a Piacenza, Abonante ad Alessandria e Fiorita a Catanzaro, infatti, sono gli altri 4 Comuni che hanno deciso di passare da un’amministrazione di centrodestra a una di centrosinistra.
A queste cinque si uniscono le vittorie di Guerra a Parma (amministrata per dieci anni dall’ex pentastellato Federico Pizzarotti) e la conferma di Cuneo che passa dalle mani di Federico Borgna a quelle di Patrizia Manassero (sempre del Partito Democratico). Questi i risultati definitivi dal sito del Viminale.
Per il centrodestra, dunque, si tratta di una sconfitta piuttosto rumorosa che arriva dopo mesi di tensioni. Anche sulle scelte dei candidati. §La scissione principale, infatti, è stata quella di Verona (con Forza Italia che aveva sostenuto, al primo turno, l’ex leghista Tosi). Ma anche nelle altre città non è andata meglio. L’unica sorpresa, di fatto, arriva dal Comune di Lucca strappato al Centrosinistra.
Si tratta di un’elezione anticipata anche da molte polemiche interne, vista la decisione dei tre principali partiti di apparentarsi con un ex candidato (ed ex consigliere Comunale) di CasaPound. Una scelta che, oltre alle tensioni, ha provocato anche l’addio del deputato Elio Vito a Forza Italia (con tanto di rinuncia anche al suo ruolo da parlamentare). Alla fine, però, il fare sponda su quel nome legato al movimento di estrema destra ha fatto il gioco della coalizione di centrodestra che è riuscita a ribaltare il risultato del primo turno, con il Comune che passa nelle mani di Mario Pardini.
Il punteggio finale di 7-4 per il centrosinistra arriva grazie agli altri tre “gol della bandiera” messi a segno dal centrodestra, con Barletta, Frosinone e Gorizia. Gli ultimi due Comuni, per arrivare ai 13 totali, sono andati a candidati di liste civiche: a Viterbo Chiara Frontini, a Como Alessandro Rapinese. In entrambi i casi, a essere sconfitto è stato il centrosinistra perché il centrodestra non aveva neanche superato la tagliola del primo turno.
(da agenzie)
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