Novembre 29th, 2012 Riccardo Fucile
LA DIRIGENTE HA RESPINTO GLI STUDENTI: “SONO FASCISTI, ERAVAMO ASSEDIATI, MI HANNO MALMENATO”… MA I RAGAZZI ERANO DEI CENTRI SOCIALI
«Li ho chiamati fascisti, sì. E violenti. E squadristi. E figli di papà . Cantavo “Bella ciao”, “ho trovato l’invasor”… mentre cercavano di sfondare per occupare la scuola. Da loro sono stata anche malmenata, io che sono una donna e pure vecchia. Ma di qui non mi muovo. Difendo la mia scuola, anche a costo della vita. Sono al servizio dello Stato».
Lei è la preside Maria Concetta Guerrera, la scuola è il Leonardo da Vinci di Milano, quotato liceo scientifico del centro, davanti al Palazzo di Giustizia.
L’invasore sono gli studenti dei collettivi decisi ad occupare, come in molte altre scuole, da Roma in avanti.
Qui si sono presentati lunedì pomeriggio, respinti da dirigente e bidelli e alla fine costretti al dietrofront dalla Digos.
E ci hanno riprovato ieri, prima e dopo assemblee e sit in.
Nelle stesse ore, altri studenti di altri collettivi, dal liceo scientifico Allende all’artistico Brera, hanno preso aule e spazi «contro i tagli», «per la scuola pubblica». Lì però copione classico delle proteste studentesche d’autunno, con supervisione della polizia e presidi in campana ma tolleranti.
Qui il programma Guerrera è diverso.
Lei, i capelli grigi, i pantaloni comodi di lana, le scarpe basse e l’andatura lenta, lei si barrica a scuola.
E se vede facce nuove, come lunedì, chiama la Digos. («Eravamo assediati. Ho subito avvisato anche i genitori»).
È pronta a passarci le notti nel suo liceo la preside Guerrera.
«Nessuno entrerà qui a fare danni, a devastare laboratori che sono preziosi e che poche scuole pubbliche hanno. I ragazzi non hanno motivo di occupare. Hanno chiesto l’assemblea, l’ho autorizzata. Hanno chiesto spazi autogestiti, li ho autorizzati. Nessuna delle loro iniziative è stata negata o compressa. I professori sono tutti disponibili, sono persone dall’alto sentire. E la mia porta è sempre aperta, sono per il dialogo e il confronto. Loro invece…».
Lo ribadisce. «Sono fascisti e violenti». Cita gli Scritti Corsari di Pier Paolo Pasolini, la dirigente del Leonardo, che è professoressa di storia e filosofia: «Descriva la scena di lunedì: da una parte i bidelli e gli agenti a difendere la scuola, dall’altra i ragazzi pronti a sfondare ed entrare con la forza. Chi erano i proletari? Chi si è fatto male alla fine?».
Un bidello del Leonardo si è fatto male, nel tentato blitz di lunedì. Ma non denuncia. Nè lui, nè la preside «malmenata».
Ieri intanto sono arrivate le scuse degli studenti.
Alla porta «sempre aperta» si sono affacciati in quattro, le facce pulite, le felpe ordinate, per dire che «abbiamo sbagliato, nei modi.
E anche nel messaggio, non siamo contro ma con i professori». Scuse accettate.
Però la preside del Leonardo non arretra di un passo.
Spiega le sue ragioni, con tono pacato, disponibile (ma allontana il fotografo, secca). «Le richieste degli studenti? Pretestuose. Per loro è soltanto un gioco. Novembre è il mese delle occupazioni, succede ogni anno, le ragioni se non ci sono poi le trovano. Mai visto un’occupazione al ponte dell’Immacolata però, preferiscono andare a sciare…».
«Figli di papà », anche questo è stato ribadito. «E sono eteroguidati».
C’erano esterni nel gruppo deciso a occupare, ex studenti e ragazzi dei centri sociali, dice la preside. «Vanno fermati. Io finchè resisto non mi muovo. Ma sono sola. In alto loco tutto tace…».
Non una parola dal provveditorato, attacca Guerrera. «Nessun intervento. Sarebbe stato opportuno almeno un coordinamento. Onori e oneri… Io qui l’ho fatto. Lunedì pomeriggio i miei bidelli guarda caso erano tutti presenti».
Ieri sera in uno spazio vicino al liceo l’assemblea del Leonardo con studenti, professori e genitori.
Mentre a scuola c’è un gruppo che riprova a occupare. E con loro c’è la preside. Fino alle nove di sera.
Poi escono tutti insieme.
Federica Cavadini
(da “il Corriere della Sera“)
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Novembre 29th, 2012 Riccardo Fucile
TRA DI LORO EX DI LEGA E FORZA NUOVA
Alba Dorata Italia si presenterà alle elezioni regionali in Lombardia.
È la prima discesa in campo del movimento di estrema destra nato sull’esperienza del partito greco – xenofobo e antisemita – che ha scalato il parlamento piazzando 18 deputati e distinguendosi per un mix esplosivo di pestaggi di immigrati, slogan razzisti e iniziative di populismo solidale (riservate ai greci).
Una deriva dalla quale gli omologhi italiani, ufficialmente, prendono le distanze («la violenza non serve, noi siamo per la concretezza e i diritti sociali», ripete il segretario nazionale Alessandro Gardossi, triestino, un passato tra Lega e Forza Nuova).
Ebbene, dopo avere raccolto adesioni in molte regioni d’Italia, dopo avere aperto sedi in cinque città lombarde (Milano, Lodi, Varese, Brescia, Mantova) adesso Alba Dorata Italia punta diritto alle istituzioni cercando di cannibalizzare Forza Nuova e Destra.
Primo banco di prova, appunto, le regionali di aprile.
«Stiamo raccogliendo le firme e scegliendo i candidati per il Pirellone. Faremo anche noi le nostre piccole primarie», anticipa Gardossi a Repubblica.
Sono tre i “camerati dorati” che si contendono la maglia di candidato governatore. Daniele Granata, il segretario regionale, 41 anni, di Varese, operatore nella comunicazione; il segretario milanese Giorgio Borghesi, 51 anni, titolare di un’agenzia di viaggi; e Antonio De Domenico, 45 anni, di Brescia, autista ed ex sindacalista autonomo.
Vengono da esperienze diverse: non tutti dall’estrema destra, e cioè il bacino «di delusi» da cui sta pescando Alba Dorata. De Domenico, per esempio, ha militato a lungo nella Lega.
Che cosa propongono i “dorati” lombardi, un partito il cui leader ha dichiarato di essere antisionista, di volere una «dittatura dell’intelligenza» e di avere ammirazione per la politica economica di Hitler e lo stato sociale di Mussolini?
Trasformazione della Lombardia in un cantone autonomo («il Kosovo è un precedente nel diritto internazionale») dotato di moneta parallela (sul modello del sardex.net sardo); abolizione delle Province e lotta allo strapotere delle banche e dei sindacati.
E poi, ovviamente, lotta all’immigrazione e alle mafie («ripuliremo la Lombardia da queste metastasi»).
Pronti a misurarvi con le polemiche? «Pronti – dice Andrea Bubba, vice segretario nazionale di Alba Dorata Italia. «Partiremo dalla Lombardia per puntare al parlamento. Come in Grecia».
Paolo Berizzi
(da “la Repubblica“)
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Novembre 29th, 2012 Riccardo Fucile
I PROFITTI DELL’ACCIAIO SUI CONTI OFF SHORE
Dall’alba di lunedì, i militari della Guardia di Finanza lo hanno cercato ovunque.
Ma sapevano già che non l’avrebbero trovato. Nè in casa a Milano. Nè altrove in Italia.
Fabio Riva, uno dei figli del patron, l’uomo che al telefono declassava a “minchiata” «un paio di tumori in più» per i veleni della sua fabbrica, è fuggito a Miami, negli Stati Uniti.
Indeciso — riferiscono in queste ore qualificate fonti investigative — tra una lunga latitanza caraibica in quel di santo Domingo, Repubblica Dominicana, Paese che non riconosce l’estradizione per reati come quelli di cui è accusato (l’associazione per delinquere), e un ritorno “negoziato” in un paese dell’Unione Europea, come vorrebbero i suoi avvocati e come sarà possibile verificare nelle prossime ore.
Lo avevano “perso” due settimane fa, quando all’improvviso aveva lasciato l’Italia diretto in nord Africa. Forse (il sospetto esiste) perchè avvisato da qualcuno dei tanti amici che qualcosa bolliva nella pentola dell’inchiesta della Procura di Taranto.
CONTI IN LUSSEMBURGO E NELLA MANICA
Una lunga latitanza, del resto, qualora fosse questa la scelta, non sembra un problema per Fabio Riva.
Per le importanti disponibilità all’estero della famiglia e perchè — la Finanza ne è convinta — con Emilio e Nicola detenuti, Fabio è il solo che, in questo momento, può manovrare da libero le leve e i conti della holding di famiglia, la “Riva F.I.R.E. spa”, di cui è vicepresidente e su cui, solo negli ultimi quattro anni, sono stati trasferiti, come ha documentato l’Espresso un mese fa, oltre 200 milioni di euro di profitti dell’Ilva.
Le indagini della Finanza hanno individuato nelle ultime settimane nel Lussemburgo e nelle isole del Canale della Manica (Jersey e Guernsey) le due piazze finanziarie off-shore su cui sarebbero depositati buona parte dei capitali trasferiti all’estero dai Riva. E la ricerca, ora, si è fatta in qualche modo ancora più frenetica perchè la speranza è di arrivare a quel denaro, che ieri i Verdi hanno chiesto pubblicamente di aggredire con «provvedimenti di sequestro cautelativo in grado di sostenere i costi della bonifica», prima che ci arrivi l’ultimo dei Riva ancora libero.
Anche se, evidentemente, i tempi delle rogatorie non sono quelli di chi di quei conti è titolare.
I SEGRETI DELL’AIA FIRMATA DA CLINI
Le provviste estere della famiglia Riva sono solo uno dei tanti e cruciali tasselli di un mosaico investigativo che intorno alle responsabilità dei proprietari dello stabilimento Ilva sta cercando di ricostruire nella sua completezza e nel suo doppio livello, locale e nazionale, la rete di complicità e scambi che ha consentito in 17 anni di massimizzare i profitti (2 miliardi e mezzo di euro sono stati gli utili tra il 2008 e il 2011) sulla pelle di una città intera.
Non a caso, proprio ieri, la Finanza ha acquisito a Bari e a Roma una serie di documenti relativi all’Autorizzazione Integrata Ambientale del 4 agosto 2011 (la penultima in ordine di tempo) con cui il ministero dell’Ambiente di un governo Berlusconi ormai agonizzante consentì allo stabilimento di proseguire la sua produzione inquinante.
Un documento con un immediata ricaduta politica, perchè firmato, insieme al ministro Prestigiacomo, dall’allora direttore generale del dicastero e oggi ministro Corrado Clini. E ora svelato dalle intercettazioni telefoniche di un anno intero (il 2010) come null’altro che un abito sartoriale cucito dai Riva sul proprio conto-economico costi-benefici.
LE PRESSIONI SUL MINISTERO
In un’informativa al gip Patrizia Todisco, la Procura di Taranto scrive: «Dalle intercettazioni emerge come anche al livello ministeriale fervevano i contatti non proprio istituzionali per ammorbidire alcuni componenti della Commissione incaricata di istruire l’Aia 2011.
Il fatto che la Commissione debba essere pilotata e che comunque sia stata in qualche modo avvicinata, si rileva anche da una conversazione in cui l’avvocato Perli di Milano, legale esterno dell’Ilva, aggiorna Fabio Riva dei rapporti avuti con l’avvocato Luigi Pelaggi (capo dipartimento del Ministero dell’Ambiente).
Da quanto riferisce Perli, si rileva che Pelaggi abbia dato precise disposizioni all’ingegner Dario Ticali, presidente della Commissione, su come procedere».
A Roma, dunque, il ministero dell’Ambiente è cosa dei Riva. Come del resto, sembra assicurare proprio il loro uomo, l’avvocato Perli: «Pelaggi mi ha riferito che la Commissione ha accettato il 90 per cento delle nostre osservazioni e la visita allo stabilimento riguarda solo il 10 per cento. Non avremo sorprese». Uno scherzo, insomma.
DON MARCO PIÙ 4
Nell’indagine, naturalmente, frullano anche figure del teatro locale.
È di ieri la conferma dell’iscrizione al registro degli indagati d i 5 persone tra cui don Marco Gerardo, il distratto segretario dell’ex Arcivescovo di Taranto che metteva al pizzo i contanti che arrivavano dalla cassa dell’Ilva come “opere di bene” salvo, di fronte ai pm, confondersi con la memoria su date e incontri.
Con lui, iscritti anche il sindaco di Taranto Ippazio Stefano, e un ispettore della Digos che aggiornava Archinà , responsabile delle relazioni esterne dell’Ilva, del calendario interrogatori in Procura.
Carlo Bonini e Giuliano Foschini
(da “La Repubblica”)
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