Giugno 26th, 2014 Riccardo Fucile
LA NORMA CHE AVREBBE DOVUTO RIVOLUZIONARE LA GESTIONE DEGLI APPALTI SI E’ TRASFORMATA IN UNA NORMA SALVA-EXPO
A più di dieci giorni dagli annunci del premier Renzi i nuovi poteri di Cantone e dell’Autorità anticorruzione sono infine diventati legge.
Da oggi l’ex pm anticamorra, arrivato a Milano, eredita i poteri della defunta Autorità di vigilanza per i contratti pubblici e può occuparsi di Expo forte di maggiori strumenti e risorse.
Ma diversamente da quanto annunciato, il presidente dell’Anticorruzione non potrà proporre il commissariamento delle imprese indagate per fatti di corruzione se non in casi di “particolare gravità ”.
Dopo lunghi giorni di riscrittura e revisione, la norma che avrebbe dovuto rivoluzionare la gestione degli appalti taroccati o sospetti si è infatti trasformata in una norma salva-Expo.
Il Presidente dell’Anticorruzione non potrà più proporre al Prefetto il commissariamento delle imprese coinvolte “in vicende oscure” come annunciato da Renzi in conferenza stampa.
Come prima scelta Cantone dovrà chiedere la sostituzione dei soggetti coinvolti nelle indagini (o indiziati) e solo “nei casi più gravi” potrà proporre la gestione controllata dell’impresa, con il conseguente congelamento degli utili derivanti dal lavoro.
In ogni caso la decisione finale sarà del Prefetto, che valuterà ai fini del comissariamento la “particolare gravità dei fatti”.
Il nuovo spirito della norma è rivelato da un altro punto del decreto che allarga la possibilità di adottare la stessa procedura anche nei casi di sospetti di mafia, quando “sussiste l’urgente necessità di assicurare il completamento dell’esecuzione del contratto”. Ovvero quando si ha fretta di chiudere i lavori.
Urgenza e garantismo sono dunque le stelle polari della versione definitiva della legge.
Un’apertura garantista che rischia di tradire lo spirito originale della norma nata, secondo le dichiarazioni dello stesso Cantone, per impedire a imprese e persone inquisite di beneficiare di lavori conquistati illegittimamente.
Quel che accade con la nuova legge invece, che prevede la semplice sostituzione dell’amministratore o di più amministratori sospettati o indagati, è che l’impresa resterà al suo posto e sarà libera di incassare i profitti dell’appalto sospetto.
Il decreto-legge presenta anche altri aspetti critici.
Il primo è il linguaggio scivoloso, che lascia molta discrezionalità a chi decide gli interventi e rischia di offrire il fianco a ricorsi e contestazioni.
La norma parla di “fatti gravi e accertati” e di “particolare gravità dei fatti”, ma non vi è alcun riferimento a situazioni oggettive, come l’iscrizione nel registro degli indagati. Starà dunque a Cantone prima, ma soprattutto al Prefetto competente poi, stabilire quando un fatto è “grave” e se lo è particolarmente.
Andando in contro, eventualmente, ad un ricorso al Tar.
Per di più la norma affida la decisione sull’eventuale commissariamento alla Prefettura, un organo di natura politica.
Gli interventi non saranno infatti stabiliti dall’Autorità anticorruzione, che è un organo indipendente, ma dalle istituzioni che per definizione costituiscono le articolazioni del Governo sul territorio.
Prefetture che negli anni hanno dimostrato, ad esempio nei casi di scioglimento dei comuni per mafia, di agire con estrema cautela quando non con reticenza, quasi sempre aspettando che sia la magistratura a fare il primo passo.
“Il quadro normativo non sarà realmente chiaro finchè non ci saranno le prime sentenze che lo interpretano” avverte Alberto Vannucci, professore dell’Università di Pisa, tra i massimi esperti italiani in tema di corruzione.
“Il decreto presenta degli aspetti positivi, per esempio quando incrementa i poteri dell’Autorità anticorruzione, che fino ad oggi è stata un guscio vuoto. Ma molto è lasciato dalla capacità di chi lavorerà nel nuovo ente”.
E molto resta ancora da decifrare.
Nel decreto, ad esempio, nel passaggio che riguarda i commissariamenti delle imprese non c’è alcun riferimento esplicito ad Expo, ma la norma viene comunque intitolata come “misura straordinaria”.
Straordinaria, ovvero fuori dall’ordinario. O, se si vuole, soluzione tampone da utilizzare solo in casi estremi o di attenzione pubblica particolarmente alta. Resta da chiarire se e dove sarà utilizzata al di fuori dei grandi appalti dell’esposizione internazionale. Per esempio, servirà anche per il Mose?
C’è di più. Perchè, come abbiamo anticipato, le nuove regole per la sostituzione degli amministratori o la “gestione controllata” delle imprese vengono estese anche ai casi in cui la Prefettura ha notizia dei possibili collegamenti tra l’impresa e la mafia.
Con il nuovo decreto-legge, anche a fronte di un’informazione antimafia interdittiva si può prevedere un cambio degli amministratori o, nei casi più gravi, il commissariamento della parte dell’impresa coinvolta, senza revocarle l’appalto. Quando lo si potrà fare? Ogni volta che ci sarà fretta di chiudere i lavori.
La stessa cosa potrà avvenire per garantire “la salvaguardia dei livelli occupazionali e dell’integrità dei bilanci pubblici”.
In questi casi il Prefetto non dovrà neppure consultarsi con l’Autorità anticorruzione, ma potrà agire di propria iniziativa limitandosi ad informarne il presidente dell’Anac.
Elena Ciccarello
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 26th, 2014 Riccardo Fucile
LE ACCUSE: TRUFFA DA 40 MILIONI E APPROPRIAZIONE INDEBITA PER 500.000 EURO SPESI PER MULTE, AUTO E LAUREA IN ALBANIA
Multe, tasse arretrate, noleggio di auto e riparazioni dal carrozziere, lavori in casa a Gemonio e una laurea in Albania, abbonamenti a Sky e visite dal veterinario.
Per quasi 40 milioni di euro sottratti dai fondi pubblici della Lega, il procuratore aggiunto di Milano Alfredo Robledo e i pm Roberto Pellicano e Paolo Filippini hanno chiesto il processo per un pezzo del vecchio stato maggiore del Carroccio: Umberto Bossi e i suoi due figli, Riccardo e Renzo, l’ex tesoriere Francesco Belsito, e tre ex componenti del comitato di controllo della Lega (Stefano Aldovisi, Diego Sanavio e Antonio Turci) che avrebbero firmato i rendiconti irregolari presentati in Parlamento.
A processo andranno anche l’imprenditore Stefano Bonet e il commercialista Paolo Scala, mentre la procura ha deciso di archiviare la posizione dell’ex vicepresidente del Senato Rosi Mauro.
Gli indagati dovranno rispondere a vario titolo di appropriazione indebita e truffa ai danni dello Stato per un totale di 40 milioni tra il 2008 e il 2009, con un elenco sterminato di spese illegittime.
Nella ricostruzione della procura, il Senatur avrebbe incassato indebitamente 208mila euro, Renzo 145mila, Riccardo 157mila.
Le spese, come era già emerso nel corso delle indagini, sono le più svariate.
Il fondatore del Carroccio avrebbe speso migliaia di euro per cartelle esattoriali e multe, ma anche 40mila euro per pagare «i lavori di ristrutturazione della casa di Gemonio».
Agli atti anche l’acquisto di un regalo di nozze da 160 euro, 1.500 euro per «cure odontoiatriche », 27mila euro per «acquisti vari di abbigliamento», 2.220 per «l’acquisto di gioielli».
Altri 81mila euro sono stati destinati al «pagamento lavori edili abitazione Roma».
Il primogenito, Riccardo Bossi, avrebbe invece usato i fondi pubblici per multe, leasing e noleggi di auto, mantenimento della ex moglie, ma anche per pagare l’abbonamento a Sky e le spese del veterinario.
“Il trota”, Renzo Bossi, avrebbe avrebbe speso metà dei 145mila euro che gli contesta la procura in cartelle esattoriali e multe, il resto – 77mila euro – per «acquisto titolo laurea albanese presso l’Univeristà Kristal di Tirana».
Più consistenti le somme contestate al commercialista Paolo Scala e all’imprenditore Stefano Bonet che, insieme a Francesco Belsito, devono rispondere di spese per 2,4 milioni, e anche di due episodi di appropriazioni indebita per un totale di 5,7 milioni.
Esce invece dall’inchiesta Rosi Mauro, che ha dimostrato attraverso i documenti prodotti in procura di aver utilizzato fondi propri, pari a 99mila euro, per le voci di spesa finite sotto la lente degli investigatori.
Non erano stati prelevati dai fondi del Carroccio: Mauro ha spiegato che 16mila euro arrivavano sì dalla Lega, ma per la vendita al partito di un’auto di sua proprietà , e che anche un assegno da 6.600 euro sulla cui matrice vi era scritto “Rosi” era un’iniziativa di Belsito per «ritirare denaro contante attribuendolo ad altri».
Prosciolta anche per i 77mila euro spesi per acquistare la laurea albanese al suo collaboratore Pierangelo Moscagiuro: sarebbe stato questo un «pretesto utilizzato da Belsito – dicono i pm – per prelevare denaro della Lega per se stesso».
Sandro De Riccardis
(da “La Repubblica”)
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Giugno 26th, 2014 Riccardo Fucile
LUNEDI’ LE LINEE GUIDA DELLA RIFORMA AL CSM…PROCESSO CIVILE PIU’ VELOCE, PRESCRIZIONE PIU’ LUNGA
La riforma della giustizia si è materializzata a palazzo Chigi 48 ore fa.
A sbirciarci dentro, già alcuni titoli, come la riforma delle intercettazioni e quella del Csm, sono più foriere di scontro che di incontro.
Tant’è che i magistrati già sono in pre-allarme e oggi, in una riunione dell’Anm, butteranno giù il loro programma alternativo delle emergenze.
Così, sul tavolo, ci saranno le loro «linee guida» accanto alle «linee guida» del governo. Intendiamoci, nel piano sulla giustizia di Renzi e Orlando ci sono interventi che piacciono alle toghe, basti pensare all’allungamento della prescrizione, ai nuovi reati economici come il falso in bilancio in chiave anti-Berlusconi, e l’auto-riciclaggio.
Ma su quei due capitoli –la responsabilità civile dei giudici e soprattutto la responsabilità disciplinare, nonchè sulle intercettazioni – già s’avverte un diffuso malpancismo.
D’altra parte, come vedremo, il tempo per discutere c’è, un tempo «ampio e congruo», come lo definiscono a palazzo Chigi, visto che per la riforma della giustizia di Andrea Orlando il premier Matteo Renzi ha deciso di seguire la stessa via utilizzata per quella sulla pubblica amministrazione di Marianna Madia.
Prima le «linee guida» e la discussione sulle medesime. Poi le misure, decreti o disegni di legge che siano.
Per la giustizia, nell’entourage stretto del Guardasigilli, si ipotizza che gli interventi legislativi, i singoli articolati, possano anche arrivare subito dopo le ferie, che quest’anno saranno assai brevi.
Del resto, la ressa dei decreti in Parlamento è tale che i tempi di discussione sarebbero ugualmente lunghi
I PROCESSI TROPPO LUNGHI
Non può che stare al primo posto, ovviamente, il dato innegabile della giustizia italiana. La coda infinita di 9 milioni di processi pendenti tra penali e civili.
Se non si parte da qui, ha sempre detto Orlando, non ci si raccapezza più.
Per questo sono necessarie cinque mosse.
La prima: uno snellimento sia nel penale che nel civile, con interventi sui codici di procedura penale e di procedura civile. Le commissioni Canzio e Berruti hanno lavorato o stanno lavorando.
La seconda: potenziamento della magistratura ordinaria e onoraria.
La terza: una sterzata ai tempi del Csm.
La quarta: punizioni e responsabilità .
La quinta: garanzia effettiva che i processi non cadano nel vuoto con la prescrizione, come avviene adesso.
LA RESPONSABILITA’ CIVILE
A seguire, non si può che anticipare il capitolo più discusso, quello della responsabilità civile dei magistrati.
Il governo esclude quella diretta, la versione del leghista Pini per intenderci, pur approvata alla Camera. Annuncia un intervento che limita fortemente l’attuale filtro e rimodula la rivalsa dello Stato sulla toga fissandola al 50% invece di un terzo.
Se ne discuterà , ma non è affatto detto che, alla fine, Orlando intervenga direttamente, perchè potrebbe mandare avanti il ddl in discussione al Senato.
D’un colpo però, tra responsabilità civile e disciplinare, la vita dei magistrati cambierebbe.
LA STRETTA SULLE INTERCETTAZIONI
Qui siano su un crinale sottilissimo. Su cui le toghe sono guardinghe. Nessuno ha dimenticato il braccio di ferro con Berlusconi che, se fosse andato in porto, avrebbe comportato il bavaglio per i giornalisti e le unghie decisamente limate per i pm. Orlando è cauto.
Gli annunci sono due: vietare che le telefonate finiscano subito nelle ordinanze di custodia cautelare, dove le intercettazioni verrebbero riassunte. Una misura che piace al Garante della privacy Antonello Soro.
Poi l’altro divieto, non dare le copie alle parti prima dell’udienza stralcio. Gli avvocati potrebbero solo ascoltare le registrazioni. Le toghe però sono già dubbiose, soprattutto per processi con tantissimi imputati.
LA MANOVRA PENALE
Tre capisaldi, intervento sulla prescrizione, con l’idea di fermarla al primo grado. Mannaia sulle impugnazioni, che verrebbero drasticamente ridotte. Archiviazione per tutti i processi di lieve entità . Si discute anche sui tempi di iscrizione dei reati, con l’idea di renderli contestabili per le parti. Ma anche qui si rischia un fuoco di sbarramento delle toghe.
…E QUELLA CIVILE
Al responsabile del Massimario della Cassazione Giuseppe Maria Berruti è stato affidato di recente il ruolo di presidente della commissione che deve riscrivere il codice di procedura civile.
Piatto ricchissimo, dalle misure per ridurre l’arretrato, alla progressiva «degiurisdizionalizzazione», come la chiamano i tecnici, che si risolverà nel sempre minor ricorso al giudice a tutto vantaggio della negoziazione assistita e al giudizio di fronte a un arbitro.
Entrano a pieno titolo gli affidavit, la fase esecutiva del processo vedrà penalizzato il debitore che cerca di perdere tempo.
Nasce il tribunale della famiglia e della persona e si assesta quello delle imprese. In Cassazione si snellisce il processo civile.
NUOVI REATI ECONOMICI E MAFIOSI
Annunciati da tempo, e da tempo già portati da Orlando a palazzo Chigi, ecco il nuovo falso in bilancio (punito fino a 5 anni), ancora con un ultimo tira e molla sulla procedibilità a querela o d’ufficio (ma si propende per la seconda via), l’auto-riciclaggio (fino a 6), le maggiori pene per il 416-bis (fino a 15).
Ma anche misure d’esecuzione della pena più stringenti per i boss, nuove regole sul sequestro e la confisca dei beni. È la parte della riforma della giustizia su cui, di certo, le polemiche saranno minori, se non addirittura inesistenti.
IL CSM
È il capitolo che preoccupa molto i magistrati. Le «linee guida» non entrano nel dettaglio, ma già i principi creano allarme, soprattutto per i tempi.
Tra il 6 e il 7 luglio i togati votano per il nuovo Consiglio e una mossa del governo che svuoti e metta sotto tutela l’autogoverno dei giudici non può che preoccupare.
È certo che Orlando intende cambiare proprio il sistema di voto, introducendo un meccanismo di panachage (è possibile il voto disgiunto) che sconvolge gli equilibri delle correnti.
È altrettanto certo che il Guardasigilli mal vede i tempi lunghi delle decisioni di palazzo dei Marescialli e intende renderle più stringenti. Ma è soprattutto il capitolo della giustizia disciplinare a essere rivoluzionata.
Innanzitutto una sezione autonoma del Csm tratterà i “processi” delle toghe.
E poi, in seconda istanza, in luogo del ricorso in Cassazione, i magistrati condannati potranno rivolgersi alla famosa Alta corte, tante volte sollecitata da Luciano Violante. Si tratterebbe di una Corte mista, che avrebbe competenza per tutte le magistrature. Ma come sarà composta? Con che percentuali? Anche qui toghe in fibrillazione.
Liana Milella
(da “La Repubblica“)
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Giugno 26th, 2014 Riccardo Fucile
LA PRIMA MOSSA POLITICA DEL MOVIMENTO COINCIDE CON LA COMPARSA DI DIVERSE FAZIONI…LA DIVISIONE E’ TRA GLI INTEGRALISTI, CRITICHE A DI MAIO… E IN EUROPA DIVERSI ELETTI VOGLIONE ENTRARE NEL GRUPPO DEI VERDI
La prima reazione del fondatore del Movimento cinque stelle, stavolta, è stata di ostentata soddisfazione.
Ha chiamato Di Maio e Toninelli per dirsi «molto contento» per com’è andato l’incontro con Renzi. Più tardi il blog, attaccando come al solito un giornalista (in questo caso del Corriere), ha tenuto molto a puntualizzare questo: «Renzi si è detto interessato a trovare un punto d’incontro con il Movimento 5 Stelle, e non ha bocciato il Democratellum».
Insomma: se in tante altre occasioni la prima preoccupazione, da un punto di vista mediatico, era sottolineare le divergenze (abissali) col Pd, oggi la prima preoccupazione è mettere l’accento su una possibilità – non scontata, certo, ma una possibilità – di trovare una mediazione con Renzi.
I commenti sul blog sono singolarmente miti.
E «contento» è l’aggettivo che “dà la linea” al grosso delle dichiarazioni “ufficiali”. Toninelli, l’autore principale della stesura della proposta di legge del M5s, si dice «contento della possibilità di un secondo incontro», perchè «il paese ha bisogno di una buona legge elettorale. Con noi entro cento giorni».
Luigi Di Maio – il vicepresidente della Camera in rampante ascesa nel Movimento – scrive su Facebook: «dopo l’incontro con Renzi sono contento che il Democratellum (votato da centinaia di migliaia di cittadini) sia un punto di partenza».
Dal che si deduce che l’incontro per loro è andato ufficialmente bene; anche se, in realtà , Di Maio fa una torsione, a posteriori: dallo streaming è apparso chiaro che il punto di partenza, nella visione del loro interlocutore Renzi, non è il Democratellum, è semmai un doppio turno a cui il Pd non intende rinunciare; ma è vero che c’è una «partenza» di qualcosa, perchè Renzi, sulle preferenze, effettivamente apre una possibilità .
E Di Maio apre, eccome, non solo sulle preferenze; si spinge a dire «non siamo contro i doppi turni».
Questi piccoli slittamenti lasciano capire anche qual è il timore nel M5S: se andasse avanti un dialogo, e se Renzi aprisse davvero sul singolo punto delle preferenze, a quel punto resterebbe in mano al M5S il cerino di dire un eventuale no.
Esiste però, anche, la possibilità opposta (stretta, ma c’è): di un accordo vero.
In cui il M5S offre qualcosa (i collegi piccoli?), non solo chiede (le preferenze). Dipenderà dalla volontà reale dei due contraenti – e dall’abilità e le circostanze – ma questo ci conduce al lato “meno ufficiale” del racconto.
Alcuni nel Movimento, che molto sanno, raccontano questi fatti: nel M5S c’è un malumore molto forte (si stanno creando delle fazioni, un po’ come le vecchie correnti di partito) per come questo incontro è stato calato dall’alto.
Qualcuno dice «è stato un bel match, ma non è detto che un bel match vada in porto». Ed è stata già avanzata formalmente la richiesta – proveniente da tanti parlamentari – che sull’eventuale proposta di Renzi, almeno stavolta, possa esserci un voto on line. Ed è probabile che ci sarà , altrimenti Grillo e Casaleggio metterebbero ancora di più in tensione un Movimento diviso assai, in questa fase (per dire: su un altro tavolo, quello europeo, alcuni europarlamentari M5S – se è vero ciò che sostiene Ulrike Lunacek, presidente del gruppo Ue dei verdi – avrebbero chiesto di entrare nei verdi). Ottenere qualche risultato con Renzi li ricompatterebbe; un nulla di fatto li esporrebbe invece a dinamiche più “balcaniche”.
La divisione, attenzione, non è più quella tra integralisti e dissidenti. No, riguarda gli stessi integralisti. Alcuni di loro chiedono: «Ora si deve votare on line».
E a complicare ulteriormente le cose c’è un particolare su cui si dovrà tornare: parallelo all’ascesa di Di Maio, cresce il numero di quelli che, eufemismo, lo criticano.
Vedremo cosa ne uscirà .
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa“)
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Giugno 26th, 2014 Riccardo Fucile
L’ARCHITRAVE RESTA IL PATTO DEL NAZARENO
“Avete preso 5 comuni su 8000, un buon risultato”. “La Moretti ha avuto 230mila preferenze alle europee. Quanti voti ha preso il primo di M5S? 30mila?”. E “lei, presidente Di Maio quanto ha preso alle primarie? 182 voti? Noi con 182 preferenze non riusciamo a metterlo in consiglio comunale un candidato”.
Matteo Renzi si presenta a sorpresa all’incontro con la delegazione dei Cinque Stelle, e di battuta in battuta, chiarisce bene chi comanda (lui ovviamente), fa qualche apertura reale, si conquista con lo streaming un palcoscenico che certifica la sua (molto condizionata) disponibilità , detta le sue regole, alle quali chiunque, se vuole, può sedersi al tavolo delle riforme.
La definizione che dà del sistema elettorale proposto dagli avversari, d’altronde, la dice lunga: “Complicatellum” o “Grande Fratellum”.
Montecitorio, ore 14 e 30.
Da una parte c’è il segretario-premier, accompagnato da Alessandra Moretti, eurodeputata, Roberto Speranza, capogruppo a Montecitorio e Deborah Serracchiani, vice segretaria Pd.
Ci si chiede perchè abbia portato la Moretti. “Per fare la battuta sulle preferenze”, commentano gli uomini vicini al premier.
Peraltro nessuno proferisce parola, Renzi apre l’incontro, spiega la sua posizione, conduce e chiude. Come al solito.
Dall’altra parte ci sono Danilo Toninelli, il padre della legge elettorale proporzionale dei Cinque Stelle, il “Democratellum”, Luigi Di Maio, vicecapo-gruppo alla Camera, Giuseppe Brescia e Maurizio Buccarella. Grillo non va.
L’M5S arriva con tutte le intenzioni di dialogare. Il premier confuta, punto per punto, la loro proposta . “Manca la governabilità ”, “non si sa chi vince la sera delle elezioni”, “le preferenze negative favoriscono il voto di scambio”, “porta alle larghe intese”.
I Cinque Stelle, però, sono intenzionati ad uscire dall’angolo. Tutt’altro clima rispetto allo streaming di Renzi con Grillo durante le consultazioni, con il leader M5S evidentemente niente affatto interessato al risultato, ma molto a rubargli la scena mediatica.
Stavolta Di Maio, il vero mediatore, suggerisce un nuovo incontro tra 3-4 giorni. “Vi proporrei di arrivarci con le idee chiare”, chiarisce subito Renzi. Per i maligni vuol dire anche: sentite Beppe Grillo e siate certi di avere un mandato.
Poi pone la sua condizione principale: “Potete prendere in considerazione l’ipotesi di un elemento di ballottaggio che consente di dare la vittoria certa?”.
Cita non a caso la vittoria grillina ai ballottaggi di Parma e Livorno. In cambio, è anche disposto a aprire sulle preferenze. Che le liste bloccate non gli piacciono, che in assoluto preferirebbe i collegi uninominali non è un mistero.
E se su questo Grillo & co. gli possono dare una mano per arginare Forza Italia è tanto di guadagnato.
La fine del match è tutta una lista della spesa, con i famosi paletti irrinunciabili, secondo il più classico metodo renziano (oltre alla governabilità e al ballottaggio, alleanze chiare, collegi più piccoli).
E la domanda: “Siete disponibili a ragionare di riforme costituzionali?”. Apre Di Maio: “Noi non siamo nè contro i doppi turni nè contro i premi”.
Ma poi: “Riaprite il termine per la presentazione degli emendamenti in Senato e noi siamo disponibili a sederci al tavolo delle riforme”. Rapido il premier: “Li avete già presentati”.
Quando Di Maio tira fuori gli impresentabili nelle liste Pd, Renzi si innervosisce. Un po’. Ma se ne vuole solo andare “a lavorare”, come va ribadendo.
Chiude: “Noi metteremo i nostri punti online venerdì”. Poi, casomai, si riparla. E ora, “devo andare a un incontro internazionale”.
Il post-partita è ancor più interessante della partita.
Perchè ognuno la racconta a suo modo.
Grillo scrive sul blog per esprimere soddisfazione. “Renzi non ha bocciato il Democratellum”. E Di Maio in un tweet: “Sono contento che il Democratellum sia un punto di partenza”.
Difficile vederla così, con Renzi che chiarisce che il punto di partenza resta l’Italicum. Tranchant il segretario della Toscana, Parrini: “Per il M5S non deve essere stato bello trovarsi nelle condizioni di non dettare condizioni”.
Berlusconi si agita, e a pranzo vede Romani e Verdini. Il primo si affretta a far sapere che “l’accordo resta sull’Italicum e siamo pronti ad approvarlo al Senato nei tempi previsti”.
Effetti collaterali previsti: il premier sta fermo sulle sue posizioni, gli altri si affannano a dire che sono con lui.
Perchè con l’apertura dei Cinque Stelle può giocare su più fronti. Matteo è soddisfatto, registra il cambio di clima (“Basterebbe soltanto ripensare al primo streaming un anno fa”).
Rispetto a quello con Bersani, a quello con Letta o al suo, complice il 40,8%, è tutto cambiato.
Però, Di Maio afferma che chi vince le elezioni non deve automaticamente governare? “La dice lunga sulla loro idea di cambiare il paese”.
L’architrave resta il patto del Nazareno. Se M5S vuole collaborare, meglio. Se alcuni grillini vogliono entrare in maggioranza, perfetto.
Anche perchè c’è la Cassazione su Ruby che incombe e nessuno può prevedere la reazione di Berlusconi.
Wanda Marra
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 26th, 2014 Riccardo Fucile
CINQUESTELLE SUBALTERNI E LA REPENTINA SVOLTA “MODERATA” RISCHIA DI ESSERE POCO CREDIBILE
L’ansia di Beppe Grillo di precisare che Matteo Renzi non ha bocciato la sua riforma elettorale è la conferma della sua subalternità al premier.
L’incontro di ieri tra le due delegazioni, presente a sorpresa il premier, assente il capo del M5S, è stato un po’ falsato dalla caricatura della trasparenza rappresentata dallo streaming, non ha detto molto sul piano delle proposte.
Ma il fatto che il Movimento 5 Stelle abbia reagito dividendosi sul dialogo col Pd, mentre quest’ultimo ha foggiato una compattezza granitica, già dice chi abbia guadagnato di più politicamente.
Nelle intenzioni di Grillo, il dialogo doveva servire a incrinare l’asse tra Palazzo Chigi e Silvio Berlusconi sulle riforme istituzionali.
Ebbene, sembra che sia avvenuto il contrario. Forza Italia ha già fatto sapere di essere pronta a votare il cosiddetto Italicum immediatamente. E la disponibilità del vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, ambasciatore di Grillo, a trattare sul ballottaggio e a rivedere Renzi entro tre giorni, lascia capire quanto il Movimento voglia apparire responsabile; e cancellare l’impressione di avere intavolato la trattativa col vero obiettivo di perdere tempo.
È evidente che al suo interno i malumori sono più ramificati di quanto si voglia far credere. E la svolta «moderata» è apparsa troppo repentina per essere credibile.
Ha influito senz’altro il risultato deludente delle elezioni europee del 25 maggio. Ma pesa anche la sterilità della strategia del «no».
Sullo sfondo si intravedono le votazioni sul futuro presidente della Repubblica. Lo lasciano capire gli esponenti del M5S quando dicono che «con la scusa della governabilità si rischia la dittatura. Il partito che vince le elezioni elegge il capo dello Stato». Ma Renzi ieri ha avuto gioco facile nel chiedere se il Movimento è pronto a «ragionare» anche sulle riforme costituzionali.
È arrivato perfino a chiedergli, con un filo di ironia, di presentarsi al prossimo appuntamento «con le idee chiare», perchè il Democratellum, come è chiamata la proposta del M5S, non garantirebbe la stabilità .
Pur riconoscendo il paradosso, Renzi ha sostenuto invece che la nuova legge dovrà garantire «mai più inciuci e mai più larghe intese. Sembra strano che lo diciamo noi, in un contesto di larghe intese».
In effetti, se il governo dovesse andare avanti per i mille giorni indicati dal premier, l’eccezionalità dell’esecutivo diventerebbe meno spiegabile.
Il cambio di passo, lo spostamento del traguardo dai cento giorni di pochi mesi fa ai quasi tre anni del discorso di martedì in Parlamento, sono una prova di saggezza e la presa d’atto delle difficoltà .
Renzi non ha il problema dei bastoni tra le ruote che può mettergli Grillo. Semmai, le difficoltà possono riproporsi dentro la maggioranza di governo e in alcune frange di FI.
Il Nuovo centrodestra prova a reinserire l’elezione diretta dei senatori, che Renzi non vuole nel suo progetto di svuotamento della «Camera alta».
E l’apertura almeno di principio del premier alle preferenze lascia indovinare una duttilità figlia del realismo.
Così com’è, infatti, la bozza di riforma elettorale dell’esecutivo rischia di non passare; o di essere stravolta in Parlamento.
Palazzo Chigi lo sa. E dunque, preferisce non escludere i cambiamenti piuttosto che subirli.
Massimo Franco
(da “il Corriere della Sera“)
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Giugno 26th, 2014 Riccardo Fucile
L’IPOTESI DI AFFIDARE ALLA CONSULTA LA DECISIONE SULL’IMMUNITA’ DI UN PARLAMENTARE
Immunità alla Consulta?
«No, se non a condizioni molto precise». Massimo Luciani, costituzionalista della Sapienza, semina dubbi molto forti sull’ipotesi di affidare alla Corte la “patata bollente” dell’immunita’.
Perchè è così perplesso?
«Già ora la Corte ha l’ultima parola sull’insindacabilità dei parlamentari. Ma questa dev’essere sollecitata dal ricorso del giudice che non è convinto della decisione delle Camere. Ed è guidata da precisi parametri costituzionali, perchè l’articolo 68 dice che le opinioni insindacabili sono quelle nell’esercizio delle funzioni e la Corte controlla proprio questo».
Ma i relatori andrebbero verso una Corte che decide sulle richieste del giudice dopo l’istruttoria delle Camere
«Vedo due serie difficoltà . Mentre la Costituzione chiarisce quali sono i presupposti dell’insindacabilità , su quelli del diniego di autorizzazione arresti o intercettazioni si limita a sottintendere l’intento persecutorio. Un po’ poco. E non basta: queste sono garanzie dell’indipendenza del Parlamento e su di esse è il Parlamento che deve pronunciarsi. Non mi sembra il caso che la Corte lo faccia direttamente ».
La Consulta può o non può decidere la sorte giudiziaria di un deputato o senatore?
«Ripeto, si tratta di garanzie importanti e, se si vuole cambiare la situazione, si deve limitare l’intervento della Corte alla sanzione degli abusi: si dovrebbe precisare in Costituzione quando c’è l’abuso e far intervenire la Corte solo a posteriori»
Lei boccia d’un colpo l’intervento diretto?
«Effettivamente non mi convince. Ma prima di parlare di bocciatura, sarebbe bene vedere come lo si concepisce».
L’ipotesi è chiara, istruttoria delle Camere, relazione alla Corte, che decide in una sua sezione speciale
«Se fosse solo questo, le condizioni di cui parlavo non mi sembrerebbero soddisfatte. Meglio allora lasciare tutto com’è o intervenire solo sull’autorizzazione alle intercettazioni. Ma meglio ancora sarebbe se la politica prendesse atto dell’assoluta necessità di usare le tutele costituzionali di cui gode per quello che sono: garanzie dell’istituzione e non privilegi personali. Se lo avesse sempre fatto, il problema non si sarebbe posto».
Liana Milella
(da “La Repubblica”)
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