Ottobre 15th, 2022 Riccardo Fucile
NESSUNO MEGLIO DI FONTANA RAPPRESENTA IL GRUMO IDENTITARIO PROTOLEGHISTA CHE TIENE INSIEME CURVE CALCISTICHE E RITO TRIDENTINO, FELPE ANTI-SANZIONI E MILITANZA ANTI-GENDER… E INFATTI LA SUA VERONA, DOPO AVERLO SOPPORTATO, HA VOTATO A SINISTRA
«Siamo sempre noi, siamo quelli di sempre»: il messaggio non poteva essere più chiaro. La proposta e l’elezione alla presidenza della Camera del frontman dell’estremismo catto-leghista e filo-putiniano sfiora la provocazione e apre una inaspettata nuova fase per le nostre istituzioni: l’uso identitario dei vertici istituzionali, considerati assai più dei ministeri luoghi dove è necessario piantare una bandierina ben riconoscibile.
Lorenzo Fontana è il secondo presidente di Montecitorio indicato dalla Lega e la distanza tra lui e il primo, Irene Pivetti, racconta molto dell’evoluzione (o involuzione) del sistema parlamentare e dell’approccio che i partiti hanno agli organi di democrazia.
Persino i “barbari” di ieri, ancora legati al secessionismo della prima ora e al disprezzo di Bossi per il Palazzo, furono più cauti davanti a quelli che si chiamano “alti incarichi” proprio per la loro natura super partes. Pure Pivetti era cattolica doc, pure lei pro-vita convinta, ma fu preferita ad altri giudicando un valore la sua biografia senza macchie di intemperanze ed eccessi, più suora laica che Giovanna d’Arco.
La continenza aveva ancora un suo valore, e infatti Pivetti fu scelta al posto di Enrico Speroni (lo raccontò lei stessa) anche per una questione di estetica politica. Non vestiva giacche fluorescenti, non cercava l’iperbole oratoria contro i nemici del momento (sempre i soliti: immigrati, kebab, gay pride, all’epoca con l’aggiunta dei meridionali), non esibiva più di tanto le sue convinzioni di fede.
Quasi trent’anni dopo l’esagerazione dialettica è diventata un valore aggiunto, un titolo di merito, insieme al massimalismo delle posizioni: Fontana è scelto proprio per quello, perché nessuno meglio di lui rappresenta il grumo identitario protoleghista che tiene insieme curve calcistiche e rito tridentino, felpe anti-sanzioni e militanza anti-gender. Ed è davvero sorprendente che Giorgia Meloni abbia accettato di convergere su una figura che, col suo curriculum politico, è la smentita vivente delle rassicurazioni spese a piene mani sui diritti, il rispetto della 194, la fedeltà alle sanzioni, il posizionamento di assoluto sostegno all’Ucraina.
Uno, per giunta, che usa il discorso di insediamento per rilanciare la battaglia leghista più urticante per la destra di Fdi, quella sul riconoscimento delle autonomie, e indica l’omologazione negli Stati nazionali come «strumento di totalitarismo».
Sapevamo che avremmo avuto un governo politico, e molti lo hanno giudicato comunque un bene, anche a sinistra. Ma alle istituzioni militanti nessuno aveva mai pensato ed è qualcosa in più della solita sgrammaticatura, perché delle due l’una: o l’intero curriculum politico di Fontana è l’artificio di un dirigente locale in cerca di consenso, quindi emendabile e persino cancellabile con l’ingresso nei massimi palazzi, oppure con quell’estremismo dovrà fare i conti il massimo organo della democrazia italiana nel suo lavoro quotidiano, oltreché ogni cittadino nelle occasioni che richiedono la presenza e la parola della terza carica dello Stato.
Posizioni estreme in materia di alleanze: gli auguri ai neonazisti tedeschi di Afd, i contatti con i greci di Alba Dorata, quell’incredibile video-saluto al loro congresso: «Con noi l’Europa tornerà ad essere faro di civiltà».
Posizioni estreme sull’Europa: il plauso alla Brexit, salutata come un grande evento contro «l’attuale incubo dell’Unione europea». Posizioni estreme su immigrazione e gay che «mirano a cancellare la nostra comunità, le nostre tradizioni».
Posizioni estreme a favore di Vladimir Putin all’epoca dell’annessione della Crimea, così convincenti che la Lega fu invitata come “osservatore indipendente” alle successive elezioni russe.
Posizioni estreme e ai limiti del confessionale in materia di religione e credo, al punto da minacciare sfracelli alla sola idea di un museo sul mondo islamico a Venezia (figuriamoci fosse stata una moschea).
Posizioni estreme in materia di società, libertà personali e collettive, e infatti fino a pochi anni fa il modello d’elezione di Fontana era l’autocrazia russa, di cui cantava pubblicamente le lodi: «Se trent’anni fa la Russia, sotto il giogo comunista, materialista e internazionalista, era ciò che più lontano si possa immaginare dalle idee identitarie e di difesa della famiglia e della tradizione, oggi invece è il riferimento per chi crede in un modello identitario di società».
Tutto lecito in democrazia. Tutto normale nei ranghi della Lega. Tutto ordinario nell’emiciclo del Parlamento, dove si è visto l’incredibile in tante occasioni, risse, cappi sventolati tra i banchi, spumante e mortadella, faldoni lanciati come missili, elogi di dittatori e regimi del passato e del presente.
Ma tutto assolutamente inedito e alquanto preoccupante al vertice assoluto delle istituzioni dove la moderazione e il rispetto, almeno formale, dei valori costituzionali – laicità, libertà di culto, rifiuto di ogni totalitarismo – era stato finora garantito da ogni biografia, anche dalle più anomale, persino dai grandi rottamatori del Movimento 5 Stelle che a Montecitorio portarono Roberto Fico, uno dei meno tempestosi della brigata grillina che conquistò la maggioranza nel 2018.
Resta l’ipotesi (la speranza?) che l’ostentazione massimalista del neo-Presidente sia un rito identitario, una maschera, l’obbligatorio adempimento che è toccato a un veronese determinato a far carriera politica nell’epicentro del vetero-leghismo, dove certo non vai avanti parlando bene dell’Europa, dei diritti gay, dei musulmani o del Napoli. Ed è bizzarro notare che, in questo caso, l’elezione alla presidenza della Camera avrebbe premiato del tutto fuori tempo un mood, un modo d’essere, una posizione, da tempo sconfessati dagli elettori persino nella loro culla natia.
Verona è il luogo dove nel 2009 Fontana diventò una star da 52mila preferenze alle Europee, già dimezzate nella successiva tornata e infine, l’anno scorso, letteralmente sparite nel gorgo delle Comunali che hanno eletto sindaco il candidato della sinistra Damiano Tommasi, relegando la Lega al 9,5 per cento, venti punti sotto Fratelli d’Italia.
I cittadini, insomma, hanno già detto con chiarezza cosa pensano di quel tipo di rappresentanza. Ma il messaggio, evidentemente, non è bastato. C’è chi ancora crede che issare quella bandierina sul pennone più alto di Montecitorio funzioni e sia utile alla sua causa.
Flavia Perina
(da “La Stampa”)
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Ottobre 15th, 2022 Riccardo Fucile
L’EX MINISTRO ROBERTO MARONI INFILZA “IL CAPITONE”: “CI VUOLE UN MODERATO ALLA GUIDA DELLA LEGA”
L’ex ministro degli Interni leghista Roberto Maroni parla oggi in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera del suo partito e della sua vita.
Il suo esordio nel colloquio con Marco Ascione riguarda il totoministri del governo Meloni: «Al Viminale deve andare un prefetto, non certo Matteo Salvini. Io vorrei che il prefetto fosse Matteo Piantedosi, è stato capo di gabinetto della ministra Lamorgese e ha passato indenne tutte le indagini della magistratura».
In realtà è stato il braccio operativo dell’imputato di sequestro di persona nonche chi, come prefetto di Bologna, non aveva dato la scorta ticheista da Marco Biagi.
Poi Maroni dice che alla Lega serve un congresso e un nuovo segretario: «Io non faccio nomi, però il suo profilo ce l’ho ben chiaro: deve essere quello di un moderato, competente e con grande passione. E poi deve stare alla larga da ogni cerchio magico e ascoltare di più i veri militanti».
Tra Giorgetti, Zaia e Fedriga sceglie «tutti e tre, perché sono competenti. Hanno dimostrato di essere capaci nella gestione dei problemi al ministero e sul territorio. E poi pensano prima al fare che al comunicare». Mentre al Capitano consiglia di leggere «un libro di Miglio, “Come cambiare”. Le mie riforme per la nuova Italia, perché Miglio è stato il padre del federalismo e non solo».
Infine, due parole sulla malattia che l’ha colpito: «È una cosa che non trascuro, facendo tutte le cure necessarie. Ho capito che tra le cose importanti non c’è la politica con la “p” minuscola. Con alcuni militanti ho davvero un rapporto intenso. Sono anche iscritto alla chat della sezione di Varese e questo mi aiuta a restare aggiornato sulle scelte dei consiglieri comunali, visto che siamo all’opposizione».
(da agenzie)
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Ottobre 15th, 2022 Riccardo Fucile
LA RESA DEI CONTI ARRIVERÀ CON LA SCELTA DEI CAPIGRUPPO
«Vuole provocare la nostra scissione», dicono dall’ala dei falchi di Forza Italia, quelli del giro di Licia Ronzulli; quelli accusati di scavare trincee per sabotare la nascita del governo a guida Giorgia Meloni, che sono davanti alla tv alle 19.54 quando sentono dalla voce della presidente del Consiglio in pectore scandire che al foglietto di Berlusconi «mancava un punto, che io non sono ricattabile».
Per Berlusconi, per FI, per tutti, insomma, il giorno due della legislatura è anche peggio del giorno uno. Peggio del vano tentativo di far mancare i voti per Ignazio La Russa al Senato, peggio dei «no» ricevuti in sequenza sulle caselle di governo e della danza politicamente macabra che hanno finito per generare.
Il giorno due è oltre, è di più: tanto si diradano le nubi su chi era in difficoltà fino a ieri l’altro, come Matteo Salvini; tanto si concentrano su Forza Italia, ormai spaccata in due tra «governisti» senza ancora un governo (Antonio Tajani, Anna Maria Bernini e compagnia) e i cosiddetti «antigovernisti» (Ronzulli e un folto drappello di parlamentari di Senato e Camera).
Maledetti elenchi. Maledette prime volte. C’era un elenco corredato da numeri anche quel giorno al Quirinale, alle consultazioni dopo il voto del 2018, in cui Salvini parlava per la prima volta a nome di tutto il centrodestra e Silvio Berlusconi provava a recuperare centimetri di centralità politica sottolineando con le dita «e uno, e due, e tre», arrivando fino a dieci. Ed era stato l’inizio di un lungo periodo di gelo tra il Cavaliere e il segretario leghista.
Stavolta Berlusconi si è fermato a quattro. Non mimando ma scrivendo; non nei confronti di Salvini ma contro Giorgia Meloni, definita in un appunto vergato su carta intestata «Villa San Martino» donna dal comportamento «supponente», «prepotente», «arrogante», «offensivo». E se non fosse intervenuto un tratto di penna inserito a mo’ di cancellazione, anche «ridicola». Una persona (la grafia del Cavaliere è chiara e inconfondibile) che «non ha nessuna disponibilità al cambiamento» e con cui «non si può andare d’accordo».
Qualcuno ipotizza che fosse un messaggio che voleva e doveva arrivare a destinazione, che l’ostentazione dell’appunto sul banco del Senato e la piena consapevolezza della potenza dei teleobiettivi dei fotografi erano state messe in conto; altri che il Cavaliere, al contrario, avesse detto di aver raccolto «giudizi altrui» su Meloni e di averli appuntati come appunta per abitudine ogni cosa di cui si trova a parlare, persino il menù del pranzo o della cena. Le ore che arrivano senza una smentita, e l’intervento del presidente del Senato Ignazio La Russa («Berlusconi dica che è un fake») sono benzina sul fuoco di un cantiere in fiamme.
La guerra in Forza Italia
Tajani, Bernini e il pacchetto di mischia delle «colombe» azzurre, che hanno attivato canali in proprio con FdI, hanno detto a chiunque che la strategia di sabotare il cantiere del governo Meloni è stata un errore. Hanno l’appoggio della vecchia guardia del berlusconismo, da Fedele Confalonieri a Gianni Letta, termometri di quel «partito azienda» che è governista per definizione sempre, figurarsi ora che in maggioranza c’è anche FI.
L’ala dei «falchi», capitanata da Ronzulli, conta su un robusto drappello di parlamentari. Senza un intervento chiaro di Berlusconi, la disputa uscirà dal «dietro le quinte» per finire sulla scena già all’inizio della settimana. L’occasione? La partita per i capigruppo. Ronzulli, ormai rassegnata al veto su un suo futuro da ministra, sogna di scalare il coordinamento del partito e magari, prima ancora, di candidarsi a guidare il gruppo al Senato.
Alla Camera Giorgio Mulè, forte del credito aumentato dall’esperienza nel governo Draghi, o Alessandro Cattaneo potrebbero lanciare un’opa sulla riconferma di Paolo Barelli, che sta nel gruppo Tajani. Una giostra che rischia di triturare tutto. Rapporti umani, coalizione, quel che resta del partito. Tutto.
(da agenzie)
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Ottobre 15th, 2022 Riccardo Fucile
MANCANO I GIUBBOTTI SPECIALI CHE VENGONO VENDUTI AL QUADRUPLO DEL PREZZO
Molti riservisti russi chiamati a combattere in Ucraina sono probabilmente costretti ad acquistare la propria attrezzatura.
Lo afferma l’ultimo bollettino dell’intelligence britannica, secondo cui «la corruzione diffusa e le lacune nella logistica» restano una delle cause principali delle «scarse prestazioni» delle forze russe.
In particolare, sostengono gli 007 al servizio di Sua Maestà, molti riservisti devono acquistare da soli il giubbotto 6B45, che oggi si vende per 40mila rubli (640 dollari) rispetto ai 12mila di prima.
Nel 2020 la Russia ne aveva acquistati ben 300mila, che attualmente sono sufficienti per le forze dispiegate in Ucraina.
Ieri il presidente Vladimir Putin ha fatto sapere che la Russia ha mobilitato finora 222mila dei 300mila riservisti previsti.
Di questi 16mila stanno già svolgendo missioni di combattimento.
Putin ha spiegato che la mobilitazione è stata necessaria per difendere una linea di contatto con le forze ucraine di oltre mille chilometri.
(da agenzie)
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Ottobre 15th, 2022 Riccardo Fucile
SUL SISTEMA CONTRAEREI PER FERMARE I BOMBARDAMENTI DI MOSCA CHE DECISIONI PRENDERANNO I FILO-PUTINIANI SOVRANISTI?
Si chiamano Spada e sono i sistemi contraerei che il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky ha chiesto di ricevere con urgenza per fermare gli attacchi con i missili della Russia.
E, racconta oggi Repubblica, mentre una batteria è in arrivo dalla Spagna, anche l’Italia si è detta pronta a fornirli a Kiev secondo fonti della Nato.
Il quotidiano racconta che nella base del Secondo Stormo a Rivolto in provincia di Udine si stanno verificando le condizioni dei terra-aria immagazzinati. Ma il governo Draghi non può decidere autonomamente l’invio. La scelta toccherà al nuovo governo di Giorgia Meloni. Che dovrà varare il sesto “Decreto armi”. E dimostrare non solo a parole che la linea sulla guerra non cambia.
Il centrodestra si troverà quindi a breve il dossier sulla fornitura di missili anti-aerei all’Ucraina. La cessione non sarebbe un problema per la Difesa italiana, visto che lo Spada non è più in servizio attivo da mesi.
Le richieste toccano anche un tipo di missile, l’Aspide, che ha vent’anni di vita e necessità di manutenzione. Perché la sostanza chimica che alimenta i motori deve essere sostituita.
Una procedura semplice, che la Spagna ha già cominciato a svolgere. E anche l’Italia potrebbe muoversi in tal senso. Intanto Joe Biden procede. Nel nuovo pacchetto di armi Usa ci sono: munizioni per sistemi missilistici ad alta mobilità (HIMARS); 23.000 colpi di artiglieria da 155 mm; 500 colpi di artiglieria da 155 mm; 5.000 armi anticarro; missili anti-radiazioni ad alta velocità (HARM); più di 200 veicoli a ruote multiuso ad alta mobilità (HMMWV); armi leggere con oltre 2.000.000 di munizioni.
Finora Washington ha inviato all’Ucraina forniture militari per oltre 18,2 miliardi di dollari, di cui 17,6 miliardi dal 24 febbraio. Gli Stati Uniti, precisa il dipartimento della Difesa, hanno fornito «un’assistenza alla sicurezza senza precedenti» alle forze di Kiev e «continueranno a lavorare con alleati e partner per garantire che l’Ucraina abbia il supporto di cui ha bisogno».
(da agenzie)
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Ottobre 15th, 2022 Riccardo Fucile
I DIKTAT LI PUO’ EMANARE SOLO LEI PROPONENDO VECCHI TROMBONI E BOIARDI DI STATO COME MINISTRI… FORZA ITALIA MINACCIA DI INDICARE UN ALTRO NOME A MATTARELLA… EVVIVA I SOVRANISTI “UNITI DAGLI IDEALI”
«Piuttosto che cedere lei molla». Lei è Giorgia Meloni e a parlare così è qualcuno che la conosce molto bene: Ignazio La Russa. La nuova premier ha risposto definendosi «non ricattabile» agli appunti in cui Silvio Berlusconi la definiva «supponente, prepotente, arrogante, offensiva».
Ma il problema del nuovo governo – e dei nomi dei ministri – rimane sul tavolo. Già ieri la leader di Fratelli d’Italia aveva fatto capire che il nuovo esecutivo deve nascere «senza diktat». Altrimenti è pronta a chiedere il voto.
Ma oggi che lo scontro su Licia Ronzulli si è spostato sulla Giustizia quelle minacce cominciano a concretizzarsi. «Solo se la maggioranza è coesa può nascere un governo serio», l’hanno sentita dire ai suoi. Se pensano di commissariarmi, è il ragionamento, sono pronta a tirarmi fuori. E intanto Forza Italia minaccia di proporre il nome di un premier alternativo al Quirinale al suo posto.
Il problema tra Meloni e Berlusconi nasce per il totoministri. Il Cavaliere vuole scegliere i nomi di Forza Italia. Nell’incontro di mercoledì Berlusconi si era impegnato a votare per La Russa in una scelta che comprendeva un accordo complessivo sul nuovo governo.
La rottura dei senatori di Fi, guidata da Ronzulli, rimette tutto in gioco. Proprio quando si stava trovando la quadra. Per questo, racconta oggi Repubblica, Meloni adesso vuole chiarezza
Il quotidiano racconta che il neopresidente del Senato alla buvette è ancora più chiaro: «Piuttosto che farsi ricattare Giorgia se ne va a casa». E ancora: «Mica è suicida. Su Palazzo Madama aveva i numeri e lo sapeva. I voti credo siano arrivati da renziani, Pd e grillini».
Intanto però anche il Cavaliere ha i suoi problemi. Dentro Forza Italia, secondo le chat interne, non c’era la stessa preoccupazione del leader riguardo il destino di Ronzulli. Adesso che lo scontro sembra essersi spostato su Elisabetta Casellati alla Giustizia nel partito c’è chi si domanda se sia davvero il caso di ingaggiare un braccio di ferro con chi ha vinto le elezioni.
Un retroscena de La Stampa racconta che adesso Silvio riflette. E pensa di non indicare come premier Meloni durante le consultazioni al Colle. La scelta potrebbe portare ad alcune conseguenze a cascata.
In primo luogo a quel punto Sergio Mattarella dovrebbe verificare se la leader di Fdi abbia i numeri per avere l’incarico. Oppure conferirle un incarico esplorativo, come è successo nella scorsa legislatura (Cottarelli) o nella precedente (Bersani).
L’ira funesta della leader
Dall’altra parte del fronte c’è una Meloni furiosa. Il Corriere della Sera racconta oggi che non ha alcuna intenzione di cedere: «Io vado avanti sulla mia strada, non mi faccio piegare, non mi faccio imporre nulla. So quello che devo fare e come farlo, nei prossimi terribili mesi che ci aspettano, e sarà decisivo iniziare bene se vogliamo durare. Ma posso farlo solo con una squadra coesa, di gente capace, su cui posso contare e di cui posso fidarmi. Altrimenti inutile anche solo cominciare». Il foglietto del Cavaliere va respinto al mittente. Così come le pretese dell’alleato. E quindi s’affaccia un possibile metodo. Ovvero quello di escludere dal nuovo governo tutti quelli che non hanno votato La Russa in Senato.§
E cioè ogni senatore della delegazione di Forza Italia tranne Berlusconi e Casellati che sono rimasti in Aula. «Chi non ha votato al Senato ora è molto meno gradito di prima e per questi le possibilità sono drasticamente diminuite», confermano al quotidiano da FdI.
A quel punto però potrebbe finire malissimo: «Non potremmo mai accettarla, voteremmo contro il governo. Non può essere lei a scegliere i nomi dei nostri ministri», è il ritornello da Fi. Ma Fdi non ci crede: «Li vogliamo vedere i senatori di FI immolarsi a petto nudo contro le baionette al grido Ronzulli o morte! Gasparri o elezioni!».
Il totoministri
Intanto il totoministri va avanti. L’agenzia di stampa Ansa scrive che un punto fermo, in queste ore, sembra essere Giancarlo Giorgetti all’Economia. Assai probabile anche Antonio Tajani alla Farnesina, mentre rimangono stazionarie le quotazioni del prefetto Matteo Piantedosi al Viminale. Sulla Giustizia, mentre il Cav vuole Casellati, Meloni sembra non voler cedere sull’ex pm Carlo Nordio. Con Francesco Paolo Sisto di Fi tra i papabili per un ruolo di viceministro. Il più accreditato alla Difesa è Adolfo Urso di FdI. Al partito della premier andrebbe pure il ministero dell’Istruzione (anche se finora non circolano nomi) e lo Sviluppo economico con Guido Crosetto in pole.
Come sottosegretario alla presidenza del Consiglio in molti puntano su Giovanbattista Fazzolari. Che potrebbe però andare al ministero per l’attuazione del programma. La Lega porterebbe a casa Matteo Salvini alle infrastrutture: « Sono a disposizione. So cosa so fare. Al Viminale l’ho dimostrato», dice lui. Gian Marco Centinaio andrebbe all’Agricoltura e Roberto Calderoli alle Riforme. Per Casellati Meloni immagina il ministero della Pubblica Amministrazione, mentre Anna Maria Bernini andrebbe all’Università e Paolo Zangrillo (o Guido Bertolaso) alla Salute. Resta sul tavolo anche l’opzione vicepremier. Uno sarà Salvini. Per l’altro, che spetterebbe a Forza Italia, potrebbero esserci sorprese.
(da agenzie)
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Ottobre 15th, 2022 Riccardo Fucile
CHI NON HA VOTATO LA MACCHIETTA NON E’ DEGNO DI LEI.. NON HA CAPITO CHE L’AUTOREVOLEZZA SI CONQUISTA LAVORANDO (COME DRAGHI) E NON FACENDO I BULLETTI MANTENUTI DAGLI ITALIANI
Via i ribelli forzisti dal governo. Adesso è pronta la “fatwa” di Giorgia Meloni. Nel giorno di massima tensione nei rapporti con Silvio Berlusconi, in un dirupo lastriscato di fogli con apprezzamenti poco lusinghieri del Cavaliere e risposte che alludono a ricatti, la futura premier decide di non fare sconti a chi, in Senato, non ha appoggiato la candidatura a presidente di Ignazio La Russa.
E dall’elenco dei ministri in pectore scompaiono tutti gli inquilini azzurri di Palazzo Madama. “Mi pare evidente che chi non ha sostenuto il candidato della coalizione abbia oggi minori chance rispetto ad altri di entrare nella squadra”, dice al tramonto un autorevole esponente di Fratelli d’Italia.
Insomma, Licia Ronzulli ora rischia seriamente di non essere l’unica esclusa eccellente da Meloni. Con lei potrebbe cadere chi, per sostenere la “zarina” di Arcore nell’esecutivo, in Aula giovedì ha disertato la cabina elettorale.
È un tratto di scolorina sui nomi dell’ex capogruppo di Fi Anna Maria Bernini, che era destinata all’Istruzione, di Alberto Barachini, per cui si erano ipotizzati i Beni culturali o comunque la delega all’Editoria, Maurizio Gasparri (per lui si era parlato della Pubblica amministrazione). E nella lista nera finisce pure Francesco Paolo Sisto, in corsa per un posto almeno di viceministro alla Giustizia.
Si “salverebbe” invece Maria Elisabetta Alberti Casellati, l’ex presidente del Senato che è stata l’unica – con Berlusconi – a votare per La Russa. Ma lì si va su un piano diverso, e non meno delicato.
Casellati era stata indicata dal Cavaliere per la Giustizia, delega che però Giorgia Meloni non intende lasciare, perché ritiene che la migliore soluzione possibile per via Arenula sia Carlo Nordio, ex magistrato eletto nelle liste di FdI.
Un concetto che la leader della Destra aveva espresso già nei giorni scorsi, dentro un ragionamento cui non è estraneo il potenziale conflitto di interessi di Berlusconi, sotto processo nel Ruby Ter e con la minaccia della legge Severino di nuovo sul capo. Un concetto che per Meloni vale ancor di più ora, dopo lo sgarbo che ritiene di aver ricevuto da Berlusconi. In Aula a Palazzo Madama e sui fogli volanti del Cavaliere. Casellati potrebbe comunque essere recuperata e dirottata sul ministero della Pubblica amministrazione. Nessun problema, invece, per i deputati e per le “colombe” forziste. In primis per Antonio Tajani, il coordinatore del partito di Berlusconi che da tempo ha “prenotato” gli Esteri.
Prima della tempesta del Senato, l’ossatura dell’esecutivo era pronta. E quella regge.
Con la Lega a fare la parte del leone: il Carroccio – grazie anche all’asse rafforzato tra Salvini e Meloni dopo la prova di fiducia al Senato – potrebbe conquistare in tutto 6 ministeri: Giancarlo Giorgetti all’Economia con Maurizio Leo (FdI) come vice, all’Interno il prefetto Matteo Piantedosi, un tecnico che è stato capo di gabinetto del segretario quando era al Viminale. Per Matteo Salvini si fa largo l’ipotesi delle Infrastrutture. Confermata al momento l’ipotesi di Gian Marco Centinaio all’Agricoltura.
Roberto Calderoli otterrebbe la delega alle Autonomie e agli Affari regionali, mentre FdI rivendica il ministero delle Riforme, per realizzare il presidenzialismo: fra i nomi più quotati quello di Marcello Pera.
In casa FdI, per lo Sviluppo economico è in pole Guido Crosetto, che avrebbe pure la competenza sull’Energia oggi in capo al ministero della Transizione ecologica.
Ieri Meloni ha avuto diversi contatti – sul dossier bollette – con l’attuale titolare del dicastero, Roberto Cingolani. Per la Difesa rimane in prima fila Adolfo Urso, agli Affari europei Raffaele Fitto. Per la Salute – il ministero che veniva invocato per Licia Ronzulli – si profilerebbe una soluzione tecnica: Francesco Rocca, presidente della Croce Rossa, Guido Bertolaso o Alberto Zangrillo.
Tutto è subordinato a un chiarimento fra Meloni e Silvio Berlusconi. Il cantiere è fermo.
(da agenzie)
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Ottobre 15th, 2022 Riccardo Fucile
ALL’ESTERO NON SONO FESSI: “NEL GOVERNO FUTURO TROPPA FORTE INFLUENZA DELL’ALA FILORUSSA DELLA LEGA”
L’elezione di Lorenzo Fontana, “un euroscettico ammiratore di Vladimir Putin”, a nuovo presidente della Camera “alimenta nuovi timori sulla direzione della politica estera italiana sotto un nuovo governo di destra”. Lo scrive il Financial Times in un articolo dedicato al parlamentare definito “uno stretto alleato di Matteo Salvini nel partito populista della Lega e un oppositore socialmente conservatore dell’omosessualità”.
La sua elezione, che apre la strada alla formazione del governo presieduto da Giorgia Meloni, commenta il quotidiano britannico, “ha evidenziato le profonde tensioni e la feroce rivalità personale tra i tre leader”, Meloni, Salvini e Berlusconi.
“Secondo gli analisti, l’elezione di Fontana a presidente della Camera, riflette il forte potere e l’influenza dell’ala filo-russa della Lega di Salvini, da cui dipenderà la stabilità del nuovo governo”, sottolinea il giornale, ricordando che la leader di Fdi ha invece “denunciato con forza l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e ha promesso di continuare a sostenere” l’Ucraina.
“Ma durante la campagna elettorale, Salvini si è apertamente lamentato del prezzo pesante che gli italiani stanno pagando per le sanzioni economiche contro la Russia, evidenziando le tensioni all’interno dell’alleanza di destra”, scrive ancora il Financial Times, secondo cui “i dubbi sulla capacità e sull’impegno del nuovo governo di continuare il percorso seguito da Mario Draghi saranno amplificati dall’elezione di Fontana”.§
Il quotidiano britannico parla anche di Berlusconi, “ormai 86enne e dipendente da assistenti che lo aiutano a camminare, furioso per essere stato eclissato politicamente da una donna che lui stesso ha nominato ministro nel 2008”. E cita il biglietto sul quale il leader di Fi ha appuntato le accuse alla Meloni di essere “prepotente, supponente, arrogante e offensiva”.
(da agenzie)
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Ottobre 15th, 2022 Riccardo Fucile
NON GODRA’ DI NESSUNA INDENNITA’, NE’ DI RIMBORSI SPESA E AUTO BLU
È dura la reazione dell’ex presidente della Camera Roberto Fico contro chi lo accusa di non rispettare i principi del partito decidendo di non rinunciare all’ufficio a Montecitorio.
Nello specifico, era stato Alessandro Di Battista a commentare la notizia amareggiato: «Spero si tratti di una menzogna». Fico non menziona direttamente Di Battista, ma gli risponde: «Da presidente della Camera» – scrive su Facebook – «ho rinunciato a 300mila euro di indennità di carica in poco meno di cinque anni, cui si aggiungono 130mila euro cui ho rinunciato da Presidente della Vigilanza Rai. E in questi anni ho restituito più di 300mila euro dei miei stipendi alla comunità. Per un totale di oltre 700mila euro».
§«E adesso» – continua – «da ex Presidente della Camera come è giusto non avrò diritto a nessuna indennità, nessuna diaria e a nessun rimborso spese, ma solo ad un ufficio alla Camera per un tempo limitato, come previsto dalle norme di Montecitorio». Il post ha raccolto il commento positivi dell’ex ministro alle infrastrutture e trasporto Danilo Toninelli: «Grande Roberto. Sappiamo chi sei!».
L’ufficio della discordia
Nelle scorse ore era circolata l’indiscrezione, ora confermata, secondo la quale Roberto Fico non lascerà del tutto Montecitorio, nonostante non si sia candidato per il limite dei due mandati, ma manterrà un ufficio e uno staff così come previsto per tutti gli ex presidenti.
Il presidente del Consiglio di garanzia M5s traslocherà nell’ufficio che fu di Pier Ferdinando Casini, secondo quanto riportano Repubblica e Corriere della Sera, nell’altana di Montecitorio. «Spero che si tratti di una menzogna» aveva commentato Alessandro Di Battista, preparandosi all’ennesima delusione da parte degli ex compagni di partito.
Fico dovrebbe mantenere nel suo staff due collaboratori, assunti fino alla fine della legislatura.
Lo staff dell’ex presidente della Camera fa sapere a Open che Fico rinuncerà degli altri privilegi che gli spetterebbero, tra cui figurano la copertura delle spese di viaggio e un’auto blu.
(da Open)
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