Agosto 31st, 2022 Riccardo Fucile
“GLI IMPIANTI VANNO FATTI, SE NON CI SONO ALTERNATIVE”
Come era inevitabile che accadesse, la crisi del gas russo costringe i partiti ad abbassare i toni. Alla spicciolata, i leader in campagna elettorale annunciano di essere disposti a discutere insieme del decreto che Mario Draghi dovrà varare entro metà settembre, l’ultima data utile per farlo approvare dal vecchio Parlamento. Ora è disponibile anche Giorgia Meloni, e non solo per trattare.
Si dice contraria a «nuovo debito» e ha cambiato linea sulla nave rigassificatrice di Piombino, essenziale allo stoccaggio del gas africano e contro la quale fa le barricate il sindaco di Fratelli d’Italia. «Gli impianti vanno fatti, se non ci sono alternative per me l’approvvigionamento è la priorità».
In queste ore lo staff di Palazzo Chigi e il capo di gabinetto Antonio Funiciello si tengono in contatto con tutti. Carlo Calenda di Azione, che la settimana scorsa aveva lanciato un appello perché ci fosse un tavolo dei leader, attacca il Pd di Enrico Letta dicendo che «è l’unico a non aver risposto». Fonti della segreteria del partito reagiscono caustiche: «Calenda per far vedere che esiste vuol far perdere tempo a noi e al premier. Il presidente sa benissimo quali sono le nostre proposte, a partire dal tetto al prezzo del metano russo».
Draghi, il primo a lanciare la proposta a livello europeo, si sta occupando anzitutto di questo. Ha convinto i tedeschi a rompere gli indugi, e spera di fare altrettanto con il governo olandese. Non è ancora chiaro se si tratterà di un vero e proprio tetto, di certo permetterà di ridurre il costo dell’energia elettrica nell’Unione europea, fin qui dipendente dal prezzo del gas.
La trattativa con gli altri governi la sta facendo la presidente della Commissione Ursula von Der Leyen, che in questi giorni ha sentito più volte al telefono Draghi. Contemporaneamente i tecnici stanno lavorando al terzo decreto di aiuti, che verrà immediatamente trasformato in emendamento al “bis” ancora in discussione alle Camere.
A disposizione ci saranno fra gli otto e i dieci miliardi di euro, parte dei quali verranno dalla riscrittura della tassa sugli extraprofitti delle aziende energetiche. L’ipotesi più probabile è che si trasformi in addizionale Irap. Il Pd è favorevolissimo, il partito della Meloni meno. Il premier ieri ne ha parlato a Palazzo Chigi col ministro del Tesoro Daniele Franco.
Draghi chiede che la nuova norma sulla tassa sia efficace, ha chiesto correttivi che costringano le aziende a pagare invece della fuga nei ricorsi e per questo alle riunioni partecipa anche la Guardia di Finanza. Il problema sarà riuscire a far bastare quanto a disposizione per rifinanziare tutti gli sconti fin qui garantiti. Il costosissimo sussidio su benzina e diesel, ad esempio: la proroga di quello in scadenza il 20 settembre per ora verrà confermata solo fino al 5 ottobre.
Draghi era e resta contrario a nuovo deficit. Una delle ragioni che ha convinto Meloni ad abbassare i toni da campagna elettorale (e come lei Matteo Salvini) è la crescente consapevolezza (su cui Draghi fa un lavoro quasi quotidiano) di quel che aspetta il centrodestra il giorno dopo il 25 settembre. Ieri i rendimenti dei titoli di Stato sono tornati sopra al quattro per cento.
Giovedì 8 settembre si riuniscono i governatori della zona euro ed è ormai certo ci sarà un nuovo aumento dei tassi che a cascata deprimerà l’economia. La ragione di tutto questo si chiama inflazione: nell’intera Unione sfiora già il 9 per cento, la Bundesbank stima che entro la fine dell’anno in Germania toccherà il dieci.
Dunque sì al decreto, no a scassare i conti. Ieri Palazzo Chigi ha dato enfasi a uno studio del Bruegel secondo il quale l’Italia ha già speso quasi cinquanta miliardi per l’emergenza gas. In proporzione al Pil, solo un gradino sotto la Grecia. Per evitare il peggio a chi ha da pagare bollette, è più importante e meno costoso l’accordo europeo sul prezzo dell’energia.
(da La Stampa)
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Agosto 31st, 2022 Riccardo Fucile
MARIELA NUNEZ E’ DI ORIGINE DOMENICANA… MA MOLTI SI SCHIERANO CON LEI: “E QUALI SAREBBERO I TRATTI CARATTERISTICI DELLA BELLEZZA LIGURE?”
Mariela Nunez è una bellissima ragazza di venticinque anni. Parteciperà alle finali di Miss Italia perché si è aggiudicata la fascia di Miss Liguria. C’è solo un piccolo particolare che ha suscitato la solita ondata di commenti razzisti e ottusi. Mariela è di origine dominicana, anche se vive in Italia da quando era una bambina, a dodici anni.
La neo Miss Liguria ha raccontato che è purtroppo abituata ad essere additata per il colore della sua pelle, già quando alle medie veniva bullizzata: “Perché ero magrolina e timida, ma anche per il colore della pelle. Però ho avuto professoresse intelligenti che hanno troncato subito tutto sul nascere, e la solidarietà del resto della classe. Esperienze che mi hanno resa quella che sono adesso”.
Ora invece lo “scandalo” della sua elezione risiederebbe per coloro ai quali non è andata giù nella sua fisicità, nel suo tipo di bellezza che non rappresenterebbe i canoni dell’italianità. E Mariela Nunez risponde per le rime ai provincialotti che evidentemente non girano per le strade da un po’ se non si sono resi conto che l’Italia, e la bellezza di chi la abita, ormai è cambiata da un pezzo: “Non mi aspettavo queste frasi ancora nel 2022, davvero ma ho ricevuto tanta solidarietà dalle mie compagne: questi argomenti erano la cosa più lontana dalle nostre menti durante il concorso. Ognuna ha la sua bellezza, le sue caratteristiche. Ci siamo divertite. Il resto sono punti di vista”.
Certamente a leggere certi commenti sui social non sembra proprio siano ormai passati quasi trent’anni dal quel 1996 che vide incoronare la splendida Denny Mendez Miss Italia.
“Non sono razzista ma…”: le risibili argomentazioni contro Mariela Nunez
Tra chi critica l’elezione della venticinquenne c’è chi insinua che sia arrivata alla vittoria con non meglio specificati aiutini. Poi però c’è chi insulta Mariela non vergognandosi di offenderla con allusioni sessiste, che sarebbero l’unica ragione per la quale ha la fascia da miss. Ma naturalmente oltre al sessismo più deteriore non mancano le argomentazioni razziste. E naturalmente chi le propugna nega di esserlo.
Le sfumature dei pregiudizi sono molteplici: si va da quelli che “le tradizioni vanno a farsi benedire” a chi invece che nella Liguria del 2022 potrebbe essere nato nell’Alabama degli anni ’50 perché parla di tendenze “pro colored”
Invece al tipo a cui sembra fantascienza che una ragazza originaria dello Zaire possa diventare Miss Norvegia ricordiamo che Sephora Ikalaba, una ragazza nigeriana, è stata eletta Miss Helsinki. Purtroppo con la solita scia di becerume.
Per fortuna c’è anche chi focalizza una questione lapalissiana: “Ecco, allora qualcuno adesso mi elenchi gentilmente, quali sarebbero i tratti caratteristici della bellezza ligure”. O chi mette un punto definitivo su tutta la storia: “Se è bella lo merita. Chi se ne frega da dove viene abita in Liguria e ha il diritto come gli altri”.
(da NextQuotidiano)
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Agosto 31st, 2022 Riccardo Fucile
LA NOTIZIA FALSA E’ STATA SMENTITA DALLA FIGLIA…NELLA FRETTA DI FARE PRIMO, IL LEGHISTA PUBBLICA UN POST IN RICORDO, POI LO SOSTITUISCE CON UNO SU LADY DIANA, SENZA SCUSARSI
Rosa Russo Iervolino è morta, anzi no. La notizia della dipartita dell’ex sindaco di Napoli è stata rilanciata oggi da molti media, ma era completamente infondata, tanto che la figlia, Francesca Russo, è stata costretta a pubblicare un post su Facebook per smentire.
“Mamma sta benissimo. Non so quale idiota abbia messo in giro questa notizia. Sarebbe il caso di non scherzare sulla vita delle persone… napoletanamente facciamo le corna!!!”.
Così, in un post pubblicato sulla sua pagina Facebook Francesca Russo ha commentato la falsa notizia della morte di sua madre, l’ex ministra dell’Interno ed ex sindaco di Napoli Rosa Russo Iervolino, apparsa questa mattina su diversi organi di stampa
Ma non sono stati solamente siti web e giornali a sbagliare. Nella foga di arrivare per primo, qualcuno ha ripreso questa notizia credendola vera, salvo poi correre ai ripari. Ad accorgersene, anche Luca Bizzarri, che in un tweet scrive: Matteo Salvini, infatti, aveva già pubblicato un post su Facebook in ricordo dell’ex sindaca e ministra, in cui sottolineava la diversità di vedute con Iervolino. «Di fronte alla morte servono rispetto e preghiere», aveva scritto nel post.
Matteo Salvini, alla smentita della notizia, ha cancellato il post in questione senza pubblicare nessun messaggio di scuse o di smentita del post precedente.
Al suo posto, ci perdoni l’ironia, ora campeggia un ricordo di Lady Diana Spencer, la notizia della cui morte ha sicuramente basi inattaccabili. Oggi, 31 agosto, sono 25 anni esatti da quando se ne è andata.
(da agenzie)
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Agosto 31st, 2022 Riccardo Fucile
“L’UCRAINA E’ UNO STATO FALLITO”… “GLI UCRAINI STAVO DEVASTANDO STRADE E PALAZZI PER CONTRATTACCARE”… “VENGONO SMINUITE LE CONQUISTE DI MOSCA”
Il professor Alessandro Orsini è tornato a parlare della guerra in Ucraina in occasione della prima puntata della stagione di Cartabianca su Rai3. «Stiamo nascondendo il fallimento della strategia dell’Occidente minimizzando la devastazione dell’Ucraina. E in Italia si è creato un tifo da stadio per l’Ucraina. Ma la situazione è tragica», ha accusato Orsini. Che poi ha spiegato la sua personalissima dicotomia sulla guerra: «Non dovremmo utilizzare i termini putiniani e atlantisti, ma falchi e colombe. Salvini è una colomba. Sta pensando agli interessi dell’Italia, sa benissimo che se andiamo su questa strada ci aspetta un inverno molto duro».
Secondo il professore se la Russia riuscisse a conquistare il corridoio tra Donbass e Crimea poi potrebbe puntare su Odessa. «Siamo tutti sotto propaganda e stiamo sminuendo le conquiste di Mosca», ha detto. Mentre «l’esercito ucraino sta devastando ponti, strade e palazzi per contrattaccare».
L’Ucraina, sostiene Orsini, «è ormai uno stato fallito. Sono Zelensky e i suoi a dire che la Russia la sta sventrando».
(da agenzie)
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Agosto 31st, 2022 Riccardo Fucile
CI MANCAVA UN COMUNISTA DA AVANSPETTACOLO CHE INSULTA I MORTI
Il tweet a corredo del messaggio già chiarissimo aggiunge anche l’immagine di una bottiglia di spumante ricordando la data della dissoluzione dell’Unione sovietica, appunto il 26 dicembre 1991, quando il Soviet delle Repubbliche del Soviet Supremo ratificò le decisioni di Gorbaciov, che si era dimesso da presidente il giorno prima, e dissolse formalmente l’Urss. §
Il tweet di Rizzo ha provocato un’ondata di indignazione. “Lui sarà ricordato nella storia per aver liquidato quell’orrore che fu l’URSS. Lei invece non sarà ricordato da nessuno. E nemmeno la sua meschinità. Si vergogni”, ha tuonato un utente a cui ha fatto eco un altro: “Per qualche secondo della mia vita avevo pensato di dare il voto al suo partito. Ho cambiato idea”.
“Non ci sono parole sufficienti per manifestarti il mio disprezzo, sei un infame fascista”, la risposta di un terzo internauta. E ancora: “Buffone, vergogna! Una figura cosi meschina pur di raccattare 15 minuti di celebrità social, che brutta cosa la paura di invecchiare”.
Sulla vicenda sono intervenuti anche Luca Bizzarri e Massimo Giannini. “Ognuno, nella vita, ha i parenti che ha, gli amici che merita e le occasioni per stappare la migliore bottiglia che la miseria emotiva gli regala”, ha scritto l’attore. Il direttore della Stampa Giannini ha invece citato I Miserabili di Victor Hugo.
(da agenzie)
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Agosto 31st, 2022 Riccardo Fucile
HA CERCATO DI SALVARE LA RUSSIA DAL NAUFRAGIO DI UN REGIME CHE VIVE SUL SANGUE E SULLA VERGOGNA
C’è qualcosa di simbolico nel fatto che Mikhail Gorbaciov sia morto proprio mentre la Russia emersa da quell’impero sovietico che lui aveva cercato di salvare pacificamente stia naufragando nel sangue e nella vergogna. Chi lo ha frequentato negli ultimi mesi diceva che a 91 anni restava lucido e sapeva della guerra.
Era quello l’incubo al quale aveva sacrificato la sua carriera, accettando a soli 60 anni di diventare un pensionato, dopo essere stato uno degli uomini più potenti e popolari al mondo.
Per lui, come per Vladimir Putin, la fine dell’Unione Sovietica era la tragedia più grande del ‘900, ma a differenza dell’attuale leader russo il primo e ultimo presidente sovietico aveva scelto la pace come priorità della sua missione politica e umana, e probabilmente non ci poteva essere per lui una punizione peggiore che morire sapendo che il suo Paese stava bombardando l’Ucraina, il Paese dal quale veniva sua madre e del quale cantava con una bella voce intonata le canzoni popolari quando era di buon umore.
Mikhail Sergeevich Gorbaciov – figlio di contadini arrestati da Stalin, studente moscovita idealista nel disgelo di Krusciov, funzionario del comunismo brezhneviano, il demolitore del Muro di Berlino, il Nobel per la pace premiato per il disarmo nucleare – è morto nel momento in cui la storia russa ha compiuto una giravolta a 180 gradi, e tutto (o quasi) quello che lui aveva conquistato o costruito è stato distrutto e rinnegato.
Era entrato nella Storia già trent’ anni prima di morire, eppure è morto sconfitto. Se la Russia di Putin è arrivata a pensare che la perestroika gorbacioviana fosse stata un tragico errore, e si è posta come obiettivo quello di tentare di riportare l’orologio della storia al 1984, è colpa probabilmente anche dell’idealismo di Mikhail Sergeevich.
Politico di magistrale bravura nella retorica e nell’intrigo, era però anche uomo di compromessi e mezze misure, che aveva sottovalutato il pericolo dei conservatori comunisti che cercava di tenere a bada mentre aveva sopravvalutato la lealtà dei suoi alleati riformisti.
Aveva cambiato il mondo alla cieca, quasi d’istinto, mosso spesso più da un senso morale che da una consapevolezza chiara: era un uomo sovietico, che era arrivato a tastoni alla necessità di distruggere il sistema in cui era nato, ma senza riuscire ad accettarlo.
Non l’avrebbe mai ammesso, ma era un rivoluzionario: nel modo in cui sceglieva la libertà, nel modo in cui aborriva la violenza anche quando vi rimaneva immischiato, ma anche nel modo in cui aveva portato nel mondo anaffettivo del Cremlino l’amore dichiarato per la sua Raissa. Aveva liberato dal Gulag i dissidenti.
Aveva dato la libertà di parlare e creare agli intellettuali. Aveva fatto finire la guerra fredda, firmando con un presidente americano anticomunista come Ronald Reagan accordi sul disarmo nucleare che oggi sembrano appartenere a un mondo che abbiamo soltanto sognato. Aveva lasciato andare i Paesi dell’Europa dell’Est, accettando che gli ex satelliti sovietici tornassero in Europa, un “crimine” che gli ispiratori del putinismo ancora non riescono a perdonargli.
Aveva portato a Mosca quello che nessuno aveva mai visto: un politico che sorrideva, discuteva, che andava tra la gente e parlava a braccio. Un politico che sbagliava e ammetteva i suoi errori. Un leader che sapeva chiedere scusa e chinare il capo. Un potente che aveva invocato la fine di un mondo governato dalla forza. Uno statista che si era inserito da pari in un mondo di grandi leader occidentali, e che è stato amato all’estero proprio per la qualità che più è stata odiata in patria: il rifiuto della violenza, la visione che il potere politico si conquista e si negozia e non si impone.
(da “La Stampa”)
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Agosto 31st, 2022 Riccardo Fucile
SE NE VA A 91 ANNI IL PADRE DELLA PERESTROIKA
Mikhail Sergeevich Gorbaciov è stato l’ultimo segretario generale del Partito comunista sovietico e ultimo Presidente dell’Urss. Il suo nome rimane associato alle due parole con cui cercò, senza riuscirci, di riformare il sistema: Glasnost e Perestroika, trasparenza e ricostruzione. Innescò l’opposto: dopo la breve parentesi dei primi anni Novanta, in Russia le dinamiche delle elite al potere rimangono opache, come in molte delle altre repubbliche, e il sistema sovietico si sbriciolò in poche settimane nel 1991, sotto i suoi occhi impotenti.
È rimasto per i russi colui che ha distrutto l’Unione sovietica. In Occidente è stato amato, prima di essere dimenticato: sia per il pubblico che per la classe politica dei diversi Paesi ha rappresentato il primo leader sovietico in apparenza decifrabile.
Ma non ha saputo trasformare il suo ruolo nella storia in esperienza e narrazione condivisa con i suoi compatrioti, cosa che invece è riuscita benissimo all’attuale inquilino del Cremlino Vladimir Putin che deplorò, senza citare Gorbaciov, il crollo dell’impero sovietico come la maggiore catastrofe geopolitica del secolo scorso.
Appena diventato segretario generale del Pcus, nel 1985 Gorbaciov chiamò a Mosca, da Sverlovsk (oggi Ekaterinburg), Boris Eltsin che in seguito, dopo anni di rivalità, lo scavalcò e ne prese il posto al Cremlino. Proprio il suo tormentato rapporto con Eltsin però conferma lo spirito laico che Gorbaciov tentò invano di manifestare nei suoi anni al potere: per la prima volta nel 1987 un membro del politburo del Pcus in disaccordo con il segretario generale si dimise, e non fu costretto all’esilio o peggio ancora a una fine prematura.
Dopo le dimissioni dall’organo supremo del partito, Eltsin continuò la vita politica, e con un successo che a Gorbaciov fu fatale.
Fu proprio il modernizzatore scalpitante Eltsin a gettare le basi, prima ancora del golpe conservatore che aprì la strada all’allontanamento di Gorbaciov dal potere, all’indipendenza della Russia con le elezioni presidenziali del giugno del 1991.
Un passo che precedette la riunione del dicembre di quell’anno a Belovezhkaya Pushcha con i presidenti di Bielorussia e Ucraina, nella quale, senza alcuna base giuridica, fu sancita la fine dell’Unione sovietica
Gorbaciov era nato nel 1931 a Primorie, a Stavropol, regione di campi di grano e già aria del Caucaso. Di origini contadine, lavorò all’inizio come meccanico di macchine agricole e poi, dopo la laurea in legge a Mosca, ritornò nella regione d’origine per i primi incarichi nel sistema del Partito comunista, arrivando fino a quello di segretario del Partito locale, nel 1970: i 42 anni di vita trascorsi nella regione multietnica gli insegnarono, scrisse più tardi, come “soltanto tolleranza e concordia possono garantire la convivenza pacifica tra le persone”.
Nel 1971 fu eletto nel comitato centrale del PCUS, e sette anni più tardi entrò nella segreteria del partito per occuparsi di di agricoltura. Entra nel Politburo a tutti gli effetti nel 1980.
Dopo la morte di Breznev assume un ruolo sempre più importante e, dopo la morte di Cernenko, nel 1985 viene eletto segretario generale del Partito. Nel settembre del 1999 perde la moglie Raissa, mai amata dai russi per il suo ruolo da comprimaria (e anche per lo shopping a cui si dedicava nel corso delle missioni all’estero del marito), compagna e consigliera di una vita. “Io e Raissa abbiamo convissuto quasi 50 anni senza mai separarci ed essere di peso l’uno per l’altra. Insieme siamo stati sempre felici”, ha scritto nell’autobiografia romanzata “A tu per tu con me stesso” pubblicata nel 2013.
Gorbaciov, che nel 1989 fu il primo leader sovietico a incontrare un Pontefice, ha sottoscritto importanti trattati per il controllo degli armamenti, una architettura smantellata in questi anni e non ancora sostituita, neanche nella forma dei negoziati, che gli Stati Uniti insistono nel voler estendere alla Cina che tuttavia si ritrae: l’allora leader sovietico ha negoziato il Trattato Inf contro il dispiegamento di missili strategici a medio raggio, firmato con Ronald Reagan nel 1987 e il primo Start, per la riduzione delle testate nucleari, firmato nel 1991 con George Bush padre. Ritirò le forze sovietiche dall’Afghanistan e autorizzò il rientro a Mosca di Andrei Sakharov, ponendo fine al suo esilio a Gorki.
Autorizzò le prime imprese private in Unione sovietica.
Nonostante questi successi e i tanti meriti che soprattutto in Occidente gli furono riconosciuti, Gorbaciov manifestò gravi limiti nell’analisi della situazione interna dell’Urss: il suo progetto, mantenere saldamente al potere il partito comunista ma modificare la struttura dell’economia per fare decollare il Paese, fallì per l’impossibilità di far coesistere l’apparato del partito con la riforma economica, e per l’ostinata opposizione della nomenklatura.
Quando ormai il suo declino era iniziato e l’assedio al suo potere si stava organizzando, Gorbaciov non si accorse del pericolo che il risveglio delle nazionalità rappresentava per la tenuta dell’Urss. Sottovalutò la portata delle prime manifestazioni favorevoli all’indipendenza da Mosca (i baltici, la Georgia, l’Azerbaigian), e ne fu travolto. Memorabile il gesto sprezzante con cui Eltsin nel 1991 gli intimò di leggere un testo in Parlamento. Gorbaciov, riluttante, ubbidì con un sorriso forzato che meglio di ogni frase simboleggia la sua fine politica.
(da agenzie)
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Agosto 31st, 2022 Riccardo Fucile
CENTRODESTRA AL 46,1%, CENTROSINISTRA AL 28,7% (MA SE FOSSE ANDATO IN PORTO IL CAMPO LARGO SAREBBE DUE PUNTI AVANTI AL CENTRODESTRA)
Fratelli d’Italia doppia la Lega e Azione supera Forza Italia. Secondo l’ultimo sondaggio di Euromedia Research (29-30 agosto) sembrerebbe essere questo l’andamento del voto del 25 settembre.
Il partito di Giorgia Meloni è al 24,6% (+1,1 rispetto all’ultima rilevazione del 22 luglio), raddoppiando così i consensi rispetto al Carroccio che si fermerebbe al 12,5% (-1,5).
Al secondo posto il Pd che avrebbe il 23,1% (+0,3).
Azione-Italia Viva arriverebbe al 7,4% (-0,8%) mentre Forza Italia sarebbe attestata sul 7% (-0,7).
Mentre il Movimento Cinque Stelle crescerebbe del 3,1% (sempre secondo all’ultima rilevazione del 22 luglio), salendo al 12,3%. Il sondaggio accredita inoltre Italexit di Gialuigi Paragone del 2,8% (+0,1).
L’alleanza tra Verdi e Sinistra italiana è sul 3,1% (-0,1).
A Noi Moderati di Lupi è attribuito il 2% (+1), a +Europa di Bonino-Della Vedova l’1,5% (stabile), a Impegno Civico di Di Maio l’1% (-0,5). L’area di centrodestra otterrebbe così il 46,1% dei consensi contro il 28,7% dell’area di centrosinistra.
Gli indecisi
È ancora indeciso il 35,4% degli elettori intervistati, una percentuale che cala solo dell’1,4% rispetto a quaranta giorni fa.
Chi non sa ancora se andrà a votare è il 23,8% degli indecisi, chi non sa quale forza politica votare costituisce invece il 76,2% degli indecisi.
Pessimismo e preoccupazione su energia e lavoro
Dal sondaggio emerge che per gli italiani interpellati il nuovo governo dovrà prioritariamente affrontare la questione prezzi e inflazione (il 47,4%); la crisi energetica (45,7%); il lavoro e l’occupazione (40,5%). Prevale però il pessimismo sulla possibilità che l’esecutivo che uscirà dalle urne possa ottenere risultati significativi sulle diverse emergenze. In particolare c’è sfiducia sul fronte del lavoro e dell’occupazione (37,3%). Mentre sulle soluzioni alla crisi energetica risponde con pessimismo il 35,5%.
(da agenzie)
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