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ERA SOLO COME LUI, UN ROTTAME: BUONANNO IN DIRETTA SU SKY CON IL PISTOLINO

Ottobre 23rd, 2015 Riccardo Fucile

LA CRONISTA CHIUDE IL COLLEGAMENTO… L’ESIBIZIONISTA SI SARA’ DIRETTO CON L’IMPERMEABILE AI GIARDINETTI

Dieci e mezzo del mattino.
Collegamento di SkyTg24con Borgosesia, Comune di cui il leghista Gianluca Buonanno è sindaco.
Doveva parlare del suo originale, quanto probabilmente inapplicabile, provvedimento per un contributo di 250 euro per chi compra una pistola.
Lo ha lanciato su Facebook, Matteo Salvini ha fatto sua la proposta.
A quel punto Buonanno fa vedere una pistola.
Il giormalista Emiliano Liuzzi, presente in studio, inorridisce e gli dice che “non parlo con chi brandisce un’arma”, “nella speranza che sia il parlamento europeo che il suo Comune prendano provvedimenti”.
La conduttrice dello spazio, Federica De Sanctis, giornalista di lungo corso a Sky fin dai primi mesi, lo invita più volte a non mostrare la pistola.
Passano pochi secondi, Buonanno non lo fa, e a quel punto De Sanctis fa oscurare il collegamento e si scusa col pubblico.
E’ la prima volta nella storia che un parlamentare, eletto in Italia o Europa, fa una cosa del genere. Chiamarla provocazione è riduttivo.
Buonanno rappresenta le istituzioni, è sindaco da vent’anni del suo paese, ha fatto carriera nella Lega a suon di provocazioni.
Pesci in aula, mascherato con la maschera della Merkel a Strasburgo. Una pistola, in fascia protetta, no. Ogni limite è superato, per quanto l’uomo possa far ridere le pistole no, non fanno sorridere nessuno.
Poco dopo, Buonanno ha ritenuto necessario precisare: “Io non ho il porto d’armi e non amo le pistole. Quella era solo una carcassa di pistola. .Volevo solo illustrare l’iniziativa del mio Comune. Non capisco queste proteste, quanta ipocrisia”.
Insomma la pistola era finta e a sua immagine e somiglianza.
Un rottame come lui.

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L’ATTACCO DEI MAGISTRATI: “PERICOLOSO SUBORDINARE LA GIUSTIZIA ALL’ECONOMIA, VOGLIONO DELEGITTIMARCI”

Ottobre 23rd, 2015 Riccardo Fucile

CONGRESSO ANM A BARI: “CARENZE DELLA LEGISLAZIONE E INERZIA DELLE AMMINISTRAZIONI”

Va respinta l’idea che “a minori controlli” della magistratura corrisponda “una maggiore crescita” dell’economia.
Così si va verso la “subordinazione della politica e della giurisdizione al potere economico, in una pericolosa prospettiva tecnocratica”.
Lo dice il presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli che oggi ha aperto il   32esimo congresso del sindacato delle toghe nel teatro Petruzzelli di Bari.
Alla presenza del capo dello Stato, Sergio Mattarella, Sabelli parla di una “tensione” tra giustizia e economia, che si acuisce in tempi di crisi e diventa “drammatica”, “quanto più alto è il grado dei diritti” in gioco; il riferimento esplicito è alle inchieste in materia di inquinamento, sicurezza nelle fabbriche, rapporti di lavoro.
C’è una “insofferenza” verso le iniziative giudiziarie, che vengono bollate “come autoreferenziali, lesive degli interessi economici e persino espressione di ideologie radicali, quasi che la giustizia fosse parte di un sistema di poteri in conflitto e non invece mezzo garante della tutela dei diritti”.
Sono invece le “carenze della legislazione e spesso l’inerzia delle autorità  amministrative”, sottolinea il leader dell’Anm, le vere “cause di quella che impropriamente viene definita la supplenza dei giudici”.
Per questo, cruciale, nel realizzare l’equilibrio tra le molteplici istanze in conflitto, è il ruolo del legislatore: quanto più le sue regole saranno “corrette e accurate, tanto meno la magistratura sarà  chiamata a riempirne i vuoti”.
Occorre anche “un forte senso di responsabilità  delle autorità  amministrative e degli operatori privati ai quali spetta operare le scelte di impresa”.
Mentre il magistrato, che è chiamato a intervenire nei casi di inquinamento ambientale ma anche di illeciti nel settore degli appalti, “in un ruolo di ultima istanza”, “non fa opera di supplenza” nè “usurpa funzioni altrui”.
Ma “deve offrire”, oltre al rispetto della Costituzione e della legge, “una solida cultura giuridica e la ponderazione e l’equilibrio delle proprie decisioni, nella consapevolezza degli effetti che ne derivano”; e scegliere fra i tanti strumenti di intervento diretto nella realtà  economica, “quello che realizzi lo scopo di giustizia col minor sacrificio possibile dei diritti coinvolti”.
Una “strategia di delegittimazione”.
Non c’è più lo scontro aperto ma resta la tensione tra politica e toghe, con   una “dinamica meno accesa nella forma ma più complessa” dice Sabelli, che punta l’indice contro chi con una “consapevole strategia di delegittimazione” ha raffigurato l’Anm come espressione di una “corporazione volta alla difesa dei propri privilegi”.
Non fa nomi ma è chiaro che si riferisce alle polemiche che ci sono state tra il premier e il sindacato delle toghe sulle riforme del governo che hanno riguardato lo status dei magistrati (dal taglio delle ferie alla nuova disciplina sulla responsabilità  civile). Interventi “discutibili nel merito, nel metodo e nei tempi, che hanno preceduto persino quelli delle riforme, tuttora irrealizzate, del processo e dell’organizzazione”; e che, “unite a demagogiche semplificazioni, hanno aggravato il diffuso malcontento” dei magistrati, già  sofferenti per “il peso dei carichi di lavoro, delle crescenti responsabilità  e della carenza di risorse”.
“La magistratura italiana non è un ceto elitario e oligarchico” e “la percezione delle istituzioni dello Stato come gruppi di potere gelosi dei propri vantaggi costituisce in se stessa una tragedia del sistema democratico”, avverte Sabelli, che rivendica all’intero vertice dell’Anm il merito di aver difeso “l’immagine e l’autorevolezza della magistratura associata, contro ogni tentativo di ridimensionamento del suo ruolo di rappresentanza e della sua stessa dignità “.
La difesa per la dignità .
Il discorso si muove su due cardini: la “subordinazione della politica e della giurisdizione al potere economico” e la tutela del principio di indipendenza.
“Non abbiamo rinunciato a difendere con forza le nostre prerogative e i nostri diritti, funzionali alla tutela del principio di indipendenza, ma al tempo stesso – aggiunge – abbiamo avvertito la gravità  di quei rischi e vi abbiamo resistito, difendendo l’immagine e l’autorevolezza della magistratura associata, contro ogni tentativo di ridimensionamento del suo rilievo istituzionale, del suo ruolo di rappresentanza e della sua stessa dignità “.
“Il costo dei diritti sociali”.
Si parla “apertamente di costo dei diritti sociali, inteso come costo economico e come sacrificio imposto ad altri diritti confliggenti – osserva ancora Sabelli – la tensione è maggiore quanto più grave si fa la condizione di crisi ma è proprio in tempi di crisi che diviene più pressante la necessità  di tutelare i diritti sociali, quando la difficoltà  della contingenza economica grava sui più deboli e più disagiati e finisce purtroppo con lo stimolare paure ed egoismi, piuttosto che rafforzare i vincoli di solidarietà “: la risposta, come nel caso Ilva, sta nella Costituzione, nella “tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e prevalenza dell’utilità  sociale, della sicurezza, della libertà , della dignità  umana sulla libertà  dell’iniziativa economica privata”.
Rapporto politica-magistratura.
“La tensione fra politica e magistratura, legata per anni a vicende giudiziarie individuali, ha finito con l’offrire di sè un’immagine drammatica ma, in realtà , semplificata. Oggi   quei rapporti sono restituiti a una dinamica meno accesa nella forma ma più complessa”, afferma il presidente dell’Anm.
“L’indipendenza” della magistratura, principio cardine che “nessuno in astratto mette in discussione”, osserva Sabelli, “non si alimenta di ossequio formale ma di una cultura fondata sul rispetto. Essa non vive nel mondo astratto dei principi ma nelle norme che regolano lo stato giuridico dei magistrati, nella disciplina della loro responsabilità , civile e disciplinare, nel sistema del governo autonomo, nelle norme processuali, che definiscono ruolo e doveri nell’esercizio concreto della funzione giudiziaria”. Sono questi, ha sottolineato il leader del sindacato dei magistrati, “i temi sui quali oggi si sviluppano tensioni nuove o si riaccendono altre antiche e mai   davvero sopite, che alimentano delegittimazione e sfiducia nel sistema giudiziario”.

(da “La Repubblica”)

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INTERVISTA A MARINO: “MAI RUBATO UN EURO, ROMA VUOLE CHE RESTI”

Ottobre 23rd, 2015 Riccardo Fucile

“MIEI ERRORI SUGLI SCONTRINI”…. “PRIMARIE? CORRERO’ PURE IO”

Meno undici. Il conto alla rovescia continua inesorabile verso l’irrevocabilità  delle sue dimissioni, ma Ignazio Marino non ha affatto l’aria di uno che sta per lasciare il Campidoglio.
“Le do subito una buona notizia” mi dice, quando entro nel suo ufficio con vista Fori.
E qual è la buona notizia, sindaco?
“Abbiamo venduto il rocchetto di nichel” .
Cosa?
“Non sorrida: è una roba che vale 38 milioni di euro. Una storia incredibile. Nel 2003 un debitore che doveva dare al Comune circa 30 milioni di euro disse: non ho i soldi, vi do in pegno questo rocchetto di nichel che vale questa cifra. Bene: ora l’abbiamo venduto, e tra qualche giorno nelle casse del Comune entreranno 38 milioni di euro. E anche grazie a questi soldi potremo comprare nuovi autobus, riparare le linee delle metropolitane…”.
Alt, sindaco. Lei parla come se avesse davanti a sè degli anni, ma il calendario dice che tra undici giorni le sue dimissioni diventeranno definitive. Dimissioni che lei ha dato per la vicenda degli scontrini. Martedì lei ha fornito ai magistrati la sua spiegazione: ma perchè ha aspettato dieci giorni?
“Non riuscivo a capire. Allora ho chiesto le carte. E contemporaneamente ho chiesto alla Procura di essere ascoltato”.
E nell’attesa, come mai non ha convocato una conferenza stampa per contestare una per una le accuse?
“Forse è stato un errore non averlo fatto. Ma non volevo che i magistrati leggessero sui giornali ciò che io non avevo ancora raccontato a loro”.
Scusi, ma se lei aveva la coscienza a posto, perchè si è dimesso?
“Questa è la prima cosa che ho detto ai magistrati. Io mi sono dimesso perchè volevo andare da loro senza alcuna protezione, diciamo così, formale. E dunque non come sindaco ma come sindaco dimissionario. Ho raccontato ogni piccolo dettaglio. A cominciare dal fatto che io non conoscevo l’esistenza dei giustificativi di spesa”.
Ma come è possibile? C’erano centinaia di fogli con la sua firma e lei non ne sapeva niente?
“Guardi che è normale che in un’amministrazione di 23 mila persone ci siano dei dipartimenti che si occupano di validare le spese. Io lasciavo le ricevute sui tavoli della mia segreteria e per me la cosa finiva lì”.
Insomma, la colpa è degli impiegati: non è uno scaricabarile?
“Ma no! Sono persone che hanno fatto del loro meglio, e in buona fede, dovendo giustificare nella primavera del 2014 spese di undici mesi prima, utilizzando la mia agenda elettronica”.
Anche per quello scontrino di otto euro per una colazione offerta a un sopravvissuto dell’Olocausto?
“Ecco, quella è un’accusa che mi ha ferito molto. Completamente infondata. Io avevo accompagnato degli studenti nei campi di concentramento, e una mattina mi sono fatto portare in camera, mentre lavoravo con l’Ipad, un caffè e un cornetto. Ora, è chiaro che io non ho ricevuto nella mia camera da letto, la mattina alle otto, il sopravvissuto dell’Olocausto…”.
Quello che è venuto fuori però è un po’ imbarazzante: l’ambasciatore del Vietnam che smentisce di aver cenato con lei…
“Gli telefonerò per scusarmi per l’incidente, perchè io non ho mai cenato con lui. Ma quel giorno l’ultimo appuntamento della giornata era proprio con lui. E chi ha guardato sull’agenda…”.
Ma se non ha cenato con lui, con chi ha cenato?
“E’ chiaro che se mi incontravo con un sottosegretario o con un parlamentare dell’opposizione, il nome non veniva messo in agenda”.
Lei nega di aver cenato con sua moglie alla ‘Taverna degli amici’, eppure il ristoratore ha riconosciuto la signora. Come la mettiamo
“Ha riconosciuto mia moglie su una foto che non è di mia moglie. E’ la foto che viene fuori su Google. Ma non è la sua. Di mia moglie non c’è neanche una foto, sul web”.
E allora chi era quella signora bionda con cui lei cenò quella sera?
“Rispondo volentieri. E’ una persona con la quale io ho scritto tanti articoli scientifici, anche su Science. Quella sera volevo convincerla a far parte del comitato per il museo della scienza che voglio realizzare a Roma”.
Le faccio una domanda precisa, chiedendole una risposta netta: lei ha mai addebitato al Comune un pranzo privato?
“Io non ho mai, ripeto mai, usato denaro pubblico a fini privati”.
Tutta questa storia degli scontrini è nata dal suo viaggio a Philadelphia. S’è pentito di essere andato lì?
“No. Però lei ha ragione: se non ci fossi andato oggi non ci troveremmo a parlare di questa roba”.
E il Papa non avrebbe detto che non l’aveva invitata lui. Pensa che il Pontefice ce l’abbia con lei perchè ha istituito il registro delle unioni civili proprio a Roma?
“Certo con quella decisione mi sono fatto molti nemici. Ma non mi permetto neanche lontanamente di dire che ci sia un collegamento tra le due cose. Il Papa parla sempre con estrema saggezza e ponderazione. E sono convinto che non parli per inviare messaggi trasversali”.
Come mai il giorno prima di dimettersi lei ha stipulato una polizza contro le richieste di risarcimento danni che potrebbe ricevere per questi due anni da sindaco?
“Non ho stipulato alcuna polizza, benchè questa sia una prassi seguita da moltissimi tra i dirigenti e gli amministratori locali a Roma come nel resto d’Italia. Adir nelle settimane scorse mi ha inviato un modulo per aderire ad una loro offerta in questo senso. L’ho compilato ma poi ho deciso di non procedere con la richiesta, l’ho fermata e non ho pagato la polizza. Fine”.
Arriviamo al dunque: confermerà  le sue dimissioni o no?
“La legge mi dà  20 giorni per verificare se la mia esperienza è davvero finita o se ci sono le condizioni per rispettare il partito che mi ha eletto alle primarie con il 52 per cento, parlo del Pd e di Sel, e al ballottaggio con il 64 per cento”.
Vuol dire che resterà ?
“Io sto facendo delle verifiche, incontrando i consiglieri. Voglio ascoltare le opinioni degli eletti del popolo”.
E la città , cosa crede che pensino i romani di lei?
“La città  ha capito che con me sono stati cacciati i criminali che erano qua dentro. Le persone che incontro per strada mi chiedono di non interrompere questa esperienza”.
Una richiesta che lei è fortemente tentato di accogliere, mi pare…
“Io sono un nativo del Partito democratico. E penso che questa sia una crisi politica, che vada riportata dentro i confini della politica. E’ una questione che deve essere valutata dal Pd. Questa è la sfida della mia vita, e io voglio vincerla. Ma tocca agli eletti dal popolo, alla mia maggioranza, dirmi se questa esperienza deve proseguire o deve essere interrotta. Questa è la democrazia”.
Matteo Renzi ha detto che si è rotto il suo rapporto con la città .
“Io ho grande rispetto per chi, come Renzi, sta cercando di cambiare questo Paese. Però mi permetto di dire che non capita tutti i giorni che 50 mila persone firmino una petizione per chiedere al sindaco di restare”.
Gira la voce di una giunta d’emergenza che gestisca solo il Giubileo
“Sciocchezze. Come sono sciocchezze i presunti retroscena di promesse di poltrone”.
Se si tornasse al voto, è ipotizzabile una ricandidatura di Ignazio Marino?
“Se si faranno le primarie nel Pd, è possibile che ci sia anch’io”.

Sebastiano Messina
(da “La Repubblica“)

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QUANDO RENZI PROMETTEVA CONTANTE A 500 EURO E TAGLI AGLI SPRECHI PER 40 MILIARDI

Ottobre 23rd, 2015 Riccardo Fucile

ECCO COSA SOSTENEVA DURANTE LE PRIMARIE 2012

“Occorre abbassare la soglia di tracciabilità  dei pagamenti fino a 500 euro, dando incentivi alla diffusione di strumenti alternativi al contante”.
Di Matteo Renzi ce ne sono due.
Uno, premier, pronto anche a mettere la fiducia sul tetto al contante a tremila euro. L’altro, candidato alla segreteria Pd, che si impegna ad abbassare quello stesso tetto a 500 euro.
Ce n’è uno, premier, che dopo il lavoro di vari commissari alla spending review, accompagnati gentilmente (o in procinto di esserlo) fuori da Palazzo Chigi, propone un taglio della spesa di soli 5,8 miliardi in legge di stabilità .
L’altro che, in campagna elettorale per le primarie, promette tagli degli sprechi per quasi 40 miliardi.
Ce n’è uno, di Renzi, che ospite in tv di Lilli Gruber per presentare la manovra, afferma che l’evasione fiscale non è quantificabile e che tutte le stime sulle risorse sottratte illegalmente al fisco sono numeri “buttati lì”.
E un altro invece che, nero su bianco, quantifica l’evasione fiscale in 120 miliardi, dai quali conta addirittura di recuperarne tra i 30 e i 36.
C’è un Renzi premier, infine, che difende una manovra finanziaria fatta per lo più in deficit (14,6 miliardi di flessibilità  Ue) e l’altro che prometteva di non scaricare i guasti di ieri sulle generazioni del domani.
Leggendo il programma di Matteo Renzi allora sindaco di Firenze, quando girava in camper per l’Italia nella sfida contro Pier Luigi Bersani, si possono notare alcune, evidenti, contraddizioni.
La più eclatante riguarda una delle misure più contestate della legge di stabilità : l’innalzamento del tetto per il contante a tremila euro.
Nonostante gli allarmi lanciati da Raffaele Cantone e dai magistrati Nino Di Matteo (Palermo), Franco Roberti (Antimafia) e Nello Rossi (Avvocato generale in Cassazione), Matteo Renzi ospite di Otto e Mezzo su La7 ha annunciato di essere pronto a porre la fiducia sul provvedimento: “La norma sui contanti non cambia, stiamo rimettendo gli italiani in condizione di spendere”.
Si tratta dello stesso Renzi che, come ricorda puntualmente l’economista Mario Seminerio, il 13 settembre 2012 scriveva nel suo programma alle primarie: “Occorre abbassare la soglia di tracciabilità  dei pagamenti fino a 500 euro, dando incentivi alla diffusione di strumenti alternativi al contante”.
E’ solo l’ultimo dietro-front rilevato sulla questione spinosa del limite ai contanti.
Lo stesso ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha spiegato di aver cambiato idea rispetto al passato, quando anche lui sosteneva la necessità  di limitare la circolazione del contante per combattere evasione e riciclaggio.
Ma la via delle primarie è lastricata di buone intenzioni.
Come quella di arrivare a un taglio della spesa di circa 40 miliardi, senza contare i 30-36 miliardi recuperabili dall’evasione fiscale, secondo il premier. “Riteniamo realistici i seguenti obiettivi”, scriveva sicuro Renzi:
Una riduzione del 10% dei consumi intermedi dalla quale ricavare 12 miliardi; una riduzione del 20-25% degli investimenti e dei trasferimenti alle imprese, obiettivo di risparmio 12-16 miliardi.
E ancora: una “riallocazione produttiva” di 50% dei fondi europei: obiettivo risparmio: 7-10 miliardi; una riduzione dell’area del pubblico impiego: “Obiettivo di risparmio 4 miliardi”. Per un totale di circa 40 miliardi circa.
Poco cambia che nella sua ultima legge di stabilità , pur godendo dell’aiuto di Carlo Cottarelli prima e di Roberto Perotti (in uscita) e del fidato Yoram Gutgeld, sia riuscito a mettere insieme una spending review di 5,8 miliardi.
A proposito di evasione: “In Italia 180 miliardi di evasione? I dati sull’evasione e corruzione sono totalmente inventati… buttati lì… Ma come fai a dirlo?'”, ha risposto Renzi a Lilli Gruber.
Eppure, sempre nel programma per le primarie di Renzi, è lui stesso a quantificare i soldi sottratti illegalmente al fisco italiano: la cifra è di 120 miliardi di euro.
Non solo: il 27 novembre dell’anno scorso esprimeva sconcerto per i dati sull’evasione fiscale durante l’inaugurazione dell’anno accademico della scuola di polizia tributaria della Guardia di Finanza: “Impressionante il numero di 91 miliardi stimati” di evasione fiscale, “qualcosa come sei punti di Pil”.
A voler mettere il dito nella piaga, si potrebbe fare un ultimo appunto al presidente del Consiglio sul programma presentato alle primarie 2012: quando, in un passaggio, scrive che “chi vuole governare deve prendersi un impegno chiaro di non scaricare sulla prossima generazione il peso dell’aggiustamento, come ha fatto chi ha governato in passato”.
La domanda sorge spontanea: i 14 miliardi di deficit della manovra, su chi verranno scaricati?
(da “Huffingtonpost”)

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UNIVERSITA’, IN ITALIA TASSE DA RECORD E BORSE DI STUDIO SOLO PER POCHI

Ottobre 23rd, 2015 Riccardo Fucile

RAPPORTO EURYDICE: ITALIA AL TERZO POSTO PER LE RETTE UNIVERSITARIE… E SOLO L’ 8% HA DIRITTO A UNA BORSA DI STUDIO

Mentre continua la battaglia degli studenti contro il nuove Isee che restringe la possibilità  di ricevere una borsa di studio, arriva una conferma sul caro-università  in Italia.
A fornirla è il rapporto di Eurydice che fotografa il panorama di tasse universitarie e forme di supporto agli studenti in Europa.
L’Italia resta al terzo posto come importi medi delle tasse, dopo Inghilterra e Paesi Bassi: gli studenti iscritti sia alla laurea di primo che di secondo livello pagano in media 1220 euro all’anno, partendo da un minimo di 195/199 euro all’anno, per arrivare ad un massimo di 2065.
Il confronto
«Il confronto con i principali paesi europei è impietoso», sottolinea l’Unione degli universitari. In Germania, ad esempio, la tassazione media è di 50 euro: un importo riferito esclusivamente alle spese amministrative, spese che oltretutto in alcuni lander non sono neanche a carico degli studenti.
Per quanto riguarda la Francia, il 35% degli studenti gode di un esonero completo sulle tasse, contro il solo 12% dell’Italia: e le rette sono comunque più che accettabili: 184 euro all’anno per il primo ciclo, 256 per il secondo. In Belgio, nella comunità  francese, il 70% degli studenti paga il massimo delle tasse, che però ammonta a 836 euro l’anno, e comunque il 20% riceve un contributo.
In Austria non ci sono tasse per gli studenti europei, e il 15% degli studenti riceve anche un contributo economico.
In Inghilterra, dove le tasse sono ben più alte dell’Italia (vanno dai 5429 ai 12.755 solo per il primo ciclo), c’è però un meccanismo di aiuto ben più solido, perchè il 68% di chi ha richiesto una borsa di studio nel 2013-2014, l’ha poi ottenuta.
Nel complesso, gli studenti delle università  pubbliche italiane nel 2014 hanno versato 1,5 miliardi di euro in tasse universitarie, ben il 24% dei finanziamenti statali alle università  stesse.
«Questi dati dimostrano come le tasse universitarie, introdotte come strumento di solidarietà  tra gli studenti, siano con il tempo diventate una delle principali fonti di sostentamento del sistema universitario», sottolinea il coordinatore dell’Udu Jacopo Dionisio.
Le borse di studio
Forte anche il divario tra l’Italia e gli altri Paesi europei riguardo al supporto dato agli studenti.
Le borse di studio vanno dai 1925 ai 5108 euro, e vengono erogate sia in base ai meriti accademici che ai bisogni economici delle famiglie, ma l’importo viene stabilito dalle autorità  regionali.
A beneficiarne è solo 8% della popolazione studentesca.
In Francia, invece, i beneficiari di sostegno sono il 34%; in Germania, il valore medio del sostegno è di 5.300 euro, e ne usufruisce ben il 25% degli universitari.
Questi dati sono lo specchio dei finanziamenti sul sistema.
Nel 2014, l’Italia ha investito 490 milioni di euro per le borse di studio, di cui ben 225 milioni provenienti dalle tasse degli studenti. In ogni caso, si tratta di briciole, in confronto ai circa due miliardi di Francia e Germania.
E le risorse per il prossimo anno, 2015-2016, non sono ancora state definite.

Valentina Santarpia
(da “il Corriere della Sera“)

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