L’UNICO COMPLOTTO CONTRO GIORGIA MELONI È QUELLO DEI SUOI ALLEATI: LA DUCETTA, INVECE CHE STREPITARE CONTRO I PRESUNTI DOSSIERAGGI, FAREBBE BENE A GUARDARSI IN CASA
TRA GELO CON CROSETTO, CONTINUI SCAZZI TAJANI-SALVINI E GIORGETTI IN VERSIONE “FALCO DEI CONTI PUBBLICI”, OGNI GIORNO HA LA SUA PENA
Ormai, lei, lo snocciola come un rosario: “Dacci oggi il nostro dossieraggio quotidiano”. Ma mentre manda messaggi ai “gruppi di pressione” che non la “leveranno di torno”, Giorgia Meloni non si è accorta di un dettaglio: i veri nemici del suo governo sono i suoi stessi ministri.
Sono “quasi amici”, Giorgia e i suoi. Scazzo dopo scazzo, la premier non si fida più di nessuno che non porti per lo meno il suo stesso cognome, figuriamoci quando da famigliari si diventa ex, come nel caso del fu cognato Francesco Lollobrigida, ora finito nella black list delle sorelle d’Italia.
Meloni verga messaggi furibondi sulla chat del partito, organizza cacce agli “infami”, alimenta ipotesi del complotto che si trasformano in teoremi e campagne sulla stampa amica. Non è affatto serena. E non è sereno nemmeno il rapporto con Guido Crosetto.
A Pontida, due sabati fa, i goliardici ragazzi della Lega hanno salutato l’arrivo di Antonio Tajani in terra padana con uno striscione poco commendevole, “Ius scholae in vista, Tajani scafista?”, e cori da stadio ancora meno cordiali: “Tajani, Tajani, vaffa…”.
Quella sera stessa Matteo Salvini li ha cazziati con serietà improvvisa e postura paterna: “Non possiamo giocare, non possiamo scherzare, gli avversari non sono in maggioranza, sono fuori. Antonio è un amico”. In un altro momento, ha definito i goliardi leghisti “4 o 5 scemi”. In testa agli scemi c’era Alessandro Verri, capogruppo della Lega a Milano, ma tant’è.
Tajani e Salvini tirano il carro in direzioni opposte, si contendono il ruolo di seconda forza della coalizione e si sopportano poco cordialmente da un bel po’. Non c’è solo lo ius scholae (indigeribile per Salvini) o la retorica del leghista contro le banche (indigeribile per Tajani); c’è un’incompatibilità abissale di modi, postura, rapporti nazionali e internazionali.
Una repulsione quasi antropologica che non è poi tanto differente da quella che separa Salvini anche dal ministro dell’Economia e in teoria suo compagno di partito, Giancarlo Giorgetti. Nell’immaginario leghista Salvini è il Capitano e Giorgetti è il burocrate. Il primo capopopolo spregiudicato, il secondo custode savio dei conti e dei rapporti con Bruxelles.
Ultimo in ordine di tempo, un caso politico ancora inesploso, ma che aleggia come una mina sopra la riforma dell’Autonomia. Il meloniano Nello Musumeci, ministro per la Protezione civile, ha fatto le pulci al testo di Calderoli e inviato una serie di considerazioni su quello che non va. Gliele aveva scritte in una lettera e le ha ribadite su Repubblica.
C’è un tema sensibile: il dissesto idrogeologico, sostiene Musumeci, non può essere delegato alle Regioni, la tutela dell’ambiente “è di competenza statale” e “lo standard minimo di sicurezza del territorio e dell’incolumità delle persone non può essere delegabile”. Più o meno hanno fatto lo stesso i ministri Piantedosi e Tajani su altre materie “non Lep”. La Lega non l’ha presa benissimo.
(da il Fatto quotidiano)
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