LE ANALISI DELLA FONDAZIONE GIMBE: “LOMBARDIA, PIEMONTE E LIGURIA NON POSSONO RIAPRIRE”
LA PERCENTUALE PIU’ ELEVATA DEI TAMPONI POSITIVI E IL MAGGIOR INCREMENTO DEI CASI
Lombardia, Liguria e Piemonte non sono pronte alla riapertura.
L’altolà arriva dalla Fondazione “Gimbe” il think tank indipendente che si occupa di ricerca in ambito sanitario presieduto da Nino Cartabellotta, che definisce “rischiosa” l’ipotesi di riaprire la mobilità su tutto il territorio nazionale, accettando l’eventuale decisione delle Regioni del sud di attivare la quarantena per chi arriva da aree a maggior contagio”. Una presa di posizione basata sulle ricerche effettuate.
“Le analisi post lockdown della Fondazione – si legge in un comunicato diramato in mattinata – dimostrano che in queste tre Regioni si rilevano la percentuale più elevata di tamponi diagnostici positivi e il maggior incremento di nuovo casi, a fronte di una limitata attitudine all’esecuzione di tamponi diagnostici”.
Domani il Ministro della Salute, Roberto Speranza valuterà il monitoraggio dei dati del contagio da parte dell’Istituto Superiore di Sanità , i cui risultati saranno decisivi per formalizzare la decisione sulla ripresa della mobilità interregionale, fissata dal Governo a partire dal 3 giugno.
Scadenza che secondo la Fondazione “con i dati che riflettono le riaperture del 4 maggio, ma non ancora quelle molto più ampie del 18, mette il Governo davanti a una decisione che, oltre a essere guidata dai dati, deve avvenire sotto il segno della solidarietà tra Regioni e dell’unità nazionale”.
“Occorre accantonare ogni forma di egoismo regionalistico – precisa Cartabellotta – perchè la riapertura della mobilità deve avvenire con un livello di rischio accettabile e in piena sintonia tra le Regioni. Una decisione sotto il segno dell’unità nazionale darebbe al Paese un segnale molto più rassicurante di una riapertura differenziata, guidata più da inevitabili compromessi politici che dalla solidarietà tra le Regioni, oggi più che mai necessaria per superare l’inaccettabile frammentazione del diritto costituzionale alla tutela della salute”.
L’analisi è stata effettuata sul periodo post lockdown compreso tra il 4 e il 27 maggio, i dati analizzati “riflettono quasi interamente le riaperture del 4 maggio, ma non quelle molto più ampie del 18 maggio che potranno essere valutate nel periodo 1-14 giugno”, precisano dalla Fondazione.
Gli esiti della ricerca.
Quanto ai risultati, la percentuale di tamponi diagnostici positivi risulta superiore alla media nazionale (2,4%) in 5 Regioni: in maniera rilevante in Lombardia (6%) e Liguria (5,8%) e in misura minore in Piemonte (3,8%) Puglia (3,7%) ed Emilia-Romagna (2,7%).
Per quel che riguarda i tamponi diagnostici per 100.000 abitanti, rispetto alla media nazionale (1.343), svettano solo Valle d’Aosta (4.076) e Provincia Autonoma di Trento (4.038).
Nelle tre Regioni ad elevata incidenza dei nuovi casi, la propensione all’esecuzione tamponi rimane poco al di sopra della media nazionale sia in Piemonte (1.675) che in Lombardia (1.608), mentre in Liguria (1.319) si attesta poco al di sotto. E poi ci sono i nuovi casi. L’incidenza per 100.000 abitanti rispetto alla media nazionale (32), è nettamente superiore in Lombardia (96), Liguria (76) e Piemonte (63).
A tal proposito, la Fondazione “Gimbe” lancia un avvertimento sulla situazione in Emilia-Romagna. “Se il dato del Molise (44) non desta preoccupazioni perchè legato a un recente focolaio già identificato e circoscritto – si legge nel comunicato – quello dell’Emilia-Romagna (33) potrebbe essere sottostimato dal numero di tamponi diagnostici (1.202 per 100.000 abitanti) ben al di sotto della media nazionale (1.343)”.
I tre scenari. Sulla base delle valutazioni del Comitato tecnico scientifico “il Governo – commenta il presidente della Fondazione – si troverà di fronte a tre possibili scenari: il primo, più rischioso, di riaprire la mobilità su tutto il territorio nazionale, accettando l’eventuale decisione delle Regioni del sud di attivare la quarantena per chi arriva da aree a maggior contagio; il secondo, un ragionevole compromesso, di mantenere le limitazioni solo nelle 3 Regioni più a rischio, con l’opzione di consentire la mobilità tra di esse; il terzo, più prudente, di prolungare il blocco totale della mobilità interregionale, fatte salve le debite eccezioni attualmente in vigore”.
Di qui, per Cartabellotta, la necessità di arrivare “a una decisione sotto il segno dell’unità nazionale”, mettendo da parte “ogni forma di egoismo regionalistico perchè la riapertura della mobilità deve avvenire con un livello di rischio accettabile e in piena sintonia tra le Regioni”.
(da agenzie)
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