Ottobre 6th, 2022 Riccardo Fucile
TRA I TECNICI SI FA IL NOME DI PIANTEDOSI, EX CAPO DI GABINETTO DI SALVINI (E DUNQUE TROPPO COMPROMESSO), E QUELLO DI GIAMPIERO MASSOLO… SE FOSSE UN POLITICO, RICICCIANO I NOMI DI FAZZOLARI O URSO (MA LE ACCUSE DI AVERE RAPPORTI CON L’IRAN NON GIOCANO A SUO FAVORE)
C’è una poltrona di cui non parla nessuno, eppure pesa (e scotta) quanto quella di un ministro dell’Interno o degli Esteri. Lo dice il taccuino di Giorgia Meloni: tra i candidati al Viminale e alla Farnesina ce sono alcuni che potrebbero andare proprio lì, a ricoprire l’incarico di “sottosegretario ai servizi segreti”. Ovvero a diventare la prossima autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, che oggi risponde al nome di Franco Gabrielli.
E lo confermano i nomi di chi ha avuto quell’incarico: Gianni Letta ai tempi di Silvio Berlusconi, Gianni De Gennaro con Mario Monti, Marco Minniti durante i governi di Enrico Letta e Matteo Renzi. E oggi, appunto, il superpoliziotto Gabrielli.
Uomini di assoluta fiducia per i rispettivi premier, appartenenti a due categorie: politici di alto livello che sanno tenere la bocca cucita (una doppia rarità) e servitori dello Stato dotati di curricula stellari e già addentro alla macchina della sicurezza e dei servizi.
Il rapporto fiduciario tra il delegante, ossia il premier, e il sottosegretario alla presidenza del consiglio da lui delegato, è centrale: ogni capo di governo ha l’inconfessabile terrore che dentro ai servizi segreti qualcuno giochi contro di lui, e nel momento peggiore un’ignota manina tiri fuori il dossier – vero o falso poco importa – che lo inguaia.
Giuseppe Conte si rifiutò di delegare chicchessia sino a tre settimane prima di dimettersi, e se alla fine affidò l’incarico all’ambasciatore Pietro Benassi fu solo perché Renzi lo accusava di usare i servizi in modo opaco e per fini personali.
L’assenza di delegati aveva consentito infatti all’avvocato del popolo di gestire personalmente la discussa operazione dell’agosto del 2019, quando aveva messo i servizi italiani a disposizione di William Barr, inviato di Donald Trump, il quale cercava a Roma conferme alla teoria di un complotto ordito dai democratici statunitensi.
Trump ricompensò «Giuseppi» poco dopo, proponendone la conferma alla guida del governo giallorosso, perché «lavora bene con gli Stati Uniti». Giorgia Meloni ha presente la gravitas della questione, assicura chi le ha parlato. «Sceglierà quel nome da sola, nel chiuso della sua stanza. È una delega di diretta emanazione del presidente del consiglio, che non deve discutere con gli alleati».
L’unico con cui si confronterà sarà Sergio Mattarella: inevitabile, visto che la carica riguarda il cuore della sicurezza nazionale, i rapporti con gli alleati atlantici, i segreti di Stato, la lotta al terrorismo e alla mafia. Aree che il detentore della delega copre avvalendosi del Dis, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, che a sua volta controlla e coordina l’Aisi (i servizi segreti interni) e l’Aise (quelli che si occupano delle minacce esterne).
Molto dipenderà da chi altri ci sarà nel Comitato interministeriale per la sicurezza della repubblica, la “regia” governativa dei servizi, di cui fanno parte, oltre al presidente del consiglio e al suo delegato, sette ministri, i più importanti dei quali sono Interni, Esteri e Difesa. Un premier politico come la Meloni, spiegano dentro Fdi, avrà bisogno di avere lì dentro qualcuno della sua strettissima cerchia, e se non sarà uno di quei tre ministri, perché scelti tutti tra i tecnici o tra i nomi proposti dagli altri partiti, dovrà essere il sottosegretario ai servizi. La rosa è ristretta. E non ne fa parte il prefetto Gabrielli.
«Persona di grande valore», argomenta un meloniano di alto rango, ma «Giorgia ha già detto che non intende confermare figure che hanno ricoperto incarichi nel governo Draghi».
E poi Gabrielli, per quanto stimato anche a destra, «è orientato a sinistra». Dunque, se tecnico sarà, avrà un altro nome. Di Matteo Piantedosi, che è stato capo di gabinetto all’Interno quando Matteo Salvini era ministro, dentro Fdi si dice un gran bene.
Se non andasse al Viminale, stavolta come ministro, l’incarico potrebbe toccare a lui. Altro civil servant tenuto in considerazione è l’ambasciatore Giampiero Massolo, che conosce bene il mondo degli 007, essendo stato direttore del Dis. Ma il nome di Massolo figura pure nella lista dei candidati al ministero degli Esteri, accanto a quello dell’ambasciatrice Elisabetta Belloni, attuale direttrice del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza: nel caso costei entri nella squadra di governo, il suo posto al Dis potrebbe essere preso da Piantedosi, a conferma di quanto sia ristretta la rosa dei candidati a quel pugno di cariche.
IL GRUPPO DEI FEDELISSIMI
Anche tra i politici, pochissimi hanno le caratteristiche necessarie ad un incarico così delicato. Uno è Adolfo Urso, che nell’ultima legislatura ha guidato il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. Urso, però, è spendibile anche per un ministero di prima fascia, come l’Interno, gli Esteri o la Difesa. Meno esperto di servizi segreti, ma dotato comunque di una buona cultura internazionale e manageriale, è Giovanbattista Fazzolari, appena rieletto senatore.
Dentro Fdi non hanno dubbi che gli sarà affidato un ruolo a palazzo Chigi, accanto alla premier: resta da vedere se sarà proprio quello. Un altro dei pochi di cui la Meloni si fida è Guido Crosetto, che ha la testa e il bagaglio di conoscenze giusti, ma non è detto che intenda lasciare gli incarichi che oggi riveste nel settore privato, e comunque è più interessato ad un posto di ministro o ai vertici di una società della difesa.
(da agenzie)
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Ottobre 6th, 2022 Riccardo Fucile
LA SUA SQUADRA È SEMPRE LA STESSA DA ANNI, DALLA SEGRETARIA PATRIZIA SCURTI ALL’ADDETTA STAMPA, GIOVANNA IANNIELLO, PER FINIRE CON TOMMASO LONGOBARDI, IL MORISI DI FDI… IL FIORENTINO DONZELLI, L’UOMO IN RAI, GIAMPAOLO ROSSI, IL RAMPANTE FAZZOLARI E LE DUE VALCHIRIE DEL MELONISMO, CHIARA COLOSIMO E AUGUSTA MONTARULI
Fratelli e sorelle d’Italia. Ecco gli uomini e le donne che Giorgia Meloni si
tiene stretti, che hanno reso possibile la sua ascesa fino al governo. Sono i fedelissimi e le fedelissime che lei ha ringraziato dal palco dell’hotel Parco dei Principi la notte della vittoria elettorale, «perché se non hai persone che ti vogliono bene veramente certe cose non le riesci a fare».
Innanzitutto c’è la squadra che la segue passo passo. Patrizia Scurti, segretaria, da una dozzina d’anni al fianco di Meloni. Dalle sue mani passa praticamente tutto ciò che è diretto alla presidente. Giovanna Ianniello, addetta stampa da circa 17 anni, salvo una piccola parentesi al Campidoglio con Gianni Alemanno.
Amica fidata, dalla capa la divide solo la passione calcistica: romanista Meloni, laziale lei. La seguirà a palazzo Chigi, continuando a occuparsi della comunicazione politica, assieme a Paolo Quadrozzi, da dieci anni presenza fissa nella squadra, a suo agio nelle relazioni internazionali.
La comunicazione istituzionale, invece, finirà nelle mani di qualcun altro. Andrea Bonini, giornalista di Sky che segue palazzo Chigi, è stato sondato per ricoprire questo ruolo.
In lizza c’è anche Alessandro Giuli. Giornalista, ex co-direttore del Foglio, oggi a Libero e spesso in tv. Sua sorella Antonella è la portavoce del capogruppo alla Camera di FdI, Francesco Lollobrigida, che a sua volta è cognato di Meloni, avendo sposato la sorella Arianna.
Poi c’è Tommaso Longobardi, il social media manager scuola Casaleggio che ha contribuito a far volare Meloni in rete. «Avere più numeri non sempre è sinonimo di avere più voti e molte elezioni passate lo hanno ben dimostrato – spiegava in un’intervista pochi giorni fa – senza una buona struttura territoriale, concretezza, leadership e idee non ci fai molto».
In Parlamento, e in odore di governo, ci sono altri tre fedelissimi: il capogruppo Lollobrigida, Giovanbattista Fazzolari e Giovanni Donzelli. Il secondo è il responsabile del programma elettorale di FdI. In questi giorni una presenza fissa a Montecitorio, dove si svolgono le “pre consultazioni” del nascente governo.
Nel partito lo conoscono come uno molto studioso, capace di immagazzinare informazioni e tradurle subito in idee. Le strade di Meloni e Donzelli, fiorentino, si sono incrociate quando lei era leader di Azione giovani, il movimento giovanile di An, e lui di Azione universitaria. Quasi vent’ anni fa: se c’è qualcuno che sa cosa pensa o cosa fa Meloni, quello è lui.
Nel cerchio appena più largo ci sono Chiara Colosimo e Augusta Montaruli. Colosimo, romana, 36 anni, è stata per anni l’anima di Atreju, la manifestazione dei giovani del partito. A lei e Montaruli, torinese classe ’83, si devono i tanti flash mob organizzati dal partito in questi anni di opposizione. In quelle occasioni è stato grazie a loro se le “piazzate” sono andate bene e sono finite sui tg o sui giornali.
Hanno supervisionato, Montaruli in particolare, che tutto funzionasse: cartelli, striscioni, bandiere, volantini. Anche quando a seguire le manifestazioni i giornalisti si contavano sulle dita di una mano. Raccontano che fuori da questi fedelissimi, molto presenti e vicini a Giorgia Meloni, un posto di riguardo lo ricopra Giampaolo Rossi. Missino della corrente Sommacampagna (la sede da cui Teodoro Buontempo animava Radio Alternativa), è un uomo di cui lei si fida molto. Ha fatto parte del Cda Rai e potrebbe tornare in viale Mazzini da amministratore delegato. Lo manda Giorgia.
(da la Stampa)
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Ottobre 6th, 2022 Riccardo Fucile
KIEV CONTINUA AD AVANZARE: “MARCEREMO FINO AL MAR NERO”
Gli ultimi in ordine di tempo sono Novovoskresenske, Novogrygorivka e Petropavlivka. Tre villaggi che si trovano nella regione di Cherson, a sud del paese. Il presidente Volodymyr Zelensky ha annunciato la loro riconquista. O meglio, la liberazione.
A dispetto della legge che Vladimir Putin ha firmato mercoledì per annettere le quattro regioni alla Russia dopo i referendum-farsa. Mosca ha incorporato circa il 18% del territorio di Kiev.
Ovvero l’equivalente del Portogallo, nella più grande annessione dai tempi della Seconda Guerra Mondiale.
Ma oggi deve sostenere l’assurdo logico di aver perso i territori appena conquistati. Mentre 30 mila soldati russi rischiano di rimanere intrappolati nella regione. E la prima linea ucraina si pone obiettivi mai immaginabili il 24 febbraio: «Marceremo fino al Mar Nero».
L’agenzia di stampa Reuters racconta che la Russia ora si trova di fronte a un bivio. Putin e altri funzionari hanno detto che possono usare le armi nucleari per proteggere il territorio della Russia. Ma Kiev non sembra impressionata dalla possibilità di vedere un’arma atomica tattica esplodere da qualche parte nel suo territorio.
E lo stesso Zelensky si è rivolto in russo ai soldati di Mosca: « Gli ucraini sanno per cosa stanno combattendo. E sempre più cittadini russi si stanno rendendo conto che devono morire semplicemente perché una persona non vuole porre fine alla guerra».
Le mappe che fanno circolare i russi sono la cartina di tornasole della loro confusione. Quella dell’Ucraina pubblicata dall’agenzia di stampa statale Ria Novosti includeva l’intero territorio delle province.
Ma alcune parti erano etichettate come ancora sotto il controllo di Kiev. Le forze ucraine hanno riconquistato migliaia di chilometri quadrati dall’inizio di settembre. I russi si sono ritirati dopo il crollo della linea del fronte. Prima nel nord-est e poi al sud.
L’annessione rimangiata
Mercoledì Putin ha firmato le le leggi che ratificano l’annessione della regioni ucraine occupate di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Cherson alla Federazione russa dopo l’esito del referendum svolto fra il 23 e il 27 settembre.
Kiev ha risposto annunciando l’inizio della liberazione del Lugansk. Il capo dell’ufficio presidenziale Andriy Yermak, ha affermato che «le cosiddette leggi non valgono neppure la carta su cui sono state firmate. L’Ucraina riprenderà tutti i suoi territori».
Il Corriere della Sera pubblica oggi un reportage dalla prima linea del fronte. Gli ufficiali dicono che il loro obiettivo finale è arrivare fino al Mar Nero. Kiev ha colpito un albergo dove si ritrovano spesso alti ufficiali dell’esercito e dei servizi russi dell’Fsb a Cherson. «È andata male agli occupanti russi che si godevano la sauna e la piscina. Oggi è stato colpito il Ninel Hotel di Cherson dove alti ufficiali dell’Fsb e alti ranghi militari amavano trascorrere il tempo», ha scritto un consigliere della regione , Serhii Khlan.
Secondo testimonianze locali nell’attacco sarebbero stati uccisi sette russi, fra cui 5 ufficiali dell’Fsb e due dell’esercito. Diversi canali Telegram locali mostrano immagini dell’obiettivo.
(da agenzie)
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Ottobre 6th, 2022 Riccardo Fucile
E ANCHE IL FIGLIO LO SPUTTANA: “SMETTILA DI FINGERTI CRISTIANO E ONESTO”
In corsa alle elezioni Midterm per un posto al Senato in Georgia, Herschel
Walker è finito al centro di uno scandalo.
Una sua ex fidanzata ha raccontato che il candidato l’avrebbe pagata nel 2009 per farla abortire.
Ex giocatore di football americano, ha iniziato la sua carriera politica nel 2014 e ha toccato il suo apice con la nomina dell’ex presidente Usa Donald Trump a presidente del consiglio sportivo.
Quest’anno tenta di entrare al Senato battendosi con il senatore democratico Raphael Warnock. Le sue idee politiche sono sempre state chiare, in particolare nell’ambito dei diritti civili. Walker è un fermo oppositore del diritto all’aborto.
La sua agenda politica propone il divieto di abortire dopo le 15 settimane, è contrario ai matrimoni Lgbtq+, così come contro il Green New Deal dell’amministrazione Biden per ridurre gli effetti del cambiamento climatico.
La testimonianza della ragazza
Più volte è finito al centro del dibattito pubblico per le sue posizioni radicali. «Non ci sono differenze tra lo stupro, l’incesto o la salute della madre», disse a maggio parlando di aborto.
Ora è tornato a far parlare di sé, dopo la testimonianza di una delle sue fidanzate passate. La ragazza in questione ha raccontato la sua testimonianza al Daily Beast, mantenendo l’anonimità.
Secondo quanto ha riferito, i due stavano insieme nel 2009 quando lei è rimasta incinta. Walker avrebbe insistito affinché lei abortisse, tanto da pagarle l’operazione.
Affermazioni che sono state supportate da uno scontrino della clinica in cui la donna ha abortito, un biglietto di pronta guarigione di Walker e una ricevuta del suo conto in banca con un rimborso di 700 dollari dall’ex giocatore.
Un amico della ragazza – che a seguito dell’operazione la aiutò – ha confermato quanto raccontato da lei.
Walker non è nuovo ad attacchi di questo genere. Suo figlio, seguito da circa 300mila follower, si è più volte rivolto al padre pubblicamente sui social dicendogli di «smetterla di mentire e comportarsi come se fossi una persona morale, cristiana e onesta» e accusandolo di violenza domestica.
(da agenzie)
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Ottobre 6th, 2022 Riccardo Fucile
CENTINAIA DI CARRI ARMATI, OBICI E BLIDATI ABBANDONATI DAI RUSSI IN FUGA SONO CADUTI IN MANO AGLI UCRAINI
Non gli Stati Uniti e nemmeno un altro paese della Nato. Il più grande fornitore di armi all’Ucraina è la Russia.
Il Wall Street Journal riporta oggi il parere di alcuni analisti di intelligence sulle centinaia di carri armati, obici e veicoli blindati caduti nelle mani di Kiev durante la guerra di Putin.
E scopre che la rapida avanzata dell’Ucraina nella regione di Kharkiv (nord-est) il mese scorso ha permesso agli uomini di Zelensky di appropriarsi di un’enorme quantità di armi pesanti russe.
A queste si aggiungono le armi prese durante la ritirata della Russia dalla Capitale e da altre parti dell’Ucraina settentrionale lo scorso aprile.
In termini numerici, secondo gli analisti, Mosca ha quindi superato di gran lunga gli Usa e gli altri alleati nella fornitura di armi, anche se quelle inviate dall’Occidente sono «più avanzate e precise» di quelle russe, commenta il Wsj.
Secondo queste stime finora l’Ucraina ha catturato almeno 460 carri armati russi, 92 obici, 448 veicoli da combattimento di fanteria, 195 veicoli da combattimento blindati e 44 sistemi missilistici a lancio multiplo.
(da agenzie)
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Ottobre 6th, 2022 Riccardo Fucile
“CHI NON CI STA GRAZIE E ARRIVEDERCI”… MA NON LI CONOSCEVA I SUOI COMPAGNI DI MERENDE? O PENSAVA CHE NON RECLAMASSERO POLTRONE? (COME AVREBBE FATTO LEI AL LORO POSTO)
Nei piani di Giorgia Meloni premier in pectore c’è anche un’arma finale.
Mentre la linea diretta con Mario Draghi comincia ad avere qualche disturbo sul Pnrr (e soprattutto sull’Europa), un “pensiero stupendo” si affaccia dalle parti della leader di Fratelli d’Italia.
Che ha già fatto capire di essere stufa delle trattative infinite sul totoministri. Che rischia di diventare sempre più un toto-Salvini. A causa dell’ossessione del Capitano per il Viminale.
E così, racconta oggi il Corriere della Sera in un retroscena, ecco la minaccia finale. Quella di fare il governo da sola. E di portare una lista dei ministri in Parlamento. Poi la voti chi vuole. E chi non vuole rimarrà fuori dal governo di centrodestra.
Meloni infatti ieri ha mandato un segnale anche ai suoi. Non è disposta a subire imposizioni. Né a farsi condizionare da musi lunghi e ripicche.
E se non si troverà la quadra entro metà della prossima settimana, «è pronta anche ad andare con la sua lista dal capo dello Stato e poi presentarsi in Parlamento: chi ci sta bene, chi non vuole votarla non lo faccia e arrivederci.
Lei governerà solo con una squadra di sua fiducia e alto profilo. Altrimenti tanto vale non cominciare nemmeno». Tecnicamente quello che minaccia Meloni è possibile. Anzi, in teoria il presidente del Consiglio incaricato ha un unico interlocutore nella compilazione della lista dei ministri. Ovvero l’inquilino del Quirinale. In questo caso Sergio Mattarella. E un presidente che nella scorsa legislatura ha fatto cambiare la casella di un ministro fondamentale (Paolo Savona, spostato dall’Economia agli Affari Europei) non vedrebbe certo male una svolta decisionista a Palazzo Chigi.
Il problema di Meloni oggi è che gli alleati non la seguono. Il suo, ha detto ieri durante il consiglio di Fdi, sarà un governo politico «perché eletto dal popolo». Ma nessuno si scandalizzi se entreranno in campo anche ministri tecnici, qualora siano più competenti.
Conta la qualità, è il suo messaggio, confermando indirettamente le voci su esperti alla guida di ministeri chiave come l’Interno e l’Economia. Ma è proprio questo il progetto che non decolla. Perché Panetta a quanto pare si è tirato indietro per via XX Settembre. E, soprattutto, perché Forza Italia e Lega non vogliono cedere posti di governo agli indipendenti. Il Carroccio ha fatto addirittura capire che è disposto a vedere ministri tecnici nell’esecutivo a patto che siano “in carico” a Fdi. Ovvero che vadano a defalcare la lista di ministri di chi ha vinto le elezioni.
Il totoministri non decolla
Intanto il totoministri non decolla. Negli schemi su cui si sta ragionando resta valida l’ipotesi di affidare l’interno al prefetto Matteo Piantedosi, ex capo di gabinetto di Salvini quando era al Viminale. Sempre Salvini un mese fa aveva indicato, come ministro della Salute ideale, «un pediatra, primario e preside di facoltà». L’identikit pare corrispondere al nome di Gian Vincenzo Zuccotti dell’ospedale Buzzi di Milano.
Mentre Forza Italia potrebbe mettere sul tavolo Alberto Zangrillo, primario del San Raffaele e medico di fiducia di Berlusconi.
Poi c’è la Difesa. Secondo l’agenzia di stampa Ansa martedì dagli uffici di FdI alla Camera si è visto uscire il generale di corpo d’armata Luciano Portolano, segretario generale della Difesa e direttore nazionale degli Armamenti.
Per gli Esteri c’è anche la candidatura dell’ambasciatore Giampiero Massolo, presidente dell’Ispi, ex capo dei Servizi, segretario generale alla Farnesina con i governi Prodi, Berlusconi e Monti. Così come il nome dell’azzurro Antonio Tajani, ex presidente del Parlamento europeo. Per l’Agricoltura potrebbe spuntare, tra le altre, una figura vicina sia a Lega sia a FdI. Come il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini.
Per l’Università, la prima donna premier in Italia potrebbe puntare sulla rettrice della Sapienza ossia Antonella Polimeni. Ovvero la prima donna alla guida dell’ateneo romano.
(da agenzie)
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Ottobre 6th, 2022 Riccardo Fucile
PANETTA NON INTENDE PERDERE LA FACCIA CON LA MELONI E DICE NO AL MINISTERO DELL’ECONOMIA
Sul Pnrr il governo Draghi lascia in eredità a Meloni 15 miliardi spesi dei 29,4 previsti per il 2022. E incassa il via libera dell’Europa ad altre due rate da 42 miliardi oltre al prefinanziamento da quasi 25.
Serviranno entro il 2026 per la transizione ecologica e digitale dell’Italia. Ma, spiega oggi Repubblica, una tabella della Nadef dice che quest’anno spenderemo i 15 del Def.
Ne restano 170 nei prossimi tre anni e mezzo. Ed è vero che alcuni progetti sono in ritardo. Soprattutto a causa dei costi delle opere pubbliche e dei tempi di adattamento alle procedure. E le previsioni dicono che i ritardi si verificheranno anche nel 2023 e nel 2024.
Ma secondo il governo i bandi, le gare, le aggiudicazioni portano a qualche ritardo che si recupera nel finale di partita. Anche perché le regole del Pnrr sono diverse da quelle dei normali fondi da Bruxelles. Per ottenere le risorse non si devono mandare gli scontrini. Conta «il numero di obiettivi e traguardi raggiunti alla fine di ciascun semestre», ha ricordato il premier in cabina di regia.
Un ultimo elemento di frizione tra Draghi e Meloni è rappresentato da Fabio Panetta. Il membro del Comitato esecutivo della Banca Centrale Europea non sarà probabilmente il prossimo ministro dell’Economia italiano. Lo ha dichiarato all’agenzia statunitense Bloomberg una fonte riservata.
A rivelarlo alla «persona informata sulla questione», che ha preferito restare anonima, sarebbe stato lo stesso Panetta nel corso di un colloquio privato in occasione della riunione dei ministri delle finanze dell’area dell’euro tenutasi in Lussemburgo l’altroieri.
Su Panetta Meloni aveva fatto affidamento per via XX Settembre. E forse sperava che Draghi riuscisse a convincerlo. Anche se lui punta a diventare il governatore di Bankitalia dopo Visco.
(da agenzie)
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Ottobre 6th, 2022 Riccardo Fucile
IL RIFIUTO DELLA MELONI DI ANDARE AL CONSIGLIO EUROPEO HA FATTO IMBUFALIRE DRAGHI… LA SOVRANISTA SI RIVELA LA PATACCA CHE E’, FACILE CRITICARE SENZA METTERCI MAI LA FACCIA
Mario Draghi è furioso: «Ho fatto tutto il possibile, le ho lasciato il lavoro
fatto. Adesso tocca a lei». Le critiche di Giorgia Meloni alla gestione del Pnrr e il suo rifiuto di andare al Consiglio europeo sono vissute come un attacco personale. Non se lo aspettava, non dalla leader alla quale ha sempre riconosciuto lealtà, ricambiando piena disponibilità nel passaggio di consegne.
A sera, quando l’incendio ormai è divampato, Giorgia Meloni manda un messaggio per cercare di rasserenare gli animi: «Non c’è nessuno scontro con Draghi». La presidente di Fratelli d’Italia non ha interesse nell’alimentare un duello che giura di non aver cercato e che di sicuro non le giova.
La «transizione ordinata», lo ha ribadito ieri, è un tassello fondamentale dell’inizio di un mandato che, ancora prima di cominciare, già si presenta complicatissimo. L’urgenza di dover precisare («non si è trattato di un botta e risposta») è direttamente proporzionale alla vastità dell’incendio scoppiato nel pomeriggio di ieri.
Quando il presidente del Consiglio legge le agenzie, nelle quali il suo probabile successore critica la gestione del Pnrr, il fastidio sfocia presto nell’ira. Lo stato d’animo, se possibile, peggiora qualche ora più tardi. Intorno alle 17 viene pubblicata una frase che Meloni avrebbe detto durante l’esecutivo del suo partito: «Non andrò al Consiglio europeo del 20 e 21 ottobre. A cosa serve forzare i tempi per un appuntamento in cui si rischia di portare a casa poco, o peggio ancora, un fallimento?».
La testimonianza è di un deputato di FdI, e la circostanza viene confermata da altri dirigenti presenti alla riunione in Via della Scrofa. Draghi si sente chiamato in causa, è toccato sul vivo: da una parte Meloni sta mettendo in discussione quello che per lui è un punto d’onore – aver compiuto sforzi enormi per permettere all’Italia di ottenere i fondi europei – e dall’altra crede che definire «un fallimento» un negoziato che ancora deve entrare nel vivo è una mossa che indebolisce il Paese. Il premier, peraltro, è convinto del contrario: quella sul tetto al prezzo del gas è una partita che l’Italia può vincere.
Dire poi, in sostanza, che è meglio mandare lui a fare una brutta figura a Bruxelles viene vissuto come una scortesia personale. «L’Italia ha raggiunto ancora una volta tutti gli obiettivi del Pnrr, come ha accertato la Commissione la scorsa settimana», chiarisce Draghi in cabina di regia
«Si rischia di dover andare a litigare per ottenere un pugno di mosche», ribadiscono in Via della Scrofa. Con un timore ulteriore: l’accoglienza che potrebbe ottenere un governo vissuto con grande diffidenza all’estero. Se si scavallasse la data del 21 ottobre, inoltre, ci sarebbe molto più tempo per definire la formazione del governo, un’operazione che si sta rivelando molto più complessa del previsto. In serata Meloni twitta: «La lettera del presidente della Commissione europea Von der Leyen ai capi di Stato e di Governo Ue è un passo in avanti per far fronte alla crisi energetica». Un altro passo per stemperare gli animi di una giornata tesa.
(da La Stampa)
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Ottobre 6th, 2022 Riccardo Fucile
QUANDO UN RAPPORTO FINISCE MA RESTA IL RISPETTO
Sono stati bravi a far spegnere le luci dei riflettori sulla loro relazione. Quindici anni d’amore che si sono conclusi un anno e mezzo fa. Un rapporto che si è esaurito naturalmente, senza lasciare i classici strascichi polemici come invece accade troppo spesso tra i personaggi pubblici.
La vicenda che ha visto come protagonisti l’attrice Cristiana Capotondi e il conduttore Andrea Pezzi è il simbolo di come i rapporti umani siano più importanti delle copertine. Un insegnamento che dovrebbe valere per tutti.
L’attrice romana, 42 anni, ha dato alla luce la sua primogenita nel mese di settembre. La piccola Anna non è figlia della relazione tra lei e l’uomo con cui ha condiviso 15 anni della sua vita: dal 2006 all’estate del 2021. Una lunga storia d’amore vissuta lontana dai riflettori, così come l’epilogo che ha portato i due a separarsi.
Non erano sposati, ma hanno mantenuto vivo il loro rapporto di stima, affetto e rispetto anche al termine della loro relazione. Poi Cristiana Capotondi è rimasta incinta e lei stesso ha raccontato di come Andrea Pezzi le sia stata vicino. Anche se quella figlia non era sua.
“Anna è nata venerdì 16 settembre. La nascita di mia figlia è una gioia immensa che oggi sono felice di condividere. Quando ho scoperto di aspettare un figlio da un’altra persona, la mia lunga relazione di 15 anni con Andrea Pezzi si era interrotta già da diversi mesi. Nonostante questo, mi è venuto naturale cercare la protezione e la complicità di Andrea, tanto rimane forte il nostro affetto e il nostro legame. Grazie ad Andrea per averci accompagnate per mano fino a qui. Te ne saremo per sempre grate. Ringrazio anche tutti coloro che, pur sapendo, hanno rispettato la nostra privacy e coloro che, da oggi, sceglieranno di farlo”.
L’ex compagno non si è tirato indietro. È stato vicino alla donna, fino al giorno del parto. Un gesto simbolo di una normalità che dovrebbe essere tale sempre. Ma che diventa eccezionale per via della sua rarità. E lo stesso Andrea Pezzi ha spiegato il perché?
“Dopo 15 anni insieme, all’inizio dell’estate ‘21, Cristiana ed io abbiamo deciso di separarci senza tuttavia comunicarlo per prenderci tutto il tempo per riorganizzare con calma le nostre vite. Quando, all’inizio di quest’anno, Cristiana ha scoperto di aspettare un bambino, pur non essendo io il padre, mi ha chiesto di restarle accanto nella fase lunga e delicata della gravidanza. Voleva proteggere un momento così importante. Oggi più che mai, a Cristiana va tutta la mia ammirazione e la mia stima”.
Quella privacy per proteggere loro stessi e la piccola Anna che poi è nata il 16 settembre. Lontana dalle voci, dai rumors, dai gossip e dal quel vociare continuo tipico di vicende simili.
(da NextQuotidiano)
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