ABU MOHAMMED AL JOLANI, L’ARTEFICE DELLA COALIZIONE SUNNITA CHE HA TRAVOLTO IL REGIME IN UNDICI GIORNI
IL LEADER JIHADISTA HA IMPARATO DAGLI ERRORI DI BIN LADEN E DEL SUO MAESTRO ABU MUSAB AL ZARQAWI, FONDATORI DI AL QAEDA E ISIS: NON VUOLE INCUTERE TERRORE E SI PRESENTA COME MODERATO, PROMETTENDO UNA GESTIONE “INCLUSIVA” DEL PAESE
Tutti, a partire da Israele, temono che la Siria cada nelle mani di Abu Mohammed al Jolani, l’artefice della coalizione sunnita che ha travolto il regime in undici giorni. Il leader jihadista ha imparato dagli errori di Osama Bin Laden e del suo maestro Abu Musab al- Zarqawi, rispettivamente fondatori di Al Qaeda e Isis, e non vuole incutere terrore: si presenta come un moderato, promettendo una gestione del Paese che includerà ogni etnia e ogni religione.
Ad Aleppo i suoi uomini hanno rispettato le altre comunità e rilasciato i soldati catturati, applicando subito il metodo di efficienza amministrativa messo in campo da anni a Idlib: i servizi pubblici funzionano meglio di prima. Ma la sua legione di mujaheddin è formata da reduci della guerra santa e sulla via per Damasco si è gonfiata di uomini molto meno disciplinati, assetati di vendetta
Le schiere di al Jolani finora si sono impadronite delle città più importanti: con Damasco avranno il dominio dei centri nevralgici di un Paese dove i sunniti sono maggioranza.
C’è chi crede che il leader voglia costruire un modello innovativo di Stato islamico, meno feroce e più inclusivo ma comunque fondamentalista, in cui le altre confessioni verranno progressivamente emarginate. E la sua vittoria potrebbe in ogni caso riaccendere i focolai jihadisti oltre il confine, in particolare in Iraq, in Giordania e in Egitto, oltre a creare un bastione coranico che dal Golan già minaccia Israele.
Per questo adesso c’è la corsa ad accelerare la decomposizione della Siria, tentando di creare contrappesi all’avanzata di al Jolani. È il destino probabile per la regione di Latakia, dove un milione di alawiti si stanno armando e possono contare sulla protezione russa: Mosca ha lì le basi strategiche nel Mediterraneo a cui non intende rinunciare. La difesa di questo territorio però non è facile, ecco che un patto con i sunniti appare come l’unica speranza di sopravvivenza.
Nell’estremo sud, sul confine giordano, una ribellione guidata dai drusi con i gruppi tribali sunniti ha preso il distretto di Daraa: i drusi siriani sono più di 700 mila. Hanno detto di stare dalla parte di al Jolani, ma cercheranno di imporre una loro zona autonoma imitando i cugini libanesi guidati dal clan Jumblatt. L’altro cantone è quello curdo, già diviso in due. C’è il Rojava presidiato dalle milizie del Ypg. E c’è più a sud la provincia strappata all’Isis tra Raqqa e Deir ez-Zor dalle Syrian Defense Forces equipaggiate dagli Usa. I curdi sono combattenti ostinati ma il loro futuro è precario. Erdogan vuole espellerli dalla regione sulla frontiera turca, usando i giannizzeri del Syrian National Army e l’aviazione.
Inoltre il messaggio diffuso ieri da Donald Trump – «questa non è la nostra guerra» – fa prevedere tempi duri per i curdi che potrebbero perdere il sostegno dei jet Usa. Corsi e ricorsi storici: la situazione complessiva ricorda molto quanto è accaduto nel 2013. Anche allora la guerra civile aveva aperto un vuoto spaventoso, dal quale era emerso con ferocia il mostro dell’Isis.
(da La Repubblica)
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