IL CAVALIERE, CORSA AL VOTO: “EVITERO’ LA DECADENZAâ€
SE FA CADERE IL GOVERNO, GLI ITALIANI PAGHERANNO IMU, ICI E LE CONSEGUENZE DI UNO SPREAD ALLE STELLE
«Io non decadrò da senatore per mano loro, non ce la faranno». Berlusconi l’ha promesso a se stesso prima di schierare le sue truppe per la battaglia finale.
E farà tutto quanto in suo potere per evitare il voto dell’aula del Senato sulla decadenza, fino all’ipotesi estrema di far saltare la legislatura.
Perchè ormai il dado è tratto e i falchi hanno preso il sopravvento.
Per questo, se anche il premier riuscisse ad anticipare il «chiarimento» in Parlamento prima del 4 ottobre e della riunione della giunta delle elezioni, Forza Italia comunque gli voterebbe contro. Sfiducia.
«I nodi vengono al pettine – osserva Daniele Capezzone – e del resto a me è sempre sembrato miope il tentativo di Letta, capo politico di una maggioranza politica, di tenere separate le questioni del governo da quelle di Berlusconi ».
Guglielmo Epifani, parlando con il premier al telefono, gli ha consigliato di giocare in velocità con la verifica, provando a mettere il Pdl con le spalle al muro prima del voto sulla decadenza. Ma anche questo escamotage è destinato a fallire di fronte al grumo di furore e irrazionalità che da Berlusconi in giù ha contagiato tutto il gruppo dirigente.
Dunque — se Berlusconi non cambierà idea come gli è capitato spesso in questo periodo — sarà crisi di governo, il treno è già lanciato ad altissima velocità e non c’è più nessuno a fermarlo. Anche perchè le condizioni che il Cavaliere pone restano inaccettabili per il Pd.
Nelle prossime ore, oggi stesso, Berlusconi si aspetta risposte chiare e inequivocabili sulla richiesta di rinvio della legge Severino alla Corte costituzionale.
È l’unica cosa che le colombe sono riuscite a strappare.
«Napolitano è il mandante, mi vuole in galera. Se riuscite a convincerlo a fermare la macchina della decadenza benissimo, ma gli ho dato settimane di tempo e non è successo nulla».
Nelle riunioni fiume a palazzo Grazioli Berlusconi usa ormai toni sprezzanti nei confronti del capo dello Stato. Soprattutto lo accusa di non aver mantenuto quelle fantomatiche promesse che gli sarebbero state fatte al momento della formazione del governo.
Promesse di intervenire sulla Cassazione, anzitutto, per impedire che il processo Mediaset fosse assegnato alla sezione feriale ma restasse «al mio giudice naturale, la terza sezione».
Che evidentemente Berlusconi supponeva più favorevole. Promesse di fermare le altre procure al lavoro, da Napoli a Bari.
Ci sarebbe in effetti un’ultima strada per evitare la catastrofe.
E lo stesso Angelino Alfano l’ha suggerita ieri a Letta. Quella di un decreto del governo che interpreti in maniera non retroattiva le norme del decreto Severino.
Ma è un sentiero strettissimo e avrebbe bisogno di tutt’altro clima politico per essere percorso.
Per questo anche i più moderati nel centrodestra ieri sera scuotevano la testa rassegnati, come un gregge in attesa di essere immolato alla divinità del Capo.
Renato Schifani e Renato Brunetta, pur avendo raccolto alacremente le lettere di dimissioni dei parlamentari, ancora sperano che nel Pd si apra una crepa, che arrivi almeno un segnale di disponibilità politica verso le ragioni del Cavaliere.
Ma il pessimismo rende neri i pensieri e rallenta le reazioni.
Persino il consiglio dei ministri che oggi avrebbe dovuto varare un decreto monstre da tre miliardi di euro – rinvio dell’Iva, correzione del rapporto Deficit/ Pil, missioni militari – è tornato in forse.
Ieri sera ancora non era stato convocato, in attesa del colloquio di questa mattina fra Letta e il capo dello Stato. «Che senso ha prevedere tagli per miliardi di euro – confida un ministro – se c’è la crisi di governo e torniamo dritti nella procedura d’infrazione europea?».
Insomma, vista la tensione politica il governo potrebbe saltare oggi stesso.
Con le dimissioni dei ministri del Pdl. A quel punto Letta andrebbe in Parlamento rovesciando sulla testa del Cavaliere la responsabilità dell’aumento dell’Iva, del pagamento della seconda rata dell’Imu e della prevedibile tempesta che ci sarà sugli spread.
E tuttavia Berlusconi, incurante dei consigli di Fedele Confalonieri, degli inviti alla prudenza di Ennio Doris e dei timori dei figli, marcia spedito verso la crisi e le elezioni anticipate, sulla strada lastricata da Denis Verdini e Daniele Santanchè.
Il terrore di finire in cella per un ordine di custodia cautelare, l’umiliazione e il discredito che ne deriverebbero, lo accecano e non gli fanno vedere alternative.
Così l’unica salvezza che gli è rimasta è far saltare in aria tutto il Palazzo.
Il problema non è la giunta delle elezioni, ma il voto dell’aula del Senato. È quello che va evitato. Se il Cavaliere ci riuscisse, trascinando la legislatura verso la fine con il sacrificio umano dei suoi parlamentari, sarebbe salvo.
Resterebbe senatore fino alla riunione delle nuove Camere. E a quel punto si ricomincerebbe tutto da capo. Mesi e mesi guadagnati.
A nulla servirebbe la sentenza di conferma dell’interdizione dai pubblici uffici.
Anche la decadenza stabilita dai magistrati di Milano, che nulla c’entra con la legge Severino, andrebbe infatti votata dalla Camera di appartenenza.
Ma a quel punto Berlusconi conta di aver vinto il premio di maggioranza con il Porcellum e di scagliare tutto il «suo» Parlamento contro la magistratura e le leggi.
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
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