COSA PENSAVA NEL 2007 ALESSANDRO GIULI DI GIORGIA MELONI? NEL VOLUMETTO “IL PASSO DELLE OCHE” SCRIVEVA: “GIORGIA MELONI ALLA VICEPRESIDENZA DELLA CAMERA APPARE COME UNA BAMBINA DI CINQUE ANNI COSTRETTA A GIOCARE CON UNO JO-JO DI BRONZO ALTO QUANTO LEI. COME MINIMO C’È IL RISCHIO DI FARSELO CADERE ADDOSSO”
“SUCCEDE SEMPRE COSÍ, QUANDO IL FIGLIO O LA FIGLIA ZELOTA DI UN PADRE LIQUIDATORE SI SENTE TENUTO A MOSTRARE GRATITUDINE”
Estratto da “Il passo delle oche”, di Alessandro Giuli (ed. Einaudi, 2007)
Visto che siamo in tema di «colpi», esiste un ultimo capitolo sulle donne di Fini che merita la citazione. Riguarda Giorgia Meloni, segretaria di Azione giovani dal 2004 e vicepresidentessa della Camera per decisione finiana dopo l’aprile del 2006.
A uno sguardo sommario, Giorgia Meloni alla vicepresidenza della Camera appare come una bambina di cinque anni costretta a giocare con uno jo-jo di bronzo alto quanto lei. Come minimo c’è il rischio di farselo cadere addosso. Ma forse questo è un giudizio cattivo e prematuro. E influenzato dalla leggerezza vaporosa con la quale la ragazza, nel dicembre 2006, ha archiviato malamente una storia piantata alle sue spalle senza che lei se ne sia accorta del tutto: «Mussolini avrà fatto cose buone, ma il suo sistema autoritario lo condanna, cosí come per Castro».
Succede sempre cosí, quando il figlio o la figlia zelota di un padre liquidatore si sente tenuto a mostrare gratitudine. Succede che, non richiesto o non richiesta, tende a sovrastare il benefattore per asseverazione. Con effetti poco credibili. Se non fatui, soprattutto se messi al confronto del silenzio operoso di altre donne ex missine che non hanno avuto bisogno di conversioni culturali per dimostrare il proprio valore.
E il caso di Adriana Poli Bortone, segretaria nazionale femminile dell’Msi dal 1981 al 1994, ministro dell’Agricoltura nel primo governo Berlusconi, sindachessa di Lecce per due mandati consecutivi.
Non meno brava del romano Walter Veltroni nell’amministrazione del potere, quanto fieramente contraria alle quote rosa. Ma con un’attenzione speciale nei confronti del sesso femminile, intorno al quale organizza annualmente un evento congressuale, librario e teatrale che ha la coloritura delle antiche feste celebrative pagane.
Nel suo caso, la figura femminile esce dalla recriminazione malmostosa per essere reintegrata nella dimensione della naturalità originaria. Nulla a che vedere con la, tardiva, riscoperta finiana della lotta di genere.
In ogni caso, nella sua fredda furia creatrice e demolitoria, Fini si è dimostrato più equanime di quanto le sue veroniche ideologiche lascino immaginare.
Azzerando il dipartimento della Santanché, promuovendo nuove stelline e compilando graduatorie sempre suscettibili di venir stravolte da un suo malumore di occasione, il leader di An ha dimostrato di saper trattare le femmine come i maschietti: figurine sbiadite manovrabili in un grande gioco di società immaginifica, piegate al luogo comune femminista e giovanilista, ma pur sempre piantate nello spazio obbligato che si estende dalla sabbietta domestica di via della Scrofa alla chaise longue di un potere tutto costretto nel solito paio di mani.
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