SALVINI E LA SINDROME DI FONZIE
SALVINI FA L’EQUILIBRISTA: IN 11 MINUTI DI INTERVENTO AL SENATO È RIUSCITO A NON CITARE MAI PUTIN, TENENDOSI SUL VAGO, MA IL WEB NON DIMENTICA E SPUNTANO OVUNQUE LE SUE FOTO CON “MAD VLAD” E LE PRESE DI POSIZIONE CONTRO LE SANZIONI ALLA RUSSIA
A qualcuno ricorda il Fonzie di Happy Days, che non riusciva a chiedere «scusa». Ad altri il Veltroni delle elezioni 2008, che, per non nominare Berlusconi, parlava del «principale esponente dello schieramento a noi avverso».
Per Matteo Salvini l’innominabile è Vladimir Putin. Ieri, in 11 minuti di intervento al Senato, è riuscito a non citarlo mai, tenendosi sul vago, come fa sui social: un «aggressore», «chi ha scatenato la guerra», «chi bombarda».
Già, ma chi? Amnesia comprensibile.
Ma, per ricordare, a Salvini basterebbe cercare nei cassetti le magliette che in passato si è fatto stampare con la faccia del presidente russo.
Nel 2015 una l’aveva indossata anche al Parlamento europeo e, all’epoca, non lesinava elogi allo “Zar”. Uno memorabile: «Cedo due Mattarella in cambio di mezzo Putin». E qui tornerebbe utile la parolina proibita di Fonzie.
Pacifista, fautore dell’accoglienza, distante dalla Russia. Matteo Salvini, come Zelig, cambia volto e prova ancora a reinventarsi. La guerra, dopo la pandemia, lo costringe a una nuova trasformazione. Che si completa nell’aula di Palazzo Madama, intorno all’ora di pranzo.
I dieci minuti di intervento del leader della Lega (…) sono una veloce corsa sul filo dei distinguo, rappresentano una terza via fra l’interventismo e le vecchie posizioni filo-Putin. Accadde già nel periodo caldo del Covid, il capo del Carroccio non attaccava i No Vax ma votava con il governo a favore del Green pass.
Il copione si ripete: quando parla in aula, Salvini, sembra inseguito dal suo passato che urla ancora sui social, magliette e smodati elogi all’inquilino del Cremlino.
Ma la colpa non è di chi lo ha interpretato, quel passato, piuttosto di chi glielo ricorda: «Le polemiche oggi non fanno onore alla classe politica e giornalistica», tuona subito il numero uno di via Bellerio.
Non c’è un pentimento, ma certo la Lega si ricolloca, perché «chi tira le bombe non ha giustificazioni» e la guerra «mette un punto fermo fra quello che c’era prima e quello che c’è dopo ».
L’importante, per il segretario leghista, è raccontare al meglio la nuova versione di sè. Sempre un passo indietro rispetto a Draghi: al premier pieno mandato, però dubbi sull’uso delle armi e un continuo richiamo al valore della diplomazia e della pace.
Il tutto fra gli interrogativi di alcuni colonnelli che pensano che la terza via adottata possa essere vista come una conferma dell’ascendente putiniano non del tutto scomparso.
(da La Stampa)
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