LA MELONI CHE PARLA DI RINEGOZIARE IL PNRR RISCHIA DI BUTTARE TUTTO PER ARIA
CON IL SECONDO DEBITO PUBBLICO E LA DECADENZA INDUSTRIALE DEL NOSTRO PAESE, DOBBIAMO RISPETTARE IL CRONOPROGRAMMA UE PER RICEVERE I FONDI DEL RECOVERY PLAN
La caduta del governo irresponsabilmente provocata da chi ha tolto la fiducia a Draghi apre la discussione sul destino del Piano nazionale di ripresa e resilienza e sui suoi 191,5 miliardi di euro col rischio di perderli e su cosa possa rimetterci l’Italia.
Nel parere del Consiglio d’Europa sul programma di stabilità dell’Italia la seconda raccomandazione riguarda il Piano deciso dal Consiglio il 13 luglio 2021: il raggiungimento di target semestrali, l’Italia ne ha 527 fino al 31 dicembre 2026, necessari per ottenere le risorse del semestre successivo.
Se i governi non condividono il cronoprogramma o disapprovano le riforme previste o non realizzano gli obiettivi assegnati si rischia che le risorse non siano erogate come previsto dal regolamento europeo 2021/241 . Non “imposizione” dell’Europa, ma ciò che abbiamo deliberato e concordato.
Con Draghi gli impegni sono stati rispettati e i fondi sono stati versati. Se si cambia la linea si aprono scenari diversi. Questa e non altro è la c.d. inesistente e solo pragmatica “agenda Draghi”.
Sciogliendo le Camere Mattarella ha detto che il Pnrr rientra negli “affari correnti” del governo fino alle elezioni. I dossier più importanti: il disegno di legge annuale per la concorrenza molto divisivo tra i partiti; la delega per il riordino degli Irccs; i decreti attuativi in materia di giustizia e processo tributario; le modifiche al codice della proprietà industriale; la delega al governo per la riforma fiscale, approvata dalla Camera e in commissione Finanze del Senato
Sino a ottobre saremo senza governo e Parlamento. I disegni di legge decadono con lo sciogliersi delle Camere e con la nuova legislatura si ricomincia da zero. Difficile immaginare di raggiungere le scadenze entro dicembre 22.
Col nuovo governo l’Italia dovrà dimostrare di riprendere il ritmo della tabella di marcia precedente. Prevedibile che il nuovo Parlamento si insedi entro 20 giorni e che prima di novembre non ci sia un nuovo esecutivo per cui è probabile che non sia rispettata la scadenza di dicembreper raggiungere i 55 obiettivi del secondo semestre, per la difficoltà di presentare e approvare leggi e decreti e perché i nuovi ministri prima di gennaio 2023 difficilmente saranno in grado di guidare una macchina complessa.
Il Piano non si fermerà nei prossimi mesi grazie alla governance predisposta nel Dl 77 del 2021per cui le strutture tecniche di gestione insediate a Palazzo Chigi e al MEF non sono soggette a spoils system rimanendo in carica sino a dicembre 2026. Ma senza l’ impulso degli organi politici molte scadenze previste per il 2022 non potranno quasi essere rispettate.
Per il Pnrr italiano ma per il futuro dell’Europa sono ipotizzabili scenari diversi. Tutto può procedere senza grandi problemi, con qualche ritardo senza che nulla cambi nella sostanza generale del Piano col solo rischio di non essere in linea con gli impegni di dicembre e slittamento concordato per rientrare nell’andamento concordato.
Ipotesi B, il nuovo governo vuole negoziare un “nuovo Pnrr”; i tempi si dilaterebbero dovendosi esprimere Parlamento europeo, Commissione e Consiglio innescando o meno un precedente col rischio di perdita di risorse perché entro il 2026 è d’obbligo rendicontare il Recovery .
Bene che vada rispetto al percorso di revisione potremmo beneficiarne solo in parte.
Terzo scenario preoccupante per chi ha a cuore gli interessi del paese e uno stabile inserimento nell’Unione europea necessario per dare un futuro migliore ai cittadini italiani ed europei: contrapposizione tra Italia e Commissione Ue e rottura del contratto con l’Ue, che potrebbe chiedere indietro le risorse assegnate all’Italia.
La linea politica pro-Europa e pro Pnrr o meno inciderà sul Piano e sulla sua attuazione. Giorgia Meloni in occasione dell’evento “Pnrr: priorità e futuro dell’Italia” del 19 maggio ha consigliato a Mario Draghi “di recarsi alla Commissione europea per chiedere una revisione degli obiettivi del Pnrr, che devono essere concentrati sulle conseguenze della crisi”. Il presidente del Veneto Zaia ha detto a sua volta che “bisogna anche rivedere le regole del Pnrr. Il Piano è nato con determinati intendimenti in un contesto storico di pochi mesi fa, radicalmente diverso da quello di oggi”.
Ipotesi che rischiano di essere slogan elettorali più che percorsi concretizzabili salvo che non si voglia buttare tutto per aria compresi i cocci. Pragmaticamente il commissario europeo Paolo Gentiloni a giugno davanti ai giovani imprenditori ha detto “chi propone di rifare il Piano sbaglia” perché si rischierebbe di apparire poco seri e non si avrebbe “alcuna possibilità di riproporre questo metodo – debito comune, obiettivi comuni – nei prossimi anni”.
Gli elettori è bene che sappiano. Se il Piano non funziona si rischia che a Bruxelles venga accantonata l’idea del Recovery Fund e altre iniziative finanziate da debito comune europeo e la possibilità di renderlo permanente, rimanendo quindi solo una esperienza irripetibile e nemmeno colta dal nostro paese .
Dobbiamo anche prender coscienza dell’altissimo debito pubblico e della decadenza industriale del Paese . Lo scenario che rischiamo è una probabile richiesta dell’Italia di fare altro debito, addossandolo alle future generazioni, per fare la flat tax, quota 41 e altro assistenzialismo. Next Generation EU aveva altro intento: fare dell’Italia un Paese civile come il resto d’Europa e a misura di giovani.
Nello schema bipolare il voto riguarda la democrazia parlamentare rappresentativa e la democrazia autoritaria e in tale ambito la salvaguardia dei principi della costituzione repubblicana e l’ideale di una pacifica e prospera Federazione europea.
(da Huffpost)
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