Agosto 14th, 2014 Riccardo Fucile
PROTESTANO L’ASSOCIAZIONE “TERRA DEI FUOCHI”, I DISOCCUPATI E I LAVORATORI DELLA “CITTA’ DELLA SCIENZA”
Continua il tour propagandistico di Renzi.
Dopo gli incontri di ieri con Draghi e Napolitano un’altra giornata fotta di impegni per il premier, che ha dato il via alla sua visita nel Sud Italia.
Il presidente del Consiglio inizia dalla K4A (Knowledge for Aviation) Spa, azienda del settore aeronautico nel quartiere di Ponticelli a Napoli, la sua giornata in Meridione.
Qui ha manifestato il suo entusiasmo per questa piccola realtà imprenditoriale all’avanguardia con un tweet: «E niente. Vedi a Ponticelli una start up che è all’avanguardia mondiale su ingegneria e elicotteri. Anche questa è Napoli. L’Italia riparte».
In verità l’azienda era ripartita da tempo anche senza il suo consenso.
Ad accogliere il premier anche diverse contestazioni.
Davanti all’ingresso della Fondazione Idis – Città della scienza si è svolto un sit-in di alcuni cittadini dell’associazione “Terra dei fuochi”.
I manifestanti hanno esposto alcuni striscioni con scritto: “Cap. Schettino ha affondato una nave, Renzi affonda l’Italia”; “Gli 80 euro non ci sono, se li sono ripresi con aumenti e tasse”; “I politici ci mettono la faccia, i cittadini ci mettono il c…”. Oltre all’associazione Terra dei fuochi, presenti anche degli operai cassintegrati.
Due disoccupati hanno scalato una gru alta circa 30 metri.
C’era inoltre anche qualche esponente M5S con una bandiera del Movimento.
Qualche fischio contro i rappresentanti del Governo, anche a Città della Scienza. Nello science center, distrutto da un incendio nel marzo 2013, il presidente del Consiglio dei ministri, insieme con il presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro, e il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, hanno firmato l’accordo per la ricostruzione di Città della Scienza e la bonifica di Bagnoli.
argomento: Renzi | Commenta »
Agosto 14th, 2014 Riccardo Fucile
ARRIVA UNA LETTERA SUL PADIGLIONE EUROPEO: ”A GIUGNO DICEVATE DI ESSERE IN TEMPO, ORA SONO GUAI”….E DIVERSE NAZIONI SI STANNO DISIMPEGNANDO
“Mi dispiace, mr Wilkinson, ma lei è un gufo: an owl nella sua lingua d’origine”. Matteo Renzi, si sa,
non guarda in faccia a nessuno e ora gli tocca aggiornare il suo cahier de dolèances ornitologico: David Wilnkinson, ingegnere di formazione e dirigente della Commissione Europea per lavoro, è stato nominato a Bruxelles Commissario generale proprio per Expo 2015, nel quale la Commissione dovrebbe avere un padiglione, e il 1 agosto ha scritto una letteraccia piena di critiche alla gestione dell’esposizione universale di Milano e relativi ritardi nei lavori.
All’ombra del Duomo ha fatto un certo rumore, ma finora non è stata resa pubblica.
Ora, siccome ieri il premier ha indetto il “No gufo day” per il primo maggio dell’anno prossimo — data prevista per l’inaugurazione — proprio contro quelli che insistono sui ritardi di Expo, Wilkinson va aggiunto senz’altro alla lista.
A parte le ossessione scaramantiche del premier, la lettera è un duro atto d’accusa: destinatari sono il commissario Diana Bracco e l’amministratore delegato Roberto Sala oltre all’ambasciatore italiana presso l’Ue Stefano Sannino, notoriamente in ottimi rapporti col consigliere diplomatico di palazzo Chigi, Armando Varricchio.
Più formali di così non si può: figuraccia continentale.
“Vi scrivo per esprimere la mia grande preoccupazione riguardo ai ritardi di costruzione del padiglione dell’Unione europea nell’area del Cardo”, attacca subito Wilkinson, che poi fa un gustoso racconto sul modello “Viaggio in Italia” tanto caro ai suoi connazionali di secoli addietro: il 7 luglio sono venuto da voi e con la dottoressa Bracco abbiamo illustrato il nostro meraviglioso programma ai giornalisti; a Roma addirittura — in occasione dell’inaugurazione del semestre italiano di presidenza Ue — il mio vice (l’italiano Giancarlo Caratti) lo ha illustrato alla stampa straniera.
E invece? Disastro: “Mi sono recato a visitare il sito il 29 luglio e ho purtroppo constatato che i lavori non sono nemmeno cominciati, nè mi è stata comunicata con precisione la data di inizio. I servizi tecnici del Padiglione Italia mi hanno inoltre informato che il crono-programma del Cardo prevede la consegna del manufatto rustico del padiglione dell’Ue solo il 28 febbraio 2015”.
Ma come? Si chiede Wilkinson : il 20 giugno ne avevamo parlato e avevate detto che al massimo il 15 novembre ce lo avreste consegnato.
Risultato: “A queste condizioni non sarà tecnicamente possibile per le nostre imprese completare le opere di finitura, decoro, montaggio, messa in servizio, collaudo e certificazione delle attrezzature secondo i progetti”.
La conclusione è di quelle vagamente minacciose: “Trattandosi di una situazione di emergenza che mette a rischio la qualità della partecipazione dell’Unione europea a Expo 2015, con evidenti e molteplici ripercussioni, v’invito a intervenire urgentemente”. Firmato: David Wilkinson, gufo.
Così stavolta il presidente del Consiglio non dovrà chiedersi “Bruxelles chi?” come ha fatto ieri a proposito delle critiche sui fondi comunitari.
L’ingegnere britannico non è comunque l’unico a lamentarsi dei ritardi: ieri Renzi ha giustamente festeggiato perchè la Turchia sembra aver cambiato idea e deciso di partecipare a Expo 2015, ma molti altri Paesi si stanno mettendo le mani nei capelli per averlo fatto. Dei ripensamenti della Svizzera Gianni Barbacetto ha scritto sul Fatto già a maggio, quando le cronache erano piene di notizie sulla “cupola degli appalti” di Expo, ma la situazione non pare sia migliorata: lamentele sono arrivate dalla Francia; altre nazioni — come gli Emirati Arabi — stanno ridimensionando il livello della loro presenza perchè i ritardi rendono impossibile realizzare i progetti originari; i tedeschi, che stanno già lavorando al loro padiglione, di fronte al continuo rinvio sulla fornitura di servizi essenziali come l’elettricità hanno deciso di fare da soli e vanno avanti coi generatori (e una rilevante incazzatura).
In tutto questo la voce del governo — che dovrebbe provenire dal ministro delegato Maurizio Martina — è invece solo quella di Renzi, che non è chiaro quanto sappia della situazione nei particolari: ieri, in ogni caso, ha giustamente elogiato i 1.300 operai che lavorano dalle 6 di mattina alle 2 di notte per riuscire a farcela in tempo (“e ce la faremo”, ribadiva ossessivamente il premier).
I dati di fatto, però, sono che non è finita nemmeno la bonifica dei terreni (è al 91%) e i lavori della piastra — cioè la base fisica e tecnologica — sono fermi al 70%.
I lavori nei singoli padiglioni, pare, inizieranno a settembre.
Se va bene (e andrà bene, siamo sicuri, mica vogliamo finire tra i gufi come Mr Wilkinson).
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Renzi | Commenta »
Agosto 14th, 2014 Riccardo Fucile
LA SUA INCONSISTENZA DANNEGGIA INEVITABILMENTE CHIUNQUE LO CIRCONDI
Poco più di 25 anni fa —29 giugno 1989- moriva Mario Melloni, alias Fortebraccio, ferocissimo corsivista dell’Unità .
E non ci è mai mancato come in questi ultimi giorni di cronache estive così vuote di contenuti da lasciare spazio persino ad Angelino Alfano.
Gli sarebbe piaciuto, Angelino Jolie. Per trovare un simile concentrato di niente, un tale cervello sottovuoto-spinto, Fortebraccio era costretto ad assemblare le cervici di decine di politici democristiani e socialdemocratici: oggi Alfano gli semplificherebbe il lavoro.
Da solo, fa contemporaneamente le veci di tutti i principali bersagli della sua satira. Tanassi, “uomo dalla fronte inutilmente spaziosa”. Ma non solo: “Una grossa auto blu si fermò davanti a palazzo Chigi. L’autista corse a spalancare la porta posteriore destra. Non ne scese nessuno. Era Nicolazzi”.
E pure Cariglia: “Si vanta, giustamente, di essere ‘venuto su dal nulla’ e quando parla lo fa per dimostrare che c’è rimasto”.
Ecco, sostituite il suo nome a quelli di quei politici ancien regime, tutti peraltro infinitamente meno inutili di lui, e avrete il ritratto dell’attuale — pare impossibile, ma è così — ministro dell’Interno.
Lo scorso anno, per giustificare il sequestro e la deportazione della Shalabayeva e della figlioletta, ordinati dal Viminale cioè dal suo ufficio, non trovò di meglio che dire di non averne saputo nulla.
Un po’ come l’imputato colpevole che, per evitare la sicura condanna, estrae il certificato di totale incapacità di intendere e volere.
Solo che poi non fu avviato al trattamento sanitario obbligatorio, ma restò ministro dell’Interno.
Il governo era quello di Enrico Letta, infatti Renzi infierì: “Se Alfano sapeva, ha mentito e questo è un piccolo problema. Se non sapeva davvero, è molto peggio”. Sante parole, se non fosse che poi Renzi diventò premier e chi nominò, anzi rinominò ministro dell’Interno? Angelino Jolie, naturalmente.
Quello che non c’era mai e, se c’era, dormiva (tipo la sera della finale di Coppa Italia, con le forze dell’ordine in ginocchio ai piedi del vero ministro: Genny ‘a Carogna). Quello che — direbbe oggi Fortebraccio — se scompare nessuno se ne accorge.
E, se va al cinema, tutti si siedono dove già c’è lui e, per non esserne schiacciato, è costretto a tenere in mano per tutto il film un grosso cartello con su scritto “Poltrona occupata da Alfano”.
Il dramma è che la sua inconsistenza, ai limiti dell’inesistenza, danneggia invariabilmente chiunque lo circondi.
Dopo una breve parentesi nella Dc, non a caso di lì a poco estinta, nel 1994 s’iscrisse giovanissimo a Forza Italia, ove militò all’insaputa dei più come segretario di B.: rispondeva alle lettere e leccava i francobolli.
Nel 2005 divenne segretario siciliano del partito, che non a caso nell’isola del 61 a zero colò subito a picco.
Un po’ come il trapianto di capelli, abortito per il fermo rifiuto opposto da questi ultimi di ricrescere sul suo capino.
Nel 2008 fu promosso ministro della Giustizia, la quale non se n’è più riavuta.
Nel 2013, neosegretario nazionale, trascinò il partito al minimo storico di tutti i tempi. Poi, dopo un’estate passata a strillare contro la condanna di B. e a chiedere la grazia a Napolitano (con l’esito a tutti noto), dovendo scegliere fra B. e Letta optò per il secondo, che infatti di lì a poco spirò, mentre B. si sentì subito meglio.
Ora, profittando delle ferie degli altri ministri, cerca di strappare qualche titolo di giornale con due battaglie epocali, e soprattutto nuove: contro l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e contro i “vu’ cumprà ” (nel 2014 lui li chiama ancora così).
A suo avviso, in un paese senza domanda dunque senza lavoro, le aziende assumeranno milioni di giovani se potranno licenziarli e se i venditori di collanine saranno cacciati dalle spiagge per dedicarsi finalmente a furti e rapine.
Ciò che lascia sempre ammirati è la faccia pensosa con cui l’acuto ministro dell’Esterno espettora le sue idee geniali.
Torna in soccorso Fortebraccio, che però parlava di Forlani: “Se qualcuno non avesse avuto l’ardire di offrirglielo fritto al ristorante, non avrebbe mai saputo dell’esistenza del cervello”.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Alfano | Commenta »
Agosto 14th, 2014 Riccardo Fucile
VEDE DRAGHI E NAPOLITANO: GLI SERVE SOSTEGNO PER LA MANOVRA D’AUTUNNO
Il nervosismo di Matteo Renzi si spiega facilmente: è partito per fare il battitore libero e si ritrova
ingabbiato.
Funziona così quando si guida un paese debitore, a maggior ragione quando lo si fa non essendo neanche troppo ben visto da quei circoli internazionali che hanno fatto la fortuna dei suoi predecessori (del Paese un po’ meno).
La situazione s’è plasticamente disegnata agli occhi del pubblico in questi ultimi due giorni: martedì il viaggio in elicottero a Città della Pieve per fare una chiacchierata con Mario Draghi (sia ringraziato il Corriere dell’Umbria per averlo beccato), ieri sera il lungo colloquio a cena con Giorgio Napolitano.
Il menù è sempre lo stesso: la situazione economica e le intenzioni del governo sulle riforme.
In sostanza il premier ha dovuto ribadire ai suoi interlocutori che entro la prossima sessione di bilancio — cioè entro dicembre — i desiderata europei (dalla riforma del lavoro ai tagli di spesa pubblica) verranno portati a casa.
L’incontro con Draghi, in particolare, ha colpito la fantasia della stampa: per com’è avvenuto e perchè è seguito al pubblico scambio polemico sulla “cessione di sovranità ” (che entrambi, peraltro, negano).
Atterraggio nella città umbra in cui il governatore ha una casa alle 9 del mattino e in gran segreto, un paio d’ore di faccia a faccia e poi il ritorno a Roma, con decollo alle 11.30.
“Ho visto Draghi: è una cosa normale, lo faccio spesso. Vi assicuro che l’Italia non è un osservato speciale e che l’agenda di riforme di Draghi è anche la mia dalla A alla Z”, ha minimizzato Renzi una volta che la notizia è divenuta di pubblico dominio.
Non si sa se spesso, ma effettivamente tra i due — anche se il rapporto non è idilliaco e dalle parti di Francoforte ci sia una certa sfiducia nelle capacità dell’ex sindaco — c’è un certo livello di interazione.
Basti dire che Renzi chiese anche a Draghi un consiglio su chi nominare ministro dell’Economia (“meglio un politico”, la risposta).
Come che sia, l’incontro di martedì è stato chiesto con insistenza dallo stesso Renzi dopo le frecciate dei giorni scorsi: l’idea era capire se la Banca centrale europea è accanto all’Italia in questa fase così difficile oppure farà da spalla ai rigoristi (Germania, Commissione Ue) come spesso è capitato in passato.
C’è in ballo anche la partita sui nuovi soldi che la Bce dovrebbe cominciare a erogare in autunno alle banche (il cosiddetto “Quantitative easing” europeo) con meccanismi che però ne vincolino l’uso ai prestiti all’economia reale: Renzi punta molto — forse troppo — sull’effetto sugli investimenti (e quindi sulla crescita del Pil) di questa immissione di denaro.
Indirettamente, questa impostazione del colloquio è confermata anche da fonti della Bce: si è parlato solo di temi europei, anche perchè il governatore non ingerisce sulle politiche dei singoli paesi, fatto confermato anche dalla famosa conferenza stampa sulla “cessione di sovranità ”, che era appunto riferita a tutti gli stati europei.
Il minuetto, però, non deve aver rassicurato del tutto Matteo Renzi visto l’umor nero mostrato nella successiva intervista pomeridiana a Millennium (Raitre): nessun impegno preciso, ma l’invito a rispettare il programma — anche temporale – indicato dallo stesso governo su riforma del mercato del lavoro e consolidamento fiscale.
Tradotto: Jobs act e manovra. Sugli stessi temi, più uno, il nervoso premier ha dovuto relazionare pure Giorgio Napolitano a cena.
Partiamo da quello nuovo: il capo dello Stato ha già fatto sapere che è felice per l’approvazione delle riforme costituzionali in Senato, ma si aspetta qualche modifica nel passaggio alla Camera. In particolare, il Colle ritiene veramente troppo debole la riforma del Titolo V venuta fuori da palazzo Madama rispetto all’impianto originario della riforma: i poteri dello Stato centrale devono essere esplicitamente ampliati e meglio specificati per evitare l’enorme contenzioso con le regioni che è stato la croce della riforma voluta dal centrosinistra nel 2001.
Per il resto non ci sono particolari novità , se non la crescente preoccupazione del principale tutore internazionale del presidente del Consiglio (anche lui non esattamente simpatizzante col suo protetto).
Renzi, per parte sua, continua a garantire che nella legge di Stabilità ci saranno 16 miliardi di tagli (detti spending review) e che entro l’anno arriveranno pure la riforma della giustizia civile e quella del lavoro, oltre all’attuazione della delega fiscale.
È chiaro però che il timore principale di palazzo Chigi è per la reputazione del governo sui mercati internazionali.
Lo si nota dall’ossessiva frequenza con cui Renzi dichiara al Financial Times. Dopo l’intervista spavalda di lunedì, ieri ha fatto sapere ai lettori del quotidiano britannico che il suo esecutivo “spalanca le porte agli investitori esteri”: “Io sono più felice quando vedo arrivare qui un grande investitore straniero che non un normale investitore italiano. E non perchè io non sia patriottico, ma perchè per me conta il progetto industriale, non il passaporto”.
Marco Palombi e Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Renzi | Commenta »
Agosto 14th, 2014 Riccardo Fucile
IL 40% SCARICA ANCORA NEI FIUMI E IN MARE, IN ARRIVO MAXIMULTA DALLA UE… MAGLIA NERA AL FRIULI VENEZIA GIULIA
Zero carbonella: ecco i soldi spesi dalla Sicilia di quel miliardo e 96 milioni di euro che aveva ricevuto per depurare le acque.
Un danno e una beffa: sta per arrivare, da Bruxelles, una sanzione pesante. Che non colpirà solo l’isola.
È l’Italia tutta, infatti, a essere lontana dagli standard dei Paesi di punta: il 36% dei cittadini scarica direttamente nei fiumi e in mare. Una vergogna.
Che ci può costare quasi un miliardo di maximulta. Soldi buttati per «sciatterie, inefficienze, mancati controlli…».
La tabella di confronto col resto d’Europa fa arrossire: dietro di noi, che arranchiamo con solo 64 cittadini su cento dotati d’un sistema fognario, ci sono l’Estonia, il Portogallo, la Slovenia…
Ma siamo staccati di 9 punti dal Belgio, 17 dalla Repubblica Ceca, 20 dalla Francia, 22 dalla Spagna, 33 dalla Finlandia, 34 dalla Lituania e dalla Gran Bretagna, 36 dall’Austria, dalla Germania o dall’Olanda
Certo, i dati della «Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e lo sviluppo delle infrastrutture idriche», voluta da Renzi per accorpare il tema delle acque e unificare ad esempio sei banche dati diverse «dove non c’era un numero che tornasse», dicono che è il Mezzogiorno l’area più critica: la metà dei cittadini scarica senza filtri.
A dispetto di certi stereotipi anti-meridionalisti, però, spiega Erasmo D’Angelis, che guida la Struttura, la regione più esposta alla stangata europea per l’assenza di depurazioni è il Friuli Venezia Giulia.
Dove la multa in arrivo da Bruxelles il 1° gennaio 2016, secondo le previsioni calcolate dalla Struttura di missione dovrebbe essere di 66 milioni di euro pari a 53,6 euro pro capite.
Il doppio della multa alla Calabria, quasi il quintuplo rispetto alla Liguria, sette volte la media nazionale (8,1 euro), il decuplo della Puglia.
Seconda, per sanzione pro capite, è un’altra regione settentrionale, la Val d’Aosta: 39 euro pro capite.
Terza la Sicilia, che pagherà complessivamente la somma più alta: 185 milioni. Ma è tutta la penisola, accusa D’Angelis, ad essere in ritardo: «Perfino in Lombardia (dico: in Lombardia!) i fiumi e i laghi sono per il 40% gravemente inquinati».
Totale della maximulta in arrivo per i depuratori, secondo la Struttura: 482 milioni di euro.
Più altrettanti o poco meno per l’inquinamento di corsi d’acqua, laghi, lagune..
Sono strettamente collegati il rischio idrogeologico, lo sviluppo delle infrastrutture idriche e l’adeguamento del sistema della depurazione delle acque e della bonifica delle discariche. Senza equilibrio, addio.
Come ricorda una relazione della «Struttura» alla Camera, il nostro è uno dei Paesi più franosi del mondo: «486.000 delle 700.000 frane in tutta l’Ue sono in 5.708 Comuni italiani, 2.940 a livello di attenzione molto elevato».
E questo «si intreccia con una impressionante carenza pianificatoria di superficie, la quasi scomparsa delle manutenzioni, abuso del suolo e fiumi incanalati in piste da bob o intubati sotto le città pronti ad esplodere al primo nubifragio come il Seveso».
E si intreccia ancora «con un generale fatalismo e la scarsa percezione della dimensione dei rischi e di conoscenza dei fenomeni».
Va da sè che la potenza distruttiva della natura (Dante stesso pare accennare alle «bombe d’acqua» ma ce n’erano molte meno di oggi) «viene moltiplicata dai nostri errori fatali, primo fra tutti la caparbietà con la quale il territorio più fragile» e più abitato (189 abitanti per chilometro quadrato contro i 114 della Francia e gli 89 della Spagna) «è stato spremuto» senza tener conto della «regola base della prevenzione strutturale».
Un esempio? Su 16.700 chilometri di binari ferroviari 6.700 sono esposti a rischio: «Non occorrono esperti amministrativisti o contabili ma di psichiatria».
Basta, sostiene il documento, «non è più accettabile vedere l’Italia che crolla, frana e si allaga così facilmente e non poter far nulla o poco perchè pur in presenza di risorse bisogna aspettare firme, timbri e pareri per tempi indefiniti.
E assistere a Conferenze di servizi dove i poteri di veto di ogni partecipante sono simili a quelli del Consiglio di Sicurezza Onu, facendo passare 3-6 anni dalla progettazione all’inizio di lavori anche banali».
Matteo Renzi assicura di voler accantonare «un miliardo l’anno del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) 2014-20 per il finanziamento di interventi infrastrutturali di messa in sicurezza di territori e in particolare a difesa delle aree metropolitane».
Ma poi, sarà possibile spendere quei soldi o resteranno appesi al soffitto come caciocavalli?
La domanda non è retorica: negli ultimi 16 anni, accusa il documento consegnato a Montecitorio, non sono stati usati un sacco di quattrini destinati alla messa in sicurezza idrogeologica e alla depurazione delle acque, che come abbiamo visto nel caso del Seveso o del Sarno sono strettamente legate.
Colpa di «procedure burocratiche abnormi», di ricorsi infiniti dopo ogni appalto (perfino i lavori sul Bisagno, protagonista di disastrose inondazioni a Genova, sono bloccati…), di veti incrociati, di «ritardi ed eccessiva complessità delle procedure di valutazione di impatto ambientale».
Totale dei soldi non spesi, in tre blocchi principali di finanziamenti: due miliardi e 273 milioni. Tutti denari già disponibili, cash, per i quali non sono mai stati aperti i cantieri.
E qui sono sotto accusa soprattutto tre regioni meridionali. «Sicilia, Calabria e Campania hanno in comune l’impressionante incapacità di spesa e l’inefficienza della Pubblica amministrazione a partire dai livelli regionali», scrive D’Angelis in una lettera al presidente del Consiglio.
Un esempio? I soldi stanziati con gli accordi di programma 2009/10.
In Calabria, su 185 interventi programmati, solo cinque cantieri aperti e manco uno chiuso nonostante il territorio sia così fragile da aver vissuto dal 2010 a oggi «454 nuove emergenze».
In Campania su 97 programmati solo quattro cantieri aperti e solo due chiusi. In Sicilia 194 programmati, 43 cantieri già chiusi e 71 aperti ma la Regione, che avrebbe dovuto sborsare 172 milioni accanto a quelli statali, ha scucito solo «lo 0,1%»
Quanto al Report delle opere idriche, «la Delibera Cipe 60/2012 impegnava 1,6 miliardi per le Regioni del Sud per un totale di 183 interventi (depuratori, collettori, reti fognarie). Ad oggi nessuna opera è conclusa». Nessuna.
Maglia nera, come dicevamo, la Sicilia che grazie anche a Stefania Prestigiacomo era stata benedetta da una pioggia di quattrini: «Su 96 opere programmate per 1.096 miliardi appena 5 opere al preliminare e zero fondi impegnati».
Ulteriore conferma di una certezza: non è (solo) una questione di soldi…
Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: Ambiente | Commenta »