Luglio 22nd, 2012 Riccardo Fucile
LE PREVISIONI DI INCASSO SI SONO RIVELATE ESATTE SOLO PER IL SALDO TOTALE A FAVORE DELLO STATO, NON NELLE CIFRE DESTINATE ALLE SINGOLE CITTA’… L’ANCI DENUNCIA: “ALCUNE CITTA’ RISCHIANO IL DEFAULT”
Dopo gli esodati esplode la grana dell’Imu-pazza.
Il ministero del Tesoro ha pubblicato i dati definitivi sui versamenti del primo acconto sull’aliquota base, stavolta non aggregati per provincia, ma distinti per singolo comune.
E per molti sindaci non è proprio una bella notizia e neppure per i cittadini che rischiano di pagare un salasso a dicembre con il saldo dell’imposta immobiliare.
Tutto perchè le previsioni di incasso fornite dal Tesoro a marzo si sono rivelate oggi in gran parte sballate.
Il saldo generale doveva essere di 9,7 miliardi ed è stato di 9,6, 100 milioni in meno.
Uno scarto non grandissimo frutto però della compensazione negli errori commessi: le città che incassano più del previsto compensano le minori entrate delle altre.
Il rischio di errori era stato segnalato per tempo dall’Anci che a marzo aveva invitato il governo a usare come dato le cifre contabili inserite a consuntivo dalle singole amministrazioni.
Il Ministero è andato dritto per la sua strada facendo proiezioni e analisi su dati nazionali.
Il risultato è una collezione di errori, una raccolta a macchia di leopardo che in alcuni casi ci prende (pochi), in altri va sotto (tanti) e qualche volta sopra gli importi stimati.
Insomma, un pasticcio che rischia di costare caro ai contribuenti che a dicembre saranno chiamati a versare il saldo per rimettere a posto le cose e che getta nel panico gli amministratori.
L’effetto immediato dell’Imu-impazzita è infatti l’impossibilità per molte amministrazioni di rispettare le previsioni inserite nel bilancio 2012.
Alcune città , denuncia l’Anci, rischiano il “default“.
LA MAPPA DEGLI ERRORI
La ripartizione per comuni fa capire dove la seconda rata potrebbe fare più male.
A Firenze, ad esempio, l’acconto è stato di 57 milioni di euro contro i 68 preventivati dal Tesoro.
La discrepanza era stata già messa in luce nelle audizioni di bilancio a Palazzo Vecchio che avevano indicato uno scarto di 11 milioni di euro.
E ora viene puntualmente viene confermata.
La ricca Bergamo ha registrato un ammanco che si aggira intorno ai 35 milioni. Gli uffici tecnici comunali avevano calcolato (e poi messo a bilancio) 30 milioni, il ministero 5 di più. Alla fine l’incasso reale è stato ancora minore: 25,3 milioni da ripartire tra comune (15) e Stato (10,3).
Così nel Bresciano sono saltati tutti i parametri.
Desenzano, ad esempio, per il Mef avrebbe dovuto incassare con la prima rata 7 milioni mente il dato pubblicato oggi dallo stesso ministero si ferma a 5,3.
Per alcune amministrazioni l’errato calcolo apre la breccia a un buco di bilancio come Palazzolo, che doveva incassare 6 milioni ma si è fermata a 2 con la prima rata, il 33% del tributo.
Gli uffici comunali avevano lanciato l’allarme settimana scorsa il consiglio comunale ha dovuto varare una variazione di bilancio per sanare quello che per il sindaco Giuseppe Zanni è “un buco di bilancio da 2 milioni di euro”.
A Mantova la previsione era di 20 milioni tra parte comunale e statale. L’incasso è stato di 13,2 (7,5 locale e 5,6 per lo Stato).
Fano, terza città delle Marche ha incassato 1,5 milioni in meno.
A Salerno la stima del Tesoro era di 12 milioni ma il gettito reale è stato di 10.
A Reggio Emilia il governo contava di incassare 55 milioni ma l’operazione Imu-prima-rata ne porta 10 in meno.
Le cifre ballano anche per le ammnistrazioni di Bologna, Napoli, Torino. Poi ci sono quelle in cui l’errore del governo è stato per difetto: Milano, ad esempio, ha incassato 410 milioni, cioè il 10% in più rispetto alle stime.
COMUNI NEL PANICO
A fronte di incassi eccedenti o inferiori le attese dovranno scattare le perequazioni, un sistema dalla logica farragginosa che finisce per premiare chi ha pagato di meno: chi avrà versato di più infatti dovrà restituire allo Stato la quota parte eccedente, chi invece sarà sotto le previsioni non dovrà farlo e sarà sostenuto dal “fondo sperimentale di riequilibrio”.
Ma a questo punto le certezze sono poche e forte è il rischio che i Comuni debbano tagliare ancora servizi o rifarsi sui contribuenti aumentando la fiscalità locale.
Ecco perchè i sindaci martedì mattina protesteranno davanti al Senato per chiedere al governo un tavolo per rimettere in ordine le cose.
“Tra Imu e spending review — accusa il presidente dell’Anci Graziano Delrio — il governo ha giocato una partita durissima sulla pelle dei comuni e i parlamentari si sono lasciati andare a entusiasmi troppo facili. Gli incassi dell’Imu sono a macchia di leopardo e i tagli sono stati invece lineari per tutti, sulla base di previsioni che si sono rivelate sbagliate. Saremo costretti a intaccare servizi essenziali o a aumentare la pressione fiscale”.
I sindaci insomma non la prendono bene, anche perchè hanno fatto la parte degli esattori per conto dello Stato e indietro hanno ottenuto ben poco.
“L’Imu sulla prima casa — spiega Delrio — non l’abbiamo neanche vista perchè è andata dritto alle casse dello Stato. Per contro tutti i comuni hanno subito l’aggravento degli obiettivi del Patto di stabilità interno e l’effetto delle manovre finanziarie degli ultimi governi su risorse e trasferimenti. Dal 2007 al 2013 hanno fatto mancare 22 miliardi e oggi è altissimo il rischio che i comuni debbanno correre ai ripari con nuove imposte”, dice Delrio che richiama il governo a una responsabilità precisa.
“Metta in moto subito le compensazioni per quei comuni ai quali ha tolto risorse sbagliando i conti. Se le amministrazioni randranno in default ci saranno conseguenze pesanti per tutta l’economia e il governo dovrà assumersi la reponsabilità di aver messo in ginocchio il sistema delle autonomie locali. Forse bisogna ricordare ai tecnici che è nelle città che si produce il Pil italiano, non nei ministeri”.
Thomas Mackinson
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 22nd, 2012 Riccardo Fucile
LA PROPOSTA DEL PRESIDENTE DELL’ANTIMAFIA REGIONALE E’ STATA RESPINTA A SCRUTINIO SEGRETO
Era un timido ma importante segnale, poteva marcare un’inversione di tendenza in una Sicilia sull’orlo del default, prigioniera dei tatticismi di Raffaele Lombardo duramente contrastati dal tandem Lo Bello (Confindustria) — Monti: ma quell’emendamento di Lillo Speziale, presidente dell’Antimafia regionale, che lasciava fuori dalle stanze del sottogoverno regionale mafiosi, corruttori e pregiudicati di vario tipo non è piaciuto a 39 deputati siciliani che lo hanno bocciato a scrutinio segreto (contro 32 voti a favore) senza metterci la faccia e accorciando ancora di più le distanze dell’isola dalle sponde africane.
La Sicilia dell’eterno paradosso commemora così nel modo peggiore il ventennale delle stragi lasciando che i condannati per mafia o corruzione, o semplicemente rinviati a giudizio, continuino a essere nominati al vertice, tra i consulenti o negli organigramma di Regione, comuni, province e aziende sanitarie e ospedaliere, in enti sottoposti a tutela o controllo da parte della Regione, in società controllate o partecipate.
Nomine (tutte) bloccate dal momento del via alla campagna elettorale, visto che la legge per contrastare la bulimia da incarichi di Lombardo è passata, ma senza lo sbarramento antimafia: nelle scelte di amministratori, consulenti, esperti e via “nominando”, la fedina penale continuerà a non contare nulla.
E pregiudicati, condannati e rinviati a giudizio continueranno a offrire i loro servizi alla pubblica amministrazione siciliana in cambio di robuste remunerazioni.
Per Lillo Speziale “era un’occasione per fare del bene alla Sicilia ed è stata buttata al vento: una brutta pagina per il parlamento regionale”.
Concorda Pino Apprendi (Pd): “Sarebbe stato un atto di stima al lavoro che quotidianamente fa la magistratura per smantellare le relazioni fra mafia e politica. Mi riferisco soprattutto a chi non ha manifestato il proprio pensiero nascondendosi dietro il voto segreto e questo, un giorno dopo l’anniversario del ventennale delle stragi non ci fa onore”.
Si stava per votare, infatti, in modo palese l’emendamento che aveva messo per un istante d’accordo le due anime del Pd (tra i firmatari anche il segretario Lupo, contro ogni accordo con Lombardo, e Antonello Cracolici, ancora fan convinto del governatore) quando otto deputati di vari schieramenti hanno chiesto (e ottenuto) il voto segreto.
Tra loro il vice presidente dell’Antimafia Rudy Maira (Pid), indagato a Caltanissetta in un’inchiesta su appalti pilotati, che ha sostenuto addirittura l’incostituzionalità della norma, “che ha il solo scopo — ha detto Maira — di guadagnarsi qualche pagina di giornale. E magari fare additare chi non è d’accordo come componente di una ‘casta’, specie in questo periodo di grande diffidenza per la politica”.
Il vice di Speziale ha promesso che si impegnerà a presentare una legge-voto per far disciplinare la materia dal Parlamento nazionale, che, a suo giudizio, è titolare di tale materia. Oltre Maira, tra i sostenitori convinti del voto segreto c’è Riccardo Minardo (Mpa), arrestato e poi scarcerato per associazione per delinquere , truffa aggravata e malversazione ai danni dello Stato.
E poi Salvino Caputo e Fabio Mancuso (Pdl), il primo condannato in appello ad un anno e cinque mesi di carcere per tentato abuso di ufficio, il secondo arrestato su ordine del gip di Roma per associazione per delinquere, finanziamento illecito ai partiti e bancarotta fraudolenta.
E inoltre Giovanni Greco (Mps), sponsorizzato dall’ex pm antimafia (oggi assessore alla Sanità ) Massimo Russo, abituato a chiudere i suoi interventi con un colorito: “Non v’è piaciuto il mio discorso? E io mi ‘nni futtu (me ne frego, ndr)”.
E infine Innocenzo Leontini (Pdl), pronto a replicare alle parole dure del procuratore aggiunto Antonio Ingroia, pronunciate qualche mese fa a Marsala: “Il Parlamento siciliano — disse il pm — è lo specchio fedele di una società e di una classe dirigente profondamente inquinata, soprattutto ai piani alti, dalle collusioni con il sistema mafioso. Purtroppo non è una novità , nè una sorpresa”.
In quell’occasione Leontini replico’: “O si è trattata di un’affermazione che è andata al di là delle intenzioni, o dobbiamo forse anche investire la Commissione antimafia per fare luce su quanto detto da Ingroia”.
Si attende ancora la convocazione.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 22nd, 2012 Riccardo Fucile
DOPPIA BOCCIATURA PER I GOVERNI BERLUSCONI E MONTI: DICHIARATA INCOSTITUZIONALE LA NORMA CHE OBBLIGAVA I COMUNI A PRIVATIZZARE I SERVIZI PUBBLICI LOCALI… “VIOLA IL REFERENDUM DEL 12 GIUGNO DEL 2011”
E’ una doppia bocciatura per i governi Berlusconi e Monti quella sancita poche ore fa dalla Consulta, che ha dichiarato incostituzionale la norma che obbligava i comuni a privatizzare i servizi pubblici locali.
Si tratta dell’articolo quattro del pacchetto anticrisi varato da Giulio Tremonti il 13 agosto dello scorso anno, ripreso — e in buona parte rafforzato — dal decreto liberalizzazioni del governo di Mario Monti.
Una norma — hanno deciso i giudici costituzionali — che viola apertamente il referendum del 12 e 13 giugno del 2011, quando ventisette milioni di italiani votarono contro la legge Ronchi Fitto, che imponeva la cessione delle quote delle municipalizzate ai mercati.
Nell’agosto dello scorso anno, quando lo spread iniziava la sua vertiginosa salita, il governo Berlusconi decise di intervenire con un pacchetto di emergenza, dove venne infilata una norma che, nel titolo, annunciava un adeguamento della legislazione sui servizi pubblici locali al voto referendario. In realtà l’articolo centrale di quell’intervento riprendeva, in un vero e proprio copia e incolla, buona parte della legge appena abrogata dal primo dei quattro quesiti votati due mesi prima.
Pur escludendo l’acqua, Tremonti — artefice di quell’intervento — riproponeva la privatizzazione forzata di servizi essenziali, quali i rifiuti e il trasporto pubblico locale.
Il decreto firmato il 13 agosto diventava poi legge ad ottobre, pochi giorni prima della caduta del governo Berlusconi.
In quegli stessi giorni molti giornali pubblicavano una lettera della commissione europea che indicava al governo italiano la road map ideale per affrontare la crisi.
Tra i punti spiccava la revisione del risultato del referendum, con l’avvio di una nuova stagione di privatizzazioni.
Il governo guidato da Mario Monti ha di fatto mantenuto l’intervento voluto dal governo precedente, inserendo le norme dell’articolo 4 all’interno del pacchetto liberalizzazioni, poi approvato dal parlamento, con il voto congiunto di Pdl e Pd.
Il ricorso davanti alla corte costituzionale — elaborato, tra gli altri, dai referendari Ugo Mattei e Alberto Lucarelli — era stato presentato lo scorso ottobre dalla regione Puglia.
La decisione della Consulta restituisce ora il potere di decidere come gestire i servizi pubblici locali ai comuni, che non saranno più obbligati a cedere tutto ai privati.
La possibilità di privatizzare rimane, ma la decisione, a questo punto, sarà esclusivamente politica.
Andrea Palladino
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 22nd, 2012 Riccardo Fucile
IVA E IRPEF SONO LE TASSE PIU’ EVASE… L’IRPEF DA SOLA VALE IL 41,4% DEL TOTALE DI EVASIONE, L’IVA IL 37,7%
Tiriamo un sospiro di sollievo. Se è vero che in Italia la pressione fiscale reale quest’anno arriva al 55%, e non al 45,1% come dicono le stime ufficiali, è da oggi che ogni italiano in regola col Fisco può iniziare a lavorare per se stesso.
Fino a ieri ha infatti abbiamo lavorato solamente per pagare le tasse, oggi possiamo invece celebrare il «tax freedom day» come dicono in America, il giorno di liberazione dalle tasse.
Tasse, maledette tasse.
«Troppe tasse» dicono tutti. Ma da quanto i governi di turno non riescono a tagliare in maniera significativa le tasse?
Una sforbiciata all’Irap qualche tempo fa, l’Ici congelata da Berlusconi (e poi reintrodotta da Monti con gli interessi) e poco altro.
Anzi, complice la crisi sono mesi ormai che le tasse aumentano senza sosta.
Colpa dell’Iva innanzitutto, salita al 21% per effetto del Salva -Italia, delle accise che si portano via i due terzi del prezzo dei carburanti, della tassa sui turisti e di quella sugli sbarchi nelle isole.
Non parliamo poi dell’Imu tornata in maniera prepotente a prosciugare i conti correnti degli italiani, al punto da farla diventare nel 2012 certamente la tassa più odiata. Difficile sostenere il contrario sapendo che solo la prima rata, scaduta un mese fa, ha portato milioni di italiani a versare quasi 10 miliardi di euro nelle casse di comuni e Stato.
Le tasse più odiate
Prima di questo exploit, però, la tassa più odiata era un’altra.
Era il canone Rai. E per questa ragione quella che subiva il più alto tasso di evasione: la stima è di almeno 5-700 milioni di euro che sfuggono a viale Mazzini ed ai suoi esattori.
Per rimediare da anni in Rai chiedono di poter riscuotere il canone con la bolletta della luce, manovra non poco complessa tant’è che finora non si è mai riusciti a portarla a termine.
Quindi, a seguire, le imposte sui consumi (le bollette di luce, acqua e gas, i telefoni) e le tasse scolastiche; e ancora, il bollo auto e la tassa sui rifiuti. In attesa che venga incorporata nell’Imu, probabilmente nei mesi o negli anni a venire, per il momento le statistiche ci dicono che un italiano su dieci paga la tassa sulla «monnezza» comunque in ritardo.
Iva e Irpef, come insegnano anche i blitz agostani della Finanza a Cortina, Portofino e Costa Smeralda, sono le tasse più evase da negozianti e imprese.
L’Irpef da sola vale il 41,4% del totale dell’evasione fiscale, l’Iva il 37,7%.
Il totale delle tasse che non entrano nelle casse dello stato ammonta a circa 150 miliardi di euro l’anno.
Stupidario fiscale
Tasse odiose, tasse assurde.
È vero la tassa sui balconi, che costringeva i proprietari di case a pagare da 3 a 20 mila lire ogni metro quadro che «insisteva su spazi e aree pubbliche di qualsiasi natura» è stata abolita nel 1995 assieme a quelle sui tubi e i dadi da brodo e ad altre 120 gabelle, ma nello stupidario statale altre assurdità non mancano.
Dalla tassa sulle banane, «bene di lusso», introdotta nel 1965 ed abolita nel 1991, a quella sullo zucchero del 1924 cassata su pressione della Ue solo nel 1992 assieme a quella sul caffè che risaliva addirittura al 1917.
E ancora: abbiamo tassato la cicoria, l’olio di semi e la margarina, i carretti e i velocipedi.
E poi visto che si tassa l’ombra dei balconi, per par condicio, venivano tassati pure i gradini di casa che insistono sulla via pubblica. Due, tre non importa, anche questa era considerata occupazione del suolo pubblico sottoposta a Tosap.
Consoliamoci perchè all’estero non va meglio: il Belgio ha tassato i rasoi usa e getta, la Danimarca i pneumatici e l’Olanda perfino il letame, ohibò.
Grassi e disgrazie
La nuova frontiera in campo fiscale ha il sapore del ritorno all’antico: se nel 1946 il governo dell’epoca pensò di tassare il cacao per dissuadere gli italiani dal mangiare troppa cioccolata, adesso si prende di mira il junk-food, il cibo spazzatura ricco di grassi e zuccheri malsani.
In Italia se ne parla da tempo senza concludere nulla, la Francia invece ha colpito le bevande zuccherate a cominciare da Fanta e Coca Cola.
Di recente è poi spuntata la «tassa sulle disgrazie».
Come denominare diversamente l’aumento delle accise (5 centesimi) sui carburanti destinati a finanziare gli interventi della Protezione civile in caso di terremoti, alluvione e sciagure varie?
Sembra che il legislatore si impegni a trovare sempre il modo più efficace per far odiare a tutti i costi qualsiasi tassa o imposta che sia, a prescindere dal fatto che serva o meno a nobili motivi.
Del resto gli italiani, quando si tratta di mettere mano al portafoglio, hanno buona memoria e si ricordano bene che sul prezzo della benzina pesano ancora il disastro del Vajont, l’alluvione di Firenze, i terremoti del Belice, del Friuli e dell’Irpinia, e poi eventi che vanno dalla guerra in Abissinia del ’35 alle missioni in Bosnia e Libano. Tutte accise provvisorie poi assorbite dalla fiscalità .
Pronti a nuove tasse? L’«eurotassa» del ’96 (governo Prodi) ci consentì di entrare in Europa, ora il rischio è di doverne pagare una nuova per non uscirne.
Aleggia nell’aria una patrimoniale. Speriamo di no, nell’attesa al lavoro!
Almeno per quest’anno il Fisco è sazio.
Paolo Baroni
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Luglio 22nd, 2012 Riccardo Fucile
PREMIATO DA LEGAMBIENTE IL COMUNE DI PONTE ALLE ALPI (BELLUNO) COME VINCITORE DEL CONCORSO “COMUNI RICICLONI”…. NEL NORD EST I MIGLIORI SISTEMI DI GESTIONE DEI RIFIUTI URBANI… AL SUD SALERNO SI CONFERMA FIORE ALL’OCCHIELLO
C’è un’Italia che la spazzatura sa raccoglierla e bene.
Un comune su sette infatti può vantarsi di aver organizzato una raccolta differenziata così capillare ed efficiente da coprire il 65% dei rifiuti prodotti dai sui cittadini.
Secondo il dossier di Legambiente sono ben 1.123 comuni vincono l’appellativo di ricicloni 2012 per aver superato il 65% di raccolta differenziata, mentre sono 833 quelli che si confermano “zoccolo duro” del concorso, comparendo da tre anni consecutivi nelle graduatorie.
Il tetto del 65% è richiesta per legge solo dal 2012 (era del 60% lo scorso anno).
Altri 365 comuni hanno comunque superato il 60% di raccolta differenziata richiesto dalla normativa per il 2011.
Dai dati raccolti si riscontra, inoltre, rispetto all’anno precedente un calo della produzione dei rifiuti del 4,4%.
«Segno evidente di crisi — commenta Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente — di “decrescita infelice”.
Ma anche frutto delle iniziative volte al contenimento della produzione dei rifiuti intraprese da progettisti, produttori, comuni virtuosi, cittadini attenti al valore d’uso delle cose che si comprano e si gettano.
Insomma dalla crisi usciremo diversi da come siamo entrati. Sono passati circa 30 anni da quando si sono varate in Italia le fondamenta giuridiche e industriali del settore rifiuti e già tutto cambia.
Allora si regolamentavano discariche e inceneritori.
Oggi nella “green economy” del riciclaggio operano migliaia di aziende nuove o rinnovate, decine di migliaia di occupati, servizi, imprese sociali e attività di ricerca: in tutto 5mila imprese e 150mila occupati, secondo in Europa solo alla Germania.
Non si parla più solo di settore rifiuti, ma di una parte importante del settore manifatturiero e dei servizi in generale, per l’attivazione del quale il ruolo dei consorzi è stato fondamentale».
Il dossier Comuni Ricicloni 2012 restituisce un’Italia a due velocità .
«La pattuglietta di pionieri dei primi anni della ricerca ora è diventata un pattuglione che tira la volata — osserva Andrea Poggio, vicedirettore di Legambiente — ma un migliaio di comuni è fermo all’anno zero. L’aspetto significativo è che il gruppo intermedio, in fase di transizione verso l’efficienza, in tempi brevi riesce a raggiungere il vertice. Un esempio sono i quartieri di Torino dove è partito il porta a porta e che già sono oltre il 60%, le recenti sperimentazioni di Napoli, il riavvio a Milano dell’organico».
Tra le grandi città , la migliore è Salerno, con il 68% di raccolta differenziata.
Torino – che non entra nella graduatoria dei comuni ricicloni – supera in media il 40% di raccolta grazie al solo risultato della raccolta porta a porta in alcuni quartieri, mentre nel resto della città la percentuale è ferma sotto il 30% circa.
Ferma al 34% anche Milano. Sempre al palo Roma che dopo l’esaurimento della discarica di Malagrotta è scandalosamente in “emergenza pattume”.
( da “Redattore Sociale“)
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Luglio 22nd, 2012 Riccardo Fucile
PER ALCUNI MAGISTRATI LE INCHIESTE DELLA PROCURA DI PALERMO RISCHIANO DI DELIGITTIMARE I POLITICI PROCESSATI PER CONCORSO ESTERNO… MA COSI’ LA CASTA ASSOLVE SE STESSA
Il nostro Paese è teatro di una guerra vera e propria. Non contro la crisi economica. O contro la disoccupazione. O contro l’evasione fiscale. O contro la corruzione.
La vera guerra che si combatte è contro la Procura di Palermo.
Una guerra totale, condotta con tattiche diverse, ma tutte ispirate all’obiettivo di restringerne gli spazi operativi e di circoscrivere il rischio che si scoprano verità sgradevoli.
Bersaglio “privilegiato” di questa guerra è Antonio Ingroia.
Già pupillo di Paolo Borsellino; da sempre costretto a vivere con i militari, i cani lupo e i sacchetti di sabbia intorno a casa sua, a causa di processi delicatissimi in cui è stato o è Pm (Contrada; Dell’Utri; “trattative ” tra Stato e mafia) Ingroia è finito proprio nel punto d’incrocio della raffica di assalti scatenata contro la Procura di Palermo e contro l’antimafia.
Un luogo di intersezione che lo ha esposto moltissimo ad attacchi anche furibondi. Come l’assurda richiesta (in relazione al cosiddetto caso Ciancimino) di tirar fuori per lui l’art. 289 del codice penale — attentato a organi costituzionali — che punisce con 10 anni di galera chi cospira contro lo Stato.
O come nel raggelante episodio di inciviltà che ha riguardato la sua persona in Senato, quando — mentre si citava il gravissimo fatto di un attentato distruttivo ordito contro di lui — una parte dell’aula ha fatto un coretto di irrisione alla pronunzia del suo nome. Episodi squallidi di una guerra che denunzia l’insofferenza per il controllo di legalità realizzato con metodo e rigore.
Con sullo sfondo l’ambizione mai accantonata di una riforma della giustizia che consegni alla maggioranza politica contingente (poco importa di che colore) il potere di aprire o chiudere il rubinetto delle indagini penali e di regolarne l’intensità .
Come in ogni guerra, ogni tanto capita di dover registrare anche del “fuoco amico”.
È il caso dell’intervista che Giuseppe di Lello ha rilasciato il 18 luglio a La Stampa. Di Lello è un valoroso magistrato che dopo essere stato in trincea con Falcone e Borsellino ha scelto di darsi alla politica.
Forse è questa nuova collocazione che lo ha portato (come lui stesso ammette) a manifestare sempre — dopo la tragica stagione del ’92/93 — “una certa insofferenza nei confronti della gestione delle grandi inchieste politiche della Procura di Palermo”. Dimenticando che era stato proprio lui a stigmatizzare come “scaltri” quei magistrati che sono sempre disposti a riconoscere in teoria la pericolosità della mafia nelle sue connessioni con il potere politico ed economico per poi essere pronti — nel momento di passare all’azione — a colpire soltanto l’ala militare.
Ebbene, la Procura di Palermo del “dopo stragi” ha doverosamente rifiutato ogni “scaltrezza”.
Ha invece cercato di oltrepassare il cordone sanitario delle relazioni esterne, indagando anche sulle coperture e complicità che sono il vero perno della potenza mafiosa.
Nel solco di quel “voltare pagina” che aveva tracciato proprio il pool di cui anche Di Lello era stato (con meriti indiscutibili) componente, indicando come non più eludibili indagini sul “retro — terra dei segreti e inquietanti collegamenti che vanno al di là della mera contiguità ”.
È in questo quadro che si sono svolti — tra gli altri — i processi Andreotti e Dell’Utri. Con esiti certamente positivi per l’accusa.
Se è vero (come ammette persino Di Lello) che “il senatore a vita Giulio Andreotti è stato riconosciuto responsabile fino al 1980 dei suoi rapporti con la mafia”. E se è vero —com’è vero — che il senatore Dell’Utri, nella sentenza 9 marzo 2012 n. 15727 della Cassazione, è stato ritenuto responsabile — in base a prove sicure — del reato di concorso esterno con Cosa Nostra per averlo commesso, operando di fatto come mediatore di Silvio Berlusconi, almeno fino al 1978 (per i periodi successivi, fino al 1992, la Cassazione ha disposto un nuovo giudizio avanti alla Corte d’appello di Palermo).
Dunque la Procura di Palermo ha svolto inchieste che hanno portato all’accertamento di pesanti responsabilità — per collusioni con la mafia — di personaggi che sono assolutamente centrali nella storia del nostro Paese: sul versante politico (Andreotti) e su quello dell’imprenditoria che si fa poi politica (Dell’Utri e dintorni).
L’enormità di questi incontestabili dati di fatto dovrebbe sconsigliare ogni processo sommario alla stagione giudiziaria successiva alle stragi del ’92, stagione in cui la Procura di Palermo ha contribuito a salvare il Paese.
Mi riesce davvero difficile, pertanto, condividere la tesi che Di Lello espone nella citata intervista, là dove sostiene che “molte scelte giudiziarie (della Procura di Palermo) si sono risolte in un boomerang”.
Ma singolare è altresì la tesi secondo cui tali scelte giudiziarie “hanno poi rilegittimato i politici processati”.
Singolare perchè in realtà si è trattato e si tratta di una costante scandalosa autoassoluzione da parte della politica (praticamente tutta, trasversalmente) anche a fronte di responsabilità penali accertate fino a sentenza definitiva della Suprema corte. Quindi non “rilegittimazione”, ma vergognoso rifiuto di qualunque forma di responsabilità anche politico- morale.
Rifiuto cui fa da corollario il mantra di certi magistrati che operano inseguendo biechi “teoremi”.
Che è quello che in sostanza si va ingiustamente ripetendo (per svilirla) anche a proposito dell’inchiesta della Procura di Palermo e di Ingroia sulle “trattative”.
Gian Carlo Caselli
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 22nd, 2012 Riccardo Fucile
IN ITALIA SIAMO BRAVISSIMI NELL’EMERGENZA, UN PO’ MENO NELLA GESTIONE SUCCESSIVA
Due mesi fa il terremoto feriva l’Emilia e la Lombardia, sfiorando anche il Veneto.
Le scosse sbriciolavano chiese e torri in piedi da centinaia d’anni, sfigurando città e paesaggi.
La strage dei capannoni ci presentava un conto impressionante di vite perdute e metteva in ginocchio il cuore pulsante dell’Italia produttiva.
La prima cosa che oggi va sottolineata è la dignità con la quale i nostri fratelli emiliani e lombardi stanno affrontando la prova terribile alla quale sono sottoposti. La seconda, che come nessun’altra calamità di analoghe proporzioni questo terremoto è stato velocemente dimenticato.
Con qualche lodevole eccezione, l’attenzione su ciò che sta accadendo nelle zone colpite dal sisma si è affievolita progressivamente. Fino quasi a spegnersi.
Ci sono frammenti importanti di quel dramma che sono stati relegati nella serie B mediatica.
Per esempio, i terribili danni subiti dai Comuni del Mantovano.
La tensione, insomma, si è allentata.
Anche se questo non significa che lo Stato si sia disinteressato del terremoto padano. I Vigili del fuoco e la Protezione civile sono stati formidabili. E mettere sul tavolo due miliardi e mezzo, con l’aria che tira, non è stato proprio uno scherzo.
Ma anche l’encomiabile decisione di pubblicare online tutti i dati sui contributi (e sui beneficiari) è senza precedenti.
E le comunità locali? Ci sono Municipi con organici già al lumicino dove i pochi impiegati lavorano da due mesi diciotto ore al giorno.
Mentre i capoluoghi di provincia si sono tenuti fuori dal cratere per non privare di risorse i piccoli centri più colpiti.
Sapendo che il più difficile viene adesso e i problemi sono gli stessi di ogni terremoto. Le stime dei danni vanno a rilento perchè si usa troppa carta e poca informatica.
Le procedure burocratiche sono spesso complicate. I denari dell’emergenza, che non è esaurita, sono già finiti e quelli per la ricostruzione sicuramente non basteranno.
Per i palazzi storici, poi, siamo in altissimo mare.
E via di questo passo.
Il terremoto dimenticato conferma che nell’emergenza siamo bravissimi.
Peccato che subito dopo saltino fuori tutti i nostri difetti.
Così anche nella gestione della cosa pubblica: prendiamo decisioni in un baleno, ma quando si tratta di applicarle finiamo nel pallone.
Veti incrociati, ricorsi, inerzie della burocrazia… Tutto si ferma. Tutto continua come prima. È un destino del quale ci dobbiamo liberare, se vogliamo risollevarci. Tanto da un sisma squassante, come dalla più grande crisi economica dell’ultimo secolo.
Perciò è importante non dimenticare.
Anche se è più comodo il contrario: diversamente, avrebbero avuto il coraggio di allentare i vincoli edilizi sulle falde del Vesuvio, una delle aree più a rischio del mondo intero, dove vivono centinaia di migliaia di persone?
Proprio adesso?
Sergio Rizzo
(da “Il Corriere della Sera”)
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Luglio 22nd, 2012 Riccardo Fucile
CHE SIA STATO ELETTO PER QUELLO?… L’EX COMMOVENTE DICITORE DEL MANIFESTO DI FLI E’ RIENTRATO NEI RANGHI DEL BERLUSCONISMO
“Cento per cento di assenze a giugno? Sì, sono stato poco questo mese perchè ho dovuto fare giri per la mia fondazione, cose molto interessanti, ho fatto anche delle cose contro la pedofilia“.
Così Luca Barbareschi, ex Pdl, ex Fli e attualmente deputato del Gruppo Misto, commenta alla Zanzara su Radio24 il suo record di assenze alla Camera dei deputati.
I conduttori Giuseppe Cruciani e David Parenzo gli fanno notare che le sue attività cosmopolitiche non sono annoverabili tra le missioni.
E l’attore controbatte: “A giugno ho fatto il mio lavoro in altre maniere, non esistono solo le missioni. Votare lo faccio tutto l’anno, a giugno ho seguito altre cose molto importanti”.
Alla insistente domanda dei giornalisti circa il suo film in Cina, Barbareschi risponde: “In Cina? Ma saranno affari miei. Forse ci sono stato qualche giorno, un sacco di avanti e indietro con l’Italia, ma non solo lì, anche in America, in Spagna…non solo per gli affari miei, anche per il Paese”.
L’esponente del Gruppo Misto parla anche del violento scontro che lo ha visto lo scorso giugno protagonista con due inviati delle Iene, Filippo Roma e Marco Occhipinti, sul set della sua serie tv ‘Mi fido di te’.
“Quelli delle Iene sono degli idioti e dei poveracci, fanno un programma che fa schifo. Fanno audience? Che c’entra, anche i porno lo fanno”.
E dà la sua versione dei fatti: “Sono entrati in bagno mentre facevo la pipì e sono stati cacciati fuori perchè li abbiamo presi a calci nel sedere, lo rifarei anche domattina ma più pesantemente”.
E aggiunge: “Ho menato un po’, è stato molto divertente menare uno delle Iene“.
Ma quando Cruciani cerca di metterlo in contatto telefonico con Filippo Roma, Barbareschi riattacca.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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