Luglio 27th, 2023 Riccardo Fucile
CROLLA IL POTERE D’ACQUISTO E OGNI FAMIGLIA PERDE 3.800 EURO L’ANNO… CADONO LE RICHIESTE DI MUTUI
L’aumento del costo del denaro e l’inflazione galoppante hanno mandato in fumo ben 693 miliardi di euro falcidiando così la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane in calo del 14,4% nel 2022 rispetto ad un anno prima. «La Bce sta provando a contrastare l’inflazione e a difendere l’euro dalla svalutazione rispetto al dollaro attraverso l’aumento dei tassi di interesse. Questa politica monetaria, però, rappresenta una tassa sul macinato per famiglie e imprese» segnala il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini.
Stando al nuovo Focus Censis-Confcooperative «L’Italia fa i conti con i tassi di interesse», lo scorso anno il potere d’acquisto delle famiglie si è infatti ridotto di 100 miliardi di euro: in media almeno 3.800 euro a famiglia su base annua. L’impatto però, viene segnalato, sarebbe stato molto più pesante senza gli interventi governativi: nelle analisi operate dall’Ufficio parlamentare di Bilancio, infatti. l’ammontare delle misure a favore di famiglie e imprese e di contrasto all’inflazione (riduzione accise sui carburanti, bonus sociali, esoneri contributivi, crediti d’imposta, ecc.) ha raggiunto i 119 miliardi di euro: 5,6 miliardi nel 2021, 70 miliardi nel 2022, 35,1 nel 2023. Altri 8,2 miliardi avranno poi corso nel prossimo biennio 2024-2025.
Il caro denaro non solo produce un effetto pesante sui conti pubblici – a fronte di un debito che a maggio ha toccato quota 2.817 miliardi di euro, di qui al 2026, infatti, la spesa per interessi potrebbe collocarsi intorno ai 100 miliardi di euro (40 in più rispetto al 2020) – ma determina anche notevoli cambiamenti nei comportamenti di spesa delle famiglie. I continui aumenti dei tassi di interesse decisi negli ultimi 12 mesi dalla Bce hanno infatti determinato un balzo del tasso medio applicato al totale dei prestiti schizzato dal 2,21 al 4,25%.
Il «clima avverso» rispetto alle decisioni di acquisto e di investimento da parte delle famiglie è confermato dall’andamento del mercato immobiliare in Italia, segnala il Focus del Censis. Che citando i dati diffusi dal Consiglio Nazionale del Notariato sottolinea come rispetto allo scorso anno si registrerà una riduzione del 17,1% delle compravendite di case fra privati e del 2,5% delle compravendite delle seconde case fra privati. In generale, per quanto riguarda i fabbricati abitativi il ridimensionamento delle decisioni di acquisto si attesta intorno all’11%. Tutto ciò comporterebbe un crollo del 10,1% delle richieste di mutui per l’acquisto di abitazioni e del 9,6% nel caso in cui i mutui richiesti siano compresi fra i 50.000 e i 150.000 euro.
Allungare il mutuo per abbassare la rata: il governo può davvero obbligare le banche?
Da questa prospettiva occorre ricordare che in Italia, su un totale di 25 milioni e 600 mila famiglie, 18,2 milioni sono proprietarie dell’abitazione in cui vivono (il 70,8%, dati al 2021). Di queste, al momento, 3,3 milioni di famiglie (il 12,8% sul totale) sono impegnate con un mutuo da pagare e, all’interno di questa componente, circa 700 mila hanno già mostrato difficoltà, ritardando il pagamento di almeno una rata mensile.
In questa fase le imprese stanno incontrando nuove difficoltà nell’accesso al credito, sebbene ancora in maniera contenuta. A marzo di quest’anno, rispetto a marzo dello scorso anno, i prestiti alle imprese del settore manifatturiero si sono ridotti dell’1,5% e nelle costruzioni dell’1,3%. Più ampia è la differenza che separa l’accesso al credito delle piccole imprese da quello delle imprese medio-grandi: per queste ultime la riduzione nel periodo è stato di sei decimi di punto, mentre per le prime ha raggiunto il 4,4%.
Nel 2022, i dati di confronto con l’anno precedente indicano una situazione ancora non particolarmente definita: i prestiti erogati da società finanziarie, ad esempio, erano cresciuti del 5,1%, ed anche nel 2023 questi operatori hanno continuato a mantenere una variazione positiva nell’erogazione dei prestiti alle imprese.
(da agenzie)
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Luglio 27th, 2023 Riccardo Fucile
“L’HO TROVATO IN MEZZO A UNA STRADA, NON LAVORA CON ME”
Si chiamava Naceur Messaoudi e aveva 57 anni. È morto mercoledì scorso, 19 luglio, mentre raccoglieva i cocomeri per 1 centesimo al chilo. È morto dopo essere stato con la schiena piegata sotto al sole per un’intera giornata, nel giorno più caldo dell’anno. È morto lavorando Naceur – in Italia da 30 anni, un permesso di soggiorno permanente – senza contratto, con retribuzioni da fame e condizioni indegne. È morto dopo essere stato abbandonato all’ospedale dal datore di lavoro, che ha dichiarato di non averlo mai visto prima.
“Quel giorno facevano quasi 38 gradi – racconta Mongi Gasmi, una delle cinque persone che quel mercoledì lavoravano nel campo insieme a Naceur – Era un caldo terribile, non tirava per niente vento. La mattina avevamo lavorato a Tarquinia e poi dopo mezzogiorno siamo arrivati qua (a Montalto di Castro, ndr). Abbiamo cominciato a raccogliere i cocomeri verso le 14 e abbiamo finito alle 16. Naceur verso le 16.30 si è sentito male”. Da quel momento si susseguono attimi concitati: Naceur si accascia per terra, gli portano dell’acqua da una fonte e lo mettono a sedere su una sedia per farlo respirare. Ma il 57enne non si riprende: “Gli ho detto (al padrone) ‘Chiama l’ambulanza’ – ricorda un altro bracciante presente quel giorno – mi ha detto: ‘No, se la chiamo quando arriva sarà già morto, è meglio che lo porto io in macchina in ospedale’”. Ma il presunto altruismo del datore di lavoro si rivela ben presto per quello che è realmente: timore che qualcuno possa accusarlo di non aver rispettato i diritti dei suoi dipendenti e, ancor prima, timore che si scopra che ha dei dipendenti, visto che nessuno dei sei braccianti presenti quel giorno ha un contratto (e tre di loro sono anche sprovvisti di permesso di soggiorno).
Il racconto dei braccianti, corale, continua: “Il padrone è andato al pronto soccorso e lo ha lasciato là. Gli ha detto ‘Questo l’ho trovato in mezzo alla strada, non lavora con me’”. “Dopo un’oretta è tornato e ci ha detto che Naceur stava bene e doveva rimanere sotto osservazione”. Naceur è morto da solo, abbandonato da un datore di lavoro che non solo non gli ha garantito condizioni lavorative vagamente dignitose, ma che lo ha scaricato davanti all’ospedale facendo finta di non conoscerlo. È morto lontano dalla moglie e dalle due figlie adolescenti, in Tunisia, che con il suo lavoro contribuiva a mantenere.
“Abbiamo sollecitato la Regione Lazio per un intervento per quanto riguarda il periodo che stiamo attraversando, con una richiesta di sospensione dell’attività nelle ore più calde. Come sempre accade, forse dopo che è successa la tragedia arriverà un protocollo d’intesa”, è il duro commento di Massimiliano Venanzi, Segretario provinciale Viterbo Flai-Cgil. Il caldo rovente di queste ultime settimane non fa che esasperare una condizione lavorativa già di per sé tremenda. Nel campo dove lavorava Naceur quel mercoledì, si trovavano sei persone: nessuna di queste aveva un contratto, solo tre possedevano il permesso di soggiorno. Per non parlare delle paghe: i braccianti lavoravano a cottimo, con una paga di 11-12 euro al quintale. Per l’intero gruppo, non a testa. “Diceva ‘Ora ti metto in regola, chiamo il commercialista: domani, dopodomani’, fino a che non è successo questo – racconta un altro lavoratore irregolare – Gli stranieri hanno bisogno di lavorare e molti datori non ti mettono in regola nonostante le promesse: d’inverno lavoriamo sotto l’acqua e con il freddo, d’estate con il caldo sotto il sole. La raccolta di asparagi e cocomeri è il lavoro più pesante che ci sia”.
Una tremenda condizione di sfruttamento, che non è certo una novità per quelle zone e quel tipo di attività: “In questo territorio (provincia di Viterbo) la diffusione più grande la ha il lavoro grigio: la mancanza di una degna retribuzione, così come prevista dai contratti provinciali, e dell’acquisizione di tutte le giornate lavorative”, denuncia il Segretario Massimiliano Venanzi.
“Inaccettabile morire per il caldo per una paga da fame”
Sulla questione sollevata da Fanpage.it, delle terribili condizioni a cui tanti, troppi lavoratori sono costretti a sottostare, è intervenuto ieri con una nota il capogruppo dell’Alleanza Verdi e Sinistra in Consiglio regionale, Claudio Marotta: “L’inchiesta di Fanpage.it ci mette di fronte a una responsabilità che tutti noi dobbiamo assumerci. È indispensabile che vengano adottate al più presto le misure di prevenzione necessarie a tutelare tutti i lavoratori e soprattutto quelli che sono più esposti al caldo e ai notevoli rischi per la salute dovuti alle alte temperature di questi giorni. Inaccettabile morire per il caldo, inaccettabile che accada per garantirsi una paga da fame. Tutto questo si può fermare con misure straordinarie”.
Bonafoni, “Necessario l’intervento di istituzioni e politica”
Anche la consigliera del Partito Democratico Marta Bonafoni, presidente della XIII Commissione “Trasparenza e pubblicità”, commenta con una nota quello che definisce “il terribile quadro che emerge dal reportage pubblicato da Fanpage”: “Spero che le autorità competenti facciano tutte le verifiche per accertare eventuali responsabilità. E che il Governo non perda tempo e introduca, come annunciato, strumenti adatti a garantire l’incolumità di lavoratrici e lavoratori, come la sospensione del lavoro nelle ore più calde”.
“Se confermato, questo quadro chiede alle istituzioni e alla politica di intervenire con più rapidità e con azioni più decise, capaci di garantire condizioni di lavoro giuste e sostenibili per tutte e tutti. Perché non si ripetano episodi tragici come questo”, conclude la nota.
(da Fanpage)
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Luglio 27th, 2023 Riccardo Fucile
“SALVINI? MI CACCIANO E NELLO STESSO GIORNO LUI ATTACCA DON CIOTTI. È EVIDENTE DA CHE PARTE STA QUESTO GOVERNO SULLE MAFIE”
«L’Italia è un paese che mette paura». Roberto Saviano commenta così la cancellazione del suo programma Insider II dalla Rai.
Come l’ha saputo?
«Dal mio giornale, il Corriere della Sera».
Se lo aspettava?
«Sì, è una decisione politica che si inserisce nella strategia più ampia di usare le azioni giudiziarie come grimaldello per impedirti di lavorare».
Che tipo di programma è Insider II?
«Un programma su Don Peppe Diana, sacerdote ucciso dal clan dei casalesi, sui collaboratori di giustizia che hanno permesso di svelare importanti rapporti tra mafia e politica e tra mafia e imprenditoria. E sui giornalisti perseguitati: tra loro Rosaria Capacchione ed Enzo Palmesano, quest’ultimo è stato parte della storia di Alleanza Nazionale, poi allontanato per il suo impegno antimafia, non in linea con il nuovo corso».
La sua trasmissione sarebbe stata cancellata non per i contenuti ma per le espressioni da lei usate nei confronti del vicepremier Salvini, non in linea col Codice etico Rai.
«Quindi voi giornalisti ora sarete attenti a tutte le dichiarazioni rese negli anni da chiunque abbia avuto una trasmissione in Rai, verificandone l’aderenza a un Codice etico fatto per compiacere chi, nel 2015, scrisse: “Cedo due Mattarella per mezzo Putin” (Matteo Salvini, ndr). La possibilità che in Rai resti solo Peppa Pig è alta».
Il suo caso è paragonabile a quello di Filippo Facci?
«Facci ha attaccato una persona inerme per difendere il potere. Io ho attaccato il potere. In realtà l’equiparazione è una strategia politica dei media di destra che sono nelle mani di un parlamentare della Lega».
“Ministro della Mala Vita” è tra le espressioni, da lei riferite a Salvini.
«E’il titolo di un libro di Gaetano Salvemini. Avevo usato questa espressione 5 anni fa e sono stato querelato».
Ma a cosa allude?
«Al fatto che l’attitudine di Salvini nei confronti del Sud Italia è la stessa che Salvemini attribuiva a Giolitti: sfruttamento elettorale e scarsa attenzione ai problemi reali».
Lei sostiene che il vicepremier fa di tutto per tirare il processo contro di lei per le lunghe.
«Non lo sostengo io. Il processo è bloccato perché lui non si presenta a testimoniare: avrà paura di rispondere sotto giuramento? Sul mentire, Salvini deve capire che utilizzare l’immunità parlamentare per schermarsi dai processi per diffamazione è un’arma a doppio taglio: significa ammettere che ciò che dice non vale nulla».
Esiste anche un processo a suo carico per aver definito Meloni “bastarda” circa la politica migratoria.
«Non ho definito “bastarda” Meloni, ho definito “bastardi” Meloni, Salvini, Di Maio e Minniti, come ha sottolineato la stessa difesa di Meloni. Esiste una registrazione di Radioradicale».
Della cancellazione del suo programma Insider, faccia a faccia con il crimine dai palinsesti Rai, Roberto Saviano ha saputo dai giornali.
Non un messaggio, non una telefonata dai vertici: «L’amministratore delegato Roberto Sergio deve essersi vergognato. Posso comprendere, essere un mero esecutore di decisioni politiche può causare un certo disagio».
Un dato rende ancora più assurda la scelta del settimo piano di viale Mazzini: le quattro puntate del format di inchiesta e racconto sulle mafie erano già state ideate e registrate, persino presentate ufficialmente all’interno dell’offerta televisiva della prossima stagione, il 7 luglio, con un video dello scrittore.
(da Il Corriere della Sera)
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Luglio 27th, 2023 Riccardo Fucile
DUE SENATORI LEGHISTI: “TRA OTTOBRE E NOVEMBRE, È PROBABILE E POSSIBILE CHE LA MELONI CHIEDA ALLA MINISTRA DI FARE UN PASSO INDIETRO E COLGA AL VOLO L’OCCASIONE PER ATTUARE PURE UN BEL RIMPASTO”- LA FREDDEZZA DI PEZZI DI FRATELLI D’ITALIA (“NON E’ UNA DI NOI”) NEI CONFRONTI DELLA “PITONESSA” CHE SFOGGIA UNA KELLY DI HERMÈS (SIAMO INTORNO AI 20 MILA EURO)
Siamo qui, nel salone Garibaldi, il transatlantico di Palazzo Madama, impiccati con la cravatta imposta dal dress code del cerimoniale e l’aria condizionata a palla contro le pareti di velluto rosso, per vederla da vicino ancora una volta, la Pitonessa (il soprannome nasce da uno scherzo tra lei e il primo marito, una vecchia barzelletta talmente zozza che, o già la conoscete, o davvero non potete sperare di farvela raccontare proprio ora): tutti vogliamo comunque osservare la Pitonessa mentre avanza sicura e spavalda sui suoi leggendari tacchi nonostante porti addosso il peso tremendo delle accuse di «falso in bilancio» e «bancarotta», tra dipendenti tenuti sulla corda per pochi euro e pasticci di cassa integrazione, voragini contabili e malizie societarie, ogni dettaglio svelato dal programma Report , bufera politica, polemiche feroci, ma lei sempre — eccola, anche adesso — con le sue occhiate, che sono lame, promesse di innocenza e buona fede definitiva.
Certo oggi finalmente sa di essere indagata dai magistrati milanesi (lo scorso 5 luglio negò con forza di essere stata informata).
Santanchè sa pure che il governo si appresta a dimostrarle solidarietà granitica — schierati Salvini e Fitto, Bernini e Casellati — nessuno ha dubbi sull’esito finale del voto. Il problema è capire cosa accadrà in autunno: nemmeno tanto per un eventuale rinvio a giudizio, che tecnicamente avrà tempi lunghi; quanto, piuttosto, per lo stillicidio mediatico che verrà scatenato dal percorso giudiziario. Sul quale — così entriamo nella cronaca — in molti già ragionano. Alla fine, però, spifferano.
Coppia di senatori leghisti (autorevoli, uno dei due noto ospite dei talk televisivi): «La mozione di sfiducia che stiamo per rispedire al mittente, cioè ai 5 Stelle, è un passaggio obbligato. Il vero pericolo, per Daniela, arriverà dalla pressione dei giornali e dei social: diventasse insostenibile, la Meloni, per non rischiare un contraccolpo di immagine e credibilità, potrebbe chiederle di dimettersi. A quel punto, diciamo tra ottobre e novembre, è probabile e possibile che la premier colga al volo l’occasione per attuare pure un bel rimpasto».
Passa Maurizio Gasparri, uno degli ultimi veri berluscones (indistruttibile lealtà al partito). Claudio Lotito entra in Aula con il capogruppo della Lega Massimiliano Romeo. Maggioranza a ranghi compatti. Sì, va bene. Poi dovreste sentire i soffi dei Fratelli d’Italia: sulla Santanchè, sono i più sulfurei. Anche quando lei si alza e dichiara: «Mozione incomprensibile. Sono dispiaciuta».
Gli sguardi bassi, torvi. Votano disciplinati e però in molti sono stretti dentro un tormento di fastidio e mortificazione: loro così orgogliosamente underdog obbligati a difendere una così sfacciatamente overdog , regina di Cortina ed ex socia di Briatore, pellicce di visone e Maserati, il bolide improvvisamente comparso nella narrazione di una destra fedele a un certo pauperismo, che ancora ricorda Giorgio Almirante al volante di una scassata Cinquecento e Teodoro Buontempo, «er pecora», che dormiva a Villa Borghese sul sedile posteriore di una Fiat 850.
I suoi Fratelli votano e la salvano e poi ti dicono: «Daniela è passata da Pomicino a Di Pietro, da Berlusconi a Storace. No, non è una di noi». Però è molto legata a uno dei fondatori del partito, Ignazio La Russa (che presiede, tranquillo, la seduta): amicizia profonda in un miscuglio di stima, feste e affari, compreso quel colpaccio con la villa del sociologo Francesco Alberoni, comprata e rivenduta nel giro di un’ora — guadagno di un milione di euro — da Laura De Cicco, moglie del presidente, e da Dimitri Kunz, l’ormai leggendario compagno della Santanchè, principe con una sparata di tredici cognomi più annessa diffida della casa D’Asburgo-Lorena — «Il tizio non appartiene alla famiglia, non lo conosciamo, non si fregi del nostro titolo». La ministra lascia la buvette con un ghigno dei suoi, sfoggiando una Kelly di Hermès (siamo intorno ai 20 mila euro). Croniste livide: «Mah. Sarà autentica?».
(da Il Corriere della Sera)
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Luglio 27th, 2023 Riccardo Fucile
C’E’ UNA BALLA CHE LE RACCHIUDE TUTTE: “HO DETTO LA VERITA'”
C’è una balla che le racchiude tutte: “Ho detto la verità”. Il secondo passaggio parlamentare della ministra Daniela Santanchè sui guai delle sue aziende è molto più breve del primo (parla appena 5 minuti) eppure la fedelissima di Giorgia Meloni riesce a mettere in fila sei menzogne, peraltro riproponendo molti degli argomenti fallaci già smascherati in queste settimane.
Inchieste.
“Mi trovo a discutere su accuse giornalistiche”; “sulla base di un’inchiesta pseudo giornalistica”. Le vicende rilevate dai giornali, primo fra tutti il Fatto, sono di assoluto rilievo e attingono al ruolo di Santanchè nella gestione disastrosa delle aziende della sua galassia societaria su cui un ministro dovrebbe fare piena chiarezza. Alla base, però, c’è un’indagine della Procura di Milano per falso in bilancio, bancarotta fraudolenta e truffa. Per i primi due reati, Santanchè è indagata con altre 5 persone, tra cui la sorella Fiorella Garnero e il compagno Dimitri Kunz d’Asburgo, già presidente di Visibilia.
Chiarezza.
“Non intendo entrare nuovamente nel merito, ho già esposto i fatti con chiarezza e trasparenza”. In realtà, come il Fatto ha già scritto in occasione delle sue dichiarazioni in Senato del 5 luglio, la ministra ha mentito su moltissimi punti, dai soldi usati per ripianare i debiti societari al ruolo (e i compensi incassati) nelle società Bioera e Ki Group fino all’uso illegittimo della Cassa integrazione Covid.
Avviso di garanzia.
“Il 5 luglio non ero stata raggiunta da un avviso di garanzia, chi dice il contrario mente”. Qui siamo al solito giochino. Il suo nome è iscritto nel registro degli indagati dal 5 ottobre scorso, ma è stato subito secretato. Tre mesi dopo, però, ai legali della ministra sarebbe bastato fare la stessa istanza per leggerlo. Il Fatto ha poi scoperto che la ministra era a conoscenza dell’avviso da almeno 4 mesi: la notifica dalla Gdf di Milano avviene il 2 marzo e il 27 marzo l’ha approvata nella voce “altri avvenimenti dopo la chiusura dell’esercizio” contenuta nella relazione del bilancio 2021 durante l’assemblea di bilancio di Visibilia srl in liquidazione (lei è socia al 95%), assemblea alla quale ha partecipato di persona e non per delega. Dunque almeno dal 27 marzo sapeva e il 5 luglio al Senato ha mentito, e lo ha fatto pure ieri.
Segreto.
“Alcuni organi di stampa sono stati destinatari di notizie che dovrebbero invece essere riservate e che, nel caso di specie, ho ricevuto molto tempo dopo”. La ministra vorrebbe mettere la museruola alla stampa, ma non si capisce perché le notizie degli esiti delle indagini o le denunce di ex dipendenti delle società di Santanchè avrebbero dovuto essere riservate visto che non è stato violato nessun segreto istruttorio. I giornalisti hanno fatto il loro lavoro, indotti soprattutto dall’atteggiamento reticente di un senatore e ministro che si è sempre rifiutato di rispondere a domande specifiche. La stessa notizia delle indagini è documentata in un verbale di assemblea.
Tempi.
“Non capisco come si possa promuovere una mozione (…) che ha per oggetto dei fatti che, se verranno evidenziati, sono antecedenti al mio giuramento da ministro”. Santanchè finge di non sapere che i cittadini a cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore. Le accuse che emergono dalle indagini e dalle denunce di diversi ex dipendenti gettano un’ombra sulla gestione delle sue società con comportamenti incompatibili con quelli di un ministro, anche se precedono la sua nomina. Le bugie, peraltro, Santanchè le ha dette da ministra. E resta il tema del conflitto di interessi. Poco dopo il giuramento, per dire, Santanchè ha ceduto al suo compagno e al socio Flavio Briatore le quote del Twiga per evitare di intrecciare i suoi affari con le attività da ministra, ma si è scoperto che – tramite una società creata ad hoc – dal Twiga continua a incassare soldi che ha destinato a ripianare i debiti di Visibilia per evitare il dissesto.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Luglio 27th, 2023 Riccardo Fucile
NELLE DEMOCRAZIE MATURE IL PRIMO CONTROLLO SULL’ATTIVITA’ DI GOVERNO E DEI SUOI MEMBRI E’ ESERCITATO DAL PARLAMENTO
Nelle democrazie mature il primo potere di controllo sull’attività del governo e dei suoi membri non spetta né alla stampa, né alla magistratura. È invece il Parlamento a verificare, anche partendo da notizie scoperte dai media o dagli investigatori, cosa fanno o non fanno i ministri e cosa eventualmente hanno fatto.
Ed è sempre l’assemblea legislativa a decidere, in base ai comportamenti, se alla collettività convenga che Tizio o Caio resti al potere. Per questo laddove la democrazia funziona si ripete spesso che una buona e dura opposizione finisce per migliorare l’operato della maggioranza. Un risultato che è un bene per tutti i cittadini: sia per chi ha votato i governanti, sia per chi ha scelto gli oppositori.
L’Italia però ha ancora parecchia strada da percorrere prima di arrivare alla maturità. O forse non vi arriverà mai, come ha dimostrato il dibattito al Senato di ieri sulla mozione di sfiducia inutilmente presentata da M5S e Pd contro Daniela Santanchè.
Tra i nostri sedicenti rappresentanti comincia a far breccia l’idea che in Parlamento una mano debba lavare l’altra e che tutte due lavino sempre la coscienza. Intendiamoci, a spingerci a pensarlo non è stato l’esito scontato della votazione. Sono state invece le motivazioni con cui molti esponenti della maggioranza hanno deciso di riconfermare la loro fiducia alla responsabile del Turismo.
Prendete ad esempio Licia Ronzulli. La capogruppo di Forza Italia, sostenitrice di un governo che dieci giorni fa diramava comunicati anonimi per denunciare una sorta di complotto da parte della magistratura, ora spiega che va demandato solo alle toghe il compito di selezionare le classi dirigenti. “Chi siamo noi – dice – per giudicare la colpevolezza o l’innocenza di un membro del governo o del Parlamento? Per noi solamente i giudici hanno il potere di emettere sentenze in nome del popolo italiano. Questo potere non appartiene né a noi né a voi e nemmeno alla stampa di parte, troppo sicura di poter condizionare la vita pubblica”.
L’idea che i giudici si debbano occupare di reati e i politici invece di comportamenti (che a volte possono anche essere reati, ma molto più spesso no) non sfiora l’ex pasionaria berlusconiana. Tanto che Ronzulli, confondendo il piano giudiziario con quello etico e politico, si rivolge così ai colleghi di Palazzo Madama: “Ciò che accade oggi alla senatrice Santanchè domani potrebbe capitare a ciascuno di noi”. Perché siete talmente imprudenti da non ricordare la frase di Pietro Nenni: “Gareggiando a fare i puri arriva sempre uno più puro che ti epura”. La soluzione, allora? Il disarmo bilaterale: noi non diciamo più nulla sui vostri coinvolti negli scandali e voi fate altrettanto con i nostri. A teorizzare apertamente la tregua è il capogruppo della Lega, Massimiliano Romeo, che dopo aver ammesso con onestà come a parti invertite il Carroccio si sarebbe comportato con i ministri di sinistra esattamente come fa ora l’opposizione con Santanchè, propone un surreale mea culpa collettivo: “Siamo stati noi che con la delegittimazione reciproca abbiamo indebolito tutti a prescindere dalla collocazione politica”. La prova? “È il grado di considerazione clamorosamente basso che abbiamo tra i cittadini. Quando andiamo in giro lo vediamo cosa la gente pensa di noi”. Sarà, ma l’idea che il prestigio lo si possa riconquistare nascondendo lo sporco (di tutti) sotto il tappeto a noi suona più da oligarchia che da democrazia. Ma noi siamo fatti ancora alla vecchia maniera e visti i tempi abbiamo certamente torto.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Luglio 27th, 2023 Riccardo Fucile
“MACHISMO, L’ATTACCO AI DIVERSI: E’ PIU’ FACILE ESSERE RAZZISTI CHE USARE IL CERVELLO”
“Io mi chiedo dove quelli di destra abbiano passato gli ultimi sette decenni, che libri abbiano letto, se si siano accorti che esiste uno stato di diritto; sembra che settant’anni di democrazia siano passati sopra le loro menti senza lambirli. A sentirli parlare di sostituzione etnica, ripopolazione, donne al servizio della nazione e della famiglia sembra la cultura civile dei diritti e dell’eguaglianza non li abbia toccati”.
È un giudizio duro quello della politologa Nadia Urbinati, docente di Scienze politiche alla Columbia University di New York, che definisce questo governo come “uno dei peggiori che abbiamo e non tanto per ragioni ideologiche ma per questioni etiche e professionali: è una classe dirigente scadente e inappropriata”.
Che ci sia un premier donna per la prima volta Italia non rappresenta per lei un passo in avanti?
Per nulla. Essere donna non significa essere per forza la miglior scelta politica, perché la politica ha dei suoi valori e principi e molto spesso le donne hanno principi e valori che con la politica democratica non vanno d’accordo. Ci sono donne reazionarie e donne democratiche, donne più o meno liberali. D’altronde le donne come gli uomini hanno ideali, ideologie e visioni politiche. Diverso è il caso di cariche istituzionali simboliche.
In che senso?
Il presidente del Consiglio è una funzione di potere politico spiccata, dove essere uomo o donna non ha rilevanza. Nelle istituzioni non di governo, invece, le cose sono diverse: sarebbe stato desiderabile e una grande novità avere una presidente della Repubblica, così come lo è stato avere una presidente della Corte costituzionale. Sono poteri di natura giuridico-simbolica, non direttamente politici. Diversamente, il potere politico va con le ideologie, quindi se vince la destra poco importa se sia un uomo o una donna a governare.
Tra l’altro con Giorgia Meloni c’è stata una vera e propria restaurazione maschile.
È un’ideologia che va bene con le dimensioni domestiche tradizionali della donna e quindi non mi rappresenta come donna. Ma neanche come cittadina italiana perché, appunto, non mi riconosco nelle sue idee gerarchiche.
I vari casi Sgarbi, Facci hanno mostrato anche molto sessismo.
Certo, questo fa parte della cultura della destra italiana che è notoriamente poco sensibile alla cultura democratica, ai principi del riconoscimento, della reciprocità: valori che stanno insieme alla giustizia e alla libertà.
C’è un attacco al politicamente corretto, sempre irriso. Lei che insegna negli Stati Uniti come lo valuta?
Il politicamente corretto è una pratica linguistica e comportamentale importante; l’esagerazione sfocia nel conformismo, ma anche le destre sono conformiste, visto che accettano la concezione della donna così com’è e sono a loro modo politically correct. Comunque il punto è un altro: il politicamente corretto che criticano è una pratica di decenza nei rapporti tra le persone. Se facessimo e dicessimo tutto quello che ci passa per la testa saremmo in guerra civile permanente. La cosiddetta “civility” è una linea di demarcazione tra relazioni umane fondate sul linguaggio, e quindi sul rispetto, e relazioni umane fondate sulla forza, sulla sopraffazione. È l’abc delle relazioni umane civili in una democrazia costituzionale.
Cosa pensa del “saccheggio” della tv pubblica?
Hanno conquistato tutto e conquisteranno tutto ed è facile, perché la cultura postfascista è questa, i valori sono questi: trattare la donna così; il machismo; l’ignorante aggregazione tra simili; l’attacco ai diversi. È facile perché è più facile essere razzisti che controllarsi e autolimitarsi. D’altronde, il nostro è un Paese che ha subito una de-culturalizzazione civica negli ultimi decenni e forse non sarà difficile far penetrare questi disvalori tra giovani e anziani, donne e uomini.
Essere di destra è più semplice, insomma.
Sì, perché richiede poca riflessione; ma il punto dirimente non è oggi tra destra e sinistra, ma tra la democrazia e questa concezione che vuole che le relazioni tra i generi siano dettate dalla forza e dalla funzione sociale, che quelle tra i diversi siano cucite sul disgusto e sul disprezzo per i deboli o bisognosi. È una cultura anti-eguaglianza e basata sul dis-rispetto, quindi problematica per la democrazia.
Per fortuna nei media e sulle reti sociali c’è stata una forte reazione.
Sì e ci deve essere. Gli energumeni che hanno commentato i campionati di nuoto sono stati criticati giustamente. Grazie all’opinione pubblica, che non è tutta in ginocchio, e grazie a questi nuovi mezzi di comunicazione, nessuno ormai può passare inosservato. È una importante funzione di controllo, un ausilio al controllo normativo di costituzionalità.
E l’opposizione? Quale il suo ruolo?
L’opposizione deve fare l’opposizione e non solo sui temi della giustizia sociale, ma anche sul comportamento civico, per ribadire il rapporto di reciprocità tra le persone, di rispetto e di decenza. Questa è un’etica pubblica trasversale alla distinzione destra e sinistra, ecco perché a mio avviso la vera discriminazione è oggi tra etica democratica ed etica non democratica.
Tornando alla destra: Forza Italia non è almeno più moderata?
Non ci sono i moderati nella destra: o sono moderati o sono di destra, perché un moderato o un conservatore non accetterebbe mai di essere identificato con questi pre-democratici. Il conservatore può avere una visione in cui il merito conta di più, va benissimo, ma non difenderebbe mai una visione rude per cui se sei un maschio alfa vinci altrimenti ti arrangi. Questa mentalità non è conservatrice ovvero moderata: è radicale.
Purtroppo è diffusa anche in Europa.
Oggi l’Europa con la questione dell’immigrazione rischia di diventare un continente nazionalista. D’altronde la destra vince per ragioni varie, che vanno dall’impoverimento, dalla pressione dei migranti, alla diminuzione del benessere delle classi medie, alla formazione di oligarchie sempre più recalcitranti ai diritti eguali.
Questa destra, infine, è radicale anche contro l’ambiente.
Si attacca al ben vivere presente, se ne infischia di quello che sarà; è l’ideologia della cicala, lo stupido assunto dell’utile vicino al naso, che non guarda all’utile futuro.
E, allora, che fare?
Combattere. Purtroppo oggi a causa del declino delle forze organizzate e della loro sostituzione con quelle digitali abbiamo perso la capacità organizzativa. Un tempo era più facile. Serve far sì che i partiti di opposizione diventino vere e proprie bussole attrattive per tutti i movimenti di contestazione che vanno dalle donne all’ambiente, dal meridione alla salute.
E gli intellettuali?
Non esistono più perché non ci sono più partiti che progettano egemonia (non a sinistra, almeno). Eppure servirebbe che ci fossero e avessero una funzione pubblica di chiarimento, analisi critica, contestazione se necessario.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Luglio 27th, 2023 Riccardo Fucile
TRA LE FIAMME SENZ’ACQUA E LUCE E GLI AEROPORTI BLOCCATI, E’ DIVENTATA UN’ISOLA DALLA QUALE E’ IMPOSSIBILE EVADERE
“Gli incendi ci sono sempre stati”, dicono. “In estate ha sempre fatto caldo” aggiunge qualcun’altro. Ma quello che sta succedendo in Sicilia va al di là di ogni emergenza, perché l’isola è alle prese con una serie di problemi che sembrano riportarla al medioevo. Gli incendi (anche dolosi) stanno bloccando la viabilità delle principali città, rendono quasi impossibili i voli aerei (anche dei canadair), la luce in molte parti della regione è assente (anche per colpa dei cavi mai ammodernati) e di conseguenza non c’è acqua per spegnere le fiamme e men che meno l’aria condizionata. Tanto che i turisti si aggirano come sfollati e cominciano a registrarsi i primi morti. E intanto la politica organizza conferenze stampa… Ecco il reportage dello scrittore Ottavio Cappellani dall’inferno.
Il mio reportage su questa Sicilia alla deriva come un carretta del Mediterraneo inizia domenica sera. A casa mia, con quello che è l’incubo di chi abita in campagna e che magari ha qualche albero di ulivo o di carrubo o di agrumi: il fuoco. Abito nelle campagne tra Noto e Rosolini, nel sud-est, il sud-est più a sud di tutta l’Europa, sotto il parallelo della Tunisia. È luogo di carrubeti e uliveti, di agrumeti e mandorleti, di allevamenti non intensivi, di serre e di vigne. Certo anche luogo, come in tutta la Sicilia, di una certa bestialità. Il luogo dove i mostri sono veri mostri e dove capisci perché l’Odissea, in realtà, altro non è che un romanzo horror. Qui, la mitologia, che non è fatta solo di dèi sereni che si fanno il bidet nei fiumi, ma anche di esseri caprini e di cannibali, è esibita. Passeggia per le strade coi i denti marci e nello sguardo l’assenza di umano. Fino a quel momento eravamo soltanto preoccupati e stremati per il gran caldo e anche qui c’era qualcuno che – probabilmente per chiudere gli occhi davanti alla verità e mettendo la testa sotto la terra che da lì a poco avrebbe avuto quel caratterisco e tragico odore di affumicato – diceva “d’estate c’è sempre stato caldo”. Prima di svenire in un qualche campo di meloni. Fino a quella domenica si sperava che gli incendiatori professionisti (quelli che danno a fuoco le campagne per varie speculazioni, dai pascoli ai contratti stagionali dei forestali – c’è una vera e propria economia del fuoco, in Sicilia, d’estate) riflettessero un attimo, prima di brasare l’isola. Era ovvio che quest’estate, il dio zoppo del fuoco, Efesto, che forgia le saette di Zeus dentro l’Etna, sarebbe stato il padrone incontrastato, svettando sulla sua parentela. Poi la speranza è finita nella fucina e la paura è diventata realtà. Un amico mi aveva dato una mano per la spesa. Abitando in campagna devi fare scorte, e io ancora soffro dei postumi di una frattura al piede. Mentre svuotavamo la macchina l’amico mi fa: ma non è fuoco quello? Alzo gli occhi e vedo un fronte rosso crepitante di mezzo chilometro, come se tramontasse. Mi rendo conto di non sentire l’odore del fumo, questo significa che il vento caldo è forte e spira contro le fiamme così forte da aalontanare persino l’odore dell’incendio
Si comincia. Ci sono volute 24 ore per domare le fiamme, ma stiamo parlando di una zona agricola, dove tutti hanno già fatto arare proprio per evitare il propagarsi degli incendi, dove ci sono le trincee tagliafuoco e strade ancorché sterrate dove comunque passano agevolmente i mezzi dei vigili del fuoco. Immaginatevi le montagne, i luoghi impervi, i boschi, le zone abbandonate. Anzi, non c’è bisogno di immaginarle. Adesso, purtroppo ci sono le foto. Il lunedì viviamo sotto bombardamenti d’acqua. I canadair sciamano in formazione. Le colonne di fumo si alzano in ogni dove, per tutto l’orizzonte, davvero sembriamo sotto attacco dei B-52. L’aeroporto di Catania funziona ancora meno che parzialmente. I turisti si aggirano come sfollati per la Sicilia: chi doveva partire o arrivare da Fontanarossa è disperso per le strade voraginate simili a mulattiere dell’entroterra che va a fuoco, o sulle tratte ferroviare borboniche monorotaie. Lunedì è stata una gran giornata di comunicati stampa, che stanno proseguendo tutt’ora con un’energia, un ottimisco, una faccia tosta invidiabili. Una cornucopia di dichiarazioni. Tutti i politici avevano e hanno da dare strabilianti notizie. Hanno tutti idee che sfiorano la genialità. L’intelligenza cola dai muri, la buttano a secchiate sulla folla come acqua ai concerti. Le idee non spengono le fiamme, non aiutano i turisti, non accendono la luce. Perché siamo anche senza energia elettrica: va e viene. Più va che viene. E non essendoci l’energia elettrica non funzionano le pompe per il sollevamento acque dei fornitori. E quindi siamo anche senz’acqua. E senza aria condizionata. Anche gli alberghi a molte stelle non hanno gruppi di continuità adeguata, così i vacanzieri dopo avere affrontato avventure alla Indiana Jones, dopo non avere capito a chi chiedere informazioni per arrivare da un posto all’altro, dopo avere fatto a botte per una bottiglietta d’acqua, si ritrovano in alberghi senza aria condizionata. Non si dorme. Il nervosismo è alle stelle. Le fiamme si avvicinano ai fabbricati, un hotel viene evacuato. C’è chi decide di abbandonare la Sicilia, di tornare a casa, di rinunciare alle ferie e ai soldi spesi. I più abbienti decidono di andare altrove. Non si può. Martedì mattina chiude anche l’aeroporto di Palermo. Restano Comiso e Trapani. La Sicilia diventa Alcatraz. Un’isola dalla quale è impossibile evadere.
Nello Musumeci indice una conferenza stampa. Spiega che i cavi dell’Enel sono interrati e si surriscaldano. Cavi in cui passa l’alta tenzione che si surriscaldano per il meteo? Sta dicendo sul serio? La faccia di Musumeci è seria. Dà la strepitosa notizia che in due anni l’Enel spenderà parte dei soldi del Pnrr per ammodernare le infrastrutture energetiche. A molti viene il dubbio: allora non è il caldo, è che proprio i cavi sono vecchi come le monorotaie, come i vagoni dei treni, come le strade sbrecciate. Le persone iniziano a morire: una anziana muore a Monreale, le viene un malore e i soccorsi non possono arrivare causa un muro di fiamme. In un’abitazione vicino l’aeroporto di Punta Raisi viene trovata una coppia carbonizzata. Il ministro Adolfo Urso e il presidente della Regione Renato Schifani litigano a distanza. Urso critica, Schifani difende. Urso chiede cosa minchia sta succendendo, Schifani invita all’unità. Loro litigano, ma la situazione peggiora. Anche i Canadair oramai sembrano minchie confuse e non sanno più manco dove andare. Io devo andare a Taormina. Devo vedere un concerto di musica classica. In questo momento me ne fotterei della musica classica, e per non passare come l’Elkann di turno preciso che mi piacciono i R.A.T.M., il nu rock in generale, il crossover metal da night. Ma la cantante è una conoscente, devo fare atto di presenza. Non sono stazzonato perché non saprei cosa stazzonare. Sono in pantaloni corti, vans e maglietta col buco. Se mi fanno entrare bene, altrimenti mi leggo Proust, per l’esattezza il volume “Spinterogeni fusi”. Il problema non si pone. A Siracusa passiamo una stazione di servizio con le fiamme alle spalle. Acceleriamo. Le sterpaglie in mezzo agli spartitraffico sono tutte a fuoco, per chilometri e chilometri, mi sento come in una scena di DOOM, ricordate il vecchio videogame ambientato in un inferno? Palle di erba secca incendiata rotolano sulle strade. Ma veramente vogliamo andare per dove dobbiamo andare? Mi telefona un’amica: torna indietro. La Catania-Taormina è chiusa. Chi era già dentro prima della chiusura sta scappando contromano! Io mi chiedo perché l’autostrada che sto percorrendo non sia chiusa. Ah, vero, fino a Catania caselli non ce ne sono, non ci sarebbe dove chiuderla né personale che la chiude. Se esplode il benzinaio facciamo un comunicato positivo e ottimista che segua le regole della pnl, la programmazione neuro linguistica. La neuro non linguistica ci vorrebbe. Torniamo indietro riattraversando le fiamme che nel frattempo, eccitate dai comunicati stampa, stanno danzando allegre. Incendi qui è lì sulle montagne sembrano accoglienti paeselli che tremolano all’orizzonte nella notte di Natale.
Arrivo a casa. Mi corre incontro il Barone Mariannina, il bianco capostipite di una stirpe di una ventina di gatti. Mi salta addosso. Ha il muso nero di carbone di chi ha attraversato la campagna bruciata. Vorrei abbracciarlo forte. Si divincola. Sono le 22 e ci sono 39 gradi.
D’estate, dicono, ha sempre fatto caldo. Gli incendi ci sono sempre stati. I turisti sono sempre rimasti intrappolati e abbandonati. L’aria condizionata negli alberghi non c’è mai stata. Le coppie carbonizzate ci sono sempre state. E la politica e i manager non sono mai stati così intelligenti.
(da mowmag.com)
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Luglio 27th, 2023 Riccardo Fucile
“IN ITALIA FA TROPPO CALDO? SE NON TI STA BENE TE NE STAI A CASA TUA, NELLA FORESTA NERA”… CI MANCAVA DI FAR SCOPPIARE UN CASO DIPLOMATICO CON LA GERMANIA (DOPO LA FRANCIA)
“Sono 20-30 anni che in qualche modo i tedeschi ci devono spiegare come dobbiamo vivere noi. E se non ti sta bene te ne stai a casa tua, eh”. Dopo i cambiamenti climatici che “non sono poi una grande notizia”, la nuova intemerata di uno spazientito Andrea Giambruno in studio su Rete4 stavolta ha come oggetto le parole del ministro tedesco alla Sanità Karl Lauterbach che durante la sua recente vacanza in Italia, in un tweet del 13 luglio scorso, aveva decretato la fine del turismo nel Sud Europa e nel nostro Paese in particolare, nel lungo periodo, a causa proprio del cambiamento climatico.
“Arrivato a Bologna, ora si parte per la Toscana. L’ondata di caldo qui è spettacolare. Se le cose continuano così, queste destinazioni di vacanza non avranno futuro a lungo termine. Il cambiamento climatico sta distruggendo l’Europa meridionale. Un’era volge al termine”, il post del ministro tedesco che ha fatto perdere la pazienza al compagno della premier Giorgia Meloni, conduttore della trasmissione Diario del giorno in onda sulla rete Mediaset.
Giambruno commenta allargando le braccia, abbastanza scocciato: “La Merkel sta qua, lui sta sempre qua, se non ti sta bene stai a casa tua. Stai nella foresta nera, stai bene, no?”. Sorrisino e braccia conserte sul leggio.
Non è la prima uscita di Giambruno che fa discutere: qualche giorno fa durante l’ondata di caldo che ha travolto l’Italia raggiungendo picchi oltre i 40 gradi e con violentissimi nubifragi e grandine che hanno causato danni e morti al nord, per il giornalista di Rete4 il caldo “non è poi una grande notizia”. Come a dire: “In estate ha sempre fatto caldo”. Parole che ricalcano le tesi sbandierate dai negazionisti del clima
(da agenzie)
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