Aprile 10th, 2014 Riccardo Fucile
MA LA FIGLIA DEL MAGISTRATO SERVE A RENZI PER VENDERE FUMO ANTIMAFIA, LA SOLITA OPERAZIONE DA VENDITORE DI PENTOLE
Era nell’aria da giorni, tra i corridoi di Palazzo d’Orleans e la sede del Pd siciliano in via
Francesco Bentivegna a Palermo.
La miccia, accesa definitivamente nella notte del rimpasto del governo siciliano, ha però impiegato due giorni per esaurirsi: è alle 15 e 18 di un pomeriggio di fuoco la bomba tutta interna ai democratici siciliani è deflagrata in diretta streaming.
A Roma in via del Nazareno dovevano essere approvate le liste del Pd per elezioni europee: una normale direzione nazionale che si è però presto trasformata nella notte dei lunghi coltelli tra democratici siciliani.
Oggetto della contesa i rapporti di forza interni al Pd sull’isola: il guanto di sfida lo ha lanciato Rosario Crocetta, che prendendo la parola si è scagliato pesantemente contro Caterina Chinnici, scelta dal giovane segretario regionale Fausto Raciti come capolista della circoscrizione insulare.
“Caterina Chinnici è figlia di un magistrato ucciso dalla mafia. Ma il tema che io pongo è più politico — ha attaccato il governatore — è stata assessore di Lombardo, un governatore condannato per mafia. Le scelte in politica si pagano. E non si può essere persona per tutte le stagioni. Vedrei molto meglio la Nicolini capolista”.
Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa, era il nome su cui Davide Faraone aveva puntato tutto per guidare i pretendenti democratici a Bruxelles.
Invece alla presentazione delle liste, Nicolini era solo in terza posizione, dietro a Renato Soru e alla Chinnici: come dire che da Roma hanno deciso di risarcire Raciti, dopo lo schiaffo ricevuto da Crocetta appena due giorni fa.
Il governatore infatti ha varato il nuovo governo senza cedere alle richieste dei dirigenti regionali del suo partito, trovando però l’appoggio romano proprio dei renziani capitanati da Faraone.
Raciti, giovane turco cresciuto all’ombra di Massimo D’Alema, scelto da Mirello Crisafulli per guidare il Pd isolano ed eletto alla segretaria con i voti dei renziani, non ci ha pensato due volte a replicare al governatore, in rappresentanza dei suoi demiurghi siculi.
“Apprezzo la solita eleganza del presidente nel riferirsi alle persone — ha reagito scegliendo come di consueto una dialettica moderata — Caterina Chinnici è un’esperta nei confronti dei minori, ha una grande sensibilità . Sono sempre più stupito dal doppiopesismo che si usa anche nei nostri contesti regionali. Chiedo che rimanga nella posizione di capolista. Invito i miei interlocutori a maggiore garbo, e semmai di verificare se nella sua giunta esistano responsabilità più gravi”.
Il riferimento è tutto per Beppe Lumia, main sponsor di Crocetta, ma anche regista dell’accordo che portò il Pd a sostenere il governo di Raffaele Lombardo, dove il ruolo di assessore agli enti locali era ricoperto dalla stessa Chinnici.
E’ proprio sulla candidatura alle europee dell’ex presidente della commissione antimafia che i rapporti tra Crocetta e Raciti avevano iniziato a surriscaldarsi nelle ultime settimane: il governatore lo avrebbe voluto in lizza per Bruxelles, ipotesi bloccata dal segretario, su input dei dirigenti regionali, primi tra tutti l’intramontabile Crisafulli e Antonello Cracolici, un tempo alleato di Lumia nell’operazione Lombardo, e ora suo acerrimo nemico.
Il prezzo pagato da Raciti dopo l’eliminazione di Lumia, è rappresentato proprio nel depennamento forzato del nome di Cracolici dalle liste per le europee: un nome che era stato votato a larga maggioranza dalla direzione siciliana del Pd.
Dopo l’esclusione di Lumia, anche la candidatura di Cracolici è finita nel cestino, costringendo Raciti a candidarsi in prima persona.
Il giovane segretario siciliano però ha provato a salvare il salvabile: e davanti ai dirigenti del suo partito ha sondato il terreno fino all’ultimo.
“Mi è stato chiesto alla fine di questo lavoro di procedere a una modifica della lista, attraverso l’ingresso di nuovi nominativi. Ed è in questa logica che mi sono sacrificato a entrare in lista al posto di un candidato che era stato votato in direzione. Chiedo che il mio nominativo sia sostituito da Cracolici”.
Crocetta ha incassato il colpo sornione, per poi imitare il suo avversario, tornando a chiedere la candidatura di Lumia, sostituito all’ultimo minuto con Nelli Scilabra, assessore alla formazione del suo governo.
“Sono contento per la candidatura di Raciti. Ma se avviene questa sostituzione di Cracolici che non mi sembra così estraneo ai conflitti in Sicilia, chiedo a quel punto di sostituire Nelli Scilabra con Lumia”.
In via del Nazareno, diventata per una quasi un’ora dependance delle beghe sicule, hanno a questo punto deciso di gettare acqua sul fuoco, approvando le liste già definite: Chinnici, Soru, Nicolini, Raciti, Scilabra, più la segretaria di Enna Tiziana Arena, indicata da Crisafulli, il deputato regionale Giovanni Panepinto, e il sindaco di Agrigento Marco Zambuto, da sempre cuffariano dell’Udc, fulminato sulla via della rottamazione nei mesi scorsi.
Crocetta aveva anticipato che nessun assessore del suo governo sarebbe stato candidato alle europee: adesso quindi il futuro di Nelli Scilabra è in bilico.
Sempre che il governatore non si rimangi la parola.
Fuori dalle liste dei democrat rimane il nome di Sonia Alfano, fino all’ultimo sponsorizzato dai renziani ma invisa ai siciliani.
Fuori rimangono soprattutto i due demiurghi della lotta intestina che continua a scuotere il Pd sull’isola: Lumia e Cracolici.
Quest’ultimo ha affidato il suo rabbioso commento ad un tweet: “Ho subito la vendetta trasversale tipicamente mafiosa dal duo Crocetta-Faraone. Non sarò in lista ma continuerò in Regione”.
“Questa lista è frutto di una faticosissima sintesi: direi di chiudere qui la questione” ha abbozzato Faraone. Se è vero che la Sicilia è laboratorio politico nazionale, però, Matteo Renzi farebbe bene a preoccuparsi: da Palermo l’implosione democratica minaccia di salire fino a Roma.
E nella capitale in un certo senso è già arrivata.
Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 10th, 2014 Riccardo Fucile
I SINDACI DI LAMPEDUSA E BARI PRIMA CORTEGGIATI E POI RETROCESSI ALL’ULTIMO MINUTO: “SONO PREVALSE ALTRE LOGICHE”
Le retrocessioni a secondi (e terzi) nelle liste non sono piaciute al sindaci di Lampedusa Giusi Nicolini e di Bari Michele Emiliano. Entrambi hanno infatti deciso, seppur con motivazioni diverse, di rinunciare alla candidatura europea.
Il caso Nicolini
E così dopo le roventi polemiche ieri alla direzione nazionale del Pd sui nomi siciliani per le liste delle europee, il sindaco di Lampedusa, rinuncia alla candidatura.
“Nella direzione nazionale del Pd che discuteva e approvava le liste -afferma Nicolini in un comunicato- sono prevalse altre logiche, che privano di significato la mia candidatura. Per questo, rinuncio a concorrere a fare il parlamentare europeo, perchè l’impegno personale sui temi incarnati da Lampedusa posso continuare a onorarlo da Sindaco, così come ho fatto dal giorno del mio insediamento”.
Il sindaco di Lampedusa all’Adnkronos ha poi raccontato un retroscena sulla sua candidatura: “Davide Faraone è volato fino a qui a Lampedusa per chiedermi di candidarmi, assicurandomi che sarei stata capolista. E ieri scopro, solo per caso da voi giornalisti, che sono terza nella lista della circoscrizione Sicilia-Sardegna. Forse nel Pd non le vogliono le novità , che ci posso fare?…”.
Il caso Emiliano 
Dopo la “retrocessione” al secondo posto nella liste per le europee al sud decisa dal partito il sindaco di Bari ha deciso di passare la mano.
All’Aria che tira su La7 ha spiegato le sue ragioni. “Dopo che per un mese e mezzo – dice – avevo girato mezza Italia dicendo che avrei guidato la lista, alle due di notte ho appreso del cambiamento. Non era nelle mie intenzioni candidarmi, Renzi mi ha chiesto di fare il capolista e io ho obbedito. A questo punto dico che non c’è bisogno che io mi candidi alle Europee”.
E ha aggiunto: “”Renzi è specializzato in elettroshock. Il messaggino mi è arrivato alle due di notte”.
(da “Huffingtonpost“)
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Aprile 10th, 2014 Riccardo Fucile
SONO QUINDICI I POLITICI PIEMONTESI CHE HANNO GIA’ VERSATO ALLA REGIONE PIEMONTE PER I FALSI SCONTRINI …OBIETTIVO E’ AVERE PENE MINORI E POTER SUPERARE LE NORME SULL’INCANDIDABILITA’ DELLA LEGGE SEVERINO
Pur essendo il grande assente dell’udienza preliminare della Rimborsopoli piemontese, il governatore Roberto Cota è riuscito ugualmente, ieri, a recitare la parte del protagonista.
Ha annunciato, infatti, che c’è anche lui tra i consiglieri che hanno restituito il “maltolto” alla Regione per ottenere condizioni più favorevoli nel corso del processo. Ha dovuto sborsare circa 32 mila euro che corrispondono alla somma contestata dalla procura (tra mutante rimborsi per cene al ristorante) più il trenta per cento del danno all’immagine provocato all’ente da lui governato.
“Cota, pur ribadendo la correttezza del proprio comportamento e la propria assoluta innocenza rispetto alle accuse mosse dalla procura di Torino – ha detto il suo avvocato Domenico Aiello – ha deciso di agire in questo modo in un’ottica di trasparenza”.
A sorpresa, alla vigilia della prima udienza, aveva comunicato la sua scelta di farsi giudicare da solo e con il rito immediato.
Il processo per lui si aprirà il 21 ottobre.
Intanto, ieri mattina a Palazzo di giustizia è cominciata l’udienza preliminare davanti al gup, Roberto Ruscello, dell’inchiesta che nell’autunno del 2012 ha travolto l’intera amministrazione regionale e i suoi politici accusati di aver speso denaro pubblico per comprarsi un po’ di tutto dai campanacci per le mucche, al guardaroba firmato, dal frigorifero all’intimo del colore del partito.
Non era presente nessuno dei consiglieri regionali imputati nell’inchiesta sulle spese pazze dei gruppi regionali.
Solo Rosa Anna Costa (Ncd), accanto al suo avvocato Alfredo Caviglione, ha partecipato alla prima parte dell’udienza.
Sorridente e tranquilla non ha voluto rilasciare dichiarazioni sul tema dell’inchiesta ma con ironia ha commentato: “Sono l’unica ma posso rappresentare quasi tutti i colleghi che non sono venuti”.
Sempre ieri nel corso dell’udienza si è appreso che sono una quindicina i politici imputati che fino a oggi hanno restituito il denaro pubblico che secondo i pm, Enrica Gabetta e Giancarlo Avenati Bassi, avrebbero utilizzato per scopi personali: circa 300 mila euro sono già stati versati sul conto della tesoreria della Regione (altrettanti sono in arrivo) contro il milione e mezzo che complessivamente viene contestato.
Risarcire significa ottenere l’attenuante nel processo con l’accusa di peculato ed è la condizione necessaria per ottenere il patteggiamento.
I soldi però resteranno «congelati» fino a che non sarà nominata una nuova giunta (l’attuale è infatti in evidente conflitto d’interessi) che possa rilasciare l’atto formale di quietanza ai consiglieri.
Anche se questa pratica resta formalmente bloccata fino all’esito delle nuove elezioni, procede a passi spediti la «trattativa» degli avvocati che cercano di conquistare per i propri clienti buone condizioni di patteggiamento.
È ancora ufficioso l’elenco dei consiglieri che sarebbero disposti a chiudere il processo in tempi brevi concordando la pena.
Molti sono leghisti ma c’è anche qualche ex Pdl ed esponenti dei monogruppi.
Tra i nomi dati quasi per certi compaiono quelli di Giovanna Quaglia ed Elena Maccanti, insieme ad Antonello Angeleri, Michele Marinello e Gianfranco Novero, del Carrocccio. Marco Botta e Francesco Toselli ex Pdl.
Patteggiare ha i suoi vantaggi, le condanne infatti si dovrebbero aggirare tra l’anno e l’anno e mezzo a seconda dei reati contestati e degli importi degli scontrini evitando così la scure dell’incandidabilità della legge Severino.
In tanti sono anche tentati dal rito abbreviato che garantirebbe, secondo gli avvocati, da un lato di poter continuare a sperare nell’assoluzione, dall’altro, in caso di condanna, di ottenere una pena non molto distante da quelle dei patteggiamenti.
Ma la discussione sui riti alternativi è rinviata alle prossime udienze quando il processo entrerà nel vivo.
Si parte lunedì 14 con l’ammissione o l’esclusione del Codacons come parte civile. E poi si prosegue con un calendario serrato fino all’inizio dell’estate.
(da “La Repubblica”)
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Aprile 10th, 2014 Riccardo Fucile
LA COMMISSIONE EUROPEA CAUTA SULLE COPERTURE… CONFINDUSTRIA E CGIL ASPETTANO DI VEDERE I PROVVEDIMENTI
L’unico davvero entusiasta è Matteo Renzi: “Mi ha colpito l’atteggiamento delle persone che ci
dicono non tornate indietro, non mollate”, dice il premier dal VinItaly di Verona, utile fondale per ricordare agli elettori che il governo sta per dare la “quattordicesima agli italiani”.
Sono i soliti 80 euro che arriveranno in busta paga a maggio a chi guadagna meno di 25mila euro all’anno (detratti i 65 euro che non percepirà più chi ha il coniuge a carico in realtà sono solo 15…n.d.r.)
Gli altri sono, comprensibilmente più scettici: il Def, il Documento di economia e finanza, fissa solo il quadro contabile in cui poi bisogna agire con decreti e leggi.
à‰ il campo da gioco, non la partita. Il commento più atteso è quello della Commissione europea.
Il commissario agli Affari economici e monetari Olli Rehn, che in questi anni ha imparato a farsi detestare dai politici italiani per la sua rigidità su conti pubblici, è fuori gioco: in scandenza alla Commissione, si è candidato al Parlamento europeo con i liberali dell’Alde e quindi è in aspettativa.
Da qui al 25 maggio, quando si voterà , le mansioni di Rehn sono affidate al commissario ai Trasporti Siim Kallas, lo spigoloso ex premier estone che non è certo più tenero di Rehn, ma che non farà polemiche troppo aspre.
Parla il portavoce di Rehn (e oggi di Kallas) Simon O’Connor: bene il deficit che resta sotto controllo al 2,6 per cento del Pil (il tetto è il 3), bene il taglio delle tasse per far ripartire l’economia “soprattutto grazie a tagli di spesa”, bene pure le privatizzazioni.
Però il giudizio è prudente: le misure della spending review saranno considerate nelle previsioni economiche di primavera della Commissione solo se saranno “legislate”, cioè diventeranno provvedimenti concreti.
Secondo punto delicato: la Commissione vuole verificare il rispetto dell’Obiettivo di medio termine (Mto), cioè il pareggio di bilancio strutturale.
La Commissione europea aveva chiesto una riduzione strutturale del debito (il calcolo è complicato) e nei conti pubblici italiani era prevista una riduzione pari a mezzo punto di Pil.
Nel nuovo Def la correzione è zero. Cosa che rischia di innescare una procedura d’infrazione a giugno (perchè non vengono rispettare le indicazioni nella procedura per squilibri macroeconomici eccessivi).
Per questo, da Forza Italia, Renato Brunetta denuncia che “abbiamo sforato i parametri europei”.
La scommessa di Renzi e Padoan è che le misure del governo facciano ripartire l’economia abbastanza da far aumentare il Pil così che migliori il rapporto col deficit, e quindi l’aggiustamento si faccia con la crescita e invece che con tagli e tasse.
Chissà se andrà così: le tabelle in coda al Def dicono che nel 2014 il bonus in busta paga farà crescere il Pil dello 0,1, ma i tagli necessari a trovare le risorse lo faranno scendere dello 0,1. Risultato netto: zero, nel 2015 il saldo sarà +0,1. Poca roba.
Nel Pd protesta Stefano Fassina, della minoranza, che voleva più spesa in deficit, Gianni Cuperlo dice che “la direzione è giusta ma serve crescita” .
Il resto del partito subito li zittisce.
La Confindustria di Giorgio Squinzi per una volta non è distruttiva, ma solo un po’ scettica: “Salutare accelerazione riformatrice”, ma aspetta di vedere risultati concreti.
La Cgil di Susanna Camusso parla di “scelte condivisibili” ma chiedere di fare attenzione “alla spending review”.
A Renzi, come ormai è evidente, dei pareri di industriali e sindacati importa meno di zero.
Opinioni più pesanti sono quelle dei vicini europei, come la Germania, ma sono tutti troppo presi dalle questioni interne o dall’avvicinarsi delle europee per fare un processo preventivo alla politica economica di Renzi.
Il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble, per esempio, dice: “’Non ce la faccio più a sentire il dibattito tra le politiche di austerità e quelle di crescita”.
Il Def, però, è solo il primo passo: la prossima settimana il documento andrà in Parlamento e il governo lavorerà al decreto per mettere davvero gli 80 euro in busta paga.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 10th, 2014 Riccardo Fucile
LA DIRIGENTE DELL’UEPE, SEVERINA PANARELLO, HA PREDISPOSTO PER L’EX PREMIER UN “PROGETTO DI GIUSTIZIA RIPARATIVA”… NEI PROSSIMI MESI SARANNO DIVERSE LE VISITE AGLI ASSISTENTI SOCIALI
Una ragazza mora in jeans stretti aspetta il suo turno con in braccio la sua bambina che piange. Passa un assistente sociale con i capelli ricci che tenta invano di acquietarla.
Ci riesce un’altra assistente, che porta alla bimba un libretto colorato di Peppa Pig.
Sulle brutte seggioline da sala d’aspetto d’ufficio postale altre tre persone attendono. Un signore di mezza età con la camicia bianca, un giovane dalla carnagione scura, un uomo dai capelli lunghi e brizzolati.
Sono tutti affidati in prova ai servizi sociali, cioè devono scontare una pena, ma fuori dal carcere.
Sono tutti in attesa del colloquio periodico con l’assistente sociale.
Da oggi, Berlusconi Silvio è uno di loro.
Se il Tribunale di sorveglianza scarterà , com’è probabile, la soluzione di porlo agli arresti domiciliari, l’ex presidente del Consiglio diventerà un “affidato in prova ai servizi sociali” e dovrà imparare la strada per arrivare qui, in questo ufficio milanese.
È al numero 1 di piazza Venino, a un passo dal carcere di San Vittore.
Qui la sede l’Uepe di Milano, l’Ufficio esecuzione penale esterna, che gestisce tutti coloro i quali scontano una pena fuori dal carcere.
Qui il condannato Berlusconi Silvio dovrà venire per i colloqui periodici con gli assistenti sociali, i criminologi, gli psicologi che veglieranno su di lui nei prossimi nove mesi.
A occuparsene personalmente sarà la dottoressa Severina Panarello, che dirige l’Uepe di Milano dopo aver diretto quello di Brescia.
Berlusconi Silvio dovrà salire a piedi le scale che portano al primo piano ed entrare nella sala d’aspetto, dove un agente della polizia penitenziaria (senza divisa) accoglie gli utenti dietro un piccolo banco da reception. “Lei è un affidato?”.
Sulle seggioline, tutti aspettano il loro turno in silenzio. Il lungo corridoio sghembo sembra quello di una scuola, con le porte che danno non sulle classi, ma sugli uffici degli assistenti sociali e degli altri operatori dell’Uepe.
In questi uffici è stato scritto il rapporto sul condannato Berlusconi Silvio che oggi sarà esaminato dal Tribunale di sorveglianza.
Non la consueta “indagine socio-familiare” in cui sono descritte le caratteristiche della persona condannata, della sua famiglia, dei luoghi dove vive e dove lavora.
L’Uepe di Milano, struttura del Dipartimento amministrazione penitenziaria (quindi del ministero della Giustizia) è talmente oberato di lavoro che ha raggiunto un accordo con il Tribunale di Milano: niente “indagine socio-familiare” per condannati a una pena che non sia superiore a un anno.
E Berlusconi Silvio ha avuto sì quattro anni, ma tre coperti da indulto, con pena effettiva, dunque, di 12 mesi, che diventeranno nove con gli sconti concessi dal nostro ordinamento. Invece Severina Panarello e il suo staff hanno redatto, su precisa richiesta del Tribunale di sorveglianza, quello che qui chiamano “progetto di giustizia riparativa”: un’ipotesi di percorso di “riparazione sociale”, attraverso l’impegno come volontario presso una struttura che assiste anziani disabili, una di quelle convenzionate con l’Uepe.
Così a Berlusconi Silvio sarà proposto di andare, una volta alla settimana, a dare una mano in un centro non troppo distante dalla sua villa di Arcore.
Ma sarà il Tribunale di sorveglianza a decidere, oggi o entro i prossimi cinque giorni, se rendere operativa la proposta dell’Uepe e chiedere all’affidato Berlusconi Silvio di prestare la sua opera nella struttura prescelta.
Di certo, dovrà presentarsi periodicamente negli uffici di piazza Venino.
Sarà uno dei 4.133 utenti del servizio guidato da Severina Panarello. Di questi, poco più della metà (erano esattamente 2.190 nel 2013) sono più o meno nelle stesse condizioni dell’ex presidente del Consiglio, cioè persone che scontano la loro pena con misure alternative al carcere.
Gli altri, sono affidati ai servizi sociali senza essere condannati definitivi (un migliaio di questi riparano per aver guidato in stato di ebbrezza).
Gli operatori dell’Uepe di Milano sono fieri del loro lavoro: esibiscono le cifre sulla recidiva, secondo cui torna a commettere reati il 68 per cento di chi è stato in carcere e solo il 19 per cento di chi ha scontato pene alternative.
In questa statistica per il 2014 entrerà anche il condannato Berlusconi Silvio.
Gianni Barbacetto
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Aprile 10th, 2014 Riccardo Fucile
OGGI LA DECISIONE SU SERVIZI SOCIALI O ARRESTI DOMICILIARI: “SE SARANNO CONCILIANTI NON PARLERO’ PIU’ DEI PM”
“Tenetevi pronti, perchè se va come temo, scateniamo la fine del mondo”. 
La voce di Silvio Berlusconi sembra provenire dal regno dell’Ade alle orecchie di dirigenti e parlamentari che chiamano Arcore per infondere coraggio.
Il loro leader non fa nulla per smorzare la tensione, nella più angosciosa delle vigilie che precede l’udienza di oggi pomeriggio del Tribunale di sorveglianza.
Nonostante le indiscrezioni filtrate alla vigilia, la storia dell’affidamento ai servizi sociali in un istituto per anziani e disabili del milanese – dove verrebbe impegnato mezza giornata a settimana – tutto lascia presagire nell’enclave di Villa San Martino che il finale non sarà così roseo.
“Io sono sempre Berlusconi e loro i giudici di Milano, vedrete – è lo sfogo ancora di queste ore – comunque faranno di tutto per mettermi fuori gioco”.
L’ex Cavaliere, raccontano, si muove ancora con difficoltà aiutandosi con la stampella, il nervosismo è a fior di pelle.
A casa è un via vai dei figli Piersilvio e Marina, in un crescendo di preoccupazione per lo stato d’animo del padre. “Anche perchè se c’è una cosa che lo deprime, è proprio la vista e il contatto con persone in difficoltà e quel genere di soluzione lo butterebbe giù” racconta chi gli sta vicino da parecchio tempo.
Attorno a lui, solo la compagna Francesca Pascale e Maria Rosaria Rossi, con l’avvocato Niccolò Ghedini.
Il legale predica prudenza e silenzio stampa assoluto in attesa del responso.
Cautela anche per i giorni successivi alla sentenza: la campagna elettorale non potrà ruotare attorno alla “persecuzione giudiziaria” e agli attacchi alla magistratura, gli è stato detto.
“Perchè le misure che saranno decise nelle prossime ore potranno essere revocate in qualsiasi momento” è l’avvertimento del legale, che gli ha sconsigliato anche di presenziare oggi pomeriggio all’udienza.
Suggerimenti, consigli che cadono presto nel vuoto se l’assistito è Berlusconi.
Basti pensare che nella lunga nota comunque diramata in mattinata da Arcore per mettere all’angolo Forza Campania di Nicola Cosentino, ecco la zampata contro la magistratura “braccio giudiziario della sinistra che vuole impedirmi di fare campagna elettorale”.
Non proprio una considerazione leggera se messa per iscritto dal condannato che dovrebbe manifestare “ravvedimento” per ottenere i servizi sociali.
Che non sia ancora sicura la destinazione è confermato dalla circostanza che funzionari del palazzo di giustizia di Milano ancora questa settimana avrebbero bussato al centro di ascolto dell’Associazione italiana vittime di malagiustizia, già sondato dallo staff di Berlusconi.
Lui resta convinto che lo vogliano vincolare ai domiciliari. “Silenziarlo in campagna elettorale sarebbe l’ennesima ingiustizia ad personam” mette le mani avanti il capolista nel Nordovest Giovanni Toti.
Non è chiaro su quali basi, ma i forzisti alla Camera ieri si dicevano invece certi che il pronunciamento arriverà tra domani e lunedì. “Qualunque sarà la decisione, un giorno triste per la democrazia” dice Maria Stella Gelmini.
Poco o nulla contribuiscono a risollevare gli animi ad Arcore la notizia che l’avvocato ed ex ministro spagnolo Ana Palacio, con le deputate Deborah Bergamini e Elena Centemero (ieri in Francia per l’iniziativa), lavoreranno a un ricorso d’appello alla Corte di Strasburgo, dopo il no alla candidabilità già pronunciato due giorni fa.
Di Europa, intesa come competizione elettorale, il leader forzista vorrebbe occuparsene dopo la sentenza del Tribunale.
Ma le scadenze incombono, le liste vanno presentate entro martedì 15: nel fine settimana, per metterle a punto, con Toti raggiungerà Arcore anche Denis Verdini (dopo che ieri il Senato ha dato via libera alla richiesta dei magistrati di usare le intercettazioni che lo chiamano in causa in diversi procedimenti).
La campagna mediatica è stata già pianificata: niente attacchi al governo sulle riforme, ma sull’economia sì.
Nelle slide diffuse dal responsabile Antonio Palmieri, gli slogan sono sulla soglia dell’antieuropeismo alla Le Pen: oltre a “Più Italia, meno Germania”, campeggia un “Basta con l’Euro moneta straniera”.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Aprile 10th, 2014 Riccardo Fucile
RENZI CHIEDE I REQUISITI DI ONORABILITA’ PER LE NOMINE, MA HA SCELTO 5 MINISTRI INDAGATI
Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha scritto una lettera a Eni, Enel e Finmeccanica perchè convochino un’assemblea straordinaria che “introduca nello statuto sociale un’apposita clausola in materia di requisiti di onorabilità e connesse cause di ineleggibilità e decadenza dei componenti il Consiglio di amministrazione”. Così il governo Renzi s’è sbarazzato di un po’ di manager inquisiti o condannati, a partire dal’Ad dell’Eni Paolo Scaroni, liberando poltrone in vista della grande abbuffata di nomine nelle aziende pubbliche.
Scaroni s’è detto “sorpreso”: “Siamo quotati, competiamo nel mondo, perchè dobbiamo avere norme che altri non hanno? Quella norma non esiste in nessuna società al mondo”.
Può darsi, ma per un motivo banale: negli altri paesi non c’è bisogno di norme scritte per indurre un inquisito o — a maggior ragione — un condannato a mollare la poltrona, specie se è un politico o un dirigente stipendiato dai contribuenti.
Bastano gli standard etici comunemente accettati a indurlo a sloggiare ipso facto.
In Italia non se ne va mai nessuno, nemmeno dopo che i carabinieri gli hanno messo le manette, dunque sì, da noi ci vuole una norma.
Ma qui sorge una questione che interpella direttamente il premier Renzi: il suo governo ha le carte in regola per imporla alle aziende pubbliche?
La risposta, purtroppo, è no.
Il ministro delle Infrastrutture, Lupi, è indagato per abuso d’ufficio, e il sottosegretario all’Interno, Bubbico, è imputato per lo stesso reato.
Il sottosegretario ai Trasporti, Del Basso de Caro, è indagato per peculato, così come quello al Turismo, Barracciu, e quello alla Salute, De Filippo.
Tutti e cinque erano già nei guai con la giustizia prima di entrare nel governo, eppure furono nominati lo stesso.
Si attende dunque di sapere da Renzi quali sarebbero i “requisiti di onorabilità ” e le “connesse cause di decadenza” dei membri del governo.
Siccome non si dimettono quando sono indagati, e neppure quando sono rinviati a giudizio, che ci vuole?
La condanna di primo grado, o di appello, o di Cassazione, o non basta neppure quella?
Ieri s’è dimessa la ministra della Cultura del governo britannico, Maria Miller.
Non è neppure indagata, ma l’autorità di controllo sulla Pubblica amministrazione l’accusa di aver sottratto alla collettività la bellezza di 5.800 sterline (7 mila euro), infilando nelle sue note spese un pezzettino di mutuo della seconda casa a Wimbledon (che peraltro dal 2005, quando fu eletta, le serve per lavorare a Londra, essendo una “fuori sede” in trasferta).
La ministra ha restituito la somma e s’è scusata in Parlamento, ma “non abbastanza” secondo i giornali e il Labour, il partito di opposizione, che le ha chiesto spiegazioni più convincenti.
Il suo partito, quello conservatore, l’ha scaricata. E lei se n’è andata con una lettera al premier Cameron in cui spiega che si assume “la piena responsabilità delle mie azioni” e che “la situazione era diventata una distrazione per il lavoro vitale che il governo sta svolgendo per cambiare il Paese”.
Il suo collega dell’Educazione, Michael Gove, ha commentato che le sue dimissioni, subito accolte dal primo ministro, “devono servire da avvertimento per l’intera classe politica”.
Se ora, com’è già accaduto a diversi ministri e parlamentari inglesi negli ultimi anni, anche la Miller sarà inquisita e processata, le sue vicende giudiziarie non avranno la benchè minima influenza sul governo di Londra e sulla vita politica britannica. Perchè, a essere processata, sarà una “ex”.
Al contrario, le indagini e gli eventuali processi sui casi Lupi, Bubbico, Del Basso de Caro, Barracciu e De Filippo avranno serie ripercussioni (“distrazioni”, direbbe la Miller) sul governo Renzi, proprio perchè gli inquisiti restano al loro posto: in nome della “presunzione di innocenza”, dice la ministra Boschi.
Si spera che gli occhiali da lei sfoggiati nelle ultime comparsate televisive siano da vista, e non di bellezza: così potrà leggere le ultime cronache da Londra e, si spera, anche capirle.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 10th, 2014 Riccardo Fucile
STRAPAGATI GLI ADDETTI ALLA SICUREZZA CHE ALLO STIPENDIO BASE SOMMANO ALTRI INGENTI BONUS… IL NUMERO DEGLI AGENTI DISTACCATI NON DIPENDE DA NAPOLITANO MA E’ FISSATO DA UN DECRETO MINISTERIALE
La Polizia stradale rischia di rimanere a piedi, ma il presidente della Repubblica può senz’altro
sentirsi al sicuro.
A fronte dei paventati tagli al comparto, infatti, che tanta maretta stanno generando tra gli operatori delle forze dell’ordine, esiste un servizio che non conosce crisi. Quattordici milioni e 300 mila euro di stanziamento nel bilancio di previsione 2014; 793 unità , tra poliziotti, carabinieri e corazzieri, il cui stipendio “grava in misura largamente prevalente sulle amministrazioni di appartenenza”, quindi costa allo Stato almeno altri 30 milioni di euro l’anno, considerando una retribuzione media di 40 mila euro lordi.
E i 14 milioni a che servono? A pagare al personale le indennità supplementari, come vedremo.
Le cifre sono facilmente verificabili : come ogni anno, all’inizio di febbraio, sul sito del Quirinale è apparsa la nota illustrativa del bilancio di previsione 2014.
Il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha sempre voluto evidenziare i risparmi operati sotto la sua gestione, e la nota non ne fa mistero: i 228 milioni di euro a carico dello Stato “sono pari a quelli del 2008, con una riduzione in valore reale di circa il 12 per cento, tenendo conto dell’inflazione”.
Cifra che viene confermata anche per i prossimi due anni, “grazie a ulteriori misure di riduzione della spesa adottate nel corso del 2013”.
Sicuramente un segnale positivo. Eppure, quando poi si passa al comparto sicurezza, le cifre relative ai tagli appaiono ben poca cosa: “La consistenza del personale distaccato per esigenze di sicurezza — si legge ancora — si è ridotta nel corso del 2013 di 26 unità , passando da 819 a 793”, corazzieri compresi. Il numero è stabilito da un decreto interministeriale e non dalla Presidenza, fa sapere il Colle.
Ma che servono tutti questi uomini? La risposta viene dal passato.
“È istituito presso la Real Casa un Regio commissariato di pubblica sicurezza per la tutela dell’augusta persona di sua maestà il re e della reale famiglia nell’interno delle reali residenze e fuori di esse… eccezion fatta per quella parte del palazzo ove il servizio è disimpegnato dai carabinieri Guardia del re”: così recitava il regio decreto del 6 novembre 1900 che istituiva quello che sarebbe diventato l’Ufficio presidenziale della Polizia di Stato.
Un ex direttore dell’Ispettorato, Vito Rizzi, ha spiegato così qualche anno fa le ripartizioni dei compiti: “Inizialmente il servizio di vigilanza all’interno della residenza era svolto in parte dagli uomini del commissariato e in parte dai carabinieri Guardia del re. Oggi invece tutti i compiti di rappresentanza e di sicurezza all’interno del Quirinale sono completamente assicurati dai corazzieri, mentre i servizi esterni di protezione e di scorta del presidente, nonchè di vigilanza e di presidio di tutti i siti presidenziali, sono svolti dal personale del nostro ufficio insieme ai militari del Reparto Carabinieri Presidenza della Repubblica”.
Naturalmente se Napolitano si reca in visita in qualche città , a loro si aggiunge il personale del posto.
Coloro che lavorano per il presidente hanno diritto a un’indennità , che appunto grava sulle casse del Colle (i famosi 14 milioni di euro) e che varia dai 400 euro per gli agenti agli oltre 1600 per i dirigenti.
L’indennità si somma allo stipendio e alle ore di straordinario, che spesso sono oltre 50 in un mese. Un posto di lavoro decisamente ambito.
“Consideriamo che le squadre mobili non hanno indennità e che la stessa Direzione investigativa antimafia ne ha una di soli 200 euro al mese per gli agenti”, sottolinea Gianni Ciotti, segretario nazionale del Sed, sindacato nato da pochissimo dopo una travagliata scissione nel Silp Cgil. “
Noi siamo assolutamente d’accordo con Renzi sulla necessità di tagliare, ma se si vanno a toccare le sezioni della Polstrada si fa un danno ai cittadini, è come lasciare scoperti 200 km di autostrada. Bisogna invece intervenire sui palazzi istituzionali, che hanno un numero esorbitante di personale, spesso sovrapagato. Per dare un messaggio agli italiani, cominciamo dal Colle”.
Silvia D’Onghia
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 10th, 2014 Riccardo Fucile
L’EUROPARLAMENTARE GUIDA I 22 SENATORI PD DISSIDENTI
«Non cerco visibilità e non ho fondato correnti. Anzi, sono l’unico chitiano d’italia. Ma il Pd non può essere un partito plebiscitario».
Vannino Chiti al telefono è un fiume in piena; è a Strasburgo per l’assemblea del Consiglio d’Europa mentre al Senato sulla sua riforma del bicameralismo si coagula un fronte anti-Renzi che va dai 5Stelle a Forza Italia, passando per un fetta della minoranza pd.
«Io non sono anti-renziano – ci tiene a precisare – Nel 2009, quando Matteo era presidente della Provincia, mi propose di candidarmi sindaco di Firenze con il suo sostegno. Rifiutai perchè ritenevo giusto un ricambio generazionale. E si candidò lui».
Però lui ora l’attacca. Parla di senatori del Pd in cerca di visibilità e di proposte che non hanno nessuna possibilità di essere approvate.
«Non cerco nessuna visibilità , voglio solo una buona legge. Renzi dice che il mio testo non passerebbe? Stando alle dichiarazioni senza il ddl e il diktat del governo la nostra proposta potrebbe avere il sì non solo della maggioranza, ma anche di Forza Italia e M5S. Non mi sembrerebbe un esito politico disprezzabile».
Il Pd però ha dato via libera al testo del governo. Se lei ne mantiene uno alternativo che fine fa la disciplina di partito?
«Qui si modifica la Costituzione. C’è un dovere di responsabilità , autonomia e coerenza con la propria coscienza oppure no? Altrimenti non saremmo il partito democratico, nè un partito personale: saremmo un partito plebiscitario e autoritario. Altro che sinistra europea. Ma non è neppure pensabile che sia così».
Ma perchè insistere sull’elezione dei senatori quando neanche tutta la minoranza del suo partito è d’accordo?
«Se la Camera da sola dà la fiducia al governo e ha l’ultima parola sulle leggi, il Senato deve essere una istituzione di garanzia, mantenere un ruolo paritario su Costituzione, ordinamenti Ue e leggi elettorali. Quindi non può essere un’assemblea casuale, senza pluralismo politico (col testo Boschi oggi Fi sarebbe irrilevante, M5S e Sel di fatto assenti) e senza presenza femminile. La cosiddetta minoranza (ma votano sempre tutti a favore tranne Fassina) vorrei mi spiegasse come sta insieme una legge iper maggioritaria alla Camera, senza neanche le preferenze, e un Senato di nominati. La Costituzione non si può stiracchiare. Altrimenti si producono scempi»
Non teme di essere usato da 5Stelle e Fi per dividere i democratici? E come voterà se non saranno accolte le sue tesi?
«Non mi faccio strumentalizzare dai grillini, come Renzi non si fa strumentalizzare nè strumentalizza Verdini. Guardo ai contenuti, non invento trappole per il governo nè ostacoli per le riforme. Come voterò? È prematuro dirlo. Illustreremo in commissione il nostro ddl, poi il relatore presenterà un testo base e su quello proporremo eventuali emendamenti. Auspico solo che tutti, governo, gruppi, singoli, si ricordino quale fu l’atteggiamento di chi ci ha consegnato la Carta costituzionale. Il governo di unità nazionale venne meno ma la Costituzione fu approvata quasi all’unanimità ».
Lavinia Rivara
argomento: Partito Democratico, PD | Commenta »