Gennaio 18th, 2014 Riccardo Fucile
I TRE MOTIVI PER CUI RENZI HA VOLUTO INCONTRARE BERLUSCONI
Il Nazareno non è un luogo carico di storia come erano le Botteghe Oscure o piazza del Gesù, ma è pur sempre la sede nazionale del Pd.
Un luogo simbolico. Matteo Renzi, volutamente sfidando e provocando la “pruderie” dei suoi oppositori interni, ha invitato in casa sua Silvio Berlusconi, da 20 anni l’“uomo nero” della sinistra italiana, da qualche mese appesantito da una condanna definitiva.
L’invito di Renzi, ma anche la semplice decisione di incontrare Berlusconi, dividono il Palazzo, ma soprattutto l’opinione pubblica, come conferma l’appassionato dibattito in corso anche su “Facebook”.
La questione divide, le ragioni del “pro” e del “contro” sono sostenute con argomenti importanti, che non possono lasciare indifferente anche chi coltiva un’opinione opposta.
E lo spettacolo del pomeriggio, quando Berlusconi “profanerà ” la sede del Pd, davanti alle telecamere di tutte le tv, incendierà ancora di più il dibattito.
Renzi ha deciso di incontrare Berlusconi – e di incontrarlo a casa sua – per almeno tre ragioni.
La prima è che i suoi predecessori hanno sempre “sognato” di fare un accordo storico con Berlusconi ma non ci sono mai riusciti: D’Alema con la Bicamerale, Veltroni con la riforma elettorale, Bersani col Quirinale.
La seconda attiene alla vocazione di Renzi di sfidare le ipocrisie: Berlusconi (a dispetto di una condanna definitiva, che in altri Paesi sarebbe infamante e che da noi gli ha garantito una “espulsione” dal Parlamento), resta il leader di Forza Italia perchè quel partito, che rappresenta un quinto degli elettori, si sente rappresentato da lui.
E dunque, se l’interlocutore ufficiale resta Berlusconi, perchè non incontrarlo? E a quel punto, immagina Renzi, un luogo vale l’altro.
Opinabile che sia, questo pensa il leader del Pd.
Molto più difficile decrittare ciò che intimamente pensa Renzi attorno al terzo motivo che lo ha spinto ad incontrarsi con Berlusconi: l’accordo con Forza Italia è immaginato da segretario del Pd come premessa per riformare la legge elettorale o come grimaldello per abbattere il governo e aprirsi la strada ad elezioni anticipate? Renzi ha ragione da vendere quando afferma che riforme “istituzionali” come la elettorale impongono un accordo il più ampio possibile, dunque anche con Forza Italia.
Ma se il modello elettorale Renzi-Berlusconi (che rappresentano il 46% degli elettori) si rivelasse un prendere o lasciare, allora il gioco diventerebbe scoperto.
(da “La Stampa”)
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Gennaio 18th, 2014 Riccardo Fucile
LA MINORANZA PD: “GOVERNO A RISCHIO”… IL SEGRETARIO: “BASTA VETI, L’INTESA CON FORZA ITALIA ANDRA’ BENE ANCHE AD ALFANO”
Si vedranno domani pomeriggio. L’incontro è fissato all’ora del the nella sede nazionale del Partito Democratico.
L’atteso vertice tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi sulla legge elettorale è confermato nonostante abbia scatenato il cataclisma all’interno del Pd e rischi di minare la stabilità della maggioranza di governo.
LA CONFERMA IN TV
L’annuncio lo dà Renzi stesso, ospite alle “Invasioni barbariche” su La7: «Lo vedo domani pomeriggio alle 16 nella sede del partito. Per Forza Italia ci sarà Berlusconi e Letta zio, con me ci sarà Guerini», ha spiegato il segretario.
Renzi è ottimista: «Se si trova un accordo tra Pd e Forza Italia, è probabile che converga anche il Ncd». Ma i tempi sono stretti: «Sono 20 anni che l’Italia fa figuracce – incalza Renzi -, siamo al bivio: o la classe politica romana organizza un grande suicidio di massa oppure le riforme le facciamo davvero».
IL CAVALIERE A CASA DEL PD
In barba a tutte le polemiche – sul risvolto simbolico ma anche e soprattutto politico di un incontro per trattare con il nemico numero uno a sinistra – Renzi tira dritto: bisogna «trattare con Forza Italia per non andare al governo con Forza Italia», dice.
Alfano attacca e dice che l’accordo con Berlusconi porta alla caduta del governo e insiste sul sindaco d’Italia? «Secondo me se c’è un accordo vero tra Pd e Forza Italia anche Alfano ci sta».
È arrivato il momento di cambiare, è il mantra renziano, e io «sto mettendo la faccia su una cosa che non sono riusciti a fare quelli di prima».
Dunque si gioca il tutto per tutto e visto che l’obiettivo è un sistema in cui si fermi «il ricatto dei partitini» («Non faccia il bullo», è la replica che gli arriva da Sc) e chi vince debba rispondere solo ai cittadini, «ecco perchè è importante che Forza Italia decida». Insomma, si tratta con il Cavaliere sperando, dice il sindaco che possa aprire anche alla proposta sul Senato.
ALLEATI SUL PIEDE DI GUERRA
Ma a poche ore dal cruciale incontro tra Renzi e Berlusconi sulla legge elettorale, alzano la voce gli alleati di governo.
Gli alfaniani di Ncd fanno fronte comune con i montiani di Sc e i popolari di PI, per provare a sventare l’intesa tra il segretario Pd e il Cavaliere sul sistema spagnolo.
E mentre scendono in campo i “governativi” del Pd per una mediazione in extremis su uno “spagnolo modificato”, si mettono di traverso anche i bersaniani, che minacciano di far mancare i voti all’accordo col Cav.
La tensione, già alta, nella maggioranza, è salita a livelli di guardia dopo l’incontro di giovedì sera a Palazzo Chigi tra Letta e lo stesso Renzi: nessun passo avanti e volti tesi.
A metà giornata i gruppi parlamentari di Ncd, Sc e PI chiedono a Renzi la «convocazione immediata» di un vertice di maggioranza per evitare «una crisi al buio». È in gioco la vita del governo, è il messaggio degli alleati a Renzi.
PD DIVISO, SI TENTA L’ULTIMA MEDIAZIONE
La tensione sale anche nelle file del Pd.
I “governativi”, come il lettiano Francesco Russo, avvertono il segretario che se fa l’intesa con Forza Italia diventa «inutile» anche mettere mano al contratto di coalizione.
Perciò per tutta la giornata gli sforzi si concentrano sulla legge elettorale (nodo pregiudiziale alla discussione sulla riforma del Senato).
Nella sede del partito il sindaco vede i ministri Dario Franceschini e Graziano Delrio, ma anche, per oltre un’ora, Maurizio Lupi.
Il ministro alfaniano gli ribadisce che per Ncd un’intesa su un modello come lo spagnolo che Denis Verdini sta scrivendo con il politologo Roberto D’Alimonte, è inaccettabile.
Ma intavola anche una discussione che porta a quella «apertura» che fa ben sperare Gaetano Quagliariello. È il tentativo estremo di mediazione, alla vigilia dell’incontro con Berlusconi.
Ci lavorano i governativi del Pd, nel confronto con agli altri partiti della coalizione e con lo stesso D’Alimonte. Si tratterebbe di un sistema “spagnolo modificato”, con l’ipotesi di liste bloccate corte e l’assegnazione dei seggi su base nazionale, una soglia di sbarramento (ipotesi 5%) e un premio di maggioranza.
48 ORE DI TEMPO, LUNEDI’ IL VOTO IN DIREZIONE
Il tentativo – difficile – è quello di far incontrare i desiderata di Alfano con quelli di Berlusconi. E di Renzi, naturalmente.
Agli alleati il sindaco darà una risposta nel secondo giro di “consultazioni” che ha promesso di svolgere dopo il vertice, sempre più determinante, con Berlusconi.
Una decisione deve arrivare entro 48 ore: il Pd la voterà nella direzione convocata per lunedì alle 14.
Ma intanto i bersaniani si fanno forza di interposizione rispetto a un accordo tra il segretario e il Cav. Denunciano il rischio di «resuscitare» Berlusconi e far «finire la maggioranza» già domani.
E dichiarano, con Alfredo D’Attorre, che il sistema spagnolo è «invotabile». Non lo voteranno.
Un nuovo appello a Renzi perchè trovi un accordo nella maggioranza lo rivolge Gianni Cuperlo, anche se i cuperliani spiegano che faranno di tutto per evitare l’intesa con Forza Italia, ma poi seguiranno le decisioni nella maggioranza.
Meglio non metterli alla prova, l’esperienza del 110 franchi tiratori di Prodi insegna….
(da “La Stampa”)
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Gennaio 18th, 2014 Riccardo Fucile
POI SI APRIREBBE UNA TRATTATIVA CHE IMPATTI SUL DOSSIER GIUSTIZIA, QUELLO CHE STA A CUORE AL CAVALIERE PER NEUTRALIZZARE GLI EVENTI GIUDIZIARI CHE LO RIGUARDANO
Lo scambio che Silvio Berlusconi offrirà a Matteo Renzi va ben oltre le tecnicalità elettorali.
La disponibilità a votare l’abolizione del Senato elettivo in cambio del modello spagnolo è solo il primo passo di una manovra più ampia.
Che mira ad arrivare a “un governo di scopo”. Che nelle intenzioni del Cavaliere dovrebbe essere guidato proprio da Renzi: “Se ci accordiamo sullo spagnolo — è il ragionamento di Berlusconi — il governo salta il minuto dopo”.
Ed è a quel punto che si porrà il discorso su un “governo per la legge elettorale”, di scopo appunto.
Che consenta di evitare le urne col proporzionale. E magari di aprire una trattativa con Renzi su una misura che impatti sul dossier giustizia.
Perchè manca un mese alla decisione su servizi sociali e domiciliari. E da palazzo Grazioli trapela “l’ansia” e la preoccupazione dell’ex premier, timoroso di cattive notizie da Milano ma anche dalle altre procure in azione.
È su questo che si sta sviluppando la trama di Berlusconi: un grande scambio con Renzi sulla pelle del governo, nel ruolo di interlocutore privilegiato.
Da Denis Verdini ha ricevuto più di una conferma sul fatto che Renzi “regge”, al netto dell’insurrezione del suo partito.
E Renzi “regge”, così risulta nella war room del Cavaliere, anche nel caso salti il tavolo del governo.
Anzi, aleggia nelle stanze berlusconiane un ragionevole alone di certezza sul fatto che in verità l’obiettivo del sindaco sia proprio quello di mandare a casa questo esecutivo. A costo di andare a votare col proporzionale se non si dovesse siglare un accordo sulla legge elettorale.
Insomma, per la prima volta lo schema di gioco è cambiato davvero.
E il Partito democratico non è più “commissariato” dal Quirinale. Ecco perchè l’ex premier non ha nascosto ai suoi l’ottimismo su un accordo che considera a portata di mano: “Renzi vuole chiudere sullo spagnolo perchè non ha intenzione di farsi lessare da Alfano e Letta”.
La bozza discussa per settimane da Verdini con gli sherpa del sindaco prevede uno spagnolo “modificato”: proporzionale con il turno unico, circoscrizione piccole (con liste bloccate corte), ma con una ripartizione dei seggi su base nazionale, soglia di sbarramento non inferiore al 5 per cento e un premio di maggioranza.
Un’intesa su questo aprirebbe uno scenario win win, per Berlusconi, all’insegna del suo grande ritorno e della metamorfosi in Statista del Condannato: o si vota col proporzionale o si fa un nuovo governo.
Anche il luogo scelto per l’incontro al quale Berlusconi si presenterà col solo Gianni Letta è un segnale che l’aria è cambiata e per Renzi la trattativa è politica. E senza tabù.
Altrimenti non accetterebbe di fargli varcare la soglia di quel Nazareno dove il Cavaliere viene vissuto come Belzebù.
E allora, eccola la strategia immaginata nelle riunioni fiume di Berlusconi con i suoi. Prevede che l’accordo si farà . E che Renzi, parola di Verdini, lo sbatterà sul tavolo della direzione del Pd di lunedì.
Per la serie: “La maggioranza più ampia ce l’abbiamo con lo spagnolo e poco importa se è con Berlusconi. È una maggioranza ampia. Punto”.
È chiaro che, a quel punto, “tutto può succedere” per dirla con l’inner circle.
Ed è proprio su quel che può succedere che si parlerà già nell’incontro col segretario del Pd: “Un pezzo di Pd — ragiona un azzurro di rango — affossa l’intesa nel voto segreto? Allora si apre la crisi di governo, Renzi è stato chiaro. Quindi: o si vota col proporzionale e senza di noi non si fa il governo o si fa un governo di scopo”.
Nel mondo dei sogni del Cavaliere la personalità più adatta a guidarlo sarebbe proprio Renzi, anche se realisticamente viene considerato difficile, e non poco: “Gli esplode il partito”.
Ma, come si dice in questi casi, un mese fa nessuno avrebbe immaginato il grande ritorno di Berlusconi.
Per il Nostro ora è davvero tutto possibile.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 18th, 2014 Riccardo Fucile
SHOW DEDICATO ALL’EURO E SI PAGA IN EURO: “TE LA DO IO L’EUROPA”
Grillo torna a calcare i palcoscenici d’Italia. Ma questa volta non per un comizio, o almeno non ufficialmente.
Gli spettacoli annunciati dal comico ricominceranno già nei prossimi mesi.
Se manca una data precisa per la partenza, di sicuro il ritorno dello show del comico, ora anche leader del Movimento 5 Stelle sarà prima delle elezioni Europee.
Una sfida che lo costringerà a portare avanti in contemporanea campagna elettorale per Bruxelles e esibizioni personali a pagamento.
Lo spettacolo si chiamerà , scrive il settimanale L’Espresso, “Te la do io l’Europa“.
Lo produce l’agenzia milanese Marangoni e sono previste alcune date in tutta Italia. L’ultima tournèe del comico risale al 2011 con lo spettacolo: “Beppe Grillo is back“. Ma il vero bagno di folla è avvenuto negli ultimi anni con la discesa in politica e le piazze piene dallo Tsunami Tour alle elezioni regionali e amministrative in giro per la penisola.
In quei casi si parlava di politica, voti e rivoluzioni.
Il ritorno dello show del comico sarà una scommessa. Dei tanti annunci avvenuti in questi mesi sul nuovo debutto, questo sembra quello destinato a non ricevere smentite.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 18th, 2014 Riccardo Fucile
ENTRATA NEL CIRCOLO XENOFOBO E’ SEMPRE PIU’ LONTANA DALLA DESTRA REPUBBLICANA EUROPEA: LE ALTRE DESTRE ITALIANE PERCHE’ NON PRENDONO LE DISTANZE?
La Lega ha infranto ogni dubbio e dissolto ogni ambiguità .
Non è più quel movimento, osservato con troppa comprensione anche da sinistra, che rappresentava i bisogni del popolo ed esprimeva le pulsioni, confuse ma fattive, della classe produttiva della mitica padania.
È un partito che è entrato a pieno titolo nel circolo del neopopulismo xenofobo di estrema destra.
L’incontro del segretario leghista Matteo Salvini con Marine Le Pen azzera la speranza-illusione che la Lega post-Bossi sia un partito più “istituzionalizzato”.
La virata estremistica del Carroccio, per ora non contestata in alcun modo nemmeno dalle espressioni più moderate del leghismo, in primis il sindaco di Verona Flavio Tosi, non solo radicalizza in maniera vistosa il discorso politico (e gli attacchi razzisti al ministro Cècile Kyengene sono la prova), ma pone un problema “sistemico”.
Come è possibile infatti che un partito che si sta alleando con l’estrema destra di tutta Europa governi il cuore produttivo del nostro paese, Piemonte, Lombardia e Veneto.
Il semplice fatto che un partitino del 3- 4% abbia in mano le chiavi di queste Regioni è un insulto al buon senso prima che a criteri di equa rappresentanza.
Passi per il Veneto dove nel lontano 2010, un’altra era geologica ormai, la Lega aveva strappato la prima posizione con il 35% dei voti; ma il controllo del Piemonte (farlocco in quanto ottenuto grazie al supporto di una lista falsa e fantasma) e della Lombardia, dove un anno fa il Carroccio ha preso metà dei voti del Pd, offende ogni logica.
Questo sfondamento è stato possibile grazie alla sintonia, profonda e di pelle, che si è stabilita negli anni tra Berlusconi e Bossi, tanto da dar vita a quello che Edmondo Berselli definì il «forzaleghismo».
La sintonia tra Lega e Pdl non è mai venuta meno nonostante l’opposizione leghista al governo Letta-Berlusconi.
Ora, alla destra in tutte le sue componenti – Nuovo centrodestra di Alfano, e anche Fratelli d’Italia – spetta prender posizione sull’abbraccio del Carroccio con il Front National francese.
In Francia nessun leader politico di destra, nonostante ricorrenti tentazioni, si sognerebbe mai di incontrare Marine Le Pen e di avviare accordi con lei.
Già nel lontano 1998 il presidente Jacques Chirac, leader del partito gollista, non esitò a espellere tutti quei dirigenti che dopo le elezioni regionali vendettero l’anima al Front National di Le Pen padre pur di salvare la poltrona.
Con quella scelta i gollisti rinunciarono a molte posizioni di potere, però l’onore politico fu salvo.
Questo perchè esiste in Francia una “destra repubblicana” che non transige sui valori fondanti del regime democratico.
In Italia, l’indulgenza per le mille sfumature del “razzismo differenzialista” – quella riformulazione del razzismo che ha abbandonato l’idea di razze superiori e inferiori per sostituirla con il rifiuto del contatto e della convivenza tra etnie e nazionalità diverse – ha attraversato tutto il campo del centro-destra storico.
Si ricorderà quante urla di sdegno tra i suoi alleati sollevò Gianfranco Fini quando nel 2003 propose il voto agli immigrati nelle elezioni locali.
E quanta comprensione per le volgarità bossiane perchè «non aveva studiato a Oxford» ripetevano in coro Berlusconi & Co.
Con le elezioni europee che incombono non è più tempo di indulgenze.
Già il passaggio della Lega, nel novembre scorso, all’eurogruppo dell’Alleanza Europea per la Libertà , insieme all’Fpචaustriaca del fu Jà¶rg Haider, al Vlaams Belang fiammingo e, ovviamente, al Fn della Le Pen, aveva indicato la direzione di marcia. Se ora la Lega sceglie definitivamente di apparentarsi con l’estrema destra europea, tutti i partiti devono trarne le conseguenze ed esprimersi, con parole nette e precise: con i nemici della democrazia, con i cantori del razzismo differenzialista, con gli emuli del principio del capo, il Fà¼hrerprinzip, (una sottile tentazione che attraversa anche terreni democratici di questi tempi) non ci possono essere intese.
I governi delle grandi regioni del Nord in quelle mani sfregiano l’immagine dell’Italia.
Quel che resta del Pdl, da una parte o dall’altra, è chiamato a un gesto di responsabilità e chiarezza.
Isolare gli estremismi in un contesto di tensioni economiche sociali che finora, per fortuna, non sono mai degenerate è una priorità sistemica.
Piero Ignazi
politilogo
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 18th, 2014 Riccardo Fucile
L’AVVOCATO FUSTIGATORE DEI SALOTTI NAUFRAGA TRA MUTANDE, CRAVATTE E DVD
Doveva essere la rivoluzione della provincia, la rivolta delle campagne pulite contro la città corrotta. È finita in “underwear”.
Non è la prima volta che la parabola di un politico cade sulla biancheria intima.
Ma fino ad ora le mutande erano simbolo evocativo di notti bollenti e fughe precipitose, vuoi nella versione più raffinata che ci offre in questi giorni l’Eliseo, vuoi in quella più pecoreccia dell’utilizzatore finale di via del Plebiscito.
La parabola dell’avvocato di Novara Roberto Cota, libero professionista sventatamente prestato alla politica dalla supponenza del centrosinistra piemontese, costituisce invece una sorta di novità : per la prima volta al mondo un politico scivola sulle mutande intese proprio come capo di abbigliamento, senza allusioni, strizzatine d’occhio, rimandi a lettoni e docce saffiche.
E in questo scandalo di provincia, in questo furto di basso profilo ai danni del contribuente sta la cifra del cotismo, se proprio si vuole regalare al governatore in mutande l’onore di un neologismo.
L’ASSALTO AL SALOTTO
All’inizio fu la zarina. Così il centrodestra piemontese (e in confidenza anche un pezzo del centrosinistra) definiva Mercedes Bresso, la professoressa del Politecnico di Torino diventata Presidente del Piemonte.
Accusata di non aver mai abbandonato quell’atteggiamento educativo di chi mette le mutande al mondo (ironia dei nomi) che le era rimasto dai tempi della cattedra e che non la rendeva simpatica quando doveva spiegare le linee della sua politica.
La Lega fece il resto: «Dobbiamo far contare il Piemonte, basta con le scelte imposte dai salotti di Torino», gridava Cota nei comizi della provincia arringando le folle nelle cantine sociali contro Torino ladrona.
L’avvocato di Novara, fedelissimo di Bossi al punto da reggergli il posacenere (in una foto simbolo indimenticata), vinse le elezioni del 2010 a sua insaputa.
Per 9.000 voti, una bazzecola. Soprattutto vinse all’insaputa del centrosinistra che ancora una settimana prima del voto diceva con la Presidente: «Vinco io, è sicuro» e tracciava sul taccuino dei cronisti le percentuali di quel trionfo immaginario.
ARRIVANO I BARBARI
La notte della vittoria i leghisti festeggiarono nel centro di Torino come i Longobardi alla conquista di una città dell’Impero.
«Governeremo nell’interesse dei piemontesi e non delle banche e dei poteri forti», prometteva Cota nelle prime conferenze stampa.
Ma pochi mesi dopo arrivarono le prime grane.
Gli scandali si portarono via il vice del governatore, Roberto Rosso di Forza Italia, mancato sindaco di Torino, noto per vantare pubblicamente una lontana parentela con don Bosco, santo fondatore dei salesiani.
Non aveva molti santi in paradiso nemmeno Caterina Ferrero, titolare dell’assessorato chiave della sanità , caduta per una complessa vicenda giudiziaria che non spiacque all’entourage del governatore.
«La sanità va governata con criteri di efficenza, basta con i politici, è ora che arrivino i manager», aveva promesso Cota nei giorni di quello scandalo.
L’arrivo di Paolo Monferino, manager Fiat, sembrava la chiusura del cerchio. Cota si accreditava al Lingotto e affidava a un tecnico la gestione della patata bollente sanitaria.
FINE DELLE ILLUSIONI
Da metà 2012 gli scandali giudiziari hanno finito per andare a braccetto con i fallimenti politici.
Contro lo scetticismo di una parte del centrosinistra, Mercedes Bresso ha coltivato ricorsi legali contro la lista «Pensionati per Cota », guidata da tal Michele Giovine, uno dei molti soldati di ventura che si offrono ai partiti alla vigilia del voto con liste di supporto più o meno farlocche.
Farlocca, perchè nata con firme false, è certamente quella che ha appoggiato il governatore leghista ottenendo 27 mila voti, tre volte la differenza tra Cota e Bresso. La scoperta dei falsi del quarantunenne Giovine, già consigliere regionale di centrodestra per il gruppo Consumatori, poteva essere l’occasione buona per staccare la spina di una giunta politicamente al capolinea.
Almeno da quando, nel 2013, l’unico esperimento politico del governatore leghista, la scelta di un manager per mettere ordine nella sanità , è miseramente naufragata.
Paolo Monferino ha alzato bandiera bianca per manifesta impossibilità di applicare le sue ricette, a dimostrazione del fatto che è facile criticare i politici quando si sta seduti in un consiglio di amministrazione mentre è molto più difficile mettersi nei loro panni cercando di risolvere i problemi.
FINALE DI PARTITA
L’ultima tegola sul governatore in verde è del 2013 con l’indagine sui rimborsi dei consiglieri regionali.
Indagine certamente bipartisan che ha messo alla berlina un consigliere della lista Bresso accusato di aver acquistato con il denaro del contribuente un tosaerba difficile da definire «materiale per attività politica».
Ma è un fatto che gran parte delle spese bislacche sono del centrodestra e dei leghisti che volevano risanare i salotti corrotti di Torino.
Borse di Borbonese, regali di nozze agli amici, addirittura i giocattoli donati in beneficenza ai bambini malati. Tutto finiva sul conto di Pantalone.
Cota, il moralizzatore, deve giustificare spese indebite per 25.410,66 euro. Nel suo conto c’è di tutto, dalle cravatte, ai dvd, al libro dello statista genovese dell’Ottocento Gerolamo Boccardo.
Ma soprattutto ci sono scontrini per tre cene in tre ristoranti diversi nella stessa sera, ciò che dà l’idea non bella di una pesca a strascico delle ricevute.
E poi ci sono loro, le mutande verdi, acquistate in un negozio di Boston.
Mai la città dei Kennedy, delle avventure in barca di John e degli incontri con Marylin, avrebbe immaginato di poter provocare indirettamente, con un solo paio di mutande, il tramonto di un politico dall’altra parte dell’Atlantico: Robert Cota, Piedmont’s governor, il rivoluzionario travolto da uno scontrino.
Paolo Griseri
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