Luglio 30th, 2017 Riccardo Fucile
“SIAMO UN BERSAGLIO SU CUI TUTTI SPARANO, COMPRESO MACRON”
“Più osservo le evoluzioni del quadro politico ed economico in cui oggi si trova ad operare l’Italia più mi viene spontaneo paragonare il suo ruolo a quello della Croce Rossa Internazionale”.
Lo dice Romano Prodi in un editoriale sul Messaggero in cui sottolinea che il ruolo seppur “nobile” non è “proprio il compito di uno Stato sovrano che dovrebbe operare in un clima di solidarietà europea”.
L’ex premier si riferisce in primis ai migranti dalla Libia, “che vengono raccolti dalle navi appartenenti a tanti paesi europei ma che, come avviene per i feriti nei conflitti bellici, vengono tutti portati all’ospedale della Croce Rossa, cioè in Italia. E, come è il caso della Croce Rossa, quando si parla delle trattative di pace, l’Italia viene regolarmente esclusa perchè le cose importanti si trattano in un piano superiore”.
In questo contesto, sottolinea, “ci sacrifichiamo almeno per uno scopo nobile, anche se accompagnato da una vergognosa mancanza di solidarietà da parte dei nostri partner europei”.
Ma il paragone va avanti, “siamo diventati un bersaglio su cui tutti possono sparare senza provocare alcuna reazione”, ad esempio la Francia di Macron.
“Mentre era stata accolta senza alcun problema la proprietà coreana dei cantieri navali di Le Havre, si procede addirittura alla loro nazionalizzazione (a cui si aggiunge il ridicolo aggettivo di provvisoria) purchè non finiscano in mani italiane. Il tutto dopo che la Francia si è comprata mezza Italia”.
Per Prodi “l’unica onorevole via d’uscita è che l’Italia usi tutti gli strumenti di difesa di cui può disporre”.
“Nell’Unione Europea esistono limiti alle asimmetrie di comportamento anche perchè, pur pienamente consapevole delle debolezze italiane, non posso ignorare le grandi fragilità della Francia nei suoi equilibri di bilancio e nei livelli di produttività del suo sistema industriale”.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 30th, 2017 Riccardo Fucile
IL LEADER DI FORZA ITALIA LANCIA STOCCATE A SALVINI E SI DICE PRONTO A RIAPRIRE LA TRATTATIVA SULLA LEGGE ELETTORALE… CON ALFANO INTESA SOLO IN SICILIA
“Sto bene, l’aiuto di Dio e la bravura dei chirurghi mi hanno restituito l’energia di sempre. E ora certo non me ne andrò, escludo di farlo proprio alla vigilia della sfida decisiva per il mio Paese”.
Parla Silvio Berlusconi, che si concede una parentesi ‘politicà nei giorni di relax nella beauty Spa Palace di Henri Chenot a Merano, prima di spostarsi in Costa Smeralda.
Il Cavaliere si sente a tutti gli effetti guida, tutt’altro che padre nobile del centrodestra, assestando più di una stoccata a Salvini (mai citato in questo colloquio) e ai populismi.
Pronto a riaprire la trattativa sulla legge elettorale, disponibile a un sostegno condizionato alla missione in Libia, porte aperte agli ex di ritorno ma in una formazione ad hoc diversa da Fi. Quanto ad Alfano e al suo “partito di governo”, un’intesa ci sarà solo in Sicilia e a livello locale.
Emergenza immigrazione, il governo vara l’operazione navale nelle acque libiche, la sosterrete? Voterete il decreto per la missione?
“A quanto pare il governo sta per imboccare dopo tanti anni una strada simile a quella che avevamo seguito noi: un accordo con le autorità libiche per bloccare le partenze. Bisogna però vederne bene i termini: per ora c’è una certa confusione tra annunci e smentite da parte libica ma anche da italiana. Valuteremo senza pregiudiziali, ma voglio essere molto chiaro: ha senso mandare le navi militari – che fra l’altro opererebbero senza una copertura internazionale – solo se avranno il potere di riportare in Libia, dopo averli soccorsi in mare, coloro che tentano la traversata. Mai più taxi del mare. Spero che il governo non stia prendendo in giro un’altra volta gli italiani”.
Sulla Libia come sulla politica industriale, l’Italia paga un eccesso di protagonismo di Macron? Lei l’ha vissuto col caso Vivendi-Mediaset, pensa che il nostro Paese sia sotto un attacco francese?
“Direi che la politica di Macron non è nè liberale, nè europeista: mi pare anzi abbia una visione colbertiana della politica estera al servizio dell’economia francese. Per la verità dai tempi del Ministro del Re Sole ad oggi questa è stata una tendenza ricorrente nella storia di Francia. Nella mia vita di imprenditore ho vissuto anche sulla mia pelle le conseguenze negative di questo atteggiamento. La Cinq fu osteggiata da subito e poi chiusa per le pressioni del governo francese di allora. Quanto a Vivendi, non sta a me giudicare se il comportamento di Bollorè nei confronti della mia famiglia sia riconducibile a questa linea di condotta: so però che la Francia è storicamente molto più attenta di noi a tutelare l’interesse nazionale, identificandolo con quello delle aziende francesi”.
C’è stato l’ennesimo appello del capo dello Stato per la riforma elettorale. Ci sono margini per una ripresa della trattativa a settembre?
“Sarebbe assurdo se non accadesse. Ha ragione il capo dello Stato, non è pensabile andare al voto con due sistemi contraddittori fra Camera e Senato. Il segretario del Pd Renzi ha detto che è pronto a cambiare la legge con l’accordo di Grillo e Berlusconi. Lo prendo in parola. Una legge elettorale con queste caratteristiche esiste già , votata due mesi fa in commissione alla Camera. Si sono espressi a favore non soltanto Grillo e Berlusconi, ma anche Salvini e lo stesso Renzi. Non capisco perchè non si possa ripartire da lì: un sistema di tipo tedesco adattato alla situazione italiana”.
Pensa anche a una possibile intesa con il Pd, magari sul premio alla coalizione, se il M5S dovesse ritirarsi?
“Cos’è cambiato oggi rispetto a da due mesi fa? Un semplice incidente parlamentare non è una buona ragione per gettare via un buon accordo. Il voto degli elettori deve finalmente tornare a contare, dopo quattro governi consecutivi non scelti dagli italiani: un partito che ottiene il 20% deve avere il 20% dei parlamentari. Diversamente la sfiducia nella politica aumenterà ancora. Mi auguro che il segretario del Pd non ragioni come i grillini, anche perchè l’idea che Renzi possa definirsi un anti-casta fa davvero sorridere”.
Da giorni il controesodo dalle file di Ap e Ala alla “casa madre” forzista. Quanto ravvedimento e quanto opportunismo pre elettorale, secondo lei?
“Non lo so, non sta a me giudicare le intenzioni. Se alcuni parlamentari eletti nel centrodestra vogliono cambiare le loro scelte degli ultimi anni, dare vita a una formazione politica che guarda alla nostra coalizione, non solo non posso impedirlo, ma la ritengo cosa buona e utile”.
Porte aperte anche al loro leader, Angelino Alfano?
“Sul piano nazionale direi che il problema non si pone. Il partito di Alfano in questi anni ha mantenuto in piedi due governi di sinistra, che non sono stati scelti dai cittadini e che oggi presentano un bilancio desolante su tutto. Lei pensa che chi ha collaborato a ridurre il nostro paese in queste condizioni possa davvero tornare a lavorare con noi?”.
Lo dica lei.
“Non avrebbe alcun senso. Altra cosa sono le realtà locali, in molte delle quali governiamo noi del centrodestra. Se questo potrà accadere anche in Sicilia, per battere sia la disastrosa gestione uscente della sinistra, sia l’incubo che una regione così importante possa cadere in mano ai grillini, credo sia un bene per i siciliani. Io lavoro sempre per unire, mai per dividere “.
Silvio Berlusconi è davvero pronto alla settima campagna per le politiche, nonostante la sua età ne faccia il più longevo tra i leader europei
“Se è vero che sono il più longevo, mi impegno – come disse Ronald Reagan – a non far uso di questo vantaggio per mettere in difficoltà i miei più giovani e inesperti avversari (sorride, ndr). Ho disegnato un simbolico ‘albero della libertà ‘. Ogni ramo un problema del paese e tre frutti: le nostre soluzioni. Non me ne andrò fino a quando non avremo colto tutti questi frutti. Mai lasciato un compito a metà , escludo di farlo nella sfida decisiva per salvare il mio paese”.
I sondaggi danno il centrodestra in testa. La coalizione con Lega e Fdi è obbligata? Esclude una lista unica?
“Non posso dire nulla fin quando non sapremo con quale legge elettorale si andrà a votare. Posso dire però che l’unità del centrodestra è un grande valore. Naturalmente il modello dev’essere quello oggi vincente in tutt’Europa: quello del Ppe che noi orgogliosamente rappresentiamo in Italia. L’esistenza di una destra estremista ha portato in Francia alla vittoria di Macron, un leader di sinistra che di liberale ed europeista ha davvero poco, come dimostrano le ultime vicende. Nel nostro centrodestra i temi della destra e della Lega diventano parte integrante del progetto complessivo. Ma da soli non bastano, se vogliamo vincere e governare il Paese in modo credibile”.
Quindi il tormentone premiership del centrodestra è rinviato a dopo il voto?
“Credo che anche questo sia un tema che appassiona pochi addetti ai lavori. Dopo la vittoria alle elezioni la forza che avrà preso più voti nella nostra coalizione proporrà al capo dello Stato il nome del candidato premier. Quanto alla leadership, mi limito ad osservare che in 23 anni gli italiani mi hanno espresso il loro voto più di 200 milioni di volte: se la leadership si basa sul consenso mi sembra che le discussioni non abbiano molto significato”.
Presidente, come è cambiata la sua vita in questo anno seguito al delicato intervento al cuore?
“È cambiata in meglio, dopo un primo periodo fisicamente doloroso. L’aiuto di Dio e la bravura dei chirurghi mi hanno restituito le energie di sempre. Ma soprattutto ho sentito l’affetto di milioni di italiani. Verso un popolo così meraviglioso so di avere dei doveri”.
Il film su di lei di Sorrentino la incuriosisce, la lusinga, lo teme?
“Mi incuriosisce molto. Ho incontrato Sorrentino e, da produttore di cinema, pur non conoscendo la trama gli ho messo a disposizione, se gli dovessero servire, le mie residenze per le riprese. In passato sono stati girati altri film su di me, modeste opere di propaganda. Spero che Sorrentino realizzi un’opera libera, creativa, di successo ma rispettosa della realtà e delle vite dei protagonisti. D’altronde, cosa dovrei temere? Gli italiani mi vogliono bene”.
(da “La Repubblica”)
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Luglio 30th, 2017 Riccardo Fucile
UNA SEQUELA DI BALLE STRATOSFERICHE PER GIUSTIFICARE LA RINUNCIA: “LA NAVE SE N’E’ GIA’ ANDATA PASSANDOVI SOTTO IL NASO”: PECCATO CHE SIA ANCORA TRA CIPRO E GRECIA, A MILLE CHILOMETRI… FUORI I CONTI E I NOMI DI CHI FINANZIA QUESTA MISSIONE ILLECITA
La nave anti-migranti non arriverà più al porto di Catania. A comunicarlo è il portavoce nazionale di “Generazione Identitaria”, Lorenzo Fiato, che annuncia il ritiro dal capoluogo etneo.
“Il problema, a Catania, non era economico ma politico. Abbiamo ricevuto pressioni da diversi personaggi politici. Gli attivisti di sinistra hanno fatto un sit-in ma questo era il minimo dei nostri problemi”.
Nel corso della loro permanenza nel capoluogo etneo, gli attivisti sarebbero stati “seguiti per tutto il tempo dalla polizia” ma — sottolineano — “la cosa più importante e pericolosa è stata la pressione del governo italiano”.
Rvoluzionari che ritengono “pericoloso” essere monitorati dalla polizia? Roba da scompisciarsi dalle risate.
Lorenzo Fiato, irraggiungibile al telefono in questi giorni, ha precisato che il “ministro dell’Interno avrebbe fatto tutto il possibile per fermare la nostra missione”.
Per questo motivo “Generazione Identitaria” ha deciso che “Catania non era più un porto sicuro”.
Una giustificazione ridicola dopo aver annunciato a Famagosta, da cui erano stati espulsi, che la meta era Catania.
Qunato alla presunta pressione delle autorità italiane si tratta semplicemente di applicare la legge vigente che non consente di compiere missioni illecite a nessuna nave. Non hanno scalato Catania per paura di finire in galera e di vedersi sequestrare la nave, tutto qua.
Ma ci sarà occasione appena entreranno nelle acque sotto il controllo della nostra Guardia costiera, se mai arriveranno al confine delle acque libiche.
Poi la solita balla stratosferica.”I ragazzi sono salpati, la nave non ha mai sfiorato le coste italiane ma noi le siamo andati incontro”.
Per giustificare la disfatta (e, dunque, la vittoria delle associazioni anti-razziste che ieri hanno manifestato al porto), in un video intitolato “La beffa di Catania”, gli attivisti della missione “Defend Europe” hanno aggiunto: “Voi che presidiate il molo vuoto della C-Star sappiate che la nave se n’è già andata. Magari a 15 miglia di distanza, passandovi sotto il naso. Questa la potrete chiamare la nostra piccola beffa, la beffa di Catania”.
Peccato che i satelliti non sbagliano: la nave “C-Star in questo momento si trova tra la Grecia e Cipro, come mostra il sito MarineTraffic, a 1000 km dalla Sicilia: ne hanno da nuotare i presunti identari che le starebbbero andando incontro
L’imbarcazione noleggiata da “Generazione Identitaria”, era stata sottoposta ad una “brusca ispezione” da parte delle autorità egiziane al largo di Suez, poi è stata fermata dalle autorità di Cipro che hanno arrestato l’equipaggio europeo, compreso il capitano e il vice-comandante, per aver falsificato i documenti di 20 cittadini dello Sri Lanka che si trovavano a bordo della nave. Le autorità locali avevano decretato l’espulsione dal Paese, come riportato dalla stampa turca.
Restiamo sempre in attesa di conoscere i costi di questa missione e nomi e cognomi di chi finanzia un’impresa illecita che finora risulta aver incassato 140.000 euro da sconosciuti e 10.000 dollari a testa da clandestini cingalesi ospitati a bordo con documenti falsi.
(da “Fanpage)
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Luglio 29th, 2017 Riccardo Fucile
DECINE DI MIGLIAIA DI EURO SPESI DA UNA GIUNTA MEGALOMANE, NESSUN RITORNO TURISTICO… CHIODI CHE ESCONO, DANNI, TAPPETI ROTTI, TAPPULLI E SPORCIZIA… INTERVENGA LA CORTE DEI CONTI E MANDI LA FATTURA A CHI HA APPROVATO LA DELIBERA
Ritorniamo sul’argomenti del Red carpet senza tediarvi troppo sul suo iter che si può riassumere in poche righe.
Una spesa inizialmente minima dichiarata, poi salita a 60.000 euro (escluso collocazione a terra, fissaggio, defissaggio e rottamazione, a carico dei Comuni), presunti ritorni turistici mai avvenuti (a Rapallo calo dell 8% delle presenze il primo mese del red carpet), fatture pagate dalla Regione non al fornitore ma a “Liguria Digitale” che a sua volta compra dal fornitore (Liguria Digitale che ha per statuto compiti di informatizzazione degli enti locali, tramutata in mediatore di tappeti, Liguria Digitale che caso strano aveva come Ad l’attuale sindaco leghista di Genova Marco Bucci), fino al richiamo della Sovrintendenza per i danni arrecati dai chiodi usati per fissare il tappeto.
Poi il delirio di Toti che, come un piazzista, ha voluto distribuire 100 km di tappeto rosso in altre venti cittadine, tanto paga il contribuente.
Bene, per un attimo fingiamo di dimenticare tutto, pensiamo “all’immagine che diamo della Liguria” con questa grande iniziativa, come dice Toti.
Pubblichiamo 15 foto (sulla ns. pagina Fb ) relative a diverse località , che non hanno bisogno di commenti, su quella che Villaggio avrebbe definito “una cagata pazzesca”: era chiaro che non solo era una spesa inutile, ma che sarebbe stata controproducente.
In una foto c’è persino un marciapiede lasciato scassato ma con il tappeto rosso a fianco, massimo del delirio.
Un tappeto rosso ha senso per una cerimonia, per una giornata, poi si deteriora e rende solo l’immagine di una Liguria sporca, raffazonata e cialtrona.
A voi il giudizio.
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Luglio 29th, 2017 Riccardo Fucile
DECINE DI IMBARCAZIONI DELLA “FLOTTILLA CITTADINA” STAMANE HANNO MANIFESTATO CONTRO LA NAVE CACCIATA DA CIPRO E DICHIARATA IN ARRIVO A CATANIA (AMMESSO CHE ARRIVI MAI)
La Flottilla cittadina si è mossa stamattina dal circolo canoisti e ha raggiunto lo specchio d’acqua di fronte al lido Azzurro.
Un corteo di decine di imbarcazioni con uno striscione per dire no all’approdo in città dell’imbarcazione di Generazione identitaria.
Canoe, barche a vela, gommoni pedalò, e tutto quanto sia in grado di galleggiare (in piena sicurezza). La Flottilla cittadina ha chiuso simbolicamente il porto di Catania alla C-Star, la nave razzista.
C’erano i del circolo Canoa Catania – quelli che non sono in Polonia a partecipare ai World games – che guidavano i dragon boat da venti posti. E poi cittadini con piccole imbarcazioni e gommoni.
«Il porto si stringe attorno alle navi di soccorso delle Ong e alle operazioni umanitarie – ha detto Luca Nicotra – Noi abbiamo cominciato a organizzare questa cosa, e poi l’appoggio da parte dei cittadini catanesi è stato commovente».
«Noi chiediamo soltanto che si applichi la legge italiana – interviene l’esponente di Avaaz – Se l’attività di queste persone in mare, che è nei fatti un’azione di pirateria, causerà delle vittime, la responsabilità sarà di chi non ha agito, di chi non è intervenuto adesso».
Gli attivisti anti-migranti sono nel capoluogo etneo da giorni: aspettano l’arrivo dell’imbarcazione per poterci salire sopra, ma la nave è ancora al largo di Cipro, ci vorranno giorni, ammesso che arrivi mai.
Dopo essere stati di fatto cacciati da Famagosta come indesiderati, i pochi uomini rimasti a bordo hanno dato come destinazione Kalinik (a nord di Cipro) ma poi sono andati nella direzione opposta.
Attualmente sono ancora a sud di Cipro diretti a ovest, praticamente da giorni alla stessa altezza di Port Said d cui sono arrivati giorni fa, prima di essere beccati coi richiedenti asilo cingalesi a bordo con documenti falsi.
Ammesso che la nave arrivi mai a Catania, dove potrebbe vedersi negato l’attracco per motivi di ordine pubblico, la decina di attivisti è probabile che raggiungano l’imbarcazione al largo.
Fermo restando che entrando nelle acque territoriali italiane, data la finalità illecita dichiarata, la Guardia costiera non riceva l’imput di bloccarla, come avverrebbe nei Paesi civili.
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Luglio 29th, 2017 Riccardo Fucile
ASSE TRA DE VITO E L’ASSESSORE AL BILANCIO MAZZILLO
Con quello che sta succedendo a Roma un assessore che rimette alla sindaca la delega alle Politiche abitative non è certo una gran notizia.
Se però si tratta dell’assessore al Bilancio, cioè la persona che ha in mano i cordoni della borsa, e non rinuncia per capriccio ma per dare un segnale politico, allora la faccenda cambia.
Il suo nome è Andrea Mazzillo, e dice: “Qui serve una svolta, continuando così andiamo a sbattere. Va a sbattere tutta la città “.
Il segnale è innanzitutto per la sindaca. Ma pure a quanti hanno sempre condizionato le scelte del Campidoglio: dal direttorio della prim’ora, al direttorio bis degli onorevoli tutor di Virginia Raggi, e più su. Fino alle vere stanze dei bottoni della Capitale, quelle dell’Hotel Forum occupate di solito da Beppe Grillo e Davide Casaleggio.
E la storia si fa ancora più seria perchè non è la presa di posizione di un singolo assessore. Dietro a lui ci sarebbe infatti il pezzo di consiglio comunale che garantisce la maggioranza a Virginia Raggi.
Fra Mazzillo e il presidente dell’assemblea capitolina Marcello De Vito si è stabilito un inedito asse di ferro.
La manovra punta a riportare il potere in mano agli eletti. Gli esperti di codici grillini potrebbero interpretare ciò come un ribaltamento nei rapporti di forza. Mazzillo era considerato uno dei fedelissimi di Virginia Raggi, mentre De Vito è vicino alla ex capogruppo alla Camera Roberta Lombardi, che pubblicamente non ha mai mostrato particolare stima per la sindaca.
Se però il possibile terremoto della “discontinuità “, come la chiama Mazzillo, ma che sarebbe più giusto definire “presa di distanze” non fosse di ben più ampia portata.
Da mesi crescono i malumori nell’assemblea dove per una singolare usanza i consiglieri si fregiano come i parlamentari dell’appellativo di “onorevoli”. Il consiglio comunale lamenta di essere tagliato fuori di fatto da ogni decisione.
E l’ultimo caso, quello del direttore generale dell’Atac Bruno Rota che ha sparato dalle colonne di Corriere della sera e Fatto quotidiano una mitragliata sull’azienda pochi giorni dopo aver rassegnato le dimissioni, è solo il detonatore di una situazione esplosiva. Rota era l’ennesimo manager nordista, che in men che non si dica ha fatto le valigie.
“Le decisioni sono adottate centralmente, senza alcun confronto con l’assemblea che spesso e volentieri viene tenuta all’oscuro. Molti assessori non hanno alcun rapporto con gli eletti”, accusa Mazzillo.
Si fa presto a capire chi mette sul banco degli imputati: il vicesindaco Luca Bergamo, dai trascorsi nel Pd, l’assessora all’Ambiente Pinuccia Montanari, quella che “sostiene di non aver mai visto qui i topi per il semplice fatto che non conosce Roma”, ma soprattutto il factotum delle municipalizzate catapultato anch’egli come Rota dal Nord. Ovvero, l’ex imprenditore veneto Massimo Colomban.
Dire che Mazzillo con lui non abbia mai legato è puro eufemismo.
Il fatto è che fra le decisioni prese centralmente che provocano così tanti mal di stomaco nel consiglio comunale le più indigeste sono quelle calate dall’alto.
Tipo, appunto, le nomine delle figure chiave. Che Virginia Raggi ha sempre finito per subire.
Sono sempre arrivate direttamente dalle stanze dei bottoni del Movimento 5 stelle. E l’innesto di Colomban, rivelatosi finora privo di alcuna concretezza, viene portato come l’esempio più clamoroso. Ma non l’unico.
“Francamente non si capisce perchè si senta il bisogno di affidare certi incarichi delicati a persone che non conoscono Roma, come se in questa città non fossero reperibili determinate competenze”, argomenta Mazzillo.
La verità è che certe scelte manageriali ai vertici delle municipalizzate si sono risolte finora in autentici disastri. Ed è difficile attribuire le cause alla semplice inesperienza di politici in erba, quando invece le decisioni sono prese da altri.
Tutto questo discende da ragioni precise. Pur senza dirlo apertamente, l’assessore al Bilancio fa risalire la cosa al peccato originale: il famoso contratto che Virginia Raggi e i consiglieri comunali hanno accettato di firmare.
Una ipoteca economica pesantissima capace di menomare ogni azione politica che abbia il sapore dell’indipendenza dalle direttive dei vertici del Movimento (come sa bene la consigliera Cristina Grancio sospesa per essersi mostrata perplessa sullo stadio della Roma).
Con cui, al contrario, la sindaca di Torino Chiara Appendino non è costretta a fare i conti. E la differenza, infortuni a parte, è evidente.
La conseguenza, dice l’assessore al bilancio, è che amministrare una città come Roma in queste condizioni è una guerriglia quotidiana. “Prima non si facevano le gare. Adesso invece sono bandite regolarmente, peccato solo che spesso non si riesca ad aggiudicarle perchè i commissari si ammalano all’improvviso “, racconta Mazzillo.
E sbotta: “Nessuno si vuole assumere responsabilità . Ho dovuto richiamare la nostra compagnia assicurativa, la Adir, che l’altro giorno mi ha comunicato la decisione di non voler più dare copertura ai dirigenti del Comune. Che così hanno comprensibili difficoltà a esporsi”.
Per non parlare della meticolosità della Corte dei conti nel mettere il naso in ogni delibera. Con il paradosso che quella valanga burocratica si abbatte proprio su di lui, che di un noto fustigatore della magistratura contabile, Luigi Mazzillo, è il figlio.
Senza poi contare le tegole che cadono sulla testa quando meno te l’aspetti. Un esempio rende l’idea. “La società Investimenti spa ci ha chiamato in causa “, rivela lui, “per un arbitrato da capogiro. Chiede al Comune di Roma qualcosa come 150 milioni di danni perchè sono state ridotte le cubature dell’intervento previsto nella vecchia Fiera di Roma”. Il bello è che Investimenti spa è una società interamente pubblica, controllata al 58 per cento dalla Camera di Commercio, al 20 per cento circa dalla Regione Lazio e per il restante 22, pensate un po’, addirittura dal Campidoglio.
Un altro fulgido esempio dello Stato che fa causa a se stesso. Complimenti.
(da “La Stampa“)
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Luglio 29th, 2017 Riccardo Fucile
L’EMERGENZA IDRICA INVENTATA SI CHIUDE CON UN DISASTRO POLITICO
Ieri si è conclusa nel modo più fesso possibile la sceneggiata dell’acqua razionata a Roma.
Una finta emergenza idrica i cui contorni non si sono mai definiti e nella quale il Partito Democratico è tornato a livelli tafazziani grazie al combinato disposto degli interventi di Nicola Zingaretti e del ministro Galletti che prima hanno spiegato le imprescindibili ragioni per la chiusura dei rubinetti del Lago di Bracciano e poi, quando il Tribunale delle Acque gliele ha validate, li hanno riaperti.
Questo perchè il MoVimento 5 Stelle ha messo in campo un’offensiva che mirava a colpevolizzare Regione e governo per la chiusura dell’acqua che veniva imposta da ACEA, ovvero da un’azienda di cui il Comune di Roma possiede la maggioranza assoluta.
Il dietrofront di ieri è stato sintomatico di una situazione disperata, ma non seria.
La sindaca di Roma Virginia Raggi è apparsa in conferenza stampa sostenendo: «Adesso il Governo e la Regione devono fare la loro, si devono assumere le loro responsabilità , perchè non si può tagliare l’acqua a oltre un milione e mezzo di cittadini romani. Devono intervenire adesso entro questa sera, non domani o tra qualche giorno. I romani hanno diritto ad avere una risposta e la devono avere adesso».
Ovviamente nessuno ha obiettato che a chiudere l’acqua per otto ore al giorno alternativamente in due quadranti non erano nè governo nè Regione Lazio, ma l’ACEA.
La stessa ACEA che aveva paventato un’emergenza idrica per metà della città a fronte di prelievi dal Lago di Bracciano che soddisfacevano un fabbisogno totale dell’8%. Addirittura, l’azienda ha detto che si sarebbe tagliata l’acqua anche agli ospedali, raggiungendo livelli di terrorismo che sarebbe invece stato interessante andare a “vedere”, visto il rischio di class action e l’evidenza che finora ACEA non aveva in alcun modo comunicato ufficialmente il taglio dell’acqua, nutrendo solo le indiscrezioni dei giornali.
Governo e Regione hanno obbedito all’ultimatum della Raggi e hanno “trovato” la soluzione in serata, come aveva ordinato la sindaca.
Lo hanno fatto, a quanto pare, perchè il governo ha spinto sulla Regione che si alla fine piegata, posticipando il divieto di captazione dal lago al primo settembre e riducendo a 400 litri al secondo fino al 10 agosto e a 200 successivamente.
La conclusione “felice” della vicenda si è vista ieri in una dichiarazione di Luigi Di Maio, che ringraziava la sindaca per aver evitato l’emergenza a Roma mentre Zingaretti sulla sua pagina Facebook attaccava la Raggi perchè aveva utilizzato la tattica dello scaricabarile per portare a casa il risultato. Sarà , ma se non si va a vedere il bluff di solito si perde la mano
Il bluff emergenziale
Ed è esattamente questo che hanno fatto Regione e governo. Franco Bechis su Libero ha spiegato bene che se Bracciano è una riserva da cui si prende il 5% dell’acqua solo d’estate — e non sempre — diventa davvero difficile comprendere come la chiusura di questa possibilità avrebbe potuto negare l’acqua per otto ore al giorno a 1,5 milioni di romani sui 2,8 milioni di abitanti.
E ancora meno comprensibile è che questo scenario potesse avvenire nel mese di agosto, quando mediamente almeno il 25-30% dei romani sono in vacanza e soprattutto la stragrande maggioranza di chi viene da fuori, vi lavora e consuma anche l’acqua, è in ferie con quasi tutti gli uffici pubblici chiusi o a turnazione ridotta.
Roma avrebbe avuto anche con la chiusura di Bracciano il 95% dell’acqua a disposizione per servire però durante il mese di agosto il 60% circa dell’utenza ordinaria.
Come avrebbe mai potuto esserci emergenza?
“Il caso dunque è stato creato e cavalcato ad arte dai suoi protagonisti, ed è probabile che non sia estraneo a quel che è accaduto anche un lungo e feroce contenzioso legale fra l’Acea e la Regione Lazio…”.
Il risultato finale
E il risultato finale? Il risultato finale intanto scontenta la parte più debole della vicenda, ovvero i sindaci dei comuni vicino al Lago di Bracciano che da mesi segnalavano la situazione di emergenza e che oggi si ritrovano con la Regione che volta loro le spalle nonostante una sentenza di un tribunale le abbia dato ragione. Raggi e ACEA sono i più titolati a esultare perchè Regione e governo hanno risolto un problema che vedeva loro come primi responsabili.
Zingaretti e Galletti, poi, possono anche dire di essersi dimostrati bravi a scongiurare una figuraccia internazionale che si stava preparando per Roma.
Ma lo hanno fatto venendo meno a principi che loro stessi avevano enunciato nei giorni scorsi. Non solo: dovranno anche concedere ad ACEA di aumentare l’approvvigionamento da altre fonti (il raddoppio del Peschiera) nel medio periodo.
Se è una vittoria questa, alla vigilia delle elezioni politiche e regionali, siamo rovinati.
(da “NextQuotidiano“)
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Luglio 29th, 2017 Riccardo Fucile
IL PESO ECONOMICO DELLA CATTIVA BUROCRAZIA SULLE PMI E’ DI 31 MILIARDI E IL DEFICIT STRUTTURALE GRAVA PER ALMENO 40 MILIARDI
Le aziende italiane sono le più tartassate d’Europa: secondo i dati dell’Ufficio studi della Cgia, le nostre imprese versano al fisco 105,6 miliardi di euro l’anno: nell’Unione europea solo le aziende tedesche pagano un importo complessivo superiore, 135,6 miliardi, anche se va ricordato che la Germania conta 22 milioni di abitanti in più dell’Italia.
“Ma il carico fiscale sulle imprese italiane non ha eguali nel resto d’Europa quando misuriamo l’incidenza percentuale delle tasse pagate dalle aziende sul gettito fiscale totale. Se da noi la percentuale è del 14,9 — spiega una nota — in Irlanda e’ del 14,8, in Belgio del 12,9, nei Paesi Bassi del 12,7, in Spagna dell’11,8, in Germania e in Austria dell’11,6. La media dell’Unione europea è pari all’11,5 per cento”.
“Sebbene alle nostre imprese sia richiesto lo sforzo fiscale più oneroso d’Europa — segnala il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo — la qualità dei servizi ricevuti dallo Stato è spaventosamente inadeguata. Ricordo, ad esempio, che il debito commerciale della nostra Pubblica amministrazione nei confronti dei propri fornitori è di 64 miliardi di euro, di cui 34 riconducibili ai ritardi nei pagamenti. Il peso economico della cattiva burocrazia sulle Pmi, invece, è di 31 miliardi e il deficit infrastrutturale, sia materiale che immateriale, grava sul sistema produttivo per almeno 40 miliardi di euro”.
L’Ufficio studi della CGIA fa presente che l’incidenza percentuale delle tasse pagate dalle imprese sul totale del gettito fiscale è un indicatore che aiuta a comprendere l’elevato livello di tassazione a cui sono sottoposte le aziende.
Si tenga presente che le imposte italiane considerate in questa analisi su dati Eurostat sono: l’Irap, l’Ires, la quota dell’Irpef in capo ai lavoratori autonomi, le ritenute sui dividendi e sugli interessi e le imposte da capital gain.
“Oltre a ridurre il peso delle tasse — dichiara il Segretario della CGIA Renato Mason — è necessario diminuire anche il numero di adempimenti fiscali che, invece, continua ad aumentare e costituisce un grosso problema per moltissime aziende. Non dobbiamo dimenticare che i più penalizzati da questa situazione, cosi’ come avviene per le tasse, sono le piccole e piccolissime imprese che, a differenza delle realta’ piu’ grandi, non dispongono di una struttura amministrativa in grado di farsi carico autonomamente di tutte queste incombenze”.
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 29th, 2017 Riccardo Fucile
“A STEFANO CONVIENE STARE ZITTO”… “QUESTI SONO DEI DELINQUENTI, E’ SCANDALOSO”
«A Stefano converrebbe continuare a stare zitto, faccia silenzio. Deve piantarla lì. Perchè sennò…». «È pazzesco, ma come si fa, questi sono dei delinquenti, è scandaloso». «Quello che mi hanno fatto lo considero un vero tradimento. Una roba che neanche all’asilo».
Il giorno dopo il suo addio all’ATAC Bruno Rota riempie di interviste le pagine di tutti i giornali d’Italia. E quello che dice dell’amministrazione di Roma e dei consiglieri probabilmente è la pietra tombale sulla gestione grillina del’azienda di trasporti romana.
Nell’intervista rilasciata ad Alessandro Trocino del Corriere della Sera Rota tiene prima di tutto a precisare com’è andata la vicenda delle dimissioni, sulle quali è scoppiato ieri un piccolo giallo.
L’ATAC ha infatti prima fatto sapere con una nota che al direttore generale erano state ritirate le deleghe, poi lui ha detto ai giornali di aver presentato le dimissioni una settimana prima.
A questo punto l’ATAC ha dichiarato che le sue dimissioni non risultavano protocollate nè comunicate all’amministratore unico Manuel Fantasia.
Oggi lui spiega: «Ma quando mai, hanno fatto i furbi. Peggio ancora. Ma chi se la beve la novella del siluramento? Questo la dice lunga sulla serietà di queste persone. È l’ennesima dimostrazione che avevo visto giusto, che ho fatto bene ad andarmene per tempo».
E ancora: «È pazzesco, ma come si fa, questi sono dei delinquenti, è scandaloso. Io le dimissioni formali le ho date il 21 luglio e la Raggi mi ha chiesto di restare e di soprassedere, almeno per portare a termine gli adempimenti più importanti. Nell’ultimo mese, verbalmente, le avevo già date più volte le dimissioni».
Rota sostiene di aver avviato le procedure per il concordato preventivo in ATAC e di aver fatto la selezione per l’advisor legale, ma anche di aver notato “manovre” intorno alla procedura: «Non mi faccia parlare, che direi cose sgradevoli e sono agitato. Quello che mi hanno fatto lo considero un vero tradimento. Una roba che neanche all’asilo».
Infine parla di Enrico Stefà no, consigliere a Roma e presidente della Commissione Mobilità , che ha accusato di avergli raccomandato persone e aziende:
Lei su Facebook ha denunciato pressioni da parte di Enrico Stefà no, consigliere M5S, che le avrebbe chiesto di promuovere i «soliti noti». Lui però smentisce e la invita a scusarsi. Cosa gli risponde?
«Questa è buona. Ma ci ha messo 24 ore a smentire, è stato muto da ieri. Ma dai, io rispondo alle cose serie».
Perchè non ha denunciato prima le pressioni di Stefà no?
«Ma perchè ho risposto a lui che mi diceva che non avevo fatto niente in azienda. Forse dovrebbe spiegare lui qualcosa dell’azienda che ho nominato. E l’ho fatto perchè lui stesso citava il sistema di bigliettazione. Ecco,magari dovrebbe spiegare perchè riceve le imprese che fanno forniture in azienda»
Bruno Rota e L’ATAC senza stipendi
Con Repubblica Rota conferma la vicenda del concordato preventivo e il fatto che ne avesse parlato con la Raggi e con gli altri: «Stavo lavorando alla procedura per il concordato preventivo sotto la vigilanza del tribunale, la procedura ritenuta da me necessaria per risanare l’azienda evitando il fallimento. Ero riuscito anche a spiegare ai grillini cos’è un concordato». Purtroppo nessuno a Roma ne ha saputo nulla, in omaggio alla trasparenzaquannocepare che è il faro che guida questa amministrazione.
Al Messaggero invece l’ex direttore generale fa sapere che ATAC non sarà in grado di pagare gli stipendi: «Qui c’è un’azienda che l’ultima volta è riuscita a pagare gli stipendi nell’ultimo quarto d’ora. È una situazione che deve essere analizzata dal tribunale fallimentare. La quantità di decreti ingiuntivi che ha accumulato è spaventosa…».
Poi dedica una serie di repliche proprio a Stefà no:
«Io non ho fatto polemica con nessuno. Sono io ad essere stato attaccato da questo ragazzotto e ho reagito, perchè non ho niente da nascondere. Non mi sposto di un centimetro da quelle affermazioni. Lui prima di rispondere ha aspettato due giorni…».
Ieri Stefano ha negato queste pressioni e ha detto che lei dovrebbe scusarsi.
«A Stefano converrebbe continuare a stare zitto, faccia silenzio. Deve piantarla lì. Perchè sennò…».
Sennò? Di che appalti le avrebbe parlato?
«A me per un mese ha chiesto come mai non mi occupassi della bigliettazione. Ma lo sappiamo bene perchè rompe le scatole sulla bigliettazione. La domanda dovreste farla voi: è normale che un politico tenga rapporti con società di bigliettazione?».
Ce lo dica lei.
«Guardi, si potrebbero incrociare anche alcune sue curiosissime affermazioni, per esempio sui nuovi bus a metano… Con tempistiche, diciamo,curiose».
Quali giovani avrebbe voluto promuovere il presidente M5S della Commissione Mobilità ?
«I nomi sono i soliti. Ma io non ho fatto nessuna promozione e non ho allontanato nessuno, perchè queste cose nelle aziende dove sono stato non succedono. Non ho mai avuto la tessera di nessun partito, ho sempre solo fatto il manager. Lo sanno tutti
«Raggi mi supplicava di restare
Rota, infine, parla anche con La Stampa: «Sì, ho approvato un regolamento di gare e contratti particolarmente rigido di cui Atac aveva bisogno. Ho ripristinato un rapporto corretto con l’autorità Anticorruzione. Ho affrontato le questioni sindacali con durezza, perchè non si poteva fare diversamente. Ad esempio la circolare di quindici giorni fa che impone regole precise per la timbratura dei cartellini agli operatori della metropolitana. Lo so che potrebbe sembrare una cosa scontata ma qui non era così. E purtroppo non è ancora così perchè alcune delle difficoltà , delle tensioni nascono proprio dal tentativo di mettere regole e farle rispettare. Per fare queste battaglie di educazione è normale che l’amministrazione ti deve sostenere il manager chiamato a questo compito. Non di nascosto o a chiacchiere ma con atti concreti».
E la polemica con Enrico Stefà no? «Il vile che cerca di tirare un calcio a chi si ritiene non in grado di difendersi c’è sempre. Gli ho risposto per le rime».
(da “NextQuotidiano”)
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