NELL’OSPEDALE DI EMERGENCY IL DOLORE PER LE DONNE DI KABUL: “CON I TALEBANI AL POTERE LE COLLEGHE AFGHANE NON LAVORERANNO PIU'”
ORNELLA SPAGNOLELLO: “HANNO TALENTO E GRANDE UMANITA'”
Le ragazze di Kabul contano i giorni, lo fanno dall’inizio dell’estate. L’ultima estate da donne libere. I talebani stanno riprendendo il controllo della città e addio lavoro, addio smalto sulle unghie, addio risate in pubblico.
“Di tutto questo parliamo nello spogliatoio. Pensi che in altri tempi c’era un’infermiera che là dentro improvvisava passi di danza. Ora non lo fa più. Sembra una vita fa”. Ornella Spagnolello, 32 anni, siciliana di Carlentini, da maggio è nello staff medico dell’ospedale di Emergency a Kabul e, da donna, ha un motivo in più per vivere con preoccupazione il cambiamento che, da qui a pochissimo, travolgerà l’intero paese rimasto senza la protezione dell’Occidente.
“L’unica speranza – dice – è che la città passi ai talebani senza altro spargimento di sangue. Ma ogni cosa è un’incognita. Nel mio gruppo lavorano quattro colleghe italiane e una sudafricana. Anche noi non sappiamo bene cosa ci sarà consentito fare in futuro”.
Le loro colleghe afgane invece il proprio percorso sono certe di conoscerlo bene. Le più giovani lo hanno appreso dalle madri. Shakabia, con i suoi quarant’anni, il regime talebano lo ha conosciuto in prima persona quand’era bambina. La sua famiglia è scappata in Pakistan, dentro un campo profughi ha iniziato a studiare fino a laurearsi in medicina.
“Shakabia è molto brava – racconta Ornella Spagnolello – ma sa che non lavorerà più. E’ un destino che sa di dovere accettare. Ne abbiamo parlato durante una pausa, mentre prendevamo il tè. Ha due figli e un marito disoccupato. Le ho chiesto se proverà a partire. Mi ha risposto che non vuole lasciare il suo paese, che non vuole più tornare profuga. E vada come vada”.
Oltre a Shakabia, in sala operatoria con Ornella Spagnolello entrano quattro afghane considerate affidabili anzi, bravissime. Tre intubano i pazienti e li gestiscono per tutto l’intervento, la quarta prepara i ferri. Ma lo faranno ancora per poco, è la previsione di tutti ormai.
La notizia della morte di Gino Strada ha inevitabilmente seminato sgomento nella squadra di Emergency anche se, seguendo il primo insegnamento del fondatore, tutti hanno continuato a fare il loro lavoro con la stessa energia di sempre.
“Resistiamo e combattiamo – sottolinea Spagnolello – ma siamo nel mezzo di un grande cambiamento. La priorità, come ci ha insegnato Gino Strada, resta la cura dei pazienti e io vorrei, tutti vorremmo, continuare a curarli qua, come abbiamo sempre fatto”.
A Kabul nei tre programmi realizzati da Emergency (l’ospedale, i posti di primo soccorso e l’assistenza sanitaria ai detenuti) operano 46 donne e 276 uomini. All’ospedale lavorano 29 donne e 185 uomini, mentre nello staff non sanitario prestano servizio 12 donne e 151 uomini.
All’ospedale di Anabah, dov’è stato realizzato un reparto maternità, l’equipe sanitaria è composta da 174 donne e 114 uomini, il personale non sanitario è invece formato da 49 donne e 171 uomini. Infine, l’ospedale di Lashkargah può contare su 17 donne e 144 uomini nello staff sanitario, 13 donne e 118 uomini nel settore logistico e amministrativo.
In Afghanistan solo le mediche e le infermiere possono visitare le pazienti. Il rischio è che, diminuendo il personale femminile le donne rinuncino a curarsi. Non una novità, piuttosto un ritorno al passato. “Ecco, io non voglio nemmeno immaginarlo, è la cosa che mi fa più male”, dice Ornella Spagnolello. “Qui ho visto persone prodigarsi per fare sembrare bello quello che oggettivamente era spaventoso. Come Benigni ne “La vita è bella” quando fa credere al figlio che il campo di concentramento sia un parco giochi. Abbiamo visto tante donne e tanti uomini sperare in una vita migliore mentre con lo straccio toglievano il sangue dal pavimento”.
Il 3 agosto, poche centinaia di metri oltre l’ospedale, c’è stato un attentato. “Io ero tornata a casa da poco e ho temuto che la bomba avesse colpito proprio Emergency”, racconta Spagnolello. “Il cielo si è colorato di rosso. Per la prima volta mi sono sentita nel mirino. In un istante eravamo tutti fuori dalle nostre camere”. La nuvola di fumo sembrava alzarsi proprio dall’ospedale. “Ho pensato: hanno ucciso i pazienti, i miei colleghi, i miei amici. Invece, l’obiettivo centrato era la casa di un politico locale. Sono corsa in ospedale mentre sentivamo tante raffiche di mitra. Davanti all’ingresso si era radunato un capannello di uomini per protestare ma non abbiamo capito contro chi o contro cosa. Non avevamo il tempo di capirlo”. Erano già arrivate quaranta persone colpite dall’esplosione. “Non tutte vive”.
(da Open)
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