Ottobre 12th, 2022 Riccardo Fucile
DOMANI MATTINA IL VIA AGLI SCRUTINI, CON REGOLE E TEMPI DIVERSI PER MONTECITORIO E PALAZZO MADAMA
Il voto a Montecitorio
Alla Camera il percorso, stando al regolamento interno, si prospetta più lungo. A presiedere la seduta sarà il renziano Ettore Rosato, il vicepresidente più anziano per elezione tra quelli della legislatura precedente. La seduta inizierà con la costituzione di un ufficio provvisorio di presidenza e con la costituzione della giunta delle elezioni provvisoria, per la proclamazione dei deputati subentranti. Terminato questo passaggio, si passerà all’elezione del presidente, per scrutinio segreto.
Torneranno dunque i catafalchi, come avviene anche per l’elezione del presidente della Repubblica. Le norme di Montecitorio prevedono che per il primo scrutinio sia necessaria la maggioranza dei due terzi dei componenti.
Nel secondo e terzo scrutinio, invece, per eleggere il presidente serve la maggioranza dei due terzi dei presenti.
Solo dal quarto scrutinio in poi scatta il quorum della maggioranza assoluta. Anche per questo si sta pensando di accorpare nella prima giornata di votazioni, domani, tre scrutini. In modo che da venerdì sia subito possibile la “fumata bianca”.
Diverso il discorso al Senato
Qui da regolamento basta la maggioranza assoluta per l’elezione del presidente. Stando ai numeri del centrodestra, la seconda carica dello Stato potrebbe essere nominata al primo colpo.
Durante le prime due votazioni il quorum è la maggioranza assoluta dei componenti dell’Assemblea.
Dal terzo scrutinio in poi (che però va necessariamente calendarizzato il giorno successivo, così indica il regolamento) basta la maggioranza assoluta dei presenti, computando tra i voti anche le schede bianche.
La prima seduta sarà presieduta dalla senatrice a vita Liliana Segre.
(da agenzie)
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Ottobre 12th, 2022 Riccardo Fucile
IL LEADER DEL PARTITO DI ESTREMA DESTRA “FORUM PER LA DEMOCRAZIA” E’ STATO FINO A TRE ANNI FA OSPITE D’ONORE DI ATREJU E ALLEATO DELLA MELONI IN EUROPA
Putin? Meno male che esiste. È l’opinione personale di uno degli alleati di Giorgia Meloni in Europa. O forse è il caso di dire ex alleato – e probabilmente se non lo era ancora lo potrebbe diventare presto dopo questa dichiarazione – dato che ormai da anni non ci sono grandi contatti con la leader di Fratelli d’Italia.
Parliamo di Thierry Baudet, leader del partito di estrema destra olandese Forum per la Democrazia (FvD), partito che ha fondato nel 2016. Da allora ha avuto un ottimo rapporto con Meloni, con tanto di invito ad Atreju – la kermesse organizzata da Fratelli d’Italia ogni anno – dove è stato uno degli ospiti di punta fino al 2019.
Poi lo stop per la pandemia di Covid e dopo più nulla. L’ultima foto che li ritrae insieme è pre-pandemia e li vede proprio alla festa romana insieme a Santiago Abascal, leader di Vox, che invece è tutt’ora il principale alleato di Meloni in Europa.
“Ora la Russia è tornata a colpire l’Ucraina – dice il leader olandese di estrema destra durante un’intervista – Sono molto felice di questa guerra, perché finalmente si è aperto un fronte contro il globalismo”.
E insiste: “Spero che la Russia vinca e penso sia fantastico che qualcuno come Putin esista”. Per Baudet “è una delle cose più promettenti al mondo”. Le dichiarazioni di Baudet, ovviamente, stanno facendo molto discutere soprattutto in Olanda, con tanto di hashtag in tendenza e una forte polemica verso il leader di FvD.
In generale, però, il personaggio di Baudet negli ultimi anni si è distinto per tutta una serie di comportamenti più che discutibili: il suo partito nasce sulle posizioni anti-immigrazione e anti-europeiste che si sono diffuse negli ultimi anni, ma il leader si è contraddistinto anche per aver paragonato le restrizioni contro il Covid all’Olocausto.
Ha anche detto che il processo di Norimberga è stato “illegittimo” e qualche anno fa è finito al centro di uno scandalo in Olanda per dei presunti soldi che avrebbe ottenuto dalla Russia. C’erano anche dei messaggi in cui lui ammetteva di aver preso questi fondi, ma si è difeso dicendo che sarebbe stato uno scherzo.
(da Fanpage)
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Ottobre 12th, 2022 Riccardo Fucile
NON E’ STATO RIELETTO E TRA 72 ORE SCATTA LA MISURA CAUTELARE PER CONCORSO ESTERNO IN ASSOCIAZIONE MAFIOSA
Doveva lasciare già dieci anni fa. Invece adesso passerà dal Senato della Repubblica direttamente agli arresti domiciliari. Luigi Cesaro, più noto come Giggino ‘a purpetta, uno dei volti più noti dell’iconografia berlusconiana di un trentennio, non abita più lì: nel cuore del parlamento italiano.
Tra settantadue ore, non più rieletto e dunque senza lo scudo dell’immunità, per l’ex fedelissimo del presidente di Fi scatterà l’esecuzione della misura cautelare per l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Sembra passato un secolo da quando Giggino sussurrava all’orecchio del Capo.
Come in quella foto che lo ritrae a una convention di Forza Italia, in piedi proprio accanto a Silvio Berlusconi, sulla stessa linea che, alla destra, vede in rapida successione l’allora compagna dell’ex premier Francesca Pascale, Maria Rosaria Rossi e Nunzia De Girolamo.
Dall’altro lato, ma un passo indietro, si scorgono l’ex governatore Stefano Caldoro e Fulvio Martusciello, fresco di nomina come capodelegazione di Forza Italia al parlamento europeo e principale artefice della rifondazione del partito napoletano passata proprio attraverso l’azzeramento del triumvirato composto da Cesaro, Domenico De Siano e soprattutto dall’ex sottosegretario all’Economia, Nicola Cosentino, passato prima di Giggino attraverso il tunnel che dall’immunità parlamentare conduceva direttamente agli arresti, nel suo caso addirittura in carcere. Ecco perché adesso comincia davvero un’altra storia.
Berlusconi rientra in Senato dopo il periodo di purgatorio giudiziario e la destra si appresta a governare il Paese con Giorgia Meloni. Cesaro dovrà costituirsi.
Tutto è stato già programmato. Accanto a lui i suoi avvocati e soprattutto suo figlio, Armando. “Sono innocente e lo dimostreremo”, lascia filtrare il politico di lungo corso. Sereno, lo descrivono.
Di fronte a un appuntamento che sembrava quasi scritto nelle evoluzioni di una carriera sempre ai vertici, il primo seggio alla Camera nel 1996, le rielezioni successive, la parentesi al Parlamento europeo, i tre anni alla guida della Provincia di Napoli tra il 2009 e il 2012, eppure sempre lambita da ombre o sospetti gravi.
“Preannunciata a giugno, la scelta personale di non ricandidarsi alle elezioni parlamentari è l’evidente segnale del riguardo che il senatore Luigi Cesaro nutre nei confronti del lavoro della magistratura e del rispetto degli elettori”, affermano il professor Alfonso Furgiuele e l’avvocato Michele Sanseverino.
E aggiungono: “Il senatore intende confrontarsi direttamente ed esclusivamente con l’autorità giudiziaria, confidando di poter contribuire all’accertamento dei fatti per i quali è stato accusato, per dimostrare in tempi brevi la propria innocenza”.
Con l’insediamento delle nuove Camere, il provvedimento firmato dalla giudice Maria Luisa Miranda su richiesta delle pm Giuseppina Loreto e Celeste Carrano, che hanno coordinato il lavoro del Ros con il procuratore aggiunto Rosa Volpe, acquista efficacia e potrà essere eseguito.
L’indagine riavvolge il nastro e riporta Cesaro nella sua città, Sant’Antimo, disegnando lo scenario allarmante di un “accordo a quattro mani” sancito fra il clan camorristico Puca e la famiglia del parlamentare. Un patto che aveva come obiettivo il condizionamento del voto e il controllo dell’amministrazione comunale.
Alle spalle di questa intesa, un “regista dietro le quinte”: Giggino, appunto, ritenuto ancora oggi dagli inquirenti “in grado di mantenere contatti con le realtà criminali” sul territorio. La giudice Miranda ha derubricato in corruzione elettorale aggravata l’accusa di voto di scambio politico mafioso riferita alle elezioni comunali di Sant’Antimo del 2017.
E sull’ordinanza, confermata dal Tribunale del Riesame un mese dopo l’emissione, si è tenuto anche un lungo e complicato braccio di ferro in Senato, con Palazzo Madama che ha prima autorizzato l’utilizzo solo di 7 delle conversazioni intercettate dagli investigatori, poi la giunta per le immunità, a dicembre scorso, con 12 voti a favore e 7 astenuti, ha espresso parere negativo all’autorizzazione a procedere ipotizzando un “fumus persecutionis” nei confronti dell’indagato.
Il filone principale dell’inchiesta è già a giudizio e vede imputati tre fratelli dell’ormai ex senatore, Aniello, Raffaele e Antimo, tutti ancora oggi agli arresti domiciliari.
Le udienze si celebrano due volte alla settimana, il martedì e il giovedì. Sono anni che Cesaro e i suoi familiari più stretti devono affrontare le indagini della magistratura. Aniello e Raffaele sono stati assolti un anno fa dal tribunale di Napoli Nord dall’accusa di concorso in associazione camorristica ipotizzata in un diverso processo, relativo ai fatti legati al Pip del Comune di Marano, con il solo Aniello Cesaro condannato in primo grado a 6 anni di reclusione per falso aggravato dalla finalità mafiosa.
Per il Pip di Lusciano, Luigi ha ottenuto l’archiviazione. Insieme al figlio Armando e ai fratelli Aniello e Raffaele è stato assolto dall’accusa di voto di scambio non aggravato relativa alle Regionali del 2015. Uno slalom fra i processi affrontato dal parlamentare senza apparentemente mai scomporsi. Ora però la scena cambia. Ci sono gli arresti domiciliari, l’interrogatorio di garanzia, le valutazioni dei pm, verosimilmente la richiesta di rinvio a giudizio. Quella foto dove Giggino applaudiva vicino al Capo appartiene al passato
(da agenzie).
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Ottobre 12th, 2022 Riccardo Fucile
RONZULLI SPONSORIZZA CATTANEO PER SOSTITUIRE BARELLI ALLA CAMERA
Da Fratelli d’Italia arrivano rassicurazioni sull’intesa per le presidenze di Camera e Senato: «L’accordo c’è, non ci sono problemi», assicura il senatore Giovanbattista Fazzolari. Non si respira lo stesso entusiasmo dalle parti di Forza Italia e Lega. Ad ogni modo, se c’è armonia si capirà dalla velocità con cui domani, 13 ottobre, sarà eletto il presidente di Palazzo Madama.
Per ragioni regolamentari di Montecitorio – dove per i primi scrutini non basta la maggioranza assoluta, ma serve quella qualificata -, bisognerà attendere la quarta votazione, che dovrebbe tenersi venerdì 14 ottobre. Ma quella delle presidenze delle Camera è una partita che non si intreccia soltanto con quella dei ministeri da ripartire nella coalizione di centrodestra.
Per riflesso, nel tetris di inizio legislatura rientra anche la nomina dei capigruppo dei singoli partiti: ruolo fondamentale per avere influenza sulle attività parlamentari, ruolo di prestigio per le occasioni in cui, prima ancora dei leader, sono i capigruppo a salire sul palco delle trattative.
Li vedremo andare al Colle per il giro di consultazioni che Sergio Mattarella dovrà fare per poi assegnare l’incarico di formare il governo. Lavoreranno per gestire le Aule con i rispettivi calendari, coordinare i voti del gruppo.
Sottotraccia rispetto al totoministri, nei partiti c’è fermento per decidere i rispettivi capigruppo: entro due giorni dalla prima seduta, ai parlamentari sarà chiesto a quale gruppo aderire e, subito dopo, saranno convocati per eleggere il presidente del proprio gruppo.
Per Fratelli d’Italia, la faccenda appare più semplice del previsto. Dopo l’exploit del 25 settembre e arrivando per la prima volta al governo, le caselle da redistribuire sono di un’inedita abbondanza per il partito. Anche il Movimento 5 stelle appare calmo per decidere chi, a Montecitorio, guiderà il gruppo: almeno in una prima fase si dovrebbe agire in continuità, confermando il deputato al secondo mandato Francesco Silvestri, nominato capogruppo dopo le dimissioni dello scorso luglio di Davide Crippa. Il quale, tra l’altro, non è stato rieletto dopo essere entrato nelle file di Impegno civico.
Meno probabile l’investitura di Riccardo Ricciardi, che già ricopre il ruolo di vicepresidente del Movimento.
Nel Partito democratico l’unica indicazione arrivata dal segretario Enrico Letta e di eleggere due donne alla guida dei gruppi. Tutt’altro che scontata la riconferma di Simona Malpezzi al Senato e Debora Serracchiani a Montecitorio. Entrambe potrebbero ambire alla vicepresidenza delle Camere.
Nomina certamente più stabile, visto che quando il Pd cambierà la segreteria anche i capigruppo del partito potrebbero essere interessati dal valzer. Al loro posto, date per favorite, ci sono la senatrice Valeria Valente e la deputata Anna Ascani. Sembrerebbe meno quotata Marianna Madia.
Passando alla Lega, al Senato, Massimiliano Romeo, che non è in lizza per incarichi di ministro, potrebbe essere riconfermato. Più complessa la sfida per guidare il gruppo a Montecitorio. Riccardo Molinari, in corsa per la presidenza della Camera, dovrebbe lasciare libera la posizione.
Tra i papabili per succedergli ci sono l’attuale sottosegretario all’interno Nicola Molteni e il ligure Edoardo Rixi. Già viceministro delle Infrastrutture, Rixi dovrebbe poter abdicare al sogno di rientrare in quel dicastero, visto che il candidato numero uno per guidare gli uffici di Porta Pia è proprio il leader del suo partito.
Ma è in Forza Italia che si sta consumando la battaglia più sanguinolenta per eleggere i prossimi capigruppo. Al Senato, il posto dovrebbe liberarsi naturalmente: è più che probabile che Anna Maria Bernini diventerà ministra.
A Montecitorio, l’ex nuotatore e dirigente della Fin Paolo Barelli vorrebbe essere riconfermato come capogruppo. Non sarebbe in corsa per altri incarichi, ma a porsi come ostacolo per la sua permanenza alla guida dei deputati forzisti è Licia Ronzulli.
La senatrice, attorno al cui nome per giorni si sono incagliate le trattative per il governo, ha da tempo avviato la sua Opa del partito. Più vicina di lei a Silvio Berlusconi, c’è solo Marta Fascina.
La quale, nel pomeriggio di ieri, 11 ottobre, ha avuto un confronto serrato proprio con Barelli alla buvette di Montecitorio. Il capogruppo le avrà chiesto delucidazioni sul suo futuro?
A Open risulta che Ronzulli, oltre a pretendere un ministero, desidera un cambio alla guida dei gruppi. A Palazzo Madama, il passaggio al governo di Bernini lascerebbe la strada spianata. A Montecitorio, bisogna lavorare per scalzare Barelli. Al suo posto, a Ronzulli non dispiacerebbe far eleggere l’ex sindaco di Pavia, Alessandro Cattaneo. Mentre sullo sfondo, come altro nome eleggibile per il post-Barelli, resta quello del sottosegretario Giorgio Mulé.
(da Open)
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Ottobre 12th, 2022 Riccardo Fucile
E’ GIA’ DIFFICILE TROVARE POSTI MALGRADO I PREZZI SIANO AL MASSIMO… CON TUTTI GLI EVASORI FISCALI AMICI DEI SOVRANISTI NON C’E’ DA STUPIRSI CHE ABBIANO SOLDI DA SPENDERE
Maldive, Egitto, Grecia, Turchia, Spagna, ma anche Dubai, Messico e Costa Rica. Se è vero che l’energia fa girare il mondo quest’anno la voglia di girare il mondo non viene frenata dal caro energia.
Nonostante il mix letale di inflazione e guerra del gas abbia fatto impennare tutte le voci di spesa del capitolo “vacanze” (biglietti aerei, navi, traghetti, treni, hotel, pensioni, case vacanze, ristoranti, bar etc) sembra che gli italiani non abbiano la minima intenzione di rinunciare a viaggiare. Anzi.
Capodanno tutto esaurito
Già a metà ottobre buona parte delle località meta del classico Capodanno al caldo segnano il tutto esaurito. Vanno alla grande le Maldive, ma anche Dubai e l’Egitto sono in netta ripresa come conferma Pier Ezhaya, Presidente ASTOI Confindustria Viaggi che a Panorama.it dichiara: “Alcune mete che sono amatissime dagli italiani rimangono molto richieste come ad esempio le Maldive e anche l’Egitto che, oltre ad essere un meta da sempre gradita, rappresenta anche una destinazione accessibile in termini di prezzo. Le altre destinazioni stanno iniziando a macinare numeri.”
E’ ancora presto per avere un quadro dettagliato delle percentuali di viaggiatori d’inverno, ma i numeri che arrivano dai diversi enti turistici nazioni e dai tour operator lasciano ben sperare.
Un inverno che fa ben sperare
Viaggi verso mete esotiche, lontane, calde ed esclusive; ma anche tante crociere che segnano il tutto esaurito nonostante il costo del carburante sia praticamente raddoppiato imponendo notevoli adeguamenti delle tariffe: in media tra i 10 e i 25 euro a persona al giorno sul prezzo iniziale di listino.
Nonostante questo, però, la gente fa la fila per aggiudicarsi le vacanze in crociera e lasciarsi alle spalle problemi e preoccupazioni permettendo di dare una boccata di ossigeno al settore del turismo, tra i più colpiti da Covid, inflazione e congiuntura economica.
Il prezzo della crisi
Sono, infatti, le imprese quelle destinate a pagare il prezzo più alto alla crisi energetica. Basti pensare che Confindustria ha calcolato che solo in Italia la guerra del gas quest’anno costerà alle imprese circa 110 miliardi in più di energia rispetto a 12 mesi fa. E le aziende del settore dell’accoglienza non sono certo immuni a questo trend, anzi. Diverse associazioni lamentano, ad esempio, il fatto che a fronte di un fatturato in indubbia crescita il margine di profitto si sia assottigliato entrando nella paradossale situazione di fatturare di più, ma guadagnare di meno.
Complici inflazione e caro carburante, carenza di materie prime e guerra del gas quindi andare in vacanza – specie dall’altra parte del mondo – costa già molto caro. Una recente indagine Consob ha analizzato i prezzi medi di un biglietto aereo dall’Italia verso alcune capitali mondiali. Oggi come oggi, ad esempio, andare a Pechino da Roma costa circa 4.700 euro per un biglietto di sola andata. Gli ultimi dati Istat dicono che su base annua i prezzi dei voli intercontinentali sono aumentati del 176%, quelli internazionali del 128,1% mentre i voli europei costano il 110,8% in più.
Ma i rincari sono generalizzati e dal noleggio di mezzi di trasporto, all’affitto di garage e posti auto (con un +24,3%) il salasso delle vacanze non si ferma. Ricari a due cifre per hotel, pensioni e ristoranti fanno sì che il viaggio torni lentamente a essere un privilegio per chi se lo può permettere.
Voglia di vacanza più forte della crisi
Pier Ezhaya, Presidente ASTOI Confindustria Viaggi sul tema ha precisato: “Le prenotazioni stanno andando bene, ma affermare che stiano andando ‘molto’ bene è un pò un’esagerazione in quanto – se la voglia di vacanza è molto forte e beneficia ancora oggi dell’effetto “rimbalzo” post lockdown – bisogna inevitabilmente fare i conti con l’inflazione che, non solo ha impatti sul costo dei pacchetti turistici, ma attacca fortemente anche il potenziale di spesa dei consumatori alle prese con aumenti generalizzati di quasi ogni settore merceologico”.
Aumenta il divario ricchi e poveri
Il divario ricchi-poveri, quindi, si fa sempre più profondo con gli italiani che si dividono tra chi si può permettere il lusso di una vacanza perché ha giorni liberi a disposizione e potenziale economico e chi invece di ferie non ne ha e anche se ne avesse non potrebbe comunque permettersi di svernare in un atollo delle Maldive.
Per capire davvero stagione invernale bisogna aspettare i numeri del ponte di Halloween e poi dell’Immacolata, ma la sensazione è che anche gli italiani non abbiano voglia di badare a spese per andare in vacanza facendo registrare il tutto esaurito nelle principali località turistiche.
Sergio Testi Direttore Generale Gattinoni Group commenta così a Panorama.it l’atmosfera che si registra nelle agenzie di viaggio in queste settimane: “Con i ponti di Ognissanti e dell’Immacolata alle porte siamo in ritardo con le prenotazioni delle festività di fine anno che si attestano ad oggi intorno al 5%; numeri che sicuramente si consolideranno nelle prossime settimane. In ogni caso confermiamo che in questo momento abbiamo degli ottimi segnali sulla domanda invernale a cominciare dal Capodanno ed Epifania e anche per febbraio abbiamo numeri molto positivi. Le mete più richieste al momento sono Oceano Indiano, Repubblica Dominicana, Emirati Arabi e segnali di crescita su Zanzibar e l’Egitto che è tornata ad essere la destinazione più richiesta in tutti i periodi dell’anno.”
(da Panorama)
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Ottobre 12th, 2022 Riccardo Fucile
LA MELONI È IN DIFFICOLTÀ: FINORA HA RICEVUTO SOLO NO E NON HA ALTRI NOMI POLITICI DA SPENDERE… SALVINI È COMUNQUE PRONTO A STRONCARE SUL NASCERE L’IPOTESI: “VA BENE MA NON VA CALCOLATO NELLE QUOTE LEGHISTE”
Giancarlo Giorgetti ha raccontato spesso agli amici della Lega che quando nel 2018 gli capitò di ricevere l’offerta di sedere da ministro dell’Economia nel governo gialloverde, fu preso talmente tanto dai tormenti che andò a chiedere alla madre cosa ne pensasse. Fu lei, con tutto l’intuito che può avere una madre, a dirgli di lasciar perdere.
Erano i giorni della grande paura: l’Europa si interrogava su dove avrebbe portato la presa del palazzo dei populisti in Italia.
A Matteo Salvini e Luigi Di Maio, che cercavano disperatamente un candidato al Tesoro per il governo Lega-M5S, dopo la bocciatura di Paolo Savona da parte del Quirinale, il leghista spiegò di non avere le competenze necessarie per sedersi alla scrivania di Quintino Sella.
E oggi? Con alle spalle un’esperienza da ministro dello Sviluppo economico nel governo di Mario Draghi quelle competenze le ha acquisite?
Giorgetti, sorseggiando un caffè di prima mattina alla buvette, risponde sorridendo: «Ho imparato a fare il ministro dello Sviluppo economico…». Insomma, il vicesegretario leghista sembrerebbe sfilarsi ancora una volta dalla corsa al dicastero dell’Economia: «Per stare al Tesoro – dice – ci vuole uno standing internazionale».
Una frase che, arricchita dalle chiose di chi lo conosce bene, non chiude completamente la porta a questa possibilità. Ci credono poco, i leghisti che Giorgetti lo frequentano da anni.
Dicono che se non lo ha fatto quattro anni fa, quando il mare dell’Economia globale era più tranquillo, perché farlo ora che si sta andando incontro a una tempesta, con la recessione che sembra ormai certa?
La prima risposta è quella più banale, ma è anche quella che ti dà chiunque nel centrodestra: perché Giorgia Meloni non riesce a trovare nessun altro.
E allora Giorgetti sarebbe «la mossa della disperazione», come da Forza Italia e dalla Lega dicono, senza troppo nascondere la soddisfazione di vedere la leader di Fratelli D’Italia in difficoltà.
Il no di Fabio Panetta, membro del board Bce, candidato alla carica di governatore di Bankitalia, e il no del ministro uscente Daniele Franco, che ieri Meloni ha visto assieme ai responsabili economici del partito – anche lui in gara per lo stesso posto a Via Nazionale -, tengono di fatto bloccato l’intero cantiere del governo.
Ma mettiamo in fila i fatti per capire chi davvero crede che la scelta cadrà su Giorgetti, chi spinge perché si realizzi, e chi frena. Innanzitutto, ancora nessuno ha formalizzato la proposta al diretto interessato. È un’ipotesi che non nasce all’interno della Lega. Sono i forzisti i primi a farla circolare. Da FdI non la smentiscono ma precisano che la priorità resta l’opzione del super-tecnico.
Una strada che riporta a Panetta o agli altri nomi usciti in questi ultimi dieci giorni (Da Gaetano Micciché a Domenico Siniscalco a Luigi Buttiglione).
Salvini considera l’offerta a Giorgetti poco più che una polpetta avvelenata, ma non può apertamente negare al suo numero due quel traguardo. E così, in mattinata, il segretario organizza un confronto per decidere la linea con i suoi due vice, Giorgetti e Lorenzo Fontana, con il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari e con Edoardo Rixi.
Il vertice serve anche a chiarire che sarà Molinari ad aggiudicarsi la presidenza della Camera se non dovessero spuntarla sul Senato, dove Meloni vuole Ignazio La Russa e non il leghista Roberto Calderoli.
Giorgetti ci sperava. Non ha mai nascosto che a questo giro preferirebbe sedere sulla poltrona della terza carica dello Stato, più che entrare nel governo. Ma è uomo di partito, come ripete sempre, e farà quello che dice Salvini. Anche se crede poco al Mef. E poco ci crede anche il segretario.
Fa filtrare che «per la Lega sarebbe motivo di orgoglio» ma il capo del Carroccio in cuor suo farebbe tranquillamente a meno del Tesoro. È il ministero più importante ma anche quello che può portare solo grane. Per questo ha già pronta la risposta a Meloni, se e quando gli proporrà Giorgetti: «Va bene ma non va calcolato nelle quote dei ministeri stabilite per la Lega».
Il ragionamento di Salvini è semplice: perché dobbiamo fare noi da parafulmini e prenderci questa responsabilità, e non il primo partito della maggioranza? Chi tifa Giorgetti sostiene che ha come sponsor il premier uscente Mario Draghi, è apprezzato da tutti i partiti, alleati e avversari, è stato per tanti anni a capo della commissione Bilancio e ha una buona reputazione in Europa.
Inoltre, è un teorico da sempre «del debito buono», e non sarebbe contrario allo scostamento di bilancio che Salvini chiede da mesi: l’unico punto su cui ha sempre detto di vederla diversamente da Draghi.
(da agenzie)
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Ottobre 12th, 2022 Riccardo Fucile
I TERRORISTI DEL CREMLINO UCCIDONO I CIVILI, POI AL FRONTE QUESTI VIGLIACCHI SCAPPANO
Il mercato centrale della città di Avdiivka, nella regione del Donetsk «è stato colpito» questa mattina, 12 ottobre, dagli attacchi dell’esercito russo.
Per il momento, nell’esplosione risultano sette civili morti e otto rimasti feriti. Ad annunciarlo è il governatore dell’oblast Pavlo Kyrylenko su Telegram, come riferisce il Kyev Indipendent. «Non c’era una logica militare in questo attacco, solo un desiderio sfrenato di uccidere il maggior numero possibile di persone e spaventare gli altri», ha dichiarato Kyrylenko. «Questa è l’essenza dei russi. Incapaci di resistere all’esercito ucraino, “combattono” con civili disarmati. Chiedo ancora una volta a tutti i residenti della regione di evacuare», ha poi concluso il governatore sui suoi canali social in cui ha condiviso le immagini della del mercato distrutto.
L’infrastruttura energetica del distretto di Kamian, nella regione di Dnipropetrovsk, è stata bombardata nuovamente. Si tratta del terzo giorno consecutivo di raid russi sulla struttura. L’esplosione ha provocato un ampio incendio e distruzioni. A riferirlo è il capo dell’amministrazione militare regionale Valentin Reznichenko, che – citato da Espreso Tv – ha dichiarato: «Un altro attacco alla regione. I terroristi russi hanno colpito strutture di supporto vitale e bombardato l’infrastruttura energetica nel distretto di Kamian. C’è un forte incendio».
(da agenzie)
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Ottobre 12th, 2022 Riccardo Fucile
NON CI SONO SOLO I CAPRICCI DELLA DIABOLICA RONZULLI CHE VUOLE LA SALUTE O IL TURISMO, IL CAV ALZA LA POSTA E CHIEDE IL MISE CON LE DELEGHE SULLA TV PER TAJANI (CHE INVECE MELONI VORREBBE AGLI ESTERI), LA GIUSTIZIA PER CASELLATI, IL SUD PER PRESTIGIACOMO… IDEA GIORGETTI ALL’ECONOMIA MA “SE LO SCELGONO, NON E’ IN QUOTA CARROCCIO”, TUONA IL SUO ARCI-NEMICO SALVINI
Una giornata frenetica, un tourbillon di incontri, vertici a due (Salvini e Berlusconi), sherpa in continuo contatto, crisi di nervi, rassicurazioni e, alla fine, la situazione resta difficilissima, i nodi per la squadra non sono sciolti — anzi sono sempre più intricati —, i rapporti tra gli alleati sono tesissimi. Tra Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni, raccontano, sarebbero addirittura «al minimo storico». Ma la premier in pectore, in serata, sparge ottimismo: «Le cose vanno molto bene. Poi leggo curiose ricostruzioni che saremmo “in ritardo” nella formazione del governo: immagino sappiate che non abbiamo un incarico. State tranquilli, quando lo dovessimo avere, non perderemo un minuto di tempo per fare il governo. Sono molto ottimista». Si sta «lavorando» sulla presidenza delle Camere e «non vedo grossi problemi», aggiunge, annunciando che con Berlusconi e Salvini oggi «penso che ci vedremo».
Si va verso un vertice, quindi, indispensabile per sciogliere il ghiaccio e sbloccare una situazione impantanata. E Meloni oggi, raccontano, farà di tutto per risolvere la situazione: ha in mente una «proposta generosa» verso gli alleati, che dovrebbe venire incontro alle loro richieste: quelle della Lega, con un numero congruo di ministeri almeno in parte richiesti, e per FI: se insistono per avere la Ronzulli, un posto si troverà, ma a scapito di altri possibili ministri. Non Tajani, che la leader di FdI vuole agli Esteri. Lei stessa in serata aveva avvertito: «Coinvolgeremo le persone più adatte: nessuno si illuda che cambieremo idee e obiettivi rispetto a quelli per i quali siamo stati votati. Il nostro sarà il governo più politico di sempre».
Un modo per dire no a diktat degli alleati, ma anche che non ci saranno troppi tecnici nel suo governo. Quello che, evidentemente, ieri non è stato così chiaro o convincente per Berlusconi e Salvini, in un senso o nell’altro. Eppure i tentativi di arrivare a un’intesa sono stati tanti. In mattinata ci hanno provato gli sherpa: in via della Scrofa, La Russa e Lollobrigida, Molinari e Calderoli, Ronzulli e Barachini (e non più Tajani, pur essendo il coordinatore) hanno provato a mettere punti fermi. Ma invano.
FdI vuole la presidenza del Senato, da affidare a La Russa, con Molinari alla Camera, e conta che l’accordo sia a un passo; la Lega — nonostante insista per Calderoli a Palazzo Madama — potrebbe accettare ma conta il peso della seconda carica dello Stato almeno come «due ministeri», ovvero serve una rappresentanza al governo maggiore e più di spicco per loro.
Urge insomma un accordo complessivo. Bloccato dalle richieste di tutti e dalle difficoltà oggettive ma anche dallo scontro feroce sul nome di Ronzulli. Berlusconi continua a chiedere per lei un ministero, anche non di primissima fascia (il Turismo potrebbe andare), ma Meloni a ieri era ancora ferma sul no: ormai la situazione le sembra talmente pregiudicata a livello di immagine, dopo le iniziali richieste fatte per la fedelissima del Cavaliere (il ruolo di capo-delegazione al posto di Tajani e un dicastero pesante), che non vede opportuna la sua presenza al governo. Lo avrebbe spiegato anche alla stessa Ronzulli, in un colloquio riservato ieri. Si vedrà se Meloni si ammorbidirà, mentre l’azzurra si arrabbia: «Non ho mai chiesto niente, avete fatto un casino per nulla!» e Berlusconi si infuria proprio, alzando la posta: chiede il Mise per Tajani (che invece Meloni vorrebbe agli Esteri), la Giustizia per Casellati, il Sud per Prestigiacomo, e appunto un ministero per Ronzulli, oltre che altri ruoli per Bernini, Bachini, Gasparri, Pichetto.
Un muro contro muro: Meloni e Berlusconi fino a ieri sera non si erano nemmeno parlati, mentre Salvini è andato a trovare il Cavaliere appena arrivato a Villa Grande per cercare di ammorbidire un po’ le posizioni ma anche per fare una sorta di asse e argine comune di fronte al rischio che Meloni decida — dicono da FI — di scegliere lei «in casa degli altri partiti». È d’altronde il caso del Mef, il più delicato dei ministeri ancora da attribuire, ad essere illuminante: il nome di Giorgetti come possibile ministro è stato messo sul tavolo da FdI, ma la Lega non vuole che sia eventualmente conteggiato in propria quota, proprio perché non indicato da loro.
Cercasi ministri, presidenti e mediatori, insomma. E restano solo 24 ore prima del voto per le Camere: arrivarci divisi darebbe un pessimo segnale per il governo che verrà.
(da il Corriere della Sera)
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Ottobre 12th, 2022 Riccardo Fucile
IN CASO DI SORPASSO SARA’ CONTE A DARE LE CARTE
Il M5S «vede» il Pd. La distanza tra i due partiti, secondo l’ultimo sondaggio Swg, è di appena mezzo punto percentuale (17,5 i dem e 17 i grillini) e, ora, Giuseppe Conte punta a diventare il leader dell’intera opposizione e strizza l’occhio alla sinistra radicale occupando le piazze pacifiste.
L’ex premier, in più occasioni, ha promosso una manifestazione per la pace senza bandiere di partito, ma non ha ancora ufficialmente aderito a nessuna iniziativa. Enrico Letta, che probabilmente sente il fiato sul collo del M5S, è corso ai ripari organizzando per domani un sit-in davanti all’ambasciata russa. Andrea Orlando, invece, ha annunciato la sua partecipazione all’evento dell’Arci previsto per metà novembre, mentre l’ex deputato Filippo Sensi ne invoca già una terza. Un corto circuito del Pd, spaccato in tre, che potrebbe favorire Conte.
La sinistra radicale, infatti, ha organizzato per il prossimo 22 ottobre un’assemblea «con l’intento di costituire una rete di persone che hanno provenienza di sinistra e ambientalista per definire un rapporto politico col M5S e per rafforzarne il profilo progressista», spiega l’ex parlamentare Stefano Fassina. D’altronde, l’ex premier, quando ha guidato il governo giallorosso, ha portato avanti politiche di sinistra.
«Ha resistito alla richiesta di fare ricorso al Mes che veniva anche dalla sua maggioranza e ha promosso il blocco dei licenziamenti durante la pandemia», ricorda l’ex vicepremier all’Economia del governo Letta che aggiunge: «Ha fatto cose di sinistra anche durante il suo primo governo come il decreto dignità e il reddito di cittadinanza e, ora, ha proposto un’iniziativa per la pace e la diplomazia che nessun altro leader politico sta portando avanti».
Il verde Paolo Cento, anch’ egli tra gli organizzatori dell’evento, crede che Giuseppe Conte «possa rappresentare il riferimento con cui riorganizzare un campo progressista ed ecologista, non ideologico, caratterizzata dalla protezione delle fasce sociali più deboli».Secondo l’ex parlamentare verde «la novità delle ultime elezioni è la fine della centralità solo del Pd e, ora, in campo, ci sono due soggetti elettoralmente equivalenti». Per il sondaggista Federico Benini è possibile che Conte sfrutti i mesi che il Pd dedicherà alla fase congressuale per lanciare la sua Opa verso la sinistra.
«Se nei prossimi mesi gli elettori del Pd non troveranno risposte sui temi di sinistra, Conte potrà cannibalizzare ancora di più quello spazio politico», spiega il fondatore di Winpoll. Una tesi condivisa anche dal politologo Lorenzo Castellani della Luiss che azzarda: «Conte può aspirare a diventare il Melenchon italiano perché rappresenta una calamita per tutti i movimenti a sinistra del Pd, ma anche per la sinistra del Pd che continua a guardare a lui con grande interesse».
Un paragone che, per Fassina, non è fuori luogo perché le basi elettorali del M5s e dell’Unione popolare francese sono simili. Il M5s è il primo partito tra i disoccupati e i precari, mentre se la gioca alla pari con Fratelli d’Italia tra gli operai. Se il Pd continuerà ad essere «scoperto» sul fronte sinistro rischierà maggiormente di essere sorpassato da Conte e dal M5S. Anche figure come Elly Schlein potrebbero non essere adeguate al ruolo di segretaria del Pd.
«Lei spiega Castellani – è considerata vicina alla sinistra Ztl, ambientalista e dei diritti civili incapace di sfidare Conte sui temi sociali». Se i democratici si chiudono sempre più, allora il leader del M5S può davvero prendersi la leadership del futuro centrosinistra. A tal proposito, il sondaggista Bonini, però, avverte: «Il problema principale di Conte è riuscire a sfondare nel Nord. Se vorrà diventare veramente un leader dovrà tirar fuori anche i temi cari al popolo del Nord e che sono mancati in campagna elettorale di Conte».
(da il Giornale)
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