ARMATA LESSA: LE TRUPPE UCRAINE SFONDANO IL FRONTE DI KHERSON, DOVE I RUSSI MENO SE LO ASPETTAVANO, E AVANZANO VELOCI MINACCIANDO DI ACCERCHIARE LE UNITÀ AVVERSARIE CHE RITARDANO A RITIRARSI
DOPO I FALLIMENTI DELL’ESERCITO RUSSO NELLA REGIONE DI KHARKIV, PUTIN HA NOMINATO UN NUOVO GENERALE NEL DISTRETTO MILITARE OCCIDENTALE. UN MODO PER RIMESCOLARE LE CARTE E INCOLPARE IL NUOVO COMANDANTE (SALVANDO IL CULO AL FEDELISSIMO COLONNELLO LAPIN)
Ancora una volta gli ucraini colgono i russi di sorpresa: sfondano il fronte di Kherson, dove i generali di Putin meno se lo aspettavano, e avanzano veloci ed efficienti minacciando di accerchiare le unità avversarie che ritardano a ritirarsi.
È la logica di Davide contro Golia: un corpo di spedizione leggero e determinato, munito di armi innovative e pronto ad adattarsi al mutare delle circostanze, contro un esercito obsoleto, privo di qualsiasi flessibilità, sulla carta molto più numeroso e potente del nemico, ma in verità ammalato di gigantismo e adesso poco motivato, con gravi segni di disfattismo e crollo del morale tra le truppe.
E a Roma, in armonia con un’iniziativa dell’Ue, l’ambasciatore russo Razov è stato convocato alla Farnesina per comunicargli la posizione italiana: «No a referendum e minacce». Gli storici della guerra e le accademie militari del futuro studieranno a fondo gli elementi che stanno garantendo la vittoria ucraina contro l’invasore russo. Le cronache delle ultime ore ne sono il condensato migliore.
Prima di tutto, il fattore sorpresa. Sebbene fosse attesa da tempo questa controffensiva a Kherson, l’unica regione a est del fiume Dnepr ancora in mano russa, l’attacco avviene soltanto ora. Il motivo è ovvio: il presidente Zelensky ne aveva parlato già a giugno e ciò aveva convinto Mosca a spostare a Kherson parte delle unità migliori trincerate nell’Est, sguarnendo il settore a nord del Donbass verso Kharkiv. Ma, un mese fa, è stato proprio a sud di Kharkiv che i corpi scelti ucraini hanno attaccato, cogliendo i nemici di sorpresa, avanzando rapidamente verso Izyum e, tre giorni fa, liberando Lyman. Adesso le loro unità stanno procedendo verso nord e sud: irrompono nella provincia di Lugansk e mirano al Donetsk settentrionale, minacciando di riprendere Severodonetsk e Lysychansk.
Ieri abbiamo visitato per diverse ore la cittadina di Bakhmut, l’unico settore del fronte dove le fanterie e le unità corazzate russe sono presenti in grande forza e ancora cercano di sfondare. Ma anche qui gli ucraini potrebbero prenderli alle spalle, trasformando gli aggressori in assediati.
Ed è proprio in questo momento di grande difficoltà per i comandi russi nel Donbass, che Kiev rilancia nel Sud-ovest. Soltanto quattro giorni fa avevamo visitato il fronte di Kherson partendo da Mykolaiv, ma soldati e ufficiali erano rimasti abbottonati. «Qui la situazione è molto complicata. I russi sono ben trincerati, occorre tempo, sarà quasi impossibile riprendere l’iniziativa prima della fine dell’inverno», ripetevano. Tutto falso.
Da almeno due giorni le loro colonne marciano lungo la sponda occidentale del Dnepr, scacciano i russi dal settore di Kryvy-Rih, ma soprattutto liberano le cittadine di Zolota Balka, Mykhalivka e Alexandrovka, oltre a decine di piccoli villaggi e fattorie isolate.
Kiev mantiene il silenzio, sono adesso i portavoce del ministero della Difesa a Mosca ad ammettere la «ritirata strategica» per oltre una trentina di chilometri contro «forze nemiche superiori», accoppiata alla rassicurazione di essere ora arroccati su posizioni «meglio difendibili».
Ma c’è un elemento ancora più importante in questa avanzata: se dovesse continuare lungo il fiume, presto le avanguardie ucraine potrebbero raggiungere i tre ponti distrutti che una volta permettevano le comunicazioni tra Kherson e il Donbass. Oggi i russi usano chiatte e pontoni per rifornire oltre 30.000 soldati nella zona: gli assedianti ucraini minacciano di accerchiarli completamente.
Due settimane fa i loro comandanti avevano chiesto l’autorizzazione a ripiegare sulla sponda orientale del fiume. Ma Putin aveva reagito duro con un secco «no», interferendo platealmente nelle decisioni del suo stato maggiore.
Una situazione che ricorda quella delle armate tedesche durante l’assedio di Stalingrado nel febbraio 1943: Hitler negò il permesso del ritiro e fu la catastrofe. Un fatto è comunque certo: delle quattro regioni annesse alla Russia da Putin venerdì scorso (Kherson, Donetsk, Lugansk e Zaporizhzhia) le prime tre sono oggi al cuore dell’offensiva ucraina, la quarta potrebbe presto aggiungersi.
A conferma dello stato di confusione regnante tra i militari russi giunge adesso la scelta di silurare altri generali accusati di non sapere gestire le operazioni in Ucraina. E soprattutto si aggiunge la curiosa vicenda di Ihor Murashov, direttore ucraino della centrale di Zaporizhzhia: rapito dai russi la settimana scorsa, ieri è stato rilasciato senza alcuna spiegazione
(da agenzie)
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