NEGLI AFFARI DI GIORGETTI CON L’EX SOCIO PINI SPUNTA LA FIGLIA DEL MINISTRO
COLPI BASSI, VELENI, DOSSIER NEL REGOLAMENTO DI CONTI TRA SALVINI E GIORGETTI
«La politica è sangue, sudore e merda», diceva uno che nella vita ne ha viste tante, il vecchio socialista Rino Formica.
Perciò questa è la storia di una piccola società di software che ha sede a Forlì, la Saints Group srl, e di Marta Giorgetti, unica figlia di Giancarlo, il ministro allo Sviluppo economico.
La società, sulla carta, è poca cosa: una startup con 25mila euro di capitale sociale che ha chiuso il 2018 con un piccolo attivo e il 2019 con una perdita di 9.233 euro.
Alla Camera di commercio risulta formalmente inattiva. Quanto a Marta, studentessa di Cazzago Brabbia, 794 anime a 11 km da Varese, ne ha detenuto il 32 per cento delle quote (valore nominale: 8.000 euro) dal 19 giugno 2020 fino al 2 aprile 2021.
E allora? Allora, da settimane la Saints Group agita non solo i sonni del padre ma anche il mondo della Lega, che ha nel “Gianni Letta padano” il suo esponente di spicco al governo.
Giorgetti ha in mano uno dei ministeri più pesanti del paese, è in buoni rapporti con il Quirinale, è amico personale di Mario Draghi e ha accesso diretto al Sancta Sanctorum di Palazzo Chigi, dove è stato sottosegretario ai tempi del Conte I; ma incarna, attenzione, anche una linea filo-Ue e filo-Ppe opposta al sovranismo di Matteo Salvini, il quale punta piuttosto, come si sa, a creare un gruppo «identitario, conservatore e di centrodestra» con Viktor Orbán, Mateusz Morawiecki e Marine Le Pen. Due linee e due caratteri agli antipodi, in eterno duello. E in mezzo, la storia di Marta. Che proprio dal padre ha avuto in regalo la Saints Group.
Vecchi amici in affari
La storia è piccola, dicevamo. Ma racconta molte cose su come dietro le quinte – tra amicizie, veleni e affari – funziona la politica di questo paese.
Inizia il 29 giugno 2018, il giorno in cui nasce la famosa startup. Ha quattro soci, e due sono nomi di peso della Lega fin dai tempi di Umberto Bossi: uno è Giorgetti, commercialista laureato alla Bocconi, parlamentare dal 1996 e in quel momento sottosegretario a Palazzo Chigi; l’altro è Gianluca Pini, deputato nella XV, XVI e XVII legislatura, segretario per una vita (dal 1999 al 2015) della Lega Nord Romagna e animatore della corrente dei “Barbari sognanti” che nel 2012 ha portato Roberto Maroni alla segreteria del Carroccio. I due sono amici da anni.
E anche se nel 2018 Pini non si è ricandidato «per motivi personali» (è tornato a fare l’imprenditore nel settore della ristorazione), ecco che nella Saints Group li troviamo soci, fianco a fianco, con il 32,14 per cento a testa.
Pini è l’amministratore unico. Giorgetti invece ha quote “sterilizzate”, cioè senza diritto di voto.Un anno dopo scoppia la prima grana. Report contesta al sottosegretario l’«ampio oggetto sociale» della società: «Potrebbe occuparsi anche di telecontrollo, di cyber security. Potrebbe emettere dei bond, qualora fosse necessario per finanziarsi. È una questione di opportunità: è opportuno?».
La questione in effetti è delicata. Soprattutto considerando che Giorgetti, figlio di un pescatore e a sua volta presidente della cooperativa dei pescatori del lago di Varese, si è dimesso da quella carica proprio per non violare la normativa sul conflitto di interessi.
Report insiste: «Perché Giorgetti rileva un rischio quando si tratta di una vecchia cooperativa di pescatori e non lo fa quando si tratta di una società che potrebbe – oggi non lo fa, ma potrebbe in futuro – occuparsi di una materia così delicata come la cyber security?».
Il sottosegretario, davanti alle telecamere, tira via seccatissimo: «Ma che cyber security! Ma siete matti, voi!».
La Saints Group, in effetti, sembra quasi non esistere. E quel poco che esiste su Internet sembra avere a che fare soprattutto con software per l’e-ducation e il controllo parentale. Gli affari, stando ai bilanci, non sono brillantissimi. Anzi: «Nel 2019 sono stati sospesi gli ammortamenti per le spese capitalizzate inerenti lo sviluppo del software, in quanto si sono resi necessari alcuni interventi tali da non rendere funzionante l’applicazione in sviluppo e di conseguenza la sua vendita. L’attività̀ di sviluppo e miglioramento è proseguita anche nel 2020».
Ed è proprio in quel 2020, il 19 giugno per l’esattezza, che Giorgetti regala le sue quote a Marta. Non è un regalo un po’ strano, una società in perdita?
Gianluca Pini dipinge un futuro brillante: «Abbiamo registrato brevetti internazionali, ci saranno sviluppi milionari». Perfetto. Dopo appena otto mesi, il 2 aprile di quest’anno, Marta rinuncia ai potenziali milioni e si libera di ogni partecipazione, cedendo tutto all’ex socio di papà.
Il quale papà, nel frattempo, è diventato ministro allo Sviluppo economico.
Cosa c’è dietro questa girandola di quote? Le voci sono tante, come vedremo.
Ma c’è anche un fatto certo: il 18 marzo 2020 la società con cui Pini si occupa di ristorazione, Codice srl, firma un contratto con la Ausl Romagna per la fornitura, con affidamento diretto, di “mascherine usa e getta a tre veli ASTM 3 (99 % BFE (Bactirial Filtration Efficency)” a 1,056 euro l’una, più Iva. Importo massimo: 6,3 milioni di euro.
Siamo all’inizio dell’emergenza, ricordiamolo. L’Italia è alla disperata ricerca di dispositivi di protezione. Ma a qualcuno il contratto puzza di bruciato: Veronica Verlicchi, consigliera di opposizione a Ravenna (lista Pigna, una civica di centrodestra), il 27 marzo presenta un’interrogazione al sindaco. Le sue perplessità sono molte.
«Come si evince dalla visura camerale della società Codice srl, dal 1° dicembre 2018 la sua attività prevalente è il commercio all’ingrosso di bevande e alimenti in genere, e solo il 16 marzo 2020, in coincidenza col contratto, è stato aggiunto il commercio all’ingrosso di articoli medicali ed ortopedici».
Inoltre, «il capitale sociale è di 10.000 euro, di cui versati 2.500. La società non detiene crediti e debiti in valuta estera. Nel 2017 i ricavi da vendite e prestazioni erano pari a 0, nel 2018 di 180.201 euro».
Domanda: in base a quali elementi l’Ausl garantisce che «il fornitore ha comprovata esperienza nel reperire sui mercati esteri prodotti di difficile approvvigionamento, stante le sue note esperienze e professionalità maturate in anni di relazioni internazionali legate al commercio estero»?
Perché «affidare una fornitura del valore di 6.336.000 euro oltre Iva, aumentabile del 30%, ad una società che ha un capitale sociale, non interamente versato, di 10.000 euro»? Come è possibile concludere un accordo simile in soli quattro giorni? E per quale motivo le mascherine sono pagate in anticipo, senza il rilascio da parte di Codice di una «idonea garanzia fideiussoria per l’ammontare del valore della fornitura»?
Magistrati al lavoro
Una prima indagine pare finisca in nulla. Infatti Pini si dice tranquillissimo: «Non ho nulla da nascondere. All’inizio dell’emergenza qualcuno all’Ausl si è ricordato che ho vissuto molti anni tra Taiwan e Hong Kong e mi ha chiesto se, coi miei contatti, ero in grado di reperire delle mascherine. Nel giro di poche settimane ne ho consegnate quasi tre milioni. Ho avuto accertamenti dall’Ausl, dalla Dogana, dalla Guardia di Finanza: tutto regolare».
Ma la Verlicchi non demorde. E a fine novembre 2020 presenta un esposto alla procura di Forlì, la città dove la Codice ha bar e ristoranti. Qui la Digos indaga. In silenzio. Per mesi. Quando poi, il 2 dicembre scorso, il Domani dà notizia dell’inchiesta, con tanto di citazione dei rapporti societari tra i due leghisti, per la consigliera è «un sollievo vedere che l’indagine sta andando avanti». «Ero molto preoccupata per la presenza di Giorgetti», confessa.
«Lui e Pini sono legatissimi: Giorgetti quando viene in Romagna è spesso ospite a casa di Pini, gli ha fatto avere nel 2019 la nomina all’Aci come rappresentante del governo e ha sempre sostenuto le sue iniziative politiche, per esempio appoggiando la sua fedelissima Samantha Gardin alle politiche del 2018 e alle regionali del 2020». Insomma: aveva il timore, visto il legame di Pini con il ministro, che l’inchiesta potesse subire rallentamenti o essere chiusa senza nulla di fatto?
«Mi limito a far notare un paio di coincidenze interessanti: poco dopo la firma del contratto con l’Ausl, Giorgetti ha ceduto alla figlia le quote della Saints Group, come se volesse prendere le distanze da un socio diventato ingombrante. E pochi mesi dopo che ho presentato l’esposto Marta è uscita dalla società».
Ma il regalo di papà Giorgetti non era certo di pubblico dominio. Come faceva a saperlo, la Verlicchi? «Ho le mie fonti. Diciamo che in Romagna se ne parla molto, nella Lega».
E qui si apre l’altra partita. Politica.
Perché in Romagna il passaggio dalla vecchia Lega Nord di Umberto Bossi alla nuova Lega Salvini Premier non è stato indolore: Pini, malgrado i suoi rapporti con un big come Giorgetti, è ormai in rotta coi vertici nazionali e non ha manco preso la nuova tessera; il vecchio segretario regionale, Jacopo Morrone, legatissimo al “barbaro sognante” e sottosegretario alla Giustizia (in quota Giorgetti) nel Conte I, è stato accompagnato alla porta; sul Carroccio regna oggi il commissario Andrea Liverani, il consigliere regionale cui proprio Pini nel 2020 ha contrapposto, con la benedizione di Giorgetti, la sua protetta Gardin (peraltro sconfitta).
La guerra non ha risparmiato Ravenna, proprio dove la Verlicchi è consigliera: Alessandro Pini, fratello di Gianluca, ha ritirato in extremis la candidatura al consiglio comunale, e a guidare il gruppo è ora il salviniano Gianfilippo Nicola Rolando, alias Sua Altezza Serenissima, altro candidato sconfitto alle regionali nonché duca ed erede del principato di San Bernardino (esiste, esiste, e ha sede su un’isola del Mar Rosso tra la costa occidentale dello Yemen e l’Eritrea).
Il cattivo sangue scorre a fiumi, per usare un eufemismo, e presto la faida oltrepassa i confini romagnoli. Tra un conto e un altro da regolare, passando per le mascherine, ecco saltar fuori il ministro e la Saints Group.
Ma cosa c’entra Marta? Il ministro, contattato da TPI, non risponde. Gianluca Pini, in compenso, è furibondo. «La Saints Group con le mascherine non c’entra neanche di straforo. È una startup informatica di cui Giorgetti ha semplicemente regalato le quote alla figlia, come tanti padri in Italia fanno regali ai figli. Tirare in ballo Marta in questo contesto, adombrando chissà quali interessi nascosti del padre e quali oscuri traffici miei, è vergognoso. Si vuole solo gettare fango su Giancarlo».
Che è ministro di un governo cui Matteo Salvini non risparmia critiche, d’accordo. E che è l’eterno duellante del segretario, la faccia della Lega più gradita all’Europa e ai salotti che contano. Ma da qui a gridare alla macchina del fango…
«Io dico solo una cosa: tutto questo cinema è venuto fuori quando un gruppo di vecchi militanti, tra cui il sottoscritto, ha annunciato un’azione legale per dimostrare la scorrettezza di Salvini nella gestione della Lega Nord». In che modo? «Saprete tutto per primi».
Così la storia di Marta per ora finisce qui. Insegna qualcosa? A prescindere dalle vicende giudiziarie di Pini («Per quello che ne so, l’inchiesta in corso a Forlì non riguarda me, ma una società a cui ho regolarmente venduto mascherine»), e al netto delle azioni legali (per ora solo annunciate) contro Salvini, qualche problema etico, ecco, lo pone.
È davvero questa la politica, oggi, in Italia? Nello scontro interno alla Lega vale tutto, anche mettere in mezzo le figlie, pur di regolare i conti coi padri (e gli amici dei padri)? E il ministro ha fatto a Marta un regalo davvero innocente, utilizzato oggi dagli avversari in modo cinico, o da politico consumato si è chiamato fuori, coinvolgendo la figlia, da una situazione che poteva creargli imbarazzo? In ogni caso, Rino Formica la sapeva lunga. Auguri a Marta.
(da TPI)
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