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FIDANZA È FINITO IN UN NUOVO CASINO DOPO QUELLO DELLA “LOBBY NERA” SUL RICICLAGGIO DI DENARO, MA LA MELONI NON LO HA MAI ESPULSO

Giugno 30th, 2022 Riccardo Fucile

AVREBBE SPINTO UN CONSIGLIERE COMUNALE DI BRESCIA, GIOVANNI ACRI, A DIMETTERSI, IN CAMBIO DELL’ASSUNZIONE DEL FIGLIO JACOPO, 17ENNE – L’OBIETTIVO ERA FAR ENTRARE A POSTO DI ACRI SENIOR UN FEDELISSIMO DI FIDANZA, GIANGIACOMO CALOVINI, IL PRIMO DEI NON ELETTI DI FDI: LE DATE IN EFFETTI COMBACIANO

Una poltrona da consigliere comunale in cambio dell’assunzione del figlio, non ancora maggiorenne, come assistente della segreteria dell’europarlamentare di Fratelli d’Italia, Carlo Fidanza. Che, nelle scorse ore, ha ricevuto un nuovo avviso di garanzia della procura di Milano.
Dopo l’inchiesta sulla «lobby nera», una nuova tegola si abbatte sul partito di Giorgia Meloni e su uno dei suoi più fedeli e importanti rappresentanti al Nord.
L’accusa ipotizzata questa volta è quella di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio. Il pubblico ufficiale che per i pm sarebbe stato corrotto è l’ex consigliere comunale di Brescia, Giovanni Acri; il presunto corruttore proprio l’europarlamentare Fidanza, già accusato di finanziamento illecito al partito e riciclaggio.
Al centro dell’accordo corruttivo un posto di lavoro per il figlio di Acri all’epoca diciassettenne, Jacopo, da seicento euro al mese più indennità, pagato coi soldi messi a disposizione dall’Unione Europea.
In cambio, per l’accusa, il 25 giugno dello scorso anno, il consigliere comunale bresciano si è dimesso – ufficialmente per questioni personali – per fare spazio a Giangiacomo Calovini, il primo dei non eletti di Fdi. Il quale, oltre a essere il portavoce del senatore e coordinatore provinciale del partito, Gianpietro Maffoni, è anche responsabile della scuola politica voluta proprio da Fidanza a Bruxelles.
Per cercare riscontri alle accuse, gli investigatori del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf, per tutta la giornata di ieri, hanno effettuato perquisizioni e sequestri negli appartamenti di Acri padre (indagato) e figlio (non indagato).
Ma anche nello studio di un commercialista milanese (non indagato) dove il 18 giugno del 2021 si sarebbe perfezionato l’accordo corruttivo, cioè la firma del contratto, di cui – si legge nel decreto di perquisizione – Fidanza si sarebbe reso «promotore».
«Ho appreso con sorpresa di questa indagine» è il commento dell’europarlamentare, difeso dall’avvocato Enrico Giarda, e che si era autosospeso da Fdi a partire dal primo ottobre scorso, quando una videoinchiesta del sito Fanpage aveva denunciato un presunto sistema di «lavatrici» e «fondi neri» per finanziare la campagna elettorale del partito alle amministrative milanesi, dando via al primo filone d’indagine, che vede coinvolti, tra gli altri, Fidanza e il «barone nero» Roberto Jonghi Lavarini.
Di fatto, però, a Bruxelles l’eurodeputato ha proseguito a partecipare a tutte le attività parlamentari, continuando a farsi portavoce delle istanze di Giorgia Meloni.
«Evidentemente facendo politica – prosegue Fidanza in una nota – non si può essere simpatici a tutti e probabilmente qualcuno ha tentato di colpirmi in un momento di difficoltà, nascondendosi dietro l’anonimato. Tengo solo a dire che sono più che sereno, non ho commesso alcun atto illecito e sono certo che le indagini lo dimostreranno».
È stato infatti un esposto anonimo presentato alle procure di Brescia e Milano nell’autunno scorso a dare il via all’inchiesta, coordinata dai pm Cristiana Roveda, Giovanni Polizzi e dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli.
Nel testo si denunciava il tempismo della scelta di Acri che ha abbandonato il posto in Consiglio il 25 giugno, mentre il nome del figlio è comparso nell’elenco degli assistenti locali della segreteria politica di Fidanza proprio il giorno dopo.
Uno scambio che, secondo i primi accertamenti condotti dagli investigatori, sarebbe stato voluto per favorire un esponente di Fdi fedelissimo di Fidanza, che però non è indagato.
Nel frattempo va avanti il primo filone d’inchiesta che vede indagati a vario titolo per finanziamento illecito al partito e riciclaggio, oltre a Fidanza, l’eurodeputato della Lega Angelo Ciocca, il consigliere lombardo del Carroccio, Massimiliano Bastoni e la consigliera comunale di Fratelli d’Italia, Chiara Valcepina.
Mentre va verso l’archiviazione l’altra accusa inizialmente ipotizzata, di apologia del fascismo, per via dei saluti romani e del linguaggio utilizzato nei loro incontri dagli indagati immortalati nel video di Fanpage.
(da agenzie)

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CHE VERGOGNA: ALL’AEROPORTO DI ROMA FIUMICINO I TASSISTI SI RIFIUTANO DI ACCOMPAGNARE I PASSEGGERI NEI QUARTIERI VICINI

Giugno 30th, 2022 Riccardo Fucile

INCASSANO TROPPO POCO RISPETTO AI CLIENTI CHE VANNO IN CENTRO, COSTRETTI A SGANCIARE ALMENO 50 EURO… LA TESTIMONIANZA DI UN UOMO CHE SI È VISTO RIFIUTARE DA TUTTI GLI AUTISTI

«Non ti ci porta nessuno a Ostia», profezia di tassista. Triste ma tutto vero: accade all’aeroporto di Fiumicino, il principale scalo italiano, dove i taxi da sempre fanno il bello e cattivo tempo.
Un esempio? In barba alle regole si rifiutano di accompagnare i clienti in quartieri vicini allo scalo: non solo ad Ostia ma anche Acilia, Mostacciano, Casal Palocco o Spinaceto.
Il motivo? Dopo aver fatto la lunga fila vogliono prendere il cliente con la tariffa piena per Roma Centro, almeno 50 euro, e lasciano a piedi tutti gli altri. Visto che per Ostia bastano appena 20 euro, meglio rifiutare di prendere a bordo alcuni clienti. Una vergogna.
In un video esclusivo di cui Leggo è venuto in possesso, si vedono chiaramente le difficoltà di un passeggero che, sceso dall’aereo con bagaglio al seguito, cerca un taxi. Gli viene chiesto subito per dove e, alla risposta Ostia, si sente rispondere un no secco. Dal primo taxi e, a seguire, dagli altri in fila.
«Ho registrato tutto perché la situazione è diventata insostenibile – racconta Giulio (il vero nome è un altro, ma per paura ha chiesto di essere protetto dall’anonimato), autore del video girato la sera del 22 giugno -. Ostia è un quartiere del Comune di Roma eppure non si trova un taxi disponibile a portartici. Non è la prima volta che mi succede: vivo all’estero, ho i genitori a Ostia, e ogni volta, quando rientro a Roma, non so mai cosa mi aspetta. Praticamente quelli di Ostia sono cittadini romani di serie B».
Nel video si sentono chiaramente le risposte dei tassisti: «Non tocca a me», «Non ti ci porta nessuno ad Ostia» e ancora «Chiedi a quegli altri» dirottando i clienti sui taxi speciali per il Comune di Fiumicino.
«Ma non posso prendere i taxi del comune di Fiumicino per un quartiere di Roma – continua Giulio – alla fine mi sono rivolto a due finanzieri che hanno intimato al tassista di farmi salire. Peccato che poi, una volta a bordo, il conducente si sia scatenato contro di me, tra insulti e minacce di lasciarmi a piedi, facendo finta di sentirsi male».
Già in passato Giulio ha dovuto discutere per avere un servizio che, in teoria, dovrebbe essere garantito: «Una volta purtroppo dovevo correre in ospedale per vedere un mio parente – racconta – ero rientrato a Roma proprio per quel motivo e non avevo tempo da perdere.
Eppure anche in quell’occasione ho dovuto discutere. Qui sono i tassisti che scelgono il cliente, scartando una grande fetta di cittadini, tutti quelli delle zone limitrofe all’aeroporto. Bisogna discutere per tutto: anche per pagare con il pos. Hanno la macchinetta a bordo eppure non funziona mai. Risultato? Una volta un tassista mi ha addirittura portato al bancomat a prelevare i contanti. All’estero non esiste un trattamento del genere». Vedere il videodenuncia per credere.
(da Leggo)

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TUTTI I CRIMINALI DI PUTIN: C’È IL TAGLIAGOLE CECENO RAMZAN KADYROV, CHE SPERA DI RITAGLIARSI UN RUOLO IMPORTANTE, C’È IL FEDELISSIMO PATRUSHEV, PIU OSCURANTISTA DI “MAD VLAD”, CONSIDERATO POSSIBILE SUCCESSORE

Giugno 30th, 2022 Riccardo Fucile

E INFINE C’È MEDVEDEV, EX COLOMBA DIVENTATO UNA SPECIE DI CLOWN CHE OGNI GIORNO LA SPARA PIÙ GROSSA. TUTTA COLPA DELLA VODKA

Quasi tutti gli uomini del presidente. E quanto pesano, soprattutto. Sono mesi in cui per forza di cose gli esercizi di Cremlinologia sono diventati un sottogenere giornalistico, con annesse previsioni sul nuovo Zar nell’improbabile caso di abbandono, o peggio, da parte di Vladimir Putin.
Novaya Gazeta, il quotidiano diretto dal premio Nobel Dmitry Muratov, ha fatto una operazione diversa.
Sulla sua edizione online, l’unica ormai possibile, ha affidato ad alcuni politologi la valutazione sulla effettiva rilevanza dei personaggi che più di tutti recitano il ruolo di guerrafondai e nemici dell’Occidente.
Cominciamo con i due cattivi mediatici per eccellenza, Ramzan Kadyrov e Dmitry Medvedev , i due uomini che ogni mattina danno il buongiorno al creato con parole sempre più aggressive contro «i nemici della Russia».
Il leader ceceno si è accreditato con i consueti toni sguaiati come il cattivo tenente di Putin. Ma è innegabile come la guerra in Ucraina gli stia dando la possibilità di uscire dal cono d’ombra del leader regionale e di ritagliarsi un ruolo importante a livello federale.
Non ha alcuna possibilità di sostituirlo, ma almeno è diventato un interlocutore del presidente. Quella dell’ex delfino dello Zar è invece una parabola opposta. La tribuna degli esperti di Novaya Gazeta è concorde su Medvedev. Un grande avvenire dietro le spalle, e un presente gramo.
«La sua figura ormai non appartiene più alla politica, è diventato una specie di clown dei media» dice ad esempio l’analista Nikolay Petrov.
Andiamo oltre. C’è un metodo, nelle dichiarazioni fuori misura di Andrey Turchak .Secondo Fyodor Krasheninnikov, giornalista e analista politico ben addentro alle dinamiche della verticale del potere russo, per il segretario generale di Russia Unita la guerra rappresenta la possibilità di scalare le gerarchie, per avere finalmente un posto al sole, ben diverso da quello di capo di un partito personale senza alcuna vera struttura.
Lo speaker della Duma Vyacheslav Volodin era conosciuto fino a pochi anni fa come un moderato di centro.
Dal 2018 in poi, dopo alcune accuse di corruzione, ha promosso leggi contro le comunità Lgbt, riciclandosi in falco. Da ricordare, tra le tante, la proposta di licenziare dal pubblico impiego chi solleva obiezioni sull’Operazione militare speciale. Ma rendersi visibile non lo rende certo più influente. In Russia conta poco. Anche per lui, il meglio è passato. Fino al 2016 dirigeva lo staff presidenziale, ruolo in cui gli è subentrato Sergey Kiriyenko , che oggi gestisce l’occupazione del Donbass.
Sogna di prendere il posto di Putin, ma a Mosca viene considerato un tecnocrate di poco carisma, incapace di parlare in pubblico. Al vicepremier Marat Khushullin è stata affidata la ricostruzione e la gestione delle regioni di Kherson, Zaporiziya e della nuova repubblica di Lugansk. Al contrario di quel che si crede, e lo stesso vale per Kiriyenko, non si tratta di una promozione.
«Loro due, e in generale ogni persona chiamata a svolgere pubblica attività in quell’area, si sono macchiati di molti più crimini di quelli che sparano soltanto sui social» dice Krasheninnikov. Anche per questo non hanno un futuro, e possono solo sperare che Putin duri più a lungo possibile
Sergey Mironov figura in questo elenco solo per ragioni interne. Il capo di Russia giusta, partito alleato di Putin, famoso per la sua prudenza e per avere svolto la funzione del finto oppositore, è per il mercato interno quel che rappresenta Medvedev all’estero.
«Non capisce che così si rende ridicolo e inaffidabile» taglia corto Novaya Gazeta . Ultimo viene il più importante. Nikolay Patrushev crede in quello che dice. È il Putinista assoluto. A differenza degli altri, era un oscurantista convinto ancora prima che lo divenisse il suo leader. L’ex direttore dei Servizi segreti è il capo indiscusso del Consiglio di sicurezza, ben sopra Medvedev che nominalmente gli starebbe sopra.
«Il conflitto con l’Occidente e il crescente isolamento di Putin hanno accresciuto il suo potere a livello esponenziale». Patrushev è l’uomo che filtra le informazioni dirette al suo leader. Ma anche il secondo uomo più potente di Russia ha un problema. I suoi 70 anni, uno in più di Putin. L’erede al trono ancora non si trova. E se per caso esiste un successore designato, si muove nell’ombra.
(da il Corriere della Sera)

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BERRETTINI VIENE SOMMERSO DA INSULTI SUI SOCIAL DALLA FOGNA NO VAX PER IL FORFAIT A WIMBLEDON A CAUSA DI UN TAMPONE (NON OBBLIGATORIO) POSITIVO

Giugno 30th, 2022 Riccardo Fucile

MOLTISSIMI NO VAX HANNO DATO DEL “COGLIONE” E “COVIDIOTA” AL TENNISTA ROMANO “REO” DI AVER “SACRIFICATO IL PROPRIO INTERESSE PER QUELLO SUPERIORE DEGLI ALTRI”

Matteo Berrettini ieri ha annunciato col “cuore spezzato” di essere costretto a dare forfait al torneo di Wimbledon a causa della sua positività al Covid. Il 26enne tennista romano sarebbe dovuto scendere in campo di lì a qualche ora nel suo incontro di primo turno contro il cileno Garin, invece il suo posto in tabellone è stato preso dal lucky loser svedese Elias Ymer, che si è messo in tasca le 50mila sterline (oltre 58mila euro) destinate allo sconfitto e ha salutato velocemente il torneo perdendo tre set a zero.
L’annuncio di Berrettini, dato via social a corredo di una sua foto in bianco e nero a testimoniare lo stato d’animo plumbeo, ha tolto dal terzo Slam stagionale uno dei favoriti della vigilia, il terzo secondo i bookmaker alle spalle del campione uscente Djokovic (che aveva battuto in finale l’azzurro l’anno scorso) e Nadal.
Del resto, il romano veniva da due tornei consecutivi vinti sull’erba, a Stoccarda e al Queen’s, dimostrando di essere ormai uno dei migliori specialisti sulla superficie, dopo aver pienamente recuperato dall’operazione alla mano dello scorso marzo che gli aveva fatto saltare tutta la stagione sulla terra battuta.
Con queste premesse, le aspettative di Berrettini e dei suoi tifosi erano altissime, e Matteo aveva davvero la sensazione che questo potesse essere l’anno buono, quel momento magico – che capita poche volte nel corso di un’intera carriera – in cui la condizione psicofisica e tecnica si incontra con congiunture astrali favorevoli per realizzare la vittoria della vita. “Sono sempre stato cauto con le parole, ora sento che non serve più nascondermi – aveva detto qualche giorno fa – Sto giocando bene, scoppio di fiducia: entro nel torneo con la ragionevole certezza di poter arrivare lontano. La strada per la finale la conosco già. Mi sento più pronto, più forte, migliore. A Parigi, Londra e New York, nel 2021, ho perso sempre da Djokovic. Direi che è arrivato il momento di batterlo”.
La legittima ambizione del nostro campione si è scontrata con l’esito di un tampone che lo ha gelato.
Un tampone cui non era obbligato a sottoporsi, visto che in Inghilterra le restrizioni anti Covid sono state completamente rimosse. Non si è obbligati a segnalare di essere positivi né a mettersi in isolamento, si consiglia semplicemente di restare a casa e limitare i contatti.
Un approccio al virus che nel torneo di Wimbledon si è tradotto nell’assenza totale di protocolli atti a limitare il contagio, sia per i giocatori che per il pubblico.
Berrettini avrebbe potuto ignorare i sintomi che gli suggerivano che non stesse bene e dunque non sottoporsi al tampone – come avrebbero fatto tacitamente molti tennisti al recente Roland Garros, a sentire la francese Alize Cornet – ed invece, con grande senso di responsabilità nei confronti degli altri, lo ha fatto, accettandone le conseguenze per lui molto pesanti: rinunciare a un treno che non è detto che ripassi più, sia da un punto di vista sportivo che economico (chi vince Wimbledon si porta a casa 2 milioni di sterline, ovvero oltre 2,3 milioni di euro).
“Ho avuto sintomi influenzali e sono stato in isolamento negli ultimi giorni – ha spiegato Matteo su Instagram – Nonostante i sintomi non siano gravi, ho deciso che era importante fare un altro test questa mattina per proteggere la salute e la sicurezza dei miei avversari e di tutti le altre persone coinvolte nel torneo. Non ho parole per descrivere l’estrema delusione che provo. Il sogno è finito per quest’anno, ma tornerò più forte”. Parole che gli fanno onore e sono la conseguenza coerente della posizione che Berrettini ha sempre assunto sulla necessità di impegnarsi nella profilassi per limitare i contagi del Covid.
Le stesse parole sono state tuttavia usate sui social per ridicolizzare il romano, con vergognosi insulti da parte di account negazionisti del Covid e No vax. Il sentimento civico e l’empatia per il prossimo mostrate da Berrettini si trasformano dunque – agli occhi di queste persone – in stupidità per aver rinunciato ad una barca di soldi in nome di qualcosa che esisterebbe solo per i ‘Covidioti’. Matteo sarebbe dunque un “cogl***e” per aver sacrificato il proprio interesse (e non poco) per quello superiore degli altri. “Immagina non avere una linea di febbre e farti un tampone sapendo che se risulterà positivo ti scordi il torneo più importante al mondo e 2,5 milioni di euro. Immagina essere più cretini”, si legge in un tweet.§
E ancora: “Vorrei elogiare il genio di Berrettini: si sentiva il raffreddore e ha rinunciato a un possibile approdo nei primi 4, magari un’altra finale di Wimbledon (in soldoni, tra 1 e 2 milioni) per la sua Covidiozia. E niente, si gode morendo dalle risate”. “Hai protetto gli altri da che? Dall’influenza? Ma per favore, sei solo un coniglio, é questa la verità – scrive un altro hater – Se tutti gli atleti si fanno un tampone al giorno, nel 90% dei casi, sei positivo. Idiota”. Fino ad arrivare al titolo di “Covidiota dell’anno”.
Feccia ancora a piede libero.
(da agenzie)

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È STATA UNA FATICACCIA, MA CE L’ABBIAMO FATTA: IL GOVERNO ITALIANO HA CENTRATO TUTTI I 45 OBIETTIVI INDICATI DAL PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA

Giugno 30th, 2022 Riccardo Fucile

ADESSO LA COMMISSIONE EUROPEA DOVRÀ SGANCIARE LA SECONDA RATA DEL RECOVERY, DA 24,1 MILIARDI DI EURO… ORA CI SONO ALTRI 16 OBIETTIVI E 39 TRAGUARDI DA CENTRARE ENTRO LA FINE DELL’ANNO. SEMPRE CHE DRAGHI RIMANGA A PALAZZO CHIGI

Con la conclusione del bando per le nuove reti 5G e del 15° lotto di «Italia a 1 Giga», l’approvazione dei programmi per gli investimenti sulla rete stradale delle aree interne e dei piani operativi dell’Anas e dei concessionari per il monitoraggio di ponti e viadotti, e la firma da parte del Mite del decreto che fa scattare 600 milioni di investimenti sulla rete idrica e il riuso delle acque, l’Italia ha raggiunto nei tempi previsti tutti e 45 i traguardi e gli obiettivi indicati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza per il primo semestre 2022.
Il primo vero step legato al Pnrr insomma, dopo le solite apprensioni a causa dei soliti ritardi, è stato raggiunto e ieri il ministero dell’Economia ha comunicato di aver inviato alla Commissione europea la richiesta relativa al pagamento della seconda rata dei fondi del Pnrr del valore complessivo di 24,1 miliardi di euro (11,5 di contributi a fondo perduto e 12,6 di prestiti), 21 effettivi al netto del rimborso della rata del prefinanziamento ricevuto ad agosto 2021.
Ora la palla passa alla Commissione europea che nei prossimi mesi in base ai regolamenti dovrà verificare il pieno rispetto degli impegni. «I pagamenti – fanno sapere da Bruxelles confermando di aver ricevuto la richiesta italiana – sono basati sui risultati e subordinati all’attuazione da parte dell’Italia degli investimenti e delle riforme delineate nel suo piano di ripresa e resilienza.
Questa seconda richiesta di pagamento riguarda 45 tappe e obiettivi che coprono diverse riforme anche nei settori della pubblica amministrazione, degli appalti pubblici, dell’amministrazione fiscale, dell’istruzione e della sanità territoriale, nonché degli investimenti in banda ultralarga e 5G, turismo e cultura, idrogeno, urbanistica rigenerazione e digitalizzazione delle scuole».
«Con la trasmissione alla Commissione della richiesta di pagamento della seconda rata il nostro Paese si conferma tra gli stati del gruppo di testa nell’Ue sul fronte dell’attuazione del Pnrr. Abbiamo ricevuto più soldi di tutti, ma rispondiamo con serietà e credibilità, mantenendo gli impegni presi.
Un segno tangibile del patrimonio di credibilità e reputazione conquistato in questi 16 mesi di governo» ha commentato il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta, particolarmente orgoglioso del fatto che il nostro Paese sia quello «più impegnato nella modernizzazione della Pa per ammontare delle risorse impegnate, qualità delle riforme e investimenti».
Col completamento di tutte le gare, spiega una nota del ministero per la Transizione tecnologica, l’Italia sarà il primo Paese in Europa ad avere, grazie all’intervento pubblico, reti mobili 5G ad elevate prestazioni e interamente rilegate in fibra ottica, in grado di garantire altissima velocità e minima latenza ovunque.
«Sono molto soddisfatto dell’obiettivo raggiunto. In 13 mesi abbiamo approvato la Strategia italiana, ottenuto le autorizzazioni europee, pubblicato e assegnato tutti i bandi Pnrr e investito in totale un valore di circa 5,5 miliardi, con l’ambizioso obiettivo di connettere tutta l’Italia entro il 2026 con reti ad altissima velocità fisse e mobili» ha commentato il ministro Vittorio Colao.
In base ai programmi tra quattro anni le case degli italiani avranno una connessione fissa di almeno 1 Giga, le aree popolate saranno raggiunte dal 5G ad altissima capacità, tutte le scuole e le strutture sanitarie avranno la connessione adatta per garantire servizi ad altissime prestazioni.
La sfida legata agli impegni del secondo semestre dell’anno che inizia ora non sarà meno impegnativa: bisognerà infatti centrare altri 16 obiettivi e 39 traguardi. Operazione che però, grazie al decreto sull’attuazione del Pnnr approvato ieri dalla Camera con 316 sì, d’ora in avanti dovrebbe risultare più agevole.
«Il lavoro dell’intero governo, che è proseguito senza ritardi nonostante il dramma della guerra non si ferma – assicura Brunetta -. Siamo già all’opera per tagliare entro fine anno i prossimi traguardi, che valgono altri 22 miliardi di investimenti per l’Italia di domani, nel segno delle riforme, della crescita e dell’inclusione».
(da la Stampa)

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MASTELLA CONTRO IL “CHURCHILL DEI PARIOLI”: “CALENDA ACCUSA ME, DI MAIO E GLI ALTRI DI ESSERE VOLTAGABBANA? MA CON QUALE FACCIA?”

Giugno 30th, 2022 Riccardo Fucile

“GRAZIE A MONTI SI RITROVA VICE-MINISTRO DELLO SVILUPPO, SI AVVICINA AL PD SENZA ADERIRVI E INCASSA UN INCARICO IN EUROPA; E POI TORNA AL MISE STAVOLTA DA MINISTRO CON RENZI E POI CON GENTILONI. ORA SI PERMETTE PURE DI DETTARE L’AGENDA”

Più centrista – tendenza democristiana – di Clemente Mastella, in natura, è difficile trovarlo. Torna di moda il simulacro del bel Centro che fu; e l’affollamento odierno, da quei territori storici della politica, richiede oggi apposita disamina.
Caro Mastella che differenze c’è fra questa tensione centripeta della politica e quella di voi democristiani invincibili, quelli dell’Ulivo, di Prodi premier?
«Be’, non è come ai nostri tempi, quando facemmo la Margherita convogliando le varie anime rappresentative del centro: Marini i sindacati, Dini la tecnocrazia, Prodi il governo, io che ero io. Il dato aritmetico, allora, superò la realtà: in alcune regioni surclassammo addirittura i Ds. Ma non c’è onestamente paragone tra i leader di allora e quelli d’oggi, dai».
Che, poi, se vogliamo farci una squadra di calcio, questo ipotetico “partito di Draghi” non ha troppe primedonne, Di Maio, Renzi, Carfagna, Tabacci, Calenda (e potrei continuare)?
«Ma ci sta. Discorso a parte vale per Calenda che fa il figo, che è l’unico a permettersi, ora, di respingere le avance di Di Maio, odi selezionare, schifiltoso, eventuali alleati al centro. E invece, sai, mi ricorda il ciclista Tano Belloni di Pizzighettone l’eterno secondo (anzi, a Roma terzo). Tra l’altro, Calenda accusa gli altri di voltagabbanismo. Con che faccia.
Grazie a Monti, da quale poi si affrancherà, si ritrova vice-ministro dello Sviluppo Economico prima con Letta e poi con Renzi, si avvicina al Pd senza aderirvi; e incassa un incarico in Europa solitamente riservato ai diplomatici senza averne titolo; e poi torna al Mise stavolta da ministro con Renzi e poi con Gentiloni. Per non dire delle sulle numerose vertenze irrisolte nel corso del suo dicastero (Alitalia, Fincantieri, Almaviva, Ilva). Ora si permette pure di dettare l’agenda, e di fare il selettivo con tutti ma in Puglia e in Campania, per dire, ha preso meno di me e di De Luca; e i suoi candidati passano sempre più spesso con altri avversari da Catanzaro, mi pare, Carrara…».
Ok. Per lei i simpatici sono diversi da Calenda. Però non è che Di Maio, con la sua espressione intonata alla grisaglia sprizzi empatia…
«L’operazione Di Maio va bene, per carità. Di Maio che, da 5Stelle ha conosciuto, direbbero i poeti romantici, tutti gli “infiniti abissi” del Movimento, oggi può davvero traghettare la parte “sana” del M5S verso un governo responsabile. D’altronde, se rimaneva lì, parliamoci chiaro, era allo sbando. Non ho capito se Grillo è andato a votare a Genova (mi pare di no) ma comunque nella sua città ha preso il 5%. Se io prendo il 5% a Benevento, vado in piazza Roma e mi do fuoco».
Cioè mi sta dicendo che la ricerca del Centro vero è irraggiungibile?
«Non esageriamo. Sto dicendo che la realtà è che, se sei centro, hai solo due scelte. O sfidi tutti e vai da solo; e questo non si può fare alla Camera, ma può essere una bella idea spiazzante al Senato. O diventi l’ago della bilancia, e entri nelle grandi manovre che contano. Io l’ho fatto nel 2006: senza di me non si faceva un cazzo. Ma per avere un’offerta diversa, qua urge una nuova Margherita, sennò non vinci».
La Margherita non mi pare un’idea originalissima…
«Non sarà un’idea originalissima ma il Pd, pur avendo vinto le amministrative è in stallo. E il Pd non vince davvero un’elezione dal 2006. Quindi io metterei pure Enrico Letta nel mucchio. Da annetterlo, assolutamente; col tutto il suo campo largo deve allargare ancora di più si deve prendere tutti. Pure Mastella anche se gli sta suoi coglioni».
E Draghi, in tutto questo, che cosa fa? Si presta a benedire il progetto? Presidia la sua solitudine tecnica? Pensa a fare il suo dovere per andarsene a casa il prima possibile?
«Draghi ha la mia età, può scegliere serenamente. Può legittimamente riposarsi, per esempio. Oppure, come me, può rimanere in politica a mo’ di servizio pubblico, come garanzia di uno Stato che funziona e diga contro il sovranismo…».
(da Libero)

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IL PRESIDENTE DELLA FINLANDIA: “PRONTI A PROTEGGERE I NOSTRI CONFINI”

Giugno 30th, 2022 Riccardo Fucile

“CON PUTIN NON GIOCHERO’ MAI PIU’ A HOCKEY”

Fino a pochi giorni fa i giornali presentavano il presidente della Finlandia Sauli Niinisto come uno dei politici più rispettati da Vladimir Putin. Complice anche una partita di hockey a San Pietroburgo che risale al 2012 e le foto che li immortalavano insieme.
Ora che il suo paese sta per aderire alla Nato però ha cambiato idea. Sia sullo zar che sull’hockey. E in un’intervista a la Repubblica spiega perché: «All’inizio di dicembre scorso, Putin ha fatto un discorso dicendo che la Nato non avrebbe potuto più allargarsi, in particolare non sulla linea di confine russa. Un messaggio chiaro a noi e alla Svezia. Queste scelte, però, appartengono solo alla nostra volontà. È stato quasi uno shock. Come avremmo potuto contribuire alla stabilizzazione? Magari se ci fossimo allineati qualcuno avrebbe pensato: certo perché Mosca te lo vieta. Nell’opinione pubblica finlandese è iniziato a crescere il favore verso l’adesione. Poi quando è partito l’attacco all’Ucraina, è diventato chiaro che avrebbe potuto prepararsi a invadere anche altri Paesi vicini».
Per questo Helsinki ha cambiato idea sullo zar: «Ricordiamoci che ancora a gennaio hanno detto che non avrebbero attaccato. Dobbiamo stare attenti. Evitare di offrire scuse per una escalation oltre l’Ucraina».
E adesso si prepara: Non ho mai pensato che la Russia avrebbe attaccato solo noi, ma dobbiamo considerare la possibilità – si spera teorica – di una guerra. E noi siamo capaci di proteggere i nostri confini».
Quanto a Putin, secondo Niinisto non è mai stato un vero e proprio partner: «Condividendo quel lungo confine, esistono dei problemi quotidiani da risolvere. Nel golfo di Finlandia, ad esempio, il trasporto marittimo è sempre intenso. Ci sono famiglie con genitori delle due nazionalità. La Russia, insomma, non era un partner ma un vicino da considerare».
Ma sull’hockey è categorico: «No, con Putin non ci giocherei più».
(da agenzie)

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CONGRESSO SUBITO E CAMBIO DEL NOME TOGLIENDO QUELLO DI SALVINI: COSI’ NELLA LEGA VOLEVANO SFILARE IL PARTITO AL CAPITONE

Giugno 30th, 2022 Riccardo Fucile

“ERAVAMO PRONTI, ATTENDEVAMO SOLO UN SEGNALE”… LA RIVOLTA DOVEVA SCATTARE IN REGIONE LOMBARDIA, POI RINVIATA PER NON DANNEGGIARE FONTANA

Un congresso straordinario per cambiare nome alla “Lega per Salvini premier”. Trasformandola semplicemente in Lega. Per dare un segnale a Matteo Salvini. E preparare la sua successione all’interno del Carroccio. Questo, secondo la Repubblica, era il piano di alcuni “congiurati” che hanno stoppato tutto per garantire la ricandidatura di Attilio Fontana in Regione Lombardia.
Il piano contro il Capitano, illustrato oggi da Matteo Pucciarelli, parte dal consiglio regionale della Lombardia. La fronda interna era pronta anche a uscire dal partito.
La prima mossa però doveva essere un congresso straordinario per cambiare il nome della Lega per Salvini premier. Trasformandolo semplicemente in “Lega”.
«Attendevamo tutti il segnale, eravamo pronti – confida uno dei congiurati, naturalmente in anonimato, al quotidiano – poi c’è stato lo stop. In questo momento era e rimane troppo importante garantire la ricandidatura di Attilio Fontana».
Il quale fa parte dell’asse dei governatori del Nord insieme a Massimiliano Fedriga e Luca Zaia. Ed è, insieme a Giancarlo Giorgetti, il contropotere che si oppone alla svolta “nazionale” del 2018.
Secondo il racconto la seconda opzione dei congiurati era quella di lasciare il partito. Con un’operazione simile a quella condotta da Luigi Di Maio. Anche per non rischiare alle prossime elezioni. Visto che per il combinato disposto del taglio dei parlamentari e della fuga degli elettori dal Carroccio Salviniano, molti rischiano il posto.
«La malattia esiste e il leader non può più fare finta di nulla, ora dobbiamo fare pulizia delle mezze figure, è finito il momento degli amici al bar, servono merito e competenza», avrebbe sussurrato un altro deputato.
E i numeri delle elezioni comunali gli danno ragione: un solo consigliere eletto a Monza (erano 7), tre a Lodi (idem), due a Sesto San Giovanni. Nonostante la vittoria nella ex Stalingrado d’Italia.
(da agenzie)

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LA SUPERCAZZOLA DELLA DEPUTATA DI FRATELLI D’ITALIA SU IUS SCHOLAE E CANNABIS LEGALE

Giugno 30th, 2022 Riccardo Fucile

DOVE SONO LE FORZE POLITICHE CHE DISTRIBUISCONO DROGA PER STRADA? LO SA SOLO LEI… NOI VEDIAMO GAZEBO DI FORZE POLITICHE CHE DISTRIBUISCONO ODIO E PALLE, QUELLO SI’

In passato aveva dimostrato al pubblico televisivo di non sapere chi fosse Bud Spencer (non conoscendo la differenza tra il nome d’arte cinematografico e quello all’anagrafe di Carlo Perdesoli). Ma quella gaffe in diretta è stato solamente un antipasto, prima della ratatouille che la deputata di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli è riuscita a cucinare nel pentolone della discussione in Aula (a Montecitorio) sulle due proposte di legge sullo Ius Scholae e la cannabis libera.
Nel corso del suo intervento nell’Aula della Camera durante la discussione di ieri, Augusta Montaruli si è rivolta alla sinistra, ai bambini – che sicuramente (ma proprio al 100%) si erano collegati per seguire il suo discorso – e alle famiglie. Con queste parole.
“I bambini ci guardano. Francamente non capisco quale problema abbia la sinistra con i bambini. I bambini ci guardano, sì. E spero che qualcuno ci stia ascoltando perché io oggi mi voglio rivolgere soprattutto a loro, ai bambini stranieri che sono in Italia. Si parla non solo dello Ius Scholae, ma anche della cannabis libera. Io voglio proprio vedere se quei bambini che ci guardano e le loro famiglie sono tanto contenti di vedere che la proposta di legge che voi sbandierate a loro favore, portate avanti dalle stesse forze politiche che regalano la droga per le strade. Io non credo che questo parallelismo vi faccia tanto bene, amici della sinistra. E credo che proprio oggi apriranno gli occhi”.
Rassicuriamo, però, i genitori e anche i piccoli. La proposta di legge in discussione sulla cannabis libera non prevede che i rappresentanti delle forze politiche (i proponenti) scendano in strada per spacciare, anzi regalare, sostanze stupefacenti ai bambini, adolescenti e ragazzi.
E non c’entra, ovviamente, nulla il riferimento allo Ius Scholae che rappresenta il diritto di cittadinanza per tutti quei ragazzi (nati in Italia da genitori stranieri, o nati all’estero ma con un ciclo scolastico completato in Italia) che, per la legge attuale, non possono essere riconosciuti come cittadini italiani.
(da NextQuotidiano)

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