UNA VITTORIA PER GLI ODIATORI SOCIAL: MINACCIARE DI MORTE IL PRESIDENTE DEL SENATO NON È REATO
LA PROCURA DI ROMA HA OTTENUTO L’ARCHIVIAZIONE DELL’INCHIESTA APERTA NEI CONFRONTI DI DUE UOMINI PER I LORO POST PUBBLICATI NEL 2021 CONTRO ELISABETTA ALBERTI CASELLATI… TRA I MESSAGGI C’ERANO: “AMMAZZIAMOLA”, “VOGLIO UCCIDERE LA CASELLATI” – PER IL GIP NON SI TRATTA DI MINACCE REALI, MA DELL’ESPRESSIONE COLORITA DI UNA RABBIA POLITICA NEI CONFRONTI DELLE ISTITUZIONI
Su Facebook e su Twitter, nel 2021, l’allora presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, attuale ministro per le riforme istituzionali nel Governo Meloni, era stata travolta da una campagna di odio violenta.
Un’escalation che l’aveva convinta a sporgere denuncia, quando il tenore dei messaggi era diventato allarmante: «Ammazziamo la Casellati», «voglio uccidere la Casellati», si leggeva in alcuni post. Per la Procura di Roma, e anche per un giudice, però, non si tratta di un reato: il pubblico ministero ha chiesto e ottenuto l’archiviazione dell’inchiesta aperta con l’ipotesi di minaccia aggravata.
Il motivo? Non si tratterebbe di minacce reali, ma, piuttosto, dell’espressione colorita di una rabbia politica, nei confronti delle istituzioni. Una rabbia, peraltro, poco concreta, espressa tramite i social network e, quindi, a distanza.
Da qui la decisione di procedere con l’archiviazione nei confronti dei due indagati, uno di 64 e uno di 44 anni.
La richiesta, avanzata dal pm Erminio Amelio, è stata accolta dal gip Paolo Scotto Di Luzio, che ha ritenuto «la motivazione pienamente condivisibile». Ma ecco tweet e post incriminati. Il 5 maggio, per esempio, uno dei due alle 18,40 scriveva su Facebook: «Voglio uccidere la Casellati, presidente». Poi frasi sconnesse: «Spacca tutta polvere, schianta rullio arma, uccidere, più pericoloso, potente… attacca il presidente Casellati».
L’altro indagato (difeso dall’avvocato Giovanni Ferrari) aveva invece scritto su Twitter: «Ammazziamo la Casellati». Alla presidente, in quel periodo, erano anche state inviate alcune lettere anonime.§
Non è tutto: secondo i magistrati, l’allora Presidente del Senato «verosimilmente, senza la collaborazione del suo staff intento a monitorare i social network, avrebbe anche potuto definitivamente ignorare simili espressioni ad essa dirette».
La conclusione dell’accusa, ancora una volta, è che si tratta di post ed esternazioni «di dubbia idoneità nell’ingenerare nell’alto rappresentante della Repubblica un serio turbamento dell’animo nel timore che i propositi omicidiari paventati nel web possano essere attuati».
(da Il Messaggero)
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