Gennaio 12th, 2017 Riccardo Fucile
L’INFORTUNIO EUROPEO CONFERMA UNA MANCANZA DI SOSTANZA, DI QUALITA’ E DI SIGNIFICATO POLITICO
Non è esattamente una passeggiata di salute quella che Grillo e Casaleggio si sono fatti sulla Grand Place di Bruxelles.
Nel breve, ridicolo e clamoroso avanti e indietro tra gli antieuropeisti di Farage e i liberali di Verhofstadt si radunano infatti tutti i demoni irrisolti di un movimento perennemente allo stato gassoso che non riesce a consolidare alcunchè, perchè non avendo storia e tradizione (il che non è certo una colpa) non ha nemmeno saputo costruirsi un deposito culturale di riferimento a cui ancorare le trovate estemporanee del leader, abituato ad uscire da una quinta per cambiarsi d’abito e ricomparire dall’altra con uno sberleffo.
La politica è un po’ più complicata, a lungo andare, soprattutto negli intervalli tra una campagna elettorale e l’altra: per fortuna non tutto è performance, blog, comizio, una volta ogni tanto bisogna trasmettere l’idea che oltre a distruggere si è capaci anche di costruire qualcosa.
L’Europa, poi, è complicata ancor di più. Esistono famiglie politiche, perchè esistono vicende storiche e civili che hanno selezionato interessi, valori e persino personalità producendo cultura politica (mi scuso per l’espressione fuori moda): e da quella cultura, semplicemente, sono nate le costituzioni e le istituzioni nelle quali viviamo – potremmo dire – nelle difficoltà degli uomini ma nella libertà del sistema, in questo nostro lungo dopoguerra europeo di pace.
Bene, se questa è la cornice, il quadro non è solo un infortunio senza precedenti, da inserire per anni nei repertori comici in teatro, per far ridere la platea.
È la conferma di una mancanza di sostanza, di qualità e addirittura di significato politico.
Qui succede che un movimento nasce contro l’euro e contro l’Europa, oltre che contro tutte le inefficienze, le disfunzioni e le corruzioni della nostra democrazia indigena. Entra nel gruppo antieuropeista di Farage, campione della Brexit e dell’insularità britannica.
Poi, dopo uno stage sul bordo-piscina di Briatore a Malindi, ecco la rivelazione keniota del fondatore, l’idea che per prepararsi a governare conviene abbandonare alleati così radicali, e spostarsi in un’area più tranquillizzante. I liberali? Perchè no, vanno bene come qualsiasi opzione che non costringa a scegliere davvero tra destra e sinistra, per non dividere il fascio di consensi.
La post-modernità della post-politica è questa: mani libere, destra e sinistra sono superate, il nuovo vive in un altrove indistinto che si può manipolare a piacere e abitare con comodo, interpretandolo come una pièce che si aggiorna di piazza in piazza, secondo l’estro del capocomico.
Il fatto di aver ironizzato sui liberali per anni e di aver polemizzato ripetutamente con loro non conta, perchè tanto nell’altrove non esiste un’opinione pubblica interna, cui rendere conto.
Anzi, la giravolta è diversità , la diversità è libertà , e libertà significa semplicemente che il Capo fa quel che vuole.
Nessuna discussione, nessun dibattito, soprattutto nessuna passione: politica, storica, culturale, capace di dare anima e corpo ai diversi apparentamenti europei del movimento, di delineare una visione, una prospettiva identitaria, qualcosa di riconoscibile e riconosciuto, un modello di riferimento.
L’altrove non ha modelli, se non l’idea originaria del leader, soggetta a colpi di vento o di sole africani, ma per definizione esatta, innocente, intatta nel cerchio perfetto del carisma perenne e soprattutto autosufficiente per spiegare ogni cosa.
Poi naturalmente c’è il referendum, strumento perfetto di ogni meccanismo sommario. Come chiamarlo? Confermativo? Plebiscitario? Laudativo? Io direi gregario.
Un sistema di acquiescenza e ratifica che governa meccanicamente un surrogato di consenso, richiesto e ottenuto in automatico ogni volta che c’è bisogno di dare una vernice comunitaria postuma alle improvvisazioni solitarie del Supremo Garante.
Un referendum convocato in quattro e quattr’otto, svolto su due piedi come al circolo nautico o al club degli scacchi, attorno alla trovata di uno solo.
Senza una discussione preparatoria, un confronto di idee, un dibattito aperto che consenta agli interni e agli esterni di conoscere non solo l’esito e il saldo finale, ma le ragioni di una proposta, il percorso di una scelta, rischi e opportunità , alternative possibili e i riflessi che tutte queste diverse opzioni possono avere sulla fisionomia pubblica del movimento.
Tutto questo in nome di un altro demone originario: il segreto, figlio del complotto e della grande congiura, che naturalmente è sempre in atto e con tutto quel che succede nel mondo è concentrata sempre e solamente su Raggi e su Di Maio, e li fa perfidamente inciampare sui frigoriferi, sul Cile e il Venezuela.
L’ultima invenzione è la congiura dell'”establishment” che Grillo ha evocato per dargli la colpa del trappolone europeo, in realtà fabbricato in casa.
Come se in Italia esistesse una classe dirigente capace di coniugare gli interessi particolari legittimi con l’interesse generale, invece di singoli network gregari, concessionari e autogarantiti.
Ma la congiura e il segreto fortificano lo spirito, trasformano la politica in fede, il movimento in setta, la trasparenza in confisca.
Il referendum avviene su una piattaforma software privata di una società privata che gestisce la cosa più pubblica che c’è, vale a dire la proposta politica di un movimento, e conserva nomi e password degli iscritti nella mitica fondazione Rousseau come in uno scrigno segreto.
Il segreto giustifica il vulnus di trasparenza, le decisioni europee prese in Kenya alle spalle dei deputati europei, perchè gli eletti nel movimento hanno nei fatti un preciso e anticostituzionale vincolo di mandato, nei confronti del partito-moloch.
Lo dice su Facebook l’eurodeputato Tamburrano: “Hanno preparato un accordo schifoso sulla testa della maggioranza di noi portavoce (di chi?) europei facendo piombare una domenica mattina una votazione farlocca, prendendo per i fondelli noi, milioni di elettori e lo stesso Beppe Grillo”.
E la senatrice Nugnes denuncia “la scarsità della partecipazione” ai referendum, “che si attesta intorno al 30 per cento, di solito al di sotto”.
“Dovevamo essere il popolo dell’intelligenza critica e della democrazia diretta – spiega – invece è successo qualcosa che per il momento ha bloccato completamente il processo”. Cosa? “Una democrazia carismatica con affettività malata”.
Naturalmente la miseria impaurita e impotente del dibattito interno al Pd dopo la clamorosa sconfitta al referendum non è una giustificazione per il M5S: se mai poteva essere uno stimolo e un’occasione politica di diversità .
Invece direttorio, garanti, portavoce: tutta un’intercapedine procedurale che è il contrario della democrazia diretta, e che consente alla Casaleggio di veicolare contenuti a piacere dall’alto al basso, come memorandum aziendali, e al leader di rivoltare il calzino a piacere dalla terrazze dell’Hotel Forum ogni volta che gli serve. Nell’altrove, tutti gli eletti, tutti i dirigenti, tutti gli uomini nuovi sono in realtà semplicemente dei fiduciari del Capo: in altre epoche li avremmo chiamati portaborse, sottopancia, boiardi minori e periferici, con in più la sovrastruttura burocratico-statutaria della multa di 250 mila euro per chi dissente, come fanno le società di calcio con un qualsiasi centravanti chiacchierone o indisciplinato.
Questo evidente pasticcio che parla di democrazia e pratica la teocrazia ha portato al capitombolo europeo con la ribellione dei liberali, convinti che la “cheap politics” di Grillo cozzi con tutto il loro armamentario ideale, visto che loro ne hanno uno, a cui tengono.
Segue il ritorno a Canossa da Farage, le condizioni umilianti del leader Ukip per riammetterli in casa dalla porta di servizio, la velocità di Di Maio che un minuto dopo il ritorno nel gruppo antieuropeista si dice pronto a votare contro l’euro, senza nemmeno togliersi il vestito liberale che il movimento aveva indossato da due giorni per l’occasione.
Ma la brutta figura davanti all’intera Europa non è ciò che conta davvero. Conta l’anomalia del grillismo, rivelata da questa vicenda.
Attenzione, non la diversità , benvenuta in un sistema politico stagnante: ma l’anomalia. In sostanza, la strozzatura di un meccanismo chiuso in sè, che come rivela questa storia non è contendibile, prima e suprema condizione della trasparenza, della libertà e della democrazia. Il resto purtroppo è chiacchiera.
Tanto che in Europa basta evocare un minimo di cultura liberale per scioglierla come una bolla di sapone.
Ezio Mauro
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 12th, 2017 Riccardo Fucile
IL GOLPE TRA NATALE E CAPODANNO: 12 INCARICHI PER 574.000 EURO
Ventiquattro nuove assunzioni negli ultimi due mesi, che portano il conto totale a 47. Per un totale di 2,3 milioni di euro di stipendi a collaboratori esterni.
La Giunta Raggi è immobile dal punto di vista delle delibere (e quando le fa, poi le annulla in autotutela) ma se si tratta di assumere sta procedendo a un ritmo di tutto rispetto.
Tanto che potrebbe presto arrivare a colmare il divario con il predecessore, Ignazio Marino, che era arrivato a far spendere quasi il doppio per i collaboratori.
L’amministrazione grillina ha provveduto negli ultimi tre mesi — sul totale dei sei di governo — a una discreta infornata di professionalità .
Sedici le assunzioni formalizzate dall’esecutivo nei soli mesi di novembre e dicembre 2016 per un costo di 724.150,95 euro.
Spiega oggi Il Messaggero:
Solo lo scorso mese, Roma Capitale ha ratificato 13 contratti a tempo determinato (7 dei quali licenziati nell’ultima seduta di giunta del 30 dicembre scorso).
Nel dettaglio, l’ingresso in Campidoglio del neo assessore all’Ambiente, Giuseppina Montanari, è costata all’amministrazione 175.365,33 euro (lordi s’intende) di contratti a tempo determinato firmati a 5 professionalità esterne.
Ancora: tra i contratti delle ultime settimane figurano quelli per la responsabile alla Scuola, Laura Baldassarre, che si è avvalsa dallo scorso 29 dicembre di un consulente legale, chiamato a gestire — per 88.728,53 euro — i temi dei suo assessorato.
Massimo Colomban, a capo della riorganizzazione delle Partecipate, invece, dal 23 dicembre scorso, ha ampliato il proprio organico con altre due unità per un costo complessivo di 100.050,9 euro, mentre il suo collega al Commercio, Adriano Meloni, ha chiamato un consulente legale (contratto da 33mila euro) e una funzionaria di “project management” a cui sarà affidata — per 44.892,10 euro — la supervisione del piano antiabusivismo ricettivo e altre materie legate al turismo.
E tra le assunzioni, racconta Repubblica Roma, ce n’è una piuttosto interessante: è l’incarico per l’architetto Andrea Tardito, 64 anni, già candidato nel M5S:
Affiancherà l’assessore Andrea Mazzillo con un contratto da 88mila euro l’anno nella «gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare».
Anche se forte è il sospetto che Tardito sia stato scelto più per la sua fede politica che per il suo curriculum: basta guardare l’immagina postata sulla sua bacheca Facebook, una foto della sindaca accompagnata dalla scritta “Santa Virginia, martire con l’aureola a 5 stelle”.
Non un caso isolato. Nella settimana tra Natale e Capodanno, la giunta Raggi ha infatti distribuito 12 incarichi per 574mila euro.
L’ex vicesindaco Frongia ha trasferito all’assessorato allo Sport l’intero staff e i nuovi assessori — da Montanari a Colomban — hanno fatto il resto.
Un’infilata di assunzioni, a dispetto di un bilancio in rosso tutto da riscrivere.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 12th, 2017 Riccardo Fucile
COME MAI IN ITALIA SI RIFIUTA IL FINANZIAMENTO PUBBLICO E POI IN EUROPA SI CERCANO ACCORDI PER INCASSARE PIU’ SOLDI?… QUALI INTERESSI AZIENDALI DIETRO LE SCELTE DI CASALEGGIO?…GIANNULI SBOTTA: “MERCATO DELLE VACCHE IN PURO STILE DC”
Ogni volta che il Movimento Cinque Stelle viene percepito davvero come alternativa di governo considerata da tantissimi italiani, è successo in un modo o nell’altro che Grillo e la Casaleggio – di fatto — l’abbiano ricacciato nei panni di un’eterna opposizione.
Ad alcuni è venuto molte volte, in passato, il dubbio che lo facessero apposta.
«È la storica volontà di potenza di Milano: smontare, non importa se con insuccessi clamorosi, le certezze del gruppo parlamentare, peraltro quasi sempre faticosamente raggiunte», dice l’ex capo della comunicazione Nicola Biondo.
È per questo, possiamo aggiungere, che Luigi Di Maio in questi giorni era nervoso. Ma come, lui, Di Maio, fa di tutto, anche rischiando politicamente col gruppo parlamentare, per accreditare il M5S come forza di governo, e se stesso come aspirante premier, e quelli combinano il guaio Grillo-Verhofstadt?
Certo, Casaleggio junior è azzoppato; però anche sbagliando rumorosamente una trattativa sbatte comunque in faccia ai parlamentari una verità : comanda lui. E tutti (nessuno escluso) valgono uno. Tranne Milano.
Se si legge così la vicenda della brutta figura europea del M5S – che voleva andare coi liberali, ha votato in fretta e furia e senza preavviso un sì sul blog, è stato poi mandato a stendere dai liberali, e è tornato a capo chino da Nigel Farage – si capisce che la Casaleggio perde qualcosa, ma ottiene anche qualcosa.
Ribadisce un dominio che è totale.
In più ridimensiona – c’è chi dice, scarica – alcuni uomini, per esempio Filippo Pittarello, una persona capace, boy scout fedelissimo, discreto, sul quale Gianroberto Casaleggio ha sempre contato molto – e Davide, a quanto pare ora, meno.
A Pittarello scadrà il contratto in Europa a breve, e chissà cosa succederà dopo.
Al posto di capo della comunicazione europea va invece Cristina Belotti, una giovane che è stata assistente di redazione nel programma di Paolo Del Debbio (quello che ciclicamente Silvio Berlusconi sogna come candidato del centrodestra).
Belotti viene portata in Casaleggio dal fratello di Filippo, Matteo Pittarello, che oggi (parentesi) cura i testi dello show di Beppe Grillo.
La politica del Movimento si mescola e è condizionata, inesorabilmente, da queste dinamiche aziendali.
Il prezzo politico pagato ieri è stato alto: due eurodeputati, Marco Affronte e Marco Zanni, sono usciti dal gruppo M5S-Farage. Vanno però in direzioni opposte, il primo nei verdi europei, il secondo con Salvini-Le Pen-Wilders: il Movimento è tutto e il suo contrario.
Una terza eurodeputata, Daniela Aiuto, ci avrebbe ripensato in extremis. Grillo dal blog chiede loro di «dimettersi», e annuncia una causa in cui pretenderà il pagamento della penale che sottoscrissero (in Europa sarebbe addirittura di 250 mila euro), «la doneremo ai terremotati». Affronte risponde secco: «Abbiamo firmato un foglio, non riesco a chiamarlo in un altro modo, in cui fra le altre cose c’era scritto di questa penale. Da quello che so, dal punto di vista legale, ha un valore meno della carta straccia».
In effetti proprio venerdì, davanti al tribunale civile, vengono impugnati a Roma (da un gruppo capitanato dall’avvocato Lorenzo Borrè) il famoso «contratto della Raggi» - quello rivelato dalla Stampa a marzo, e ovviamente, a caldo, negato e smentito dai cinque stelle – e lo statuto e il regolamento.
Secondo Borrè (e non è il solo avvocato a pensarla così) queste scritture sono assolutamente nulle. Vedremo.
La cosa incredibile è che un uomo assai legato a Gianroberto Casaleggio, il prof Aldo Giannuli, abbia letteralmente demolito il M5S, commentando il testo della trattativa svelato da un redattore di radio radicale: «I 5 Stelle, il 17 gennaio, avrebbero votato per Verhofstadt quale prossimo presidente del Parlamento europeo e in cambio sarebbero stati ammessi nel gruppo liberale, ottenendone la vice presidenza e, se possibile, anche una vice presidenza dell’Assemblea di Strasburgo, oltre alla divisione dei fondi e del personale. Una volta queste cose si chiamavano “mercato delle vacche” in perfetto stile Dc». Parla di «disastro d’immagine», Giannuli.
Poi attacca direttamente sull’euro, chiedendo alla Casaleggio: «Se c’è una revisione della posizione sull’euro che era di Roberto Casaleggio (e anche di Beppe Grillo per quel che ricordo), lo si dica apertamente».
E sui soldi: «Perchè in Italia il M5S rifiuta il finanziamento pubblico, mentre poi lo cerca affannosamente in Europa, al punto di includerlo fra le motivazioni di un accordo così singolare?».
Infine, denuncia «un clima clandestino da loggia carbonara». Vedremo se a lui risponderanno qualcosa.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)
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Gennaio 12th, 2017 Riccardo Fucile
L’ESPONENTE M5S: “AFFRONTE E ZANNI NON ASPETTAVANO ALTRO”
“L’Alde è agli antipodi rispetto ai programmi da noi propugnati”. “Ho cercato di spiegare in tutti i modi che quella scelta era un errore, ma siamo andati incontro a una Caporetto”.
È quanto afferma a Repubblica Carlo Sibilia, deputato M5s ed ex membro del direttorio, che sul mancato accordo con il gruppo di Guy Verhofstadt aggiunge: “Penso che non ci sia niente di male a dire: abbiamo sbagliato, è stata fatta una mossa azzardata, cerchiamo di rimediare”.
Alla domanda se si senta sul banco degli imputati, Sibilia replica: “Sono tranquillo perchè ho solo ricordato i nostri principi. Guy Verhofstadt nel 2009 stava al Bilderberg. Noi abbiamo fatto le dirette video sul blog seguendo quei meeting segreti, non potevamo sedere accanto a lui a Bruxelles”.
Nel Movimento, osserva quindi, “da aprile c’è una certa nebulosità nelle scelte. È necessario che di questo anche altri assumano consapevolezza per poter raddrizzare la rotta”, “il modo si trova, l’importante ora è prenderne tutti coscienza. Che ci sia qualcosa da aggiustare credo sia palese”.
Sui due europarlamentari che sono andati via, Sibilia aggiunge: “Questa cosa mi dispiace. Sono state prese decisioni affrettate. Ma noi non dobbiamo dare alibi a quelle persone che non aspettano altro che accada qualcosa per prendere la strada più comoda. Bisogna lavorare, condividere di più, allargare la partecipazione il più possibile con i nostri strumenti, a partire dalla Rete”.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 12th, 2017 Riccardo Fucile
“ORA HO PAURA CHE SI UCCIDA”…. IL FIGLIO DELLA COPPIA GLI AVEVA PROMESSO: “SE MI AIUTI, TI DO’ TUTTO QUELLO CHE NON HAI”
Erano amici del cuore. Uno aveva un sogno da mille euro, l’altro non sopportava più sua madre.
Alla fine, non c’è tanto altro da cercare qui, dove due genitori sono stati ammazzati a colpi d’ascia. I carabinieri hanno trovato un portafoglio gonfio di soldi.
«Quanti soldi, esattamente, io non lo so dire. Ma hanno sequestrato quel portafoglio a casa mia, l’ho visto con i miei occhi, era zeppo di contanti. Mio figlio è un debole. Non si lusinga la gente così. Con la ricchezza. Il suo amico l’ha convinto con quella somma di denaro. È per quello che l’ha fatto».
Il padre di M. Eccolo, sta fuori al gelo e piange. Ci sono due piccoli leoni di cemento davanti all’ingresso di questa casa di un solo piano, che non sarebbe giusto definire villetta in ossequio ai clichè dell’orrore italiano.
La casa di M è quella di una famiglia che fa fatica. Poca luce, umidità . È una frazione di campagna persa verso il delta del Po: una rotonda, una chiesa, il presepe ancora acceso, il Tiki Bar.
Vivevano in cinque in questa casetta, marito, moglie e tre figli, di cui uno molto malato. «Io sono di razza contadina», dice il padre di M. «Per me ti devi impegnare per avere qualcosa, solo così la ottieni. Quando mio figlio si è fatto bocciare la seconda volta per il patentino, io gli ho detto di arrangiarsi. Che si tenesse la bici, perchè bisogna imparare a faticare. Avevo già speso 600 euro, mi sembrava abbastanza. Ma quell’altro, il suo amico, stava bene e pretendeva sempre di più. Aveva lo scooter, il telefono da 700 euro, i vestiti tutti firmati. Detestava la madre perchè lo sgridava duramente, cercava di mettergli un freno. Avevano litigato molto, nell’ultimo periodo. Lo sapevo anche io, ma chi poteva immaginare una cosa simile?».
Sembravano soltanto due ragazzini lungo questa strada che si perde nei campi, due amici. Uno biondo tinto, l’altro bruno più timido.
Uno sempre in bicicletta per demeriti personali, l’altro sempre in scooter con caschi diversi, appassionato di gare. Pessimi a scuola, bravi alla Playstation.
Qualche fidanzata, gli addominali scolpiti, le notti alla discoteca Caprice. Due ragazzi del ’99. M aveva frequentato con insuccesso l’istituto tecnico di R a Codigoro, così da due anni si era iscritto alla scuola di formazione professionale privata Cfp Cesta. L’idea era di diventare operatore della pesca e dell’acquacoltura. «Ma su sei giorni di frequenza obbligatoria, lo vedevamo al massimo uno», dice il direttore Sergio Catalano. «Chiamavamo il padre, e il padre arrivava sconsolato. Pieno di preoccupazioni».
Adesso è quello stesso padre a raccontare la notte in cui suo figlio e l’amico hanno sterminato la famiglia di lui a colpi d’ascia. «Erano andati a dormire a casa di R. Io e mia moglie li vediamo tornare alle sei del mattino. Sono insieme sullo scooter. Mio figlio era pallidissimo. Mi ha detto che si sentiva poco bene. Hanno dormito qui in questa stanza, dove hanno poi trovato il portafoglio. Si sono svegliati alle 10,30 del mattino. R sembrava tranquillissimo, davvero. Hanno giocato insieme. Per pranzo gli ho fatto un piatto di pasta in bianco. Chiacchiere normali. Verso le 13,30 R ha salutato per andare a casa di suo zio. È stato un po’ più tardi, verso le quattro del pomeriggio, che mio figlio è venuto a darmi la notizia. Mi ha detto di averla letta su Facebook. I genitori di R erano stati uccisi. Piangeva, gli ho detto che era nostro dovere andare subito davanti alla casa della famiglia Vincelli per dire ai carabinieri tutto quello che poteva essere utile».
Ma quel giorno, il primo giorno, M non parlava. Restava defilato. Ripeteva la versione in cui proprio lui si era sentito poco bene.
Lui e l’amico R raccontavano, cioè, un mare di bugie.
La seconda notte – quella di ieri – vengono a prenderlo i carabinieri. «Ero con mio figlio, gli ho chiesto se c’entrasse qualcosa. Ma lui continuava a negare. L’ho visto entrare nella caserma di Comacchio verso le 5 del mattino. Alle 9 è uscito fuori, mi è venuto incontro, mi ha guardato e ha detto: “Perdonami, papà ”. Gli ho tirato uno schiaffo, sono scoppiato in lacrime. Più tardi, i carabinieri hanno sequestrato quel portafoglio. È stato mio figlio a portarli al canale, i vestiti sporchi di sangue erano dentro il mio borsone da calcio rosso. Mi ha sconvolto. Significa che l’aveva portato da casa quella sera, vuol dire che ci avevano pensato a quello che stavano per fare». L’accusa è di omicidio premeditato aggravato.
E l’ascia? «Mio figlio l’ha fatta ritrovare vicino al campo sportivo. Ora ho paura che si ammazzi. È un ragazzo buono, ma è un debole. Secondo me erano sconvolti da qualche sostanza. Erano drogati. In carcere era disperato. Mi ha chiesto un pacchetto di sigarette. Gli ho detto che io e sua mamma gli staremo sempre vicini, anche se quello che ha fatto è troppo grande, troppo…».
Quello che il padre di M ancora non sa è che secondo gli investigatori sarebbe stato proprio lui ad usare l’ascia contro i genitori di R.
Sei colpi alla madre, tre al padre. Con quella promessa dell’amico, l’amico ricco con i vestiti belli, piantata in testa: «Se mi aiuti a fare questa cosa, ti do tutto quello che vuoi».
I soldi e la notte, questa gelida notte italiana.
Niccolò Zancan
(da “La Stampa”)
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Gennaio 12th, 2017 Riccardo Fucile
UN “CONSIGLIO DI FAMIGLIA” PER DECIDERE L’ELIMINAZIONE
Consiglio di famiglia per decidere un omicidio. Tragica storia in Calabria che ha portato all’uccisione di Antonio Scarfone, assassinato il 14 agosto 2016 a Rosarno.
Lo hanno scoperto i carabinieri, che questa mattina all’alba hanno arrestato la sorella della vittima, Vittoria Scarfone, 54 anni, e il marito di lei, Vincenzo Timpani, entrambi accusati concorso in omicidio aggravato dalla premeditazione.
Secondo quanto emerso dalle indagini della procura di Palmi, anche loro hanno partecipato all’organizzazione dell’agguato in cui ha perso la vita Scarfone, freddato l’estate scorsa con due colpi di revolver 7,65 la notte del 14 agosto, a poche centinaia di metri dalla casa della madre, Carmela Fazzari.
All’epoca, grazie anche alla testimonianza della moglie della vittima, Soumia Lachhab, in manette erano finiti Angelo Scarfone, 52 anni, fratello della vittima, e il nipote ventottenne Luigi Timpani, figlio della coppia arrestata in mattinata.
Le indagini degli ultimi mesi avrebbero però dimostrato che i due fermati dell’estate scorsa sarebbero stati solo gli esecutori materiali di un vero e proprio piano progettato in famiglia. I fratelli maggiori, Vittoria e Angelo Scarfone, insieme ad alcuni dei loro familiari, avrebbero deciso di eliminare il più piccolo, Antonio, per meglio spartirsi la pensione e gli immobili della madre.
Argomenti per lungo tempo oggetto di liti fra i fratelli. Alla vittima, Vittoria ed Angelo da tempo rimproveravano di aver monopolizzato casa e pensione dell’anziana donna, senza preoccuparsi minimamente del suo stato di salute.
Recriminazioni tracimate in una furiosa lite la mattina del 14 agosto, quando Angelo e il nipote Luigi — entrambi residenti in Emilia Romagna — si sono presentati a sorpresa a Gioia Tauro per affrontare Antonio, minacciato di morte di fronte alla compagna. Parole che la vittima ha preso sul serio, tanto da sparire per l’intera giornata e rientrare a casa della madre solo a notte fonda.
Una fuga che non l’ha salvato. Nei pressi della casa della madre ha trovato il fratello Angelo e il nipote Luigi che lo hanno freddato, per poi dileguarsi.
(da agenzie)
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Gennaio 12th, 2017 Riccardo Fucile
INCASSATI CONTRIBUTI PUBBLICI PER 53 MILIONI PER CORSI MAI EFFETTUATI
La truffa riguarda uno dei principali enti di formazione professionale della Sicilia, l’Anfe. E a finire in carcere è stato il suo presidente, Paolo Genco.
Secondo le indagini condotte dagli investigatori della guardia di finanza di Trapani diretti dal colonnello Pasquale Pilerci, l’Anfe Sicilia, tra il 2010 e il 2013, avrebbe incassato contributi comunitari e fondi pubblici per circa 53 milioni di euro per una serie di corsi di formazione, che si sarebbero dovuti tenere in diverse sedi dell’ente nel Trapanese e nel Palermitano, ma mai effettuati.
I fondi pubblici sarebbero stati rendicontati attraverso false fatture messe a disposizione da due società di servizi – General informatic center e Coreplast – il cui titolare, Baldassarre Di Giovanni, è stato arrestato insieme con Genco.
L’indagine coordinata dalla procura di Trapani ha quindi accertato che parte dei contributi, accreditati su conti correnti del Trapanese da dove poi sono stati movimentati, sarebbe finita nella disponibilità personale del presidente dell’Anfe Sicilia che avrebbe acquistato 41 immobili (finiti sotto sequestro) per due milioni di euro.
Alcuni di questi fabbricati sarebbero stati messi a disposizione da una dipendente dell’ente che è stata iscritta nel registro degli indagati.
Alcuni di questi immobili erano formalmente intestati a una società immobiliare, “La fortezza”, e venivano affittati per i corsi di formazione mai effettuati allo stesso Anfe. L’ente aveva anche simulato indagini di mercato per individuare i fornitori del materiale informatico facendosi approntare falsi preventivi del tutto antieconomci da altre ditte.
Nel registro degli indagati sono state iscritte altre sei persone per concorso in truffa aggravata finalizzata all’indebita percezione di erogazioni pubbliche.
Al momento dalle indagini non sono emerse complicità negli assessorati regionali di competenza anche se viene sottolineata l’assoluta mancanza di controlli che ha consentito che per diversi anni la truffa sia andata avanti senza alcun intervento.
(da “La Repubblica”)
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